So, do you paint..?
Squilli di trombe, schiamazzi,
aquiloni, palloncini
scivolati via da mani di bambini poco attenti; suoni e colori facevano
da
contorno al corteo indetto da Marcel nella sua New Orleans. Mai si
sarebbe
immaginato che nel giro di nove mesi – giusto il tempo di
aspettare un erede da
mostrare alle folle, come un vero reale che annuncia la nascita del
figlio che
sarà il suo successore – sarebbe stata del suo
migliore amico, del suo mentore,
come presentava Klaus ai più.
Entrambi sapevano che dietro quei sorrisi e quelle pacche troppo forti
per
essere davvero amichevoli, c’erano anni di rancori e sete di
vendetta bramata
solo quanto il sangue di una giovane vergine; dopotutto con gente come
i
vampiri Originali bisognava regalare dramma, il gusto e il bello di
cose
antiche.
O forse semplicemente l’estetismo puro, la ricerca di
qualsiasi cosa che trasudasse arte, come la pittura: un vezzo che
Klaus, negli
anni, aveva sempre
cercato di non
abbandonare mai.
Era però da qualche mese che aveva perso
l’ispirazione. New Orleans era la sua
casa, aveva imparato a giocare con i pennelli e le sfumature, i chiari
scuri e
i giochi di luce sulle tele proprio in quel luogo e sperava che
ritornandovi
sarebbe riuscito a riprendere in mano gli strumenti del mestiere.
L’ultima creazione ritraeva lei, la bionda dagli occhi
fulminei e dal
bell’abito blu. E proprio a lei, Caroline, aveva mostrato i
suoi lavori, i suoi
tesori più inestimabili; quasi l’aveva convinta
che il suo animo d’artista
dannato nascondesse più di quella corazza dura e senza cuore
che mostrava per
le strade di Mystic Falls, andando in giro a minacciare la gente e
strappare
cuori come fosse la soluzione ad ogni problema. Ma alla fine, nulla
aveva
potuto contro l’amore. Amore di lei per un altro.
Eppure i pensieri dell’ibrido non riuscivano a smettere di
vagare tra i ricordi che li vedeva assieme, a riportare ogni singola
parola di
lei: ogni occhiata, ogni gesto, per quanto malevolo fosse. Forse era
per quello
che, quando aveva trovato tra la folla una chioma bionda vagamente
familiare,
la prima sera da quando era arrivato, si era subito avvicinato sperando
che
fosse lei, sapendo che erano solo mere illusioni.
“La barista coraggiosa.”
L’aveva colta di sorpresa mentre osservava uno dei tanti
artisti di strada e le chiedeva quale pensasse fosse la storia che si
celava
dietro all’uomo ricurvo sulla tela; pennellate di nero che si
susseguivano
l’una all’altra per tracciare linee definite e
nette, rabbiosamente quasi.
“Desidera poter controllare i suoi demoni invece di lasciare
che loro controllino lui. Si sente perso. Solo.”
Le aveva risposto lei, facendogli bruciare gli occhi. Non
pensava che poche, mirate, sentite parole potessero trafiggergli il
petto come
solo un’altra bionda sapeva fare. Così era
scappato: ci volle poco per
ritrovarsi dall’altra parte della città, un vicolo
buio dove poteva stare solo
con i pensieri, dove poteva semplicemente posare la schiena al muro e
chiudere
gli occhi; la mente che vagava ancora una volta a lei e la mano che,
senza
aspettare l’impulso nervoso, era già a comporre il
numero di lei.
“Caroline,
ho appena
visto un uomo dipingere. Ho visto i suoi demoni su quella tela, ho
visto le sue
paure più recondite senza soggiogarlo per farglielo
ammettere e vivere ancora
più ricurvo di quel che era. La gente con tanti demoni
cammina sempre un po’
curvata, se li porta addosso, se li trascina senza accorgersene spesso;
li
tiene lì, appollaiati come rapaci pronti a morderli con i
becchi aguzzi.”
La risata di lui, quasi a schernire quell’immagine, le
risuonò nelle orecchie.
Poteva vedere il sorriso appena accennato, le labbra contorcersi solo
da un
lato e mostrare giusto un paio di denti bianchi. “C’è
tanta arte qui, tante cose da vedere, da scoprire, da dipingere ma
niente riuscirebbe mai a reggere il tuo confronto. Sono ancora convinto
che un
giorno capirai dov’è il tuo posto e allora, dimmi
solo dove sei e ti verrò a
prendere. Buonanotte.”
Sembrava la chiamata di un ubriaco la sua, di uno che aveva
bevuto troppo e che voleva solo guardare la vita da una prospettiva
diversa,
peccato che lei sapesse già che il suo posto non sarebbe mai
stato dove avrebbe
voluto lui e neanche dov’era adesso.
Spinta proprio dalle due chiamate di Klaus che non facevano altro che
parlare
di dipinti e artisti, aveva trascinato Elena ad una mostra di pitture
ad olio.
