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Autore: Sorella_Erba    03/04/2008    5 recensioni
«Tu vivi in un mondo fatto di ricordi e nostalgia».
3° classificata alla III edizione del Ficexchange su HP.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N/A.
Tengo a ringraziare immensamente le giudici del concorso e tutti i partecipanti. Complimenti vivissimi alla vincitrice!




Notturno, op. 9 n. 2 – Frédéric Chopin.


Remus Lupin posò sul bracciolo della poltrona il libro che stava sfogliando, per avvicinarsi alla finestra.
Il paesaggio che scorgeva al di fuori dei grandi vetri quadrettati era plumbeo e soffocante, come se un temporale stesse per abbattersi sul territorio di Hogwarts. La brughiera pareva silenziosa e deserta, vista dall’alto del castello. Nel cielo bigio di nuvole non volava nemmeno un barbagianni.
Era strana Hogwarts, in momenti come quello. C’era pace e serenità. La maggior parte degli studenti era svanita dai corridoi e dalle aule della scuola per trascorrere il finesettimana al villaggio di Hogsmeade; il resto della scolaresca, quasi per certo, si trovava frammentato nelle quattro sale comuni.
Remus si morse le labbra e poi sorrise, vagando con gli occhi sui prati verdi di Hogwarts. Quand’era stato lui uno studente, aveva adorato trascorrere parte dei momenti liberi in biblioteca, a sfogliare i migliaia di tomi traboccanti di magia e meraviglie, anche a costo di perdere il divertimento girovagando per il sobborgo.
Osservò il vetro della finestra, appannato dal suo respiro, con occhi che parevano perforarlo; quello, rifletteva opaco i tratti del suo volto.
Da quando Remus ne aveva memoria, l’aspetto spossato e debole era stato una delle sue caratteristiche basilari. Solo che, in quegli ultimi anni, la stanchezza spiccava notevolmente nella sua figura slanciata. I capelli erano ingrigiti prematuramente e le prime rughe sottili cominciavano a segnare gli angoli degli occhi lividi e la fronte.
Ogni più piccolo particolare sembrava volergli ricordare quanto dura fosse stata la vita in seguito al diploma.
Remus acuì gli occhi e guardò con più attenzione il suo riflesso. Le sue dita sfiorarono i solchi della cicatrice che aveva sulla guancia destra, vicina allo zigomo.
Sì. La vita era stata tanto dura e spietata.
Strinse le labbra e si ritrovò a scrutare il ritaglio di giornale accantonato sullo scrittoio. Gettò uno sguardo rapido alla fotografia stropicciata che occupava metà di ciò che era rimasto della prima pagina. La scritta al di sotto dell’immagine recitava a cubitali lettere “Sirius Black”. Distolse lo sguardo in breve tempo, con un groppo che gli mozzava il respiro in gola.
Non sembrava più lui, assolutamente. Azkaban l’aveva ridotto ad una caricatura di quello che era stato.
Remus deglutì, rimirando nuovamente il cielo cinereo, due dita di entrambe le mani incrociate dietro alla schiena.
L’amara consolazione era il pensare di non essere l’unico a vivere una vita tanto sporca ed immonda da sembrare addirittura irreale.
Automaticamente, Remus si avviò verso un angolo della stanza, il più appartato. Lì, vi aveva sistemato un tavolino con tre corte gambe, e sopra di esso si puntellava un grammofono dall’aspetto antico e fragile. Un disco occupava già il piatto rotante dell’apparecchio. Bastò che Remus appoggiasse la puntina di lettura sul disco nero che un motivo armonioso invase la camera. Ad un tratto, insieme alla melodia, dalla tromba del vecchio giradischi uscì una densa nebbia azzurrognola, la quale, ad ogni nota suonata, si combinava per realizzare la miniatura della facciata di una gigantesca costruzione. Lo stile e la proporzione erano simili al Teatro Nazionale Finlandese, ad Helsinki.
Il brano intanto scorreva, limpido e cristallino.
Un Notturno di Chopin non era affatto adatto ad una giornata nuvolosa come quella, né tanto meno per momenti trascorsi a crogiolarsi nella vana illusione di poter catturare un pizzico di felicità dai ricordi.
Hogwarts era un luogo di gioie e rimpianti.
Non avrebbe più commesso l’errore di sperare, stavolta. L’ottimismo aveva soppresso ciò che di più caro aveva avuto.
Immaginò anonime dita scorrere sciolte e leggere come vento sulla tastiera di un pianoforte; antichi echi di passi cadenzati si facevano largo nella sua mente.
Eppure… Remus chiuse gli occhi, accomodandosi su di una delle due logore poltrone dell’ufficio, e si abbandonò alle memorie.
Quelle, almeno, nessuno sarebbe riuscito a portargliele via.


