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Autore: Aurore    09/10/2013    8 recensioni
Cinque anni dopo la parole fine di Breaking dawn, Renesmee Cullen vive una vita quasi perfetta. Una grande famiglia amorevole, due genitori attenti e comprensivi, una media altissima a scuola, un'amica del cuore divertente e fuori di testa, Jacob Black, che per lei è come un fratello: ha tutto quello che potrebbe desiderare. Una ragazza felice e spensierata come tante altre.
Ma Renesmee Cullen non è una ragazza come le altre. Non lo è mai stata e non lo sarà mai. E le ombre e i segreti del passato rischiano di distruggere il fragile involucro di perfezione che protegge la sua esistenza.
Tratto dal capitolo 13:
Niente sarebbe mai più stato come prima, né con Jacob né con la mia famiglia. Il mio mondo, che avevo creduto perfetto fino a ventiquattr’ore prima, era andato in pezzi ed io non potevo fare niente per ricostruirlo. Avevo perso tutto.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 23
Capitolo 23
Please don' t stop the rain



If it's gonna be a rainy day
There's nothing we can do to make it change

We can pray for sunny weather
But that won't stop the rain
Feeling like you got no place to run
I can be your shelter 'til it's done
We can make this last forever
So please don't stop the rain.
Please don't stop the rain, James Morrison¹



Siamo esseri umani, meravigliosamente complicati, assurdamente speciali...
Anton Vanlight, Mai troppo folle 




Toc toc.
Qualcuno bussava alla porta. Fui bruscamente strappata alla lettura di un lungo e noioso capitolo di storia moderna e sollevai la testa.
«Avanti» borbottai, di malavoglia.
La porta si aprì e comparve Esme. Mi fece uno dei suoi sorrisi capaci di sciogliere un iceberg e mi sentii subito in colpa.
«Tesoro, stai ancora studiando?» disse, guardandomi con aria preoccupata. «Perchè non fai una pausa?»
Le sorrisi, sforzandomi di non lasciar trapelare uno sbuffo di esasperazione. Era la settima volta che mi poneva quella stessa domanda nell'arco della giornata ed erano appena le quattro del pomeriggio.
«No, tranquilla. Oggi non ho combinato un granchè».
«Be', comunque non stancarti troppo. Non è necessario, vedrai che gli esami andranno benissimo».
Lo stomaco mi si contrasse. Afferrai convulsamente la matita e quasi mi aggrappai al bordo del libro come a un'ancora di salvezza. Meglio riprendere subito a studiare. «Sì... Grazie» risposi, ostentando una tranquillità che ero ben lontana dal provare.
«Hai fame?» aggiunse, ancora sulla porta. «Ho preparato i brownies, vuoi assaggiarli?»
«Magari più tardi. Ora non mi va».
Esme annuì con un piccolo sospiro. Vedermi rifiutare del cibo la gettava sempre in un profondo stato di agitazione, come se fossi un'abitante denutrita del terzo mondo.
«D'accordo. Ti lascio studiare, allora». E se ne andò con un ultimo sorriso.
Ricominciai a leggere, prendendo nel frattempo appunti su un quaderno, e ogni tanto facevo una breve ricerca al computer per avere qualche informazione in più. Ma la mia tranquillità durò solo qualche minuto; il silenzio che regnava nell'ampio studio-libreria di Carlisle, dove mi ero rifugiata nella speranza di sfuggire alla mia famiglia ansiosa e impicciona, fu rotto da un'improvvisa esclamazione a voce alta.
«Renesmee!»
Per la sopresa feci un tale salto sulla sedia che la matita mi cadde di mano e rotolò sul pavimento. Quasi cacciai un urlo. «Mamma!» esclamai, senza fiato.
Lei e papà erano appena entrati attravero la grande portafinestra che dava sul retro, tenendosi abbracciati e sfoggiando due identiche espressioni allegre e soddisfatte.
«Oh scusa, non volevo spaventarti». La mamma raccolse la matita e me la restituì.
«Be', l'hai fatto, invece» dissi a denti stretti; ripresi la matita con un gesto nervoso. «Perchè siete qui? Non dovevate essere a caccia?»
«Siamo appena tornati» rispose papà. «Pensavamo di passare a prenderti, perchè è un bel po' che non vai a caccia, ma sta arrivando un temporale e a te non piace correre sotto la pioggia».
«Davvero?» mugugnai, scocciata. Lanciai un'occhiata fuori e mi accorsi che il cielo era stato rapidamente oscurato da nuvoloni grigi, grossi e minacciosi. Tanto per cambiare. Sebbene fossimo in maggio, non c'era quasi il minimo segnale dell'arrivo della primavera.
Edward lasciò la mano della mamma, si avvicinò e mi accarezzò piano i capelli; percepiva benissimo la mia ansia e sapeva che quel gesto aveva sempre un effetto calmante su di me. «Come prosegue lo studio?»
«Proseguirebbe molto meglio se avessi un po' di pace».
Lui fece un sorriso divertito.
«Perchè, non ce l'hai?» si informò la mamma, aggrottando la fronte.
«No che non ce l'ho!» sbottai alzando la voce. Avevo scoperto che quando ero sotto pressione mal sopportavo di essere circondata da persone assolutamente tranquille. Il mio nervosismo peggiorava. Non riuscivo neanche a stare bene con Alex, che prendeva la faccenda degli esami come una specie di scherzo, sicuro del fatto suo. Quasi preferivo la compagnia di Jas, che in quei giorni era più isterica di me. «Sono stata costretta e lasciare la stanza di papà perchè Emmett non la finiva più di cantare la sigla di Happy days nel corridoio, Alice mi sta letteralmente inseguendo per costringermi a provare un suo nuovo modello ed Esme è gia venuta tre volte da quando sono qui a chiedermi se voglio i suoi brownies!»
