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Autore: Lusio    08/10/2013    6 recensioni
"Romeo e Giulietta. Uno dei drammi di Shakespeare più conosciuti e più rappresentati al mondo, assieme ad Amleto e a Riccardo III. La storia d’amore di due giovani che, dopo una serie di vicissitudini, si tolgono la vita."
Così esordisce Isabelle Plessis, professoressa di Letteratura alla Dalton Academy, durante una sua lezione. E alla fine assegna ai suoi alunni un compito: dovranno "vivere" la storia dei due amanti di Verona, trovare nella loro vita i tanti sentimenti racchiusi nell'opera di Shakespeare. Non è facile, soprattutto per Kurt e Blaine, decisi a mantenere viva la loro amicizia senza troppi scossoni ma con l'anima in subbuglio per emozioni che li stanno consumando dentro, facendoli desiderare qualcosa di più ma di cui hanno paura.
Ma il compito della professoressa Plessis sarà loro più utile di quanto credono, anche se in maniera indiretta e inconsapevole. Tra amici che si improvvisano Cupidi, notti bianche e bottoni azzurri, Kurt e Blaine inizieranno a comprendere cosa vogliono realmente e a capire che la paura, in certi casi, può essere un incentivo per la vita.
(Gli avvenimenti qui narrati si svolgono durante la seconda stagione, dopo S. Valentino, con qualche rivisitazione dell'autore)
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Mercedes Jones, Nuovo personaggio, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Atto IV° (L’essenza delle cose)

 

 

 

Kurt baciava da dio. Blaine baciava da dio. Stavano andando avanti da… da quanto? Non lo sapevano. E, sinceramente, non aveva nemmeno tutta questa importanza. Era solo… così bello. Tutto. Labbra. Lingua. Denti ogni tanto. Mani. Gambe. Capelli sotto le dita. Volevano solo che continuasse. Ancora. E ancora. Giusto due o tre secondi per riprendere fiato. E poi ancora.

- Che cosa siamo noi due? – riuscì a dire Kurt alla fine, mentre Blaine si lasciava andare nell’incavo del suo collo; una ciocca di capelli scomposta gli solleticava il mento.

- Tu cosa vuoi che siamo? – gli chiese Blaine di rimando aggrappandosi un po’ più forte a lui, temendo un possibile, prossimo distacco.

- Un qualcosa. Un qualcosa che noi possiamo definire.

- Io non voglio definire nulla.

- Perché?

- Perché… perché ho paura – rispose Blaine e, da come tremava, sembrava essere davvero terrorizzato.

- Come puoi avere paura se lo stiamo vivendo adesso? – Kurt prese il volto del ragazzo tra le mani e lo sollevò cercando i suoi occhi.

- Appunto perché lo stiamo vivendo qui, in questo momento, come un qualcosa che ancora ci sfugge ma che ci ha afferrati. In questo momento mi sento bene, come non credo di essermi mai sentito prima. Mi sembra che ogni fibra del mio corpo sia stata moltiplicata per mille. Ho come una cascata rovente dentro che mi fa desiderare solo la tua vicinanza che non mi dà sollievo ma mi alimenta ed io non posso farne a meno. Come una droga. Tu… non provi anche tu queste sensazioni?

- Se non le provassi credi che sarei qui con te, adesso? – Kurt lo avvicinò nuovamente a sé, baciandogli gli occhi e leccando una lacrima scivolata lungo la guancia di Blaine – Ma non possiamo restare in questo stato di inconsapevolezza. Rischieremo di perderci e poi di soffrire. Forse dovremo fermarci per un po’ e riflettere, da soli, ognuno per conto proprio.

- Vuoi andartene? – gemé Blaine dolorosamente stringendosi a Kurt ancora più forte.

- No, non me ne vado – Kurt si liberò dalla sua presa e lo afferrò per le spalle con decisione – Qualunque cosa accada tra noi, positiva o negativa che sia, non ti lascerò. Non ci separeremo. Per me, ora, siamo “uno in due”. Abbiamo una vita in comune e questo non lo potrà cambiare niente e nessuno. Lasciamoci solo per adesso. Riflettiamo su quanto ci è successo. E quando penseremo di averlo capito, verremo a dircelo. In ogni caso, ci incontreremo ancora. Ci saremo sempre l’uno per l’altro.