Vecchi ritratti e dipinti di natura morta o semplicemente paesaggi
erano nulla
in confronto al talento dell’ibrido che riusciva sempre ad
intrufolarsi nella
sua mente, anche quando avrebbe dovuto ricercare Tyler, sempre troppo
impegnato
ad aiutare gli altri licantropi che salvare la loro relazione.
Aveva girato tra le stanze, lasciando l’amica dietro che era
stata chiamata da Damon. Caroline odiava ammetterlo ma era invidiosa
del
rapporto dei suoi amici perché una volta c’era lei
al loro posto. Sapeva che
avrebbe potuto averlo con lui, ma non voleva; non poteva.
Non si era neanche accorta di trovarsi davanti al quadro che
ritraeva due amanti in abiti seicenteschi. Sfortunati amanti che si
davano le
spalle, che erano distanti fra loro eppure erano uniti da due mani
intrecciate.
Un legame che non avrebbero spezzato, che sarebbe potuto andare contro
ogni
avversità. Era quello che cercava la vampira bionda; quello
che lui soltanto
avrebbe potuto darle.
Si risvegliò da quello stato di trance solo quando una
vecchietta si avvicinò a lei, con le spalle ricurve eppure
ancora un fuoco
particolare negli occhi. Doveva essere un’artista, si
riconoscevano da quei due
segni le persone che usavano ogni possibile ragionamento creativo
eppure
dannatamente malato, non era questo che voleva dire Klaus?
“Bello, vero?”
“Moltissimo..”
La lingua quasi le si contorse mentre sentivo il suono della
sua stessa voce spezzato, mentre la donna al suo fianco le indicava il
quadro
accanto. Stessa mano, stessi amanti sfortunati, fin troppo: le due mani
ancora
intrecciate mentre lei si accasciava piangente sul corpo esanime di lui.
“Ha mai perso qualcuno di speciale, signorina?”
Caroline avrebbe potuto rispondere secca, senza giri di
parole, ma non sarebbe stato da lei. No, lei era quella logorroica,
quella che
aveva sempre la risposta pronta, la soluzione ad ogni evenienza; quella
preparata ad ogni eventualità e catastrofe. Solo che
stavolta, la voragine le
si sarebbe formata dentro se non avesse smesso di pensare.
“La politica è: se un qualcuno fosse
così tanto speciale non
se ne andrebbe, no? Una persona che si ritiene 'speciale' solitamente
ci si
aspetta che resti, no? Dopotutto è il motto di tutti dire
‘io resto, ci sarò’ e
tu gli credi, pensi sarà davvero per sempre, per tutta la
vita e poi, un
giorno... è tutto finito.” Fece una pausa prima di
riflettere ancora e
rispondere poi in maniera più sentita all’anziana
signora.
“Però, sì... dopo tutto l'odio e il
rancore provati, sì,
qualcuno di speciale l'ho perso.”
Ma la donna non era più lì quando la ragazza si
voltò a
chiedere chi invece avesse perso lei. Si avvicinò quindi al
nome inciso sul
cartellino che riportava il titolo del dipinto ma la cosa che
più di tutte la
colpì fu dove era stato realizzato: New Orleans.
“Care, scusami! Ci sono adesso e… è
tutto ok?”
“Oh, Elena, sì, sì. Stavo
solo… lascia stare, è una noia
qui, andiamo dai.”
E prese a braccetto la mora, allontanandosi il più possibile
– ancora una volta – da tutto ciò che
aveva a che fare con lui.
Rosso, arancione, giallo, rosa,
indaco; l’alba non era mai
stata rappresentata meglio dietro una veranda aperta pennellata di nero
e delle
candide tende bianche che sembravano muoversi sinuose nel dipinto. La
firma, la
data e due semplici iniziali ad indicare la città,
completavano la prima opera
che Klaus aveva prodotto dopo tanto tempo e che non comprendeva nessuno
dei
tratti distintivi della bionda che lo tormentava, completamente diversa
da
quella a cui ormai faceva visita da abbastanza sere per poter iniziare
a
chiamarla Camille. Era solito fermarsi anche dopo la chiusura con lei,
accompagnarla a casa perché sapendola al sicuro avrebbe
passato meglio la notte.
Sapeva perfettamente che lui era un pericolo costante per lei, la sua
vicinanza
lo era, rendendola facile preda agli occhi di Marcel ma al momento non
se ne
curava; troppo preso a conoscere ogni minimo tratto distintivo della
mente
della psicologa che riusciva a farlo riflettere come pochi vi erano mai
riusciti.
“Nessuno è completamente solo al mondo invece.
Neanche tu
che cerchi di fare il duro e il forte; il tenebroso.”
Klaus rise a quella descrizione, facendo una delle sue
solite facce divertite, prima di chiedere spiegazioni.