«Ah» commentò la mamma. Mi fissava accigliata, come se non sapesse bene che cosa dirmi. «Capisco. Allora, uhm... noi ti lasciamo. E diremo a tutti di non disturbarti più, okay?»
«Per quello che può servire» borbottai, sconsolata.
«Tentar non nuoce» rispose allegramente. Afferrò di nuovo la mano di papà.
Lui mi baciò rapidamente sulla testa. «Chiama se hai bisogno di una mano».
Uscirono, e finalmente avevo di nuovo la stanza tutta per me. Non ero più abituata a stare in una casa con tante persone, ecco il problema. Charlie e Sue trascorrevano buona parte del tempo fuori casa per lavoro e non erano certo paragonabili ai miei otto vampiri ficcanaso, sempre svegli, sempre attivi e sempre desiderosi di utilizzarmi come strumento di intrattenimento. Ero tornata soltanto da una settimana e alcuni aspetti del periodo passato da Charlie mi mancavano; sapevo che per riappropriarmi della solita, vecchia routine sarebbe servito un po' di tempo.
Non avevo ancora ritrovato il punto in cui la mia lettura si era interrotta, che la porta si spalancò di colpo ed Alice, Rosalie e Jasper fecero irruzione in gruppo nella stanza. Saltai di nuovo sulla sedia per lo spavento, ma stavolta riuscii a tenere stretta la matita.
«Ehi!» protestai, al massimo dell'indignazione.
«Ciao, Raggio di sole!» trillò Alice, saltellando verso di me. «Sei ancora qui?»
«Alice» intervenne zia Rose con un'occhiata significativa, «siamo passati solo per un saluto veloce, ricordalo».
«Ma certo. Per chi mi hai preso? So benissimo che Nessie sta studiando e non dobbiamo fare confusione».
Jasper si insinuò tra loro guardandomi con aria di scuse. «Prendo un libro e me ne vado, giuro» disse, e si diresse verso gli scaffali di filosofia.
Io li fissavo in silenzio, troppo sbalordita per parlare. Zia Alice sedette comodamente sul tavolo, accavallò le gambe, afferrò il mio quaderno degli appunti e lo esaminò. «Allora, dicevamo: sei ancora qui?»
«Sono ancora qui» farfugliai, arrabbiata. Avrei volentieri ripreso a leggere, ma lei non aveva alcuna intenzione di tacere.
«Piuttosto noiosa questa roba, non trovi?»
«Già, ma mi tocca saperla, questa roba, se non voglio essere bocciata».
«Bocciata? Tu? Impossibile» decretò zia Rose con una risata. «Tranquilla, tesoro, andrà tutto benissimo».
Ricambiai il suo sguardo affettuoso cercando di sorriderle. La sua presenza non mi dava mai davvero fastidio. In quei giorni avevo scoperto con piacere che il nostro legame sembrava essersi rafforzato durante la lontananza.
Da quando ero tornata non avevamo parlato molto, ma non ce n'era bisogno. Era stata lei, mandandomi la lettera della mamma, a scatenare con forza il desiderio di tornare, ad aprirmi gli occhi, a farmi sentire che forse sarebbe stato possibile ricominciare daccapo; anche questa volta, come quando ero venuta al mondo, le dovevo tutto, ed eravamo più vicine che mai. Questo non era cambiato affatto. 
«Be', comunque, se mai a un certo dovessi stufarti, sappi che ho un compito per te ben più interessante della... dinastia Tudor» proseguì Alice, imperterrita, sbirciando sul mio quaderno.
«Stare ore ed ore in piedi a farti da manichino secondo te è interessante?». Mi allungai per strapparle il quaderno di mano. «Vai a tormentare qualcun altro».
Lei mi fissò, perplessa, come se non riuscisse a capire il motivo della mia reazione. «Okay, Raggio di sole. Capisco lo stress degli esami, capisco la crisi adolescenziale, ma non starai diventando un po' troppo acida?»
«D'accordo, è il momento di andare» intervenne Jazz, stringendo il suo libro tra le mani.
Aveva appena concluso la frase che Emmett entrò nello studio, unendosi al gruppo. Di bene in meglio.
«Vi stavo cercando» disse con tono annoiato. Focalizzò l'attenzione su di me, che lo fissavo truce, e accennò un sorrisetto. «Ehilà! Ancora qui?»
«Vai a quel paese» sibilai.
Il suo sorriso divenne ancora più ampio mentre aggrottava le sopracciglia. «Nervosa, eh? Dimmi, sei così gentile anche con il tuo bamboccio? Di questo passo non durerà molto, tra voi».
«Non chiamarlo bamboccio
Afferrai il temperamatite con una mezza idea di lanciarglielo, ma Rosalie intervenne.
«Emmett» sbottò, rivolgendogli un'occhiataccia.
«Che c'è?» protestò lui. «Mi annoio a morte, devo pur fare qualcosa!». Aveva l'aria di un bambino a cui era stato sottratto il suo giocattolo preferito.
«Basta!» esplosi, al massimo dell'irritazione. «Fuori di qui, tutti quanti
Ci volle ancora del bello e del buono per trascinare Emmett ed Alice fuori dallo studio, ma a un certo punto, finalmente, ero di nuovo in tranquilla solitudine, sebbene così nervosa che faticai a recuperare un briciolo di concentrazione. Forse gli altri non avevano tutti i torti a ripetermi che me la prendevo troppo per quei dannati esami. Sarei morta piuttosto che ammetterlo, ma forse Alex non aveva tutti i torti quando mi chiamava "Miss Perfettina".