E Kurt firmò quelle sue parole con un bacio, tenero e lieve ma pieno di quel sentimento che loro avrebbero già desiderato chiamare per nome. Blaine avrebbe voluto morire con quel bacio sulle labbra.

Quando Kurt uscì dalla sua stanza, dove si erano rifugiati, Blaine si lasciò andare con la testa contro la parete, esalando un sospiro che gli scosse il petto. Adesso a solcargli le guance c’erano due lacrime. E la sua bocca era già pronta a dire quello che sia lui che Kurt smaniavano di dire e sentire in cuor loro.

 

* * *

 

Andare a chiedere consiglio sui compiti ad un insegnante era una cosa che Kurt non aveva mai fatto; andare a chiedere consiglio per un problema personale ad un insegnante era una cosa che gli era capitato di fare un paio di volte e non era mai stato per sua iniziativa. Quella era la prima volta che chiedeva ad un’insegnante un consiglio su un problema personale che era in parte connesso ad un compito assegnato da quella stessa insegnante. Quando si diceva “c’è una prima volta per ogni cosa”.

Lo studio della professoressa Isabelle Plessis era come Kurt lo aveva immaginato. Era quasi una stanza, c’era solo una libreria per i documenti e i libri di testo, poi sulla scrivania, sulle varie mensole e su un piccolo pianoforte c’erano tante foto incorniciate: persone che forse erano parenti o amici della Plessis, luoghi lontani, la stessa Plessis nelle varie fasi della sua vita, nella gioventù e nella maturità, con abiti d’epoca (forse per uno spettacolo teatrale), esotici o di taglio maschile se la fotografia era stata scattata in un paese straniero, fino a quelle più semplici, che quasi non si notavano. C’erano, poi, statuine e soprammobili vari e un autentico tappeto persiano sul pavimento.

- Mi spiace di non poter invitarla a sedersi, signor Hummel – disse la Plessis dopo che ebbe fatto entrare Kurt – Purtroppo, quando ho terminato di arredare questo studio mi sono resa conto che non c’era spazio per più di una sedia. Se per lei è lo stesso, può accomodarsi sullo sgabello del piano.

- La ringrazio, professoressa – rispose Kurt – Non vorrei trattenermi a lungo – ma si sedette ugualmente su quello sgabello; voleva evitare di tremare o far notare un’emozione troppo forte, restando in piedi.

- In cosa posso aiutarla, Hummel? – chiese la professoressa Plessis, appoggiandosi alla scrivania e incrociando le mani in grembo.

- Si tratta del compito che lei ci ha assegnato.

- Non concedo deroghe né giustificazioni, dovrebbe saperlo.

- No, no, non sono qui per questo. Sono venuto da lei per… ehm… come posso dire…

- Con parole semplici, suggerirei, data la difficoltà in cui la vedo – gli venne incontro la Plessis con la sua caratteristica ironia.

- Ecco, io avrei bisogno di chiederle un consiglio di carattere personale.

- E questo cosa ha a che vedere con il compito che vi ho assegnato?

- Si può dire che tutto è “partito”, se posso usare questo termine, proprio dal vostro compito.

- Curioso – sogghignò la donna, divertita – Sembro aver fatto più danni in poche ore con un solo atto da insegnante che in quarant’anni di vita indipendente.

Non capendo cosa avesse voluto dire la professoressa, Kurt iniziò a torturarsi le mani, sentendo l’ansia crescergli dentro. Quando vide lo sguardo della Plessis posarsi nuovamente su di lui, riprese sperando di essere più diretto.