L’eleganza con cui si muoveva… i passi coordinati e il busto eretto. Le braccia erano aperte a cingere l’aria. Danzava un valzer improvvisato sul momento.
Era allegro, con le belle labbra aperte in un sorriso e gli occhi chiusi: si beava dell’armoniosa sonata.
I piedi scattavano, eleganti… prima a destra, poi a sinistra, e ancora a destra… Non era affatto maldestro. Ogni mossa era chiara e limpida nella sua perfezione; e se magari avesse sbagliato, non l’avrebbe dato a vedere.
Una luce soffusa illuminava il dormitorio. Alcuni sprazzi d’oro di quel chiarore giocavano con le pieghe della sua camicia bianca, a volte donando colore alle ombre, altre invece nascondendo il candore dell’indumento in una morsa scura.
I capelli sembravano fili di seta nera… Su di essi baluginava un barbaglio di luce.


Un piccolo bollitore si sosteneva al bastone in ferro del camino acceso, immobile tra le vampe vermiglie ed ardenti.
Le fiamme oscillavano allegramente; sembrava che la loro danza seguisse il motivo trasmesso dal giradischi.
Era ad esse che Remus sorrideva, triste.
Ripensare a lui, ai suoi lineamenti e alla sua vivacità, era di una semplicità disarmante quando ascoltava quel Notturno.


Era così bello…
Chissà se, col toccarlo, la magia della sonata si sarebbe frantumata, come uno specchio in migliaia di schegge lucenti ed affilate.
Quel giovane, dopotutto, era il ritratto delle sue paure.
«Balli?».
Gliel’aveva domandato con ancora il sorriso sulla bocca, continuando a volteggiare.
Accennò il suo diniego con un semplice movimento del capo… Si credeva fin troppo goffo ed inesperto per potersi unire alle danze.
La sua bocca di rosa si storse in un broncio alquanto buffo.
«Dai, Moony!», insistette imperterrito, troncando il valzer in un sonoro colpo di tacco.
Lo sapeva, Remus, che quando lui desiderava qualcosa, era impossibile negargliela.
Scosse la testa e si morse il labbro inferiore… Non si era nemmeno accorto di star ridendo, felice.
Lui lo guardava incerto: aveva un sopracciglio alzato e le labbra dischiuse. Sembrava non comprendere il motivo della sua risata.
«Non so ballare», spiegò Moony scrollando le spalle.
Il viso dell’altro s’illuminò di comprensione. Si avvicinò repentino fino a trovarsi a pochi centimetri di distacco dal compagno.
«E per questo non vuoi farlo?». Il ghigno ritornò rapidamente lì, dove aveva il diritto di stare. Le sue labbra esprimevano vivacità ed entusiasmo.
«Ma Padfoot…».


Padfoot…
Il vecchio grammofono riprodusse inaspettatamente un singolare fischio, in seguito ad un sussulto, e ripeté in fretta le ultime note suonate dal pianoforte. Davanti alla costruzione di fumo azzurro, una coppia di danzatori cominciò a prillare con eccellenza.
Lo ricordava ancora, lui, il suo curioso soprannome?


«Te ne prego, Moony».
Pigiò un indice sulle sue labbra, delicato, prendendolo alla sprovvista. Le guance di Moony iniziarono a tingersi di rosso.
«Non ho voglia di discutere, non con questo sottofondo. Non lo senti? Non ti fa venir voglia di alzarti, camminare, e piroettare, e danzare?».


E pensava mai a Moony?
Quel Moony che, sussurrato dalle sue labbra, assumeva tutta un’altra sfumatura?