Be', magari non erano solo gli esami a preoccuparmi, pensai, mentre giocherellavo con la matita invece di riprendere la lettura. C'era dell'altro, qualcosa che mi tormentava da quando ero tornata a casa, unica ombra su quell'evento che mi aveva reso così felice. Un pensiero costante, martellante, che mi teneva sveglia di notte e mi distraeva di continuo.
Jacob.
Tra noi non c'era ancora stato alcun contatto. Senz'altro sapeva che ero tornata, vista la rapidità con cui circolavano le notizie tra mia madre, Charlie e Billy, ma con lui era come se non fosse cambiato nulla. Mamma e papà non avevano mai neanche fatto il suo nome, sebbene probabilmente tra loro ne parlassero spesso; volevano lasciarmi il tempo per decidere con calma, senza fretta, senza nessuna pressione. Ma la pressione veniva da dentro di me. Ogni giorno mi svegliavo con l'insopportabile desiderio di alzare il telefono e chiamarlo soltanto per sentire la sua voce. Ma poi ripensavo alla nostra situazione, a come ci eravamo lasciati, e cambiavo idea; non avrei saputo che cosa dirgli.
Una parte di me desiderava soltanto poterlo riabbracciare, ma l'altra non faceva che chiedersi a ripetizione che accidenti ne sarebbe stato, di noi, se avessi provato a riallacciare il rapporto, adesso che sapevo come stavano le cose, adesso che sapevo dell'imprinting... Non riuscivo a darmi una risposta e quell'incertezza mi spaventava a morte.
Scrollai la testa con decisione, cercando di allontare quelle scomode riflessioni, e tornai al mio libro. Ma poco dopo mi resi conto che avevo riletto la stessa frase per tre volte senza capirci un bel niente. Fantastico. Di questo passo mi aspettava una bocciatura assicurata.
A un tratto udii un certo trambusto fuori dalla porta: voci concitate che salivano e scendevano di tono, esclamazioni improvvise, porte che sbattevano. Cercai di non prestarvi attenzione, ma ero incuriosita. Poi dei passi veloci lungo le scale. Che stava succedendo? Un secondo più tardi la porta si spalancò con veemenza, senza alcun preavviso, e la mamma entrò quasi di corsa, seguita a ruota da papà. Ancora? Eh, no, quello era troppo.
«Insomma, volete lasciarmi in pace?» esclamai, esasperata. «Devo memorizzare una montagna di nomi e date entro stasera e non sta andando affatto bene!»
«Renesmee» esordì la mamma nervosamente, senza badare a ciò che dicevo, un'espressione allarmata sul volto perfetto, «che ne diresti di uscire? Facciamo una passeggiata, ti va?»
La guardai incredula. «Una passeggiata?»
«Sì! Ti accompagnamo a caccia, ti va? Su, andiamo, prima che cominci a piovere».
Rapida come un fulmine, mi prese per un braccio e mi tirò in piedi. Riuscii a non farmi trascinare via solo divincolandomi con decisione.
«Per caso state dando i numeri, tutti quanti?» sbottai, alzando la voce.
In quel momento Carlisle e Rosalie ci raggiunsero e subito notai che avevano un'aria strana.
«Ehm... Scusate, ma... sta arrivando» disse il nonno a mezza voce, come se sperasse di non farsi sentire.
«Chi? Chi sta arrivando?» domandai, stupita. Tutta quell'agitazione mi spaventava. E se fosse stato...
«Non è lui» rispose subito papà. Attese un istante prima di proseguire, esitando. «È Leah».
«Leah?» sussurrai con un filo di voce, incredula. «Leah sta venendo qui? Perchè
«Vuole parlare con te» aggiunse papà, osservandomi guardingo.
Ero così sorpresa da non riuscire a spiccicare una parola. Fissavo Edward e Bella con gli occhi spalancati e, ne ero certa, un'espressione sconvolta. Qualcuno bussò con forza alla porta di casa.
«Che facciamo?» chiese Carlisle, e mi fissò come se si aspettasse una risposta da me. Io aprii la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Che cosa voleva Leah, adesso?
«Ci penso io» fece zia Rose, e con aria determinata marciò fuori dallo studio. Carlisle le andò subito dietro.
«Tesoro, sta' tranquilla, okay? Non sei costretta a parlarle. Resta qui, tranquilla» disse velocemente la mamma, e uscì a sua volta dalla stanza.
Papà mi lanciò un'ultima occhiata preoccupata prima di andarsene, chiudendosi la porta alle spalle. Rimasi sola, immobile e scioccata, senza sapere che cosa fare. Guardai la porta finestra e per un attimo considerai la possibilità di fuggira da lì, ma poi sentii la voce di Leah risuonare in casa, decisa, sicura come sempre, come la ricordavo, e all'improvviso mi travolse un'onda di rabbia. Non me l'ero mai presa con lei, in quelle settimane; mi aveva soltanto detto la verità, e di questo, forse, avrei dovuto esserle grata. Certo, non era stata molto gentile nell'aprirmi gli occhi, ma lei era fatta così e non potevo ritenerla responsabile di quello che la mia famiglia aveva deciso. Ma che si presentasse di colpo a casa mia, pretendendo di parlarmi, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo... quello era inaccettabile.
Spalancai la porta dello studio e marciai nell'ingresso. Trovai tutti schierati davanti alla porta, e Leah mezza nascosta a qualche passo di distanza.
«Devo parlare con lei, Edward» stava dicendo. «Sai anche tu che qualcuno deve farlo».
Mi infilai tra gli altri, facendomi strada, e mi ritrovai davanti alla nostra ospite inattesa. Quando mi vide, stranamente parve sollevata.
«Certo che hai davvero una bella faccia tosta per presentarti qui» dissi, la voce rotta dalla tensione.