- La cosa riguarda me e Blaine Anderson – mise le carte in tavola – In questi ultimi giorni ci siamo avvicinati molto. Non che prima fossimo distanti, anzi. Lui è stato il primo vero amico che ho avuto qui alla Dalton; è stato l’unico ad accorgersi che non stavo bene, quando ero ancora nella mia vecchia scuola. Mi è stato vicino come nessun altro ha mai fatto, tranne mio padre. E accanto a lui ho capito tante cose: che una persona non deve essere per forza perfetta per entrarti nel cuore; che la vera gelosia può ucciderti come una tenaglia rovente nello stomaco; quanto una sincera amicizia possa farti stare bene; quanto possa essere grande un sentimento e quante emozioni esso comporti. Non credevo che una persona potesse farmi capire tante cose, né che io fossi capace di aiutare, sostenere, dare forza a qualcuno a mia volta.

Si sentì più libero e leggero quando ebbe finito quel discorso; era sembrato tanto difficile all’inizio ma, a mano a mano, le parole gli erano uscite con una tale facilità da sembrare pronte da tempo.

- Be’, è stata una confessione molto accorata – disse Isabelle Plessis, nascondendo un lieve sorriso – ma non capisco cosa centri tutto questo con il mio compito.

- Glielo ho detto: le cose hanno iniziato a prendere una piega diversa da quando lei ci ha chiesto di “vivere” le emozioni presenti in Romeo e Giulietta.

- Il fatto che lei la pensi in questo modo, Hummel, mi lusinga molto ma io non centro nulla con tutto questo. E’ una cosa che riguarda unicamente lei e Anderson. Voi due vi siete conosciuti, voi due da soli avete costruito la vostra amicizia; voi due avete fatto in modo che questa amicizia diventasse qualcosa di più profondo. Avete fatto tutto voi. Non esistono insegnamenti scolastici, compiti per casa in grado di far capire a due persone di provare dei sentimenti forti l’un per l’altro. Qual’è dunque il problema, signor Hummel?

- Il problema sta proprio nel fatto che io e Blaine abbiamo creato questa amicizia così bella che, arrivati ad un certo punto, potremmo temere di rovinarla o anche di distruggerla se le cose tra noi non funzionassero.

- E’ solo questo il problema? – chiese stupita la Plessis; aveva abbandonato la sua vena ironica e gli stava parlando come una madre avrebbe parlato al proprio figlio – La paura? Ma la paura c’è sempre quando ci troviamo davanti a qualcosa di nuovo, come quando andiamo per la prima volta a scuola, o iniziamo a guidare. Ma la paura non ci frena; guai se lo facesse. La paura di ciò che è nuovo è quasi sempre il preludio di un’avventura e l’amore non fa eccezione.

Quando ebbe finito di parlare, un’ombra scura cadde sul viso della donna che si alzò dalla scrivania, la aggirò e andò a sedersi sulla sedia dietro di essa. Sembrava essere sul punto di appassire lì, in quel momento; i suoi occhi divennero completamente rossi, come se traboccassero di anni e anni di lacrime; rughe, che prima non c’erano, le solcarono la fronte e gli angoli delle labbra sottili. Kurt temette che si stesse sentendo male e fece per alzarsi, per chiederle se le occorreva qualcosa, ma lei lo fermò con un gesto della mano, che andò poi a posare sugli occhi e infine su una foto sulla scrivania. La Plessis la prese e la guardò a lungo. In quel momento Kurt avrebbe potuto leggere tante e tante emozioni racchiuse in una; avrebbe voluto vedere chi o cosa era rappresentato in quella foto e quale significato avesse per lei.

- So di non aver alcun diritto per dirle certe cose, ma vorrei avvalermi lo stesso del mio ruolo di educatrice per farlo ugualmente – disse la professoressa, con voce bassa e grave – L’amore è la cosa più bella che esista ma va trattato con molta attenzione perché è fragile, come sono fragili coloro che amano; se tante storie, come quella di Romeo e Giulietta, si concludono con un finale triste, è proprio per questa fragilità. Lo si può rendere meno fragile con anni ed anni di nutrimento ed evoluzione; si può riuscire a mantenerlo vivo per sempre se si è forti abbastanza, altrimenti l’amore viene sostituito dalla paura di rimanere soli o, peggio, dall’abitudine. Se così deve andare a finire, tanto vale rimanere da soli perché l’amore già è morto. Lei, Hummel, cosa vorrebbe dire al signor Anderson riguardo ai vostri sentimenti?