“Vedi, tutti credono che per non rimanere soli bisogni
cercare l’anima gemella. Sbagliano, tutti. Sbagliano nel
concetto stesso credendo
che quella persona sia l’amore della loro vita, non capendo
che invece hanno
bisogno di qualcosa di più che l’amore. Hanno
bisogno di un porto sicuro,
un’ancora, un paradiso. Ecco, io la chiamo persona paradiso,
colei che non ti
renderà mai più solo.”
“Dolcezza, mi spiace deluderti ma non credo né al
paradiso,
né all’inferno.”
“Klaus, ormai so cosa sei ed è normale che tu non
ci creda.
Ma io non parlo di religione, di persone mistiche; sto parlando di
gente reale.
La persona paradiso è quella che ti completa, di cui hai
così paura di perdere
che finisci per rivelargli ogni tuo minimo difetto o oscuro segreto per
far sì
che non si ingigantisca con il passare del tempo, pur sapendo che
questa
persona non scapperà. Puoi metterti completamente a nudo
mentalmente e sentirti
ugualmente al sicuro nei tuoi pensieri. Nessun giudizio, nessun
pregiudizio. Qualcuno
di talmente complementare a te ma che riesca comunque a darti un punto
di vista
esterno e razionale. Qualcuno che ti dia amore
incondizionatamente.”
Klaus rise
sguaiatamente, come se Camille fosse impazzita completamente nel
credere che
qualcuno di così puro esistesse, anche se alla fine dovette
smetterla quando
pensò a lei.
“..non ridi più
adesso? Vuol dire che sei uno dei pochi che l’ha trovata. E
io mi fermo qui,
anche stasera ti ringrazio per la chiacchierata. A domani
Niklaus.”
Stupida, stupida, stupida. Le era
bastato ricevere un
dipinto firmato da lui per rincartarlo e prendere il primo volo per New
Orleans. Non poteva semplicemente rimandarlo al mittente? In cuor suo
sapeva la
risposta, semplicemente era troppo
testarda per ammetterla. Ed ora eccola lì,
all’aeroporto, con la valigia
tenuta salda in una mano e la tela accuratamente incartata sotto il
braccio. I
capelli a ricaderle davanti, riportati indietro solo dal suo sbuffare.
Aveva percorso così la strada fino al centro
e non le ci era voluto molto per farsi notare
da lui; gli occhi puntati ovunque in una città che teneva
ancora a conquistare
al momento giusto.
“Sei venuta per restare, tesoro?”
La sua voce le era arrivata dritta al centro dell’orecchio,
passando per i brividi che le aveva procurato lungo la schiena,
facendola
sussultare; mostrandosi inerme a lui, per lui.
“Assolutamente no. Sono venuta per riportarti questo! Che
diavolo significa?”
“E’ un regalo, non sarebbe il primo, mia cara.
Potrei però
mostrartelo dal vivo adesso.”
“Non sono qui per restare.”
Borbottò lei, ribadendo che se ne sarebbe andata in fretta,
che non era lì per
lui, perché non poteva fare a meno di averlo attorno.
“La valigia dice il contrario.”
Ed eccola la sua risata, il suo smascherarla in poco tempo
che l’aveva convinta a seguirlo nella sua casa dove aveva
trovato Hayley ed
Elaijah, Rebekah e un qualche umano che sarebbe stato ben presto il suo
pasto; nella sua
stanza al piano
superiore dove l’aveva costretta a cambiarsi per una cena e
poi una passeggiata
e poi per un drink per conoscere Camille che, prima di chiudere,
l’aveva avvicinata.
“Non fartelo scappare, non ha mai guardato nessuna come
guarda te. E io me ne accorgo..”
Un sorriso amaro sulle labbra della barista, le fece capire
che altre donne si sarebbero potute innamorare di
quell’enigma di un Mikaelson
e la sensazione che adesso le prendeva allo stomaco le consigliava di
fare
qualcosa a riguardo, al più presto.
Aveva così accondisceso a tutte le richieste
dell’ibrido
prima di tornare a casa e guardare quell’alba nella versione
più naturalistica.
E proprio lì, mentre lui era fermo ad ammirare lei, lo colse
di sorpresa
spingendolo verso il letto e baciandolo come non aveva mai fatto con
nessuno.
Rialzandosi l’attimo dopo con uno scatto felino e aggiustando
i capelli, prese
a spogliarsi di ogni indumento e andò a sedere sulla
poltrona accanto al
balcone.
“Penso che manchi qualcosa al tuo dipinto, quindi…
dipingi?”
GirlOnFire’s
Notes.
Secondo
tentativo, secondo approccio sulla coppia che mi ispira di
più, in
questo fandom. Spero di non aver reso i personaggi troppo OOC
perché, davvero,
sono un’estimatrice di Caroline e Klaus e ci tengo sempre a
non spingerli
troppo fuori dal personaggio.
E…
niente, sto parlando troppo vero? Quindi vi chiedo solo di farmi sapere
se vi è piaciuto, magari con una recensione, pretty please?
(:
E vi ricordo che potete trovarmi qui
per qualsiasi
cosa.
Alla
prossima, V. ♥