Una mano fredda si chiuse sul mio polso, forse per fermarmi o calmarmi, ma io la ritrassi con forza, senza capire a chi appartenesse.
«Ce ne vuole anche per continuare ad interpretare la principessa offesa dopo tutto questo tempo, come stai facendo tu» rispose Leah, diretta e spavalda.
Principessa offesa? Ma chi diavolo si credeva di essere, quella lì, per giudicarmi? Sentii la rabbia crescere alla velocità della luce e pensai fosse meglio allontanarmi. «Non voglio parlare con te. Vattene, per favore» sibilai, e mi avviai vero le scale  per salire di sopra.
«Sai, poco fa mio fratello era al telefono con Charlie» continuò Leah, ignorando completamente le mie parole e venendomi dietro, «e lui parlava di te, e non faceva che dire quanto sei stata male in questo periodo, e quanto sei stata forte e coraggiosa... Tutte stronzate! Forte e coraggiosa un cavolo! Sei soltanto una bambina immatura e viziata che gioca a fare la piccola principessa sdegnata che si rifugia nel suo castello, ignorando tutto ciò che non le sta bene e che non va come lei aveva previsto...»
«Insomma, la pianti? Che cosa vuoi da me?» gridai, voltandomi di scatto verso di lei, nel mezzo della cucina. Gli altri erano ancora di sotto e ci ascoltavano, la mamma, papà e Rosalie a metà delle scale; sembravano pronti a lanciarsi verso di noi per impedire che ci azzuffassimo.
«Voglio che tu cresca una buona volta! È ora che succeda, sai?»
«Penso che la cosa non ti riguardi affatto!»
«Sì che mi riguarda, ragazzina, perchè il tuo comportamento riguarda Jacob, che sta impazzendo, e se uno di noi impazzisce, il resto del branco lo segue a ruota, compresa me, capisci?»
Il nome di Jacob fu come uno schiaffo. Trasalii e le parole che stavo per pronunciare mi morirono in gola. A quel punto zia Rose partì all'attacco.
«Va bene, basta così» ringhiò. Salì i gradini e si parò davanti a Leah con aria minacciosa. «Renesmee vuole che tu te ne vada. Se non ci pensi da sola ti do una mano io».
«Rosalie, non ti immischiare» fece papà a denti stretti, come se avesse ripetuto quella stessa frase almeno cento volte, ma lei non si mosse.
Leah le lanciò un'occhiata scocciata. «Vuoi fare a botte? Nessun problema, ma potremmo rimandare a un altro momento? Non so se hai notato, ma sto cercando di mettere a posto questo casino».
«Un casino creato da te» sbottò la zia, velenosa.
Leah fece una smorfia amara. «Non hai pensato che forse sono qui ora proprio per questo motivo? Caspita, so che i vampiri non brillano per intelligenza, ma tu sei di gran lunga la più sveglia».
Rosalie fece un mezzo passo avanti con l'aria di chi si prepara ad una rissa epica e istintivamente mi misi in mezzo.
«Si può sapere che sei venuta a fare?» intervenni, guardando Leah dritto negli occhi. «Quello che dovevi dirmi l'hai già detto l'ultima volta che ci siamo viste, e non mi interessa sapere cosa pensi di me e dei miei comportamenti. Se è tutto qui puoi anche andartene».
Mi tremavano le mani per l'agitazione, anche se cercavo di mostrarmi sicura e sprezzante. Le girai di nuovo le spalle e salii in tutta fretta le scale, ma lei mi seguì, ostinata. Gli altri rimasero di sotto, parlando animatamente tra loro.
«Non ti interessa neanche Jacob?» esclamò con tono provocatorio.
«Che cavolo c'entra Jacob, adesso?» sbottai a denti stretti.
«Lui sta male, Renesmee. E... la bionda psicopatica ha ragione: buona parte di questo disastro è colpa mia» ammise, visibilmente a disagio. Abbassò lo sguardo. «Devo rimediare in qualche modo».
«Trovati una macchina del tempo, allora».
«Non mi pento di quello che ho fatto» ribattè con forza. «Ho sempre pensato che questa cosa di nasconderti l'imprinting fosse ridicola. Poteva funzionare quando eri piccola, forse, ma... Tutti aspettavano che tu crescessi prima di parlartene e non si rendevano conto che finchè avessero continuato a tenerti dentro una bolla di sapone non saresti mai cresciuta. Dovevi sapere. Ma non spettava a me dirtelo, e soprattutto... non in quel modo». Il suo imbarazzo era evidente, eppure non esitava neanche un poco. Doveva credere sul serio in quello che stava dicendo. Ne fui stupita. «Non ho usato le parole giuste. Sono stata odiosa, lo ammetto. Mi dispiace. Ma tu eri lì a parlarmi di quel ragazzo che ti aveva baciata e che ti piaceva, con le guance rosse e gli occhi luccicanti, e ho pensato... Non è così che deve andare. Se lei si innamora di un altro, Jacob dovrà ancora una volta essere soltanto un amico, tirarsi indietro e stare a guardare. E non è giusto, non dopo tutto quello che ha passato. E qui ho commesso un altro errore, lo so: questi sono affari vostri, non posso pretendere il finale che vorrei. Ma Jacob è mio amico, mi è stato vicino in un momento in cui nessun altro c'era ed io volevo fare qualcosa per lui. Invece l'unico risultato che ho ottenuto è stato quello di allontanarvi».
«Non voglio parlare di Jacob» sussurrai. Il pensiero che l'intera famiglia fosse in ascolto al piano di sotto era intollerabile.