Improvvisamente, Remus percepì un distinto ticchettio provenire dalla porta.
Si risvegliò, riaprendo gli occhi e ritornando al presente. Non gli fu concesso nemmeno il tempo per schiarirsi la gola che il leggero ticchettio divenne un colpo più deciso.
«Avanti», esclamò, tentando di sovrastare la composizione per pianoforte.
La porta si aprì il poco che bastava affinché la sagoma scura di Severus Piton potesse entrare. Con il sobrio mantello nero che gli avvolgeva le spalle e che sfiorava il pavimento, stringeva fra le mani un calice dalla cui sommità sgorgava denso fumo bianco.
«Ah, buongiorno, Severus».
Remus rivolse un sorriso cortese in direzione del professore di Pozioni, il quale tuttavia non ostentò neanche un gesto di saluto.
«Ti ho portato della pozione, Lupin», articolò freddamente Severus, sollevando di poco il calice. «Prendila prima che diventi fredda; l’efficacia potrebbe ridursi».
Remus lanciò una veloce occhiata al camino, dove il bollitore stava fumando.
«Grazie infinitamente, Severus. Mi dispiace darti certe noie, ma ricorderai che non sono mai stato un eccelso pozionista». Il sorriso sulle labbra di Remus si allargò, quando posò nuovamente gli occhi nocciola sul viso di Piton. «Potresti lasciarla sulla scrivania, per favore? La prenderò dopo il tè. Ti va una tazza? È tè Pu-erh».
«Grazie, ma non ho mai amato il tè rosso», declinò secco.
Come gli fu chiesto, Severus attraversò la stanza in pochi passi e posò il calice sul ripiano in legno dello scrittoio. Le lunghe dita bianche urtarono per svista il quotidiano lasciato in disparte, che cadde a terra con un leggero tonfo. Severus si chinò per prenderlo. Quando le sue mani strinsero la pagina ingiallita, adocchiò la fotografia che immortalava Sirius Black. Ne incrociò lo sguardo cupo, e una ruga si formò fra le scure sopracciglia.
«Evaso», sussurrò.
Remus alzò gli occhi sulla sagoma tenebrosa di Severus e capì a cosa si stesse riferendo. La sua espressione mutò in un baleno. Non mostrava più riconoscenza né benevolenza; semplicemente, era ferma e dura. Vigile.
«Lo so», mormorò con enfasi. «Leggo anch’io i giornali».
«Allora saprai anche che è stato avvistato nei pressi del castello».
Remus distolse lo sguardo, incrociando le dita davanti al viso, i gomiti premuti contro i bracci della poltrona.
Sapeva dove Piton volesse arrivare… oh, se lo sapeva…
Si morse un labbro. Le sue orecchie avvertirono il debole fischio del bollitore: dall’estremità ne veniva fuori un impalpabile vapore senza colore.
«È per questo che a Potter non è stato accordato il permesso di visitare il villaggio». Sentì lo sbuffo di Severus. Gli riecheggiò nella mente come un rullo di tamburo, insistente. «Silente non desidera che gli succeda qualcosa. Ma quel ragazzo è così scellerato e incapace di riconoscere il pericolo… Non mi stupirei se uscisse dal castello di nascosto».
Severus puntò gli occhi sui lineamenti tesi del collega, ancora seduto.
«È identico a James, non trovi?».
Fu quel nome a far scattare Remus. Sollevò il capo meccanicamente, e Piton poté incrociare un piglio che di amichevole aveva ben poco.
«Dove vuoi andare a parare, Severus?».
«Oh, lo sai già, Lupin».
Si aspettava di trovare un sorriso maligno a stravolgere il volto pallido di Severus; invece, Remus notò che non c’era un minimo accenno di ghigno.
Severus era teso e guardingo. Serio come non mai.
All’improvviso, la risata bassa e fine di Remus riecheggiò nella stanza, entrando in uno strano contrasto con il notturno di Chopin.
«Tu sospetti di me».
«Non dovrei, forse?», enunciò Severus, aggrottando maggiormente la fronte. «Dopotutto, tu e Black siete sempre stati ottimi amici».
Remus chiuse gli occhi; le palpebre tremavano impercettibilmente sulle iridi lucenti.
Amici…


«Chiudi gli occhi».
E li chiuse, in un sol battito di ciglia.
Quelle braccia che prima avevano cinto l’aria, adesso si stringevano attorno ai suoi fianchi e lo conducevano. Sentiva le labbra ridenti sussurrargli ad un orecchio le direzioni, intimandogli con dolcezza di procedere, adagio e sinuoso.