Preso in contropiede da quella domanda, Kurt aprì e chiuse la bocca, non sapendo che dire.

- Non dica “quella parola” se non è sicuro al cento per cento – lo prevenne la Plessis.

- Vorrei dirgli – rispose Kurt, alla fine – che assieme a lui mi sento felice. E che voglio provare ad essere ancora più felice felice assieme a lui.

- Allora corra da lui a dirglielo – disse la Plessis, tornando a guardare la foto. Poi la rimise al suo posto sulla scrivania; adesso Kurt riuscì a vedere chi vi era raffigurato: c’era la professoressa Plessis molto più giovane (doveva avere tra i venti e i trent’anni), il volto pieno e tondo e le labbra a bocciolo, i capelli le ricadevano lunghi e ondulati sulle spalle, il fisico sempre magro e minuto; dietro di lei, a cingerle la vita, c’era un uomo alto e ben piazzato, un gigante in confronto a lei, riccioli chiari gli incorniciavano il volto, non bello ma simpatico e rassicurante. Sembravano due persone all’apice della felicità – Michael – disse la professoressa lasciando che un sorriso la illuminasse – Si chiamava Michael, ma io mi divertivo a chiamarlo Michel, alla francese, e lui mi ricambiava chiamandomi Elizabeth. Ci siamo conosciuti quando eravamo due studenti; lui era venuto in Francia dall’America per continuare i suoi studi ed è stato… non dico un colpo di fulmine, ma è stato un risveglio alla vita; di quelli che capitano una sola volta nella vita. Alla mia famiglia non stava bene che io mi perdessi dietro uno “zotico yankee”, come loro lo chiamavano. E visto che io e Michael eravamo in quella fascia d’età in cui si è quasi sempre pazzi, non trovammo altra soluzione che fuggire, via, in giro per l’Europa, con pochi soldi in tasca, facendo lavori occasionali per sbarcare il lunario, molte volte recitando in piccole compagnie teatrali. Vivere all’avventura come facevamo noi, col tempo, avrebbe dovuto farci perdere la passione iniziale e farci ritornare alla monotona vita di una volta; ma non fu così, anzi il sentimento che ci legava si fece di giorni in giorno, mese in mese, anno in anno più forte e duraturo. E così, quando alla fine giungemmo qui in America, ci sentivamo ormai pronti a fare il grande passo e a creare una famiglia tutta nostra. Ma in quello stesso anno, Michael venne chiamato al fronte, in Vietnam. Questa foto l’abbiamo scattata proprio il giorno prima che partisse.

Tacque. La sua voce, sebbene traboccante di emozioni, era rimasta ferma e senza incrinature. Solo un leggero tremito della mano la tradiva mostrando la sua debolezza in quel momento.

- Cosa gli accadde? – si azzardò a chiedere Kurt, con un filo di voce, pur credendo di sapere già la risposta.

- Le guerre non si dovrebbero mai fare – rispose la Plessis con voce fredda, passandosi una mano sul lato del viso dove era scivolata una ciocca di capelli – Vada da Anderson. Non sprecate un solo momento che la vita ha deciso di concedere a tutti e due.

Kurt non avrebbe voluto fare altro in quel momento: uscire da quella stanza, correre (quella volta avrebbe corso lui) fino alla porta della stanza di Blaine, aprirla senza nemmeno bussare e stringere, baciare il ragazzo che la abitava, dirgli tante cose, fino al giorno seguente e quelli che sarebbero venuti. Ma a frenare il suo entusiasmo c’era la mano bianca e tremante di Isabelle Plessis, fragile come mai avrebbe creduto di vederla. Si sentiva in colpa per essere giovane e sul punto di scoppiare dalla felicità mentre quella donna, che lo aveva aiutato a togliersi un velo dagli occhi, no.

- Vada – disse lei nuovamente, più decisa e Kurt si sollevò a fatica dallo sgabello e, cercando di non camminare in maniera rigida, uscì chiudendosi la porta alle spalle. Rimase fermo per un po’, aspettando che il suo respiro ritornasse regolare, come anche la sua circolazione. Troppe confidenze da entrambe le parti.