Ancora una volta Leah proseguì come se non avessi parlato. «Ma c'è di più. Non mi sono mai comportata bene, con te, lo so» disse tutto d'un fiato. «Non ho mai sopportato il fatto che tu avessi un esercito di persone impegnate a proteggerti, mentre nessuno era riuscito a proteggere me». Tacque un secondo, serrando le labbra. «Tu rifiuti l'imprinting e non vuoi più saperne di Jacob, ma io... io darei qualunque cosa perchè una persona tenesse a me in modo così incondizionato. E tu l'avevi al tuo fianco, quella persona, e non te ne accorgevi! Ero furiosa e ti ho rovesciato addosso tutta la mia rabbia, come se fosse colpa tua. Non avrei dovuto farlo. Ti ho ferita, e per questo ti chiedo scusa. Mi dispiace».
Quando finalmente smise di parlare, rimasi a fissarla per un minuto, le braccia incrociate. Alcune cose che aveva detto mi avevano colpita, ma altre mi irritavano ancora di più. Non ero disposta a dargliela vinta facilmente.
«Hai finito?». Prima che potesse rispondere, la interruppi. «Interessante, il monologo, ma ancora mi sfugge il senso di questa visita».
«Non è possibile che non te ne importi nulla» esclamò, accorata, facendo un passo verso di me. «Jacob è a pezzi e se davvero gli vuoi bene, se davvero è la persona più importante per te, come sostieni da sempre, non è possibile che non te ne importi. È come che se tu gli stessi facendo del male con le tue stesse mani».
«Ho detto che non voglio parlare di Jacob!»
«Stai facendo del male anche a te stessa, pensi che non si veda? Che senso ha? Ha sbagliato a mentirti, d'accordo, ma tu sai cosa significhi per lui. Non credi che la sua punizione possa terminare, adesso?»
Non ne potevo più di ascoltare quelle cose. Mi sarei messa a strillare come una matta pur di coprire la sua voce. «Mi spiace, ma ho già sentito questa predica. Tuo fratello è arrivato prima di te».
«Seth non c'entra, non sa nemmeno che sono qui...»
«Certo, come no!» esplosi, e a
l piano di sotto sentii distintamente qualcuno trattenere il fiato. «Pensi che non sappia che è stato Jacob a mandarvi, tutti e due? Mi hai preso per stupida? Sarò anche una ragazzina immatura e viziata, ma non sono una stupida!»
«No, Renesmee...»
«È semplicemente ridicolo! Seth ci ha già provato una volta e ora tu... ma che diavolo crede di fare? Pensa di convincermi così? Allora non mi conosce proprio!»
«Vuoi ascoltarmi, per favore? Non mi ha mandato Jacob, non mi ha mandato nessuno, te lo giuro! È stata una mia iniziativa!»
Scossi la testa, troppo arrabbiata per ragionare. «Sai che c'è? Forse è il momento che anch'io prenda un'iniziativa» sbottai, beffarda. La superai rapidamente, scesi le scale e mi ritrovai davanti il resto della famiglia. Erano tutti zitti e immobili e mi fissavano con vari gradi di preoccupazione, ansia e stupore stampati in viso.
«Dove stai andando?» chiese la mamma con cautela, come se temesse la risposta.
«Vado da Jacob».
Lei spalancò gli occhi, incredula. «Cosa? Ma... perchè?»
«Perchè quella sua testaccia dura non recepisce nessun messaggio se non ci sbatte contro!»
Scesi a precipizio le scale per raggiungere l'ingresso, ma dopo pochi scalini dovetti fermarmi: la mamma mi aveva superato in un lampo e mi bloccava il passo; per poco non andai a sbatterle contro.
«Aspetta, aspetta!» esclamò, concitata e allarmatissima. «Sei sicura che sia una buona idea? Adesso sei arrabbiata, non sei lucida, potresti fare o dire qualcosa di cui poi ti pentiresti. Non trattarlo male, per favore».
«Che cosa?» strillai. «Che cosa? Stai dalla sua parte?»
«No! Cioè, non sto dalla parte di nessuno, voglio solo che stiate bene entrambi... Renesmee, ti prego, fermati!»
Aggirai l'ostacolo, marciai impettita nell'ingresso, afferrai la mia giacca dall'appendiabiti e uscii, decisa a non ascoltare nessuno. Alle mie spalle percepii una certa agitazione, ma feci finta di nulla. Ero talmente furiosa, con Leah, che pretendeva di dirmi che cosa fare, con Jacob, che non riuscivo ad eliminare dalla mia vita, con la mamma, che in un modo o nell'altro pensava sempre a lui, con tutti gli altri, così insopportabilmente invadenti, con me stessa, per aver rimuginato su quella faccenda fino ad allora senza prendere nessuna decisione, che giunsi in vista di casa Black a tempo di record, senza neanche accorgermi delle nuvole che si gonfiavano, sempre più scure e minacciose, e del rumoreggiare di tuoni in lontananza.
Ritrovarmi in quel posto così familiare e così importante per il mio passato avrebbe dovuto farmi un certo effetto, ma allontanai i ricordi con decisione, sapendo che se mi avessero sommersa, senz'altro avrei ceduto. E in quel momento non potevo cedere. Non prima di aver fatto una bella ramanzina a qualcuno. Bussai alla porta con energia e poco dopo Billy venne ad aprire. Dalla faccia che fece sembrò avesse davanti un fantasma o un alieno verde con tanto di antenne.
«Ehi» mi salutò, dopo un interminabile minuto di silenzio di tomba. Il suo sguardo era perfettamente impenetrabile, come lo ricordavo. E riusciva anche a mettermi a disagio proprio come ricordavo.
«Ciao, Billy» dissi in tono rigido. «Jacob è in casa?»
«No. Cioè, sì» rispose lentamente. «È in garage, sta lavorando».
Annuii con aria sostenuta. «Grazie».