«Eravamo amici, Severus. Lo eravamo, tanto tempo fa».
Severus guardò l’uomo accomodato sulla poltrona poco distante da lui; nelle iridi nere brillò un bagliore di esitazione quando lo vide deglutire e, in un certo senso, farsi forza solo socchiudendo gli occhi. In breve tempo, l’aria arcigna che le fattezze di Remus avevano assunto, si dissolse come vapore acqueo.
Il professore sospirò profondamente e si rilassò, intrecciando le gambe.
«Chopin», disse indicando il giradischi dall’altra parte della camera. Le figure azzurre danzanti ondeggiavano nei suoi occhi.
Severus rimase immobile, statico nella sua posa. Soltanto la mano che teneva ancora il ritaglio di giornale si mosse, stritolando la carta in una morsa sdegnata e tremante.
«Tu vivi in un mondo fatto di ricordi e nostalgia».
La bocca di Remus si schiuse e il suo sguardo si fissò in quello di Severus.
Sorrise, ancora. Come al suo solito.
«È tutto ciò che mi è rimasto, Severus. Tu al mio posto cosa faresti?».
Fu un istante di incoscienza.
Piton si avvicinò alla poltrona, due dita tese ad accarezzare il vuoto. Non sfiorò mai la guancia di Remus, né lambì la cicatrice che gli deturpava il viso. La mano rimase incerta a mezz’aria per qualche secondo, prima di posarsi sulla spalla.
«Forse farei lo stesso».
E i suoi occhi… i suoi occhi bui rivelavano un segreto che le labbra erano incapaci di confidare; parole che potevano sabotare la delicata tregua che si era venuta a creare.


Lo vide stringere gli occhi e serrare le labbra per trattenere un gemito di dolore.
«Scusami, Padfoot, non volevo farti male! Per Merlino, te l’avevo detto che sono impacciato».
«Non è nulla, veramente».
Ma Moony insisteva, insisteva ancora, in preda all’imbarazzo.
«È meglio che lasciamo perdere, avanti».


«Remus».
Per la prima volta in quella conversazione, Piton pronunciò il suo nome.
«Per favore, non aggiungere altro», mormorò Remus atono, distogliendo lo sguardo.
«Lui non merita il tuo…». La voce di Severus si era abbassata tanto da diventare un sussurro incomprensibile. Le sue labbra sottili continuarono a muoversi, lente, ma la sua gola era priva di fiato. Non seppe più continuare. Sentì all’improvviso il calore della mano di Remus sulla propria, e fissò i suoi occhi avellana bassi.
«Lui non merita nulla da te». Lo disse con tono inespressivo, senza enfasi alcuna; eppure, Lupin riuscì a cogliere una nota amareggiata e dura nella sua voce.
Severus si staccò dalla presa di Remus, speditamente, quasi temesse di scottarsi.
In un fruscio del mantello nero, gli voltò le spalle e percorse l’ufficio in poche falcate decise. Remus lo vide tentennare davanti alla porta, la mano serrata alla maniglia laccata. Infine, Severus aprì il battente ed uscì.


A quelle parole, si sentì stringere le braccia con delicatezza.
«Lasciar perdere? Mi hai solo pestato un piede, sciocco».
Il suo viso era a pochi centimetri. Notò che anche lui aveva le gote arrossate e gli occhi lucenti.


In lontananza, il rombo soffocato di un tuono risuonò nell’aria.
Il grammofono sparse per la stanza le ultime note del notturno di Chopin.
Quando l’ultimo, flebile suono morì fra le quattro mura di pietra, assieme ad esso scomparve il paesaggio di una Helsinki più fredda e spenta che mai. Il vapore azzurrastro sfumò come d’incanto e non lasciò nessuna scia della sua precedente presenza.
Il grigiore di quella giornata aveva inghiottito ogni cosa.


Poi, in un volteggio leggero come l’aria, provò il calore della sua bocca sulla propria.
Abbozzò un sorriso, in quel bacio tenue.


~~~


Prompt di weeping_ice:


Dalle 3 alle 5 cose che vorresti la fanfiction contenesse: Remus Lupin/Severus Piton, Tè Pu erh, notturno di Chopin, Helsinki.
Dalle 3 alle 5 cose che non vorresti la fanfiction contenesse: morte di un personaggio principale, OOC, scene sdolcinate, Harry/Draco.
Rating: R o minore
La fanfiction che vuoi ricevere può o non può contenere riferimenti e spoiler a Harry Potter e i Doni della Morte? Preferirei di no.


   
 
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