Poi la sentì, dietro la porta chiusa: una nota seguita da un’altra e poi da un’altra fino a formare una vecchia melodia densa di rimpianti e nostalgie. Adesso sì che Kurt trovò la forza di andarsene per non immischiarsi nel mondo privato di Isabelle Plessis; c’era spazio solo per lei, il pianoforte, le fotografie e tutto quello che significavano. Poco prima di voltare l’angolo gli sembrò di sentire una parola persa nella musica.

Ecoutes

 

* * *

 

Uscito fuori dal raggio d’azione della zona professori, Kurt aumentò il passo, lanciando qualche sporadico saluto a chi incrociava per i corridoi. Arrivò a contare i numeri sulle porte delle stanze a mano a mano che sapeva di avvicinarsi, fino a ritrovarsi davanti alla stanza di Blaine; la colpì solo una volta con le nocche per poi aprire subito dopo ed entrare per gettarsi su di lui, come per fargli una sorpresa. Ma la sorpresa l’ebbe lui stesso quando si rese conto che la stanza era vuota.

Senza starci troppo a pensare, uscì dalla stanza e si mise a correre a rotta di collo per i corridoi.

Non sapeva che Blaine stava facendo la stessa identica cosa, nello stesso momento: era andato a cercarlo nella sua stanza e, non trovandolo, era corso via per ritrovarlo. Entrambi a scivolare sul parquet o sul marmo (dipendeva da dove si trovassero) dei pavimenti, come gabbiani privi di un’ala, bloccati in un elemento non loro, bisognosi l’uno dell’altro per poter volare via. Il loro pezzo mancante.

Tra corridoi labirintici si allontanavano e si avvicinavano e si riallontanavano e si riavvicinavano senza mai incrociarsi, e il filo che li univa si riduceva ad ogni centimetro percorso. Si ritrovarono, alla fine, al centro di quel filo, dove il cuore pulsava come un piccolo nervo; in poche parole, a metà strada. Avevano percorso su e giù l’intero dormitorio per ritrovarsi a poca distanza dai loro rispettivi punti di partenza. E si erano ritrovati l’uno tra le braccia dell’altro, ma più per la rincorsa che per vere intenzioni.

- Ti stavo cercando – disse Kurt.

- Ed io stavo cercando te – disse Blaine di rimando, non riuscendo a trattenere una breve risatina.

- Blaine – riprese Kurt – Blaine, io devo…

- No, ti prego, prima io – lo interruppe Blaine stringendogli le braccia – O non credo che riuscirei più a dire nulla. Kurt, sei tu. La persona “più particolare” sei tu. Quello che cercavo in ogni ragazzo che incrociavo senza mai trovarlo. Mi hai conquistato dalla prima volta che ti ho visto, ti ho voluto bene dal primo istante in cui ho iniziato a conoscerti. Sei l’amico che sognavo di avere quando ero piccolo. Ed ora sei tutto quello che ho sempre desiderato. Non so come esprimermi. Tu mi hai toccato l’anima. Non voglio forzarti a fare qualcosa, a intraprendere una storia seria se non vuoi, mi basterà sapere che ci saremo sempre l’uno per l’altro, come hai detto tu. Ma dovevo dirtelo anch’io.

Rimasero in silenzio per un tempo che a Blaine sembrò non finire mai; già si stava maledicendo per non aver saputo esprimersi meglio, per essersi sbottonato in quel modo. Sicuramente Kurt avrebbe detto di no, avrebbero cercato di rimettere insieme quella loro strana amicizia, avrebbero dovuto dimenticare tutto quello che era stato e che sarebbe potuto essere. Ma tutti quei pensieri, accavallatisi in due secondi, vennero smentiti dallo stesso Kurt che gli gettò le braccia al collo e lo baciò con la stessa forza di quella mattina e la stessa delicatezza di quando si erano lasciati qualche ora fa.

- Blaine, sei tu – disse Kurt, staccandosi da lui ed emozionandolo coi suoi limpidi occhi verde azzurri.

Stavano iniziando ancora, proprio in quel momento.