Senza aggiungere altro, mi voltai e mi diressi al garage, certa di avere i suoi occhi puntati addosso. Mentre mi avvicinavo, sentivo i familiari rumori metallici tipici di chi sta riparando una macchina. Quante volte avevo trascorso interi pomeriggi accanto a Jacob, guardandolo lavorare e chiacchierando di tutto? Impossibile contarle. Un'improvvisa folata di vento freddo mi portò il suo odore, un profumo che non sentivo da settimane, ma inciso a fuoco nella mia memoria; avrei potuto riconoscerlo ovunque. Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Sulla soglia del garage mi fermai, un po' esitante. Non ero più certa che fosse una buona idea, ma ormai ero lì.
Tra me e Jacob c'era una macchina con il cofano aperto e sollevato, ma non era sufficiente a nascondermi. Gli bastò alzare gli occhi e mi vide. Nell'istante in cui ci guardammo, fu come se qualcuno mi facesse lo sgambetto.
«Renesmee» mormorò. Il suo tono mi fece pensare a un uomo che sta morendo di sete nel deserto e finalmente riceve una goccia d'acqua fresca sulle labbra.
A un tratto dimenticai tutto, perchè ero lì, cosa stavo per dire, e provai l'assurdo impulso di fare un passo verso di lui, un altro, e un altro ancora... Poi il violento rombo di un tuono, seguito dallo scrosciare della pioggia che iniziava a cadere, mi riscosse di colpo. Con uno sforzo immenso, riuscii a raccattare da qualche parte i miei pensieri e un briciolo di determinazione.
«Smettila immediatamente di fare quello che stai facendo!» dissi tutto d'un fiato, ansimante.
Con aria molto confusa, Jacob abbassò per un attimo lo sguardo sull'aggeggio metallico che aveva in mano, poi tornò a fissarmi. «Cosa sto facendo?» domandò, con calma.
«Lo sai benissimo! Prima Seth, poi Leah... Chi sarà il prossimo? Smettila di spedire da me tutte le persone che conosciamo per convincermi a parlarti di nuovo, va bene? Basta, altrimenti scateno Rosalie contro il prossimo che si presenterà a farmi la predica, è chiaro?». Dovetti interrompere la tirata per prendere fiato, e stavo per ricominciare, quando lui parlò.
«Ehi, ehi, aspetta. So che Seth è venuto a parlare con te, un paio di settimane fa. Ma cosa c'entra Leah?»
Sbuffai. «È appena piombata in casa mia per farmi un discorso assurdo e... lei voleva... voleva che io... Oh, insomma! Non fingere di non saperlo!»
Jacob annuì lentamente, l'espressione grave. «Porca miseria» borbottò sotto voce. Fece un sospiro. «Renesmee, io davvero non lo sapevo. Leah non si trasforma da ieri, deve averlo deciso all'improvviso. Mi dispiace, è colpa mia. Dopo quello che ha fatto Seth avrei dovuto imporre al branco di lasciarti in pace, ma speravo di non essere costretto a farlo. E non avrei mai pensato di dovermi preoccupare proprio di lei, fra tutti». Scosse il capo, meravigliato e contrariato al tempo stesso. «Ma ora lo farò. Nessuno verrà più a disturbarti, te lo prometto».
La sua voce morbida e carezzevole, calda e decisa, mi aveva quasi ipnotizzata. Dio, quanto mi era mancato. Vederlo lì davanti a me sembrava quasi un sogno. «Davvero non gliel'hai chiesto tu?» chiesi in un sussurro.
Lui scosse di nuovo la testa, fissandomi con aria seria, e in quel momento mi resi conto di due cose. Primo, gli credevo. Secondo, avevo sempre saputo, dentro di me, che lui non c'entrava. Gli avevo chiesto del tempo, gli avevo chiesto una pausa, e il mio Jacob non mi avrebbe mai detto di no, non avrebbe mai potuto forzarmi a fare niente. Anche questa volta lui aveva capito. Ed io, invece... io non avevo capito un accidenti.
Mi girai piano e mi diressi verso l'uscita, ma a un tratto sentii le ginocchia cedere. Barcollando, mi appoggiai al muro e scoppiai a piangere, senza poter fare nulla per impedirlo. Mi sembrava di soffocare, mentre mi coprivo il viso con le mani, infastidita e arrabbiata. Mi vergognavo da morire al pensiero che Jacob assistesse a quello sfogo così violento e infantile.
«Renesmee!» gridò, angosciato, e corse da me. Pensai che volesse abbracciarmi, ma si fermò appena in tempo, titubante. «Che ti succede? È per qualcosa che ha detto Leah?»
Cercai di frenare le lacrime per riuscire a parlare. «Non... non è per Leah. Mi ha solo detto la verità. E anche stavolta io non sono stata in grado di accettarla. Perchè non riesco ad affrontare le cose? Che c'è di sbagliato in me?» singhiozzai, disperata.
Jacob esitò a lungo prima di rispondere. Forse voleva che mi sfogassi un po', o forse stava cercando di decidere che cosa dirmi. Non doveva essere semplice neanche per lui.
«Non hai niente di sbagliato» mormorò a un tratto, lentamente. «Questa è una cosa grossa e tu sei... molto giovane. Non è semplice».
Feci diversi respiri profondi per calmarmi e con le mani mi asciugai le guance bagnate. «Parli come se tu fossi vecchio» borbottai. Avevo paura di sollevare gli occhi e incontrare i suoi, così li tenevo ben fissi a terra.
Lo sentii sorridere. «Non sarò vecchio, ma ho qualche anno più di te».
Bambina immatura e viziata. Ero proprio così, accidenti. Perchè quella ragazza aveva sempre ragione? Perchè? Mentre mi scostavo i capelli dal viso con un gesto automatico, guardai Jacob. Mi stava fissando con un'espressione così dolce e preoccupata che avrebbe potuto sciogliere un iceberg. Provai la fortissima tentazione di chinare la testa sul suo petto e lasciarmi stringere dalle sue braccia forti... Sarebbe stato così bello... Finalmente mi sarei sentita di nuovo al sicuro... O forse no? Mi tirai bruscamente indietro.
«È insopportabile!» sussurrai, senza fiato.
Feci per uscire, ma qualcosa mi bloccò il passaggio: Jacob aveva allungato il braccio sinistro, quasi intrappolandomi contro la parete. Stupita, indietreggiai subito più che potevo, cercando di mettere un po' di spazio fra noi, e lo guardai con occhi spalancati. E adesso?
«Aspetta, ti prego. Aspetta un istante» disse, e il suo tono tormentato mi ferì al cuole come una stilettata. Perchè, perchè ero andata da lui, dannazione? Già inizavo ad intuire come sarebbe finita. Era inevitabile, e io ero stata una stupida. Avrei dovuto sapere che non potevo rivederlo senza arrendermi. «Ascoltami. Se vuoi che me ne vada, che sparisca dalla tua vita e ti lasci in pace per sempre, lo farò. Devi soltanto chiedermelo».
«Ma io non voglio questo» balbettai, arrossendo, spaventata dalla serietà con cui aveva parlato. Faceva sul serio?
«E allora che cosa vuoi? Te lo sei mai chiesto? Non pensare al passato, non pensare a quello che dicono gli altri, a quello che pensano, dimentica l'imprinting, cancella tutto: tu che cosa vuoi?»
Te.
Quel pensiero affiorò spontaneo da chissà dove, lasciandomi senza fiato, ma riuscii a trattenerlo prima che mi scivolasse tra le labbra. Mi ci volle un minuto per riprendermi.
«Vorrei poter riavere tutto indietro» risposi in un sussurro spaventato.
«Se potessi ridartelo, lo farei, credimi» disse Jacob lentamente, lo sguardo fisso che incatenava il mio. «Ma non è possibile. Non si torna indietro. E allora... credo che tu abbia due opzioni: puoi decidere di cancellare dalla tua vita quello che non ti va bene, far finta che non esista, oppure puoi decidere di accettarlo. La scelta sta a te».
«E tu?». Lo guardai senza capire. Lui cosa voleva?
«Non ha importanza. Io voglio quello che vuoi tu».
«Sì che ne ha! Ne ha per me! Jake, io ti voglio bene!» esclamai tutto d'un fiato. All'improvviso mi importava solo che lui capisse cosa provavo, e al diavolo la prudenza, al diavolo l'indecisione, al diavolo la paura, al diavolo tutto il resto. «Ti voglio bene, e mi sei mancato da morire, e... non ce l'ho con te, non più. All'inizio era furiosa, ma mi è passata, ormai, da tanto tempo. Non voglio, non posso cancellarti dalla mia vita. Sei troppo importante. Ma...»
«Ma cosa?» mi incalzò, teso.
«E se scoprissimo che tra noi è cambiato tutto? Che non riusciamo più a stare bene insieme, che non riusciamo più ad essere amici?» domandai con aria di sfida, la voce che a poco a poco si tingeva di panico nel prospettare quelle orribili possibilità. «Ricordi quello che mi hai detto l'ultima volta che ci siamo parlati, dopo la scuola? Anche tu avevi paura che dirmi dell'imprinting e farlo diventare reale potesse cambiare le cose, alterare il nostro rapporto... Che cosa faremmo se accadesse davvero?»
«Non è detto che vada così. Potremmo provarci. Insieme».
«E se non funzionasse?»
Jacob tacque per qualche secondo. A un tratto sembrava spaventato quanto me.
«Qual è l'alternativa?» disse, la voce impregnata di tristezza. «Ci separiamo adesso e non ci vediamo più? Devi soltanto chiederlo».
Sembrava talmente determinato a farmi del male con quell'assurda proposta che per un attimo ebbi paura. Non c'era alcun bisogno di pensarci per dargli una risposta. Sei settimane di separazione erano state intollerabili: avevo sentito la sua mancanza in ogni momento di ogni stupido giorno passato lontano da lui. E da quando ero tornata a casa, una settimana prima, sebbene non avessi fatto il suo nome neanche una volta, Jacob era diventato la mia ossessione: avevo trascorso notti su notti sveglia a tormentarmi, divisa tra il desiderio di rivederlo e la paura che il nostro legame fosse andato distrutto. Rinunciare a lui per sempre era impensabile.
«Non te lo chiederò mai» mormorai con voce rotta. «Non posso stare lontano da te. Sarebbe come... voler fermare la pioggia che cade. Non c'è altra scelta». Scossi la testa. Sentivo le guance umide e mi resi conto che le lacrime avevano ripreso a scorrere, come la pioggia fuori dal garage. «Io non ho altra scelta e la cosa peggiore è che non riesco ad accettarlo. Non ci riesco».
Fui costretta a smettere di parlare, sopraffatta dalle lacrime. Chinai il viso, così disperatamente triste da non riuscire più a provare imbarazzo. Jacob taceva, ma a un tratto sentii la sua mano sfiorarmi delicatamente la guancia, accarezzarla con estrema lentezza, asciugando le lacrime con il pollice. Il suo tocco era una sensazione familiare e tremendamente piacevole. Scatenò una marea di ricordi, talmente reali e vividi che mi parve di essere tornata indietro davvero, a quando niente avrebbe mai potuto mettersi tra di noi. E all'improvviso mi colpì una consapevolezza fulminea. Non c'era niente di diverso, in quello. Lui era accanto a me, mi accarezzava, mi rassicurava e mi face sentire bene. Protetta. Come sempre. E se quello non era cambiato, allora forse...