Tenendosi per mano, entrarono nella stanza più vicina (quella di Blaine). Si stesero sul letto e ripresero da dove si erano interrotti, senza più interrogativi o incertezze o timori a porre freni a quella felicità e a quell’appagamento che ora li avvolgeva. L’unica cosa negativa (se così si può dire) fu che per quella giornata dimenticarono completamente lo studio. Ah sì, anche di mangiare.

Si addormentarono quando la luce conciliò loro un rilassante languore. Il primo a risvegliarsi, quando il sole stava tramontando, fu Kurt; dopo essersi tenuti stretti a lungo, si erano lasciati, permettendo che fossero solo i loro respiri, le loro labbra divise da un leggero filo d’aria a sfiorarsi. Non accontentandosi di quel poco, Kurt baciò le labbra di Blaine che respirò a pieni polmoni il fiato che quel bacio si lasciò dietro, sorridendo nel sonno.

Voltandosi, Kurt prese il suo cellulare, appoggiato sul comodino, e mandò un messaggio a Mercedes; voleva concludere così questo prologo prima dell’inizio vero e proprio.

 

Io e Blaine abbiamo scelto di provarci.

 

E Mercedes gli rispose:

 

Sono sicura che non ve ne pentirete ; ) Un bacio <3

 

Con un sorriso, Kurt rimise il cellulare sul comodino, quando sentì una dolce stretta decisa cingerlo per il petto, un bacio sul collo e la voce di Blaine nell’orecchio.

- Benedetto pugnale – declamò silenziosamente – Questa è la tua guaina.

- Qui resta – continuò Kurt voltandosi verso di lui e baciandolo ancora e ancora e ancora. Per la prima volta, due sorrisi uniti in uno.

- Qui resta… e fammi vivere.

 

 

Fine

anzi no

Inizio

 

 

 

Note dell’autore:

Ok, vi prego di non uccidermi.

Lo so, avrei dovuto dire che questo sarebbe stato l’ultimo capitolo e sicuramente avrò fatto un errore chiudendola qui, ma quando sono arrivato a questo punto ho capito di aver già detto tutto e che aggiungere altro sarebbe stato inutile: questo era l’inizio di Kurt e Blaine nella versione “secondo me”. Non sono Blaine Anderson quindi con le dichiarazioni sono negato, specialmente dopo quella della 5x01; temo che ora avremo tutti degli standard troppo alti XD

Spero comunque di avervi fatto emozionare almeno un po’.

Per quanto riguarda Thad e Sebastian… ho preferito lasciare un finale aperto per loro, anche perché, se notate bene, mi sono mantenuto sul massimo realismo, evitando di far correre gli eventi, anche per quanto riguarda Kurt e Blaine che non si dicono “ti amo” né fanno l’amore. Ho preferito riservare lo stesso trattamento anche per Thad e Sebastian. Comunque vada, nella mia testa, anche loro adesso stanno “thogeter & happy”.

E poi non dimenticate che questa era una mini-long.

Con Isabelle Plessis mi auguro di aver fatto un buon lavoro; ho voluto mostrare anche questo aspetto di lei per non farla rimanere semplicemente nel ruolo comico tipo Sue Sylvester, per dare anche lei una dimensione. Per la canzone, se volete sentirla, è questa, cantata da Isabelle Huppert, alla quale ho pensato per il personaggio della professoressa, nel film “8 donne e un mistero”: http://www.youtube.com/watch?v=gD_8MbEx90Q

E anche questa fanfiction è conclusa. Al momento ho lasciato per un po’ Glee e sto scrivendo una fanfiction semi originale ispirata ad una fiaba classica, e ci sto investendo molto.

Se volete rimanere informati su questo prossimo lavoro (o disastro, dipende dai punti di vista) vi rimando alla mia pagina: https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

E per qualsiasi domanda: http://ask.fm/LusioEFP

Concludo ringraziando e mandando un abbraccio fortissimo a tutte le persone che mi hanno seguito anche con questa mini-long, che l’hanno inserita tra le seguite, le ricordate e i preferiti (non ci contavo neanche) e hanno anche trovato il tempo per farmi sapere cosa ne pensavano J Vi voglio bene.

Alla prossima.

Ciaooooo

 

Lusio

  
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