Dio, che confusione! Dovevo andarmene da lì se volevo provare a ragionare con lucidità. Mi sottrassi alla sua mano, passai sotto il suo braccio teso, uscii dal garage e mi allontanai di qualche passo, incurante degli enormi e gelidi goccioloni di pioggia che mi bersagliavano. Lui non mi seguì. Chissà come avrebbero reagito, a casa, vedendomi tornare in quello stato. Chissà cosa avrebbe detto la mamma. Senz'altro si sarebbe preoccupata per Jacob e i suoi sentimenti... La mamma. All'improvviso mi sembrò di sentire la sua voce sussurrare qualcosa dentro di me, e istintivamente mi fermai per ascoltare.
Le paure vanno affrontate, Renesmee. Nascondersi non serve, ci rende soltanto più deboli; e prima o poi arriva il giorno in cui ci rendiamo conto che abbiamo permesso alla paura di dominare la nostra vita, di toglierci il libero arbitrio, di portarci via chissà quante cose, belle e brutte.
Per non so quanto tempo rimasi perfettamente immobile, come paralizzata, ad inzupparmi. Perchè quelle parole mi tornavano in mente proprio adesso? Era solo un caso, una coincidenza, o era un segno? Ma che importanza aveva, in fondo? Era proprio quello che stavo facendo. Scappavo e mi nascondevo, ancora una volta, come quando mi ero trasferita da Charlie, come in quei sei anni, quando avevo ignorato tanti piccoli dettagli che forse avrebbero potuto mostrarmi la verità. Come Jacob, come i miei genitori, che avevano costruito una vita di menzogne per proteggermi e avevano finito con il farmi ancora più male. Loro avevano sbagliato, io avevo sbagliato, e adesso stavo sbagliando di nuovo. Era ora che qualcuno rompesse quell'infinita catena di errori, uno dietro l'altro. Che qualcuno provasse a fare la cosa giusta. Non sapevo se sarei stata abbastanza forte, però dovevo provarci, perchè l'alternativa era dire addio alla persona più importante della mia esistenza.
Lentamente, abbandonandomi all'impulso interiore che mi supplicava di tornare indietro, mi voltai. Feci un mezzo passo avanti, insicura sulle gambe come se dubitassi di riuscire a stare in piedi, e un attimo dopo mi ritrovai a correre verso Jacob. Lui mi venne incontro sotto il temporale. Le sue braccia mi accolsero, mi strinsero, e finalmente, finalmente mi sentii di nuovo completa. Di nuovo me stessa. Mi fece volteggiare nell'aria, come quando ero bambina, ed io risi di gioia, tra le lacrime, pensando a quanto il cuore umano sappia essere pazzo e stupido, a volte. Perchè, semplicemente, la pioggia non si può fermare.





~ Fine ~










Note.
1. Qui la canzone. La adoro, sembra scritta apposta per questo momento. Sapevo fin dall'inizio che avrebbe accompagnato l'ultimo capitolo.












Spazio autrice.
E siamo arrivati alla fine. Spero con tutto il cuore di non aver deluso nessuno. Quest'ultimo capitolo è forse quello al quale ho lavorato di più e anche se la conclusione, tutto sommato, era prevedibile, mi auguro di non essere stata troppo scontata. Come avrete già notato, la vicenda principale della fanfiction si è chiusa: Renesmee è tornata a casa, ha ritrovato Jacob, ha ritrovato se stessa ed è cresciuta attraverso le esperienze che ha vissuto. Ma ci sono anche domande rimaste in sospeso. Come andranno le cose tra Alex e Renesmee? Resteranno insieme? Jacob sarà sempre e soltanto un amico o avrà la sua occasione? Renesmee riuscirà a continuare la sua vita "normale" da ragazza umana o un giorno questo fragile equilibrio rischierà di spezzarsi? Le risposte a queste domande, e molto altro ancora, nel sequel ;-). Sì, lo so, sono ruffiana, ahahahahah!  
Una parte di me è felice di aver raggiunto questo piccolo traguardo. L'altra è tristissima, perchè già sento che arriva la nostalgia. È stato molto bello vivere questa avventura ed è merito vostro, perchè siete state voi a renderla speciale. Un enorme grazie ad Aniasolary e Bianca Lyra Petrova, le mie adorabili "sorelline", per il loro sostegno e i loro preziosissimi pareri. Grazie anche ad Astrid Romanova, AlbionMay, Ariadnae, marta_cr_cullen92, blonde985, BabyMe, thatsfrancy, StarryEyed, NikyStellina, bluerose95, Lollola, IRE86, Mary_Withlock. Spero di non aver dimenticato nessuna, siete più numerose di quanto mi sarei mai aspettata xd. Grazie infinitamente per aver seguito la storia e per i vostri commenti sempre gentili, interessanti e strapieni di complimenti ^^.
Per quanto riguarda il sequel, vi ho già accennato qualcosina. Il lavoro praticamente è quasi concluso, ma ha bisogno di parecchie revisioni e correzioni. Inoltre, a giorni riprenderò l'università e almeno per qualche settimana sarò costretta a dare meno spazio alla scrittura. Ma non preoccupatevi, la storia è già scritta ed io sono impaziente di condividerla con voi. Non faccio promesse sui tempi di pubblicazione, perchè rischierei di non mantenerle, ma farò di tutto per iniziare il prima possibile. Se vi va di tenervi aggiornate, date un'occhiata ogni tanto alla mia pagina Facebook (Aurore Cathy Efp) e appena potrò vi farò sapere come procedono le cose.
Be', penso sia tutto. Vi ho annoiate abbastanza xd. Grazie ancora, e a presto!
   
 
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