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Autore: JaneD_Alexandra    09/10/2013    0 recensioni
Sequel di "An irish tale".
Giugno 2012, Dublino.
Anya è una promessa del tennis e molti dei suoi ammiratori, compreso il suo allenatore, sono pronti a scommettere sul match che la vedrà sfidarsi con la più giovane e famosa tennista inglese. Gli allenamenti si fanno duri, Mr. Harris, il mister, inizia a fare di tutto per vedere vincere la sua allieva, non sapendo in realtà che da un po' di giorni lei dorme male a causa di un sogno ricorrente: si rivede nelle campagne irlandesi di metà Ottocento, in una buia e uggiosa serata, mentre cammina verso una casetta al limitare di un villaggio. L'ambiente e le sensazioni sono così realistiche che decide di cominciare ad indagare.
Ancora una volta si ritroverà catapultata nel mondo della borghesia irlandese dell'Ottocento, due anni dopo gli eventi del 1856.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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An irish tale – Parte Seconda
 
CAPITOLO X
 

 
 
- Anya! Anya, ma ti vuol calmare? – la redarguì Linda, posandole una mano sulla spalla – Vedrai che non gli è successo niente!
Continuò a non darle retta, mentre camminava speditamente verso l’ospedale. Linda e Kate le stavano dietro a fatica. La presa di Linda si fece più decisa.
- Anya!
- Lasciami! – gridò, liberandosi con una manata. – Se devi lamentarti tornatene a casa!
Velocizzò il passo e con poche falcate raggiunse l’entrata. Fece guizzare lo sguardo alla ricerca della reception, che trovò subito, bianca e austera, oltre un via vai di gente e infermieri.
- Cerco Paride Langley – disse, tesa, accostandosi al banco.  La segretaria le fece cenno di aspettare, mentre parlava al telefono. Anya sbuffò, concitata e spazientita. La chiamata si concluse poco dopo.
- Nome?
- Langley Paride – scandì.
- Il suo.
- Bacott – disse, sporgendosi leggermente – Anya Bacott.
La segretaria scrisse un appunto.
- Sapete cos’è successo? Mi può dare qualche notizia? È un ragazzo biondo, magro … - alzò una mano oltre la sua fronte - … alto così … dovrebbe …
- È arrivato circa mezz’ora fa – la interruppe la donna, dopo aver letto un foglio – Codice verde.
Anya tirò un lungo sospiro, sgranando gli occhi e poi chiudendoli. Gonfiò il petto, portandosi una mano alla fronte. – Oh … dio sia lodato. In quale reparto è?
La segretaria scorse nuovamente il foglio. – Osservazione.
- Capito … Grazie infinite.
Stava per andarsene, quando la segretaria la richiamò. – Lei è una parente?
- Sono la sua ragazza … - mormorò, esitando – Posso andare da lui?
La donna la scrutò brevemente con una strana espressione. – L’orario delle visite è terminato, signorina – disse, comprensiva – Mi dispiace.
Anya abbassò le spalle, implorante. – La prego …
La segretaria scosse il capo con gentilezza. – Non posso, davvero … - volse gli occhi oltre le spalle di Anya. Voltandosi, la ragazza vide che si era formato un piccolo turno. Kate e Linda la aspettavano poco distante, i visi preoccupati.
- Ma forse potrebbe parlare con il medico che l’ha preso in cura …
Anya si fece attenta. - Come si chiama?
La segretaria allungò gli occhi verso un elenco e aprì la bocca per parlare, ma in quello stesso istante un uomo si avvicinò al banco, facendo un cenno di scuse ad Anya e porgendo una cartelletta alla donna. Anya ne osservò i movimenti e notò il camice bianco. Lui e la segretaria confabularono brevemente e ad un certo punto la donna fece un cenno nella sua direzione.
- Questa signorina necessita d’essere informata sullo stato di salute di un suo paziente … un certo Paride Langley.
Il medico guardò alternativamente l’una e l’altra, soffermandosi infine sulla giovane. Esitò, strizzando gli occhi nel tentativo di ricordare qualcosa, poi inarcò le sopracciglia.
- Certo, sì … codice verde, se non sbaglio? – borbottò rivolto alla segretaria.
- Come sta? – indagò subito Anya.
- Un po’ ammaccato, ad essere sincero … - disse con un mezzo sorriso, invitandola a seguirlo. – Lei è la fidanzata?
Anya annuì, volgendosi poi verso Kate e Linda. – Lì ci sono mia madre e mia sorella …
L’uomo recepì il messaggio e scosse il capo – Loro aspetteranno l’orario delle visite di domani mattina. Al momento è meglio se entra solo lei.
La condusse in un corridoio e mentre si facevano strada fra gli infermieri al lavoro e qualche raro paziente spiegò con poche parole la situazione di Paride.
- È arrivato in ospedale in stato d’incoscienza, ma si è ripreso presto; ha subìto una commozione cerebrale di lieve entità ed un colpo di frusta per il quale gli abbiamo dovuto mettere un collare ortopedico. A quanto pare – continuò, gonfiando il tono di biasimo – non portava la cintura e questo ha fatto sì che sbattesse la faccia contro il volante …
Svoltarono a sinistra e camminarono fino a metà corridoio. – La stanza è quella – spiegò il dottore, fermandosi a pochi passi da una porta aperta. – Terremo il suo fidanzato in osservazione per tutta la notte. Se dovessero esserci problemi d’ogni sorta, si rivolga agli infermieri. Non lo massacri di domande, come pensa di fare … gli parli per tenerlo sveglio, ma non lo stressi.
Anya assentì, ricordando qualcosa sulle commozioni cerebrali e sui loro sintomi, e appena fu sola entrò in camera. La luce centrale era spenta, ma si distinguevano l’austero mobilio e due letti con i rispettivi comodini. Sul primo di essi una lampada emetteva un flebile bagliore.
Paride era steso supino sul letto più vicino alla finestra, vestito con gli abiti del pomeriggio e semibloccato da un collare bianco che lo obbligava a tenere lo sguardo rivolto al soffitto. Candido, nella penombra, spiccava anche un cerotto sul sopracciglio sinistro. Gli si avvicinò silenziosamente, credendo che dormisse, ma lo trovò sveglio. Percepì il suo sguardo sbilenco su di sé e lo evitò, nonostante ci fosse poco in lui che comunicasse lucidità e buona salute. Si chinò per abbracciarlo, ma ci rinunciò nel vederlo così bloccato. Gli strinse una mano e carezzò il suo viso graffiato senza dire una parola.
Nel suo momentaneo imbarazzo Paride non potè permettersi altro qualche occhiata e poche domande confuse. Fu sincero quando disse di non ricordare niente.
-  Ti riprenderai presto, stai tranquillo – lo rassicurò lei.
Non parlò nessuno. Un lungo silenzio si susseguì a quelle poche parole pronunciate con incertezza, poi qualche altra domanda. Ma nulla più.
Paride era sempre sul punto di addormentarsi. Chiudeva gli occhi senza volerlo, abbandonandosi ad un sonno che Anya si premurava di allontanare con delle piccole pacche sul braccio. Le palpebre si rialzavano con un guizzo assonnato, poi di nuovo si abbassavano, carezzando languidamente le iridi verdastre, tormentate dalla poca luce emessa dalla lampada.
- Non potresti spegnerla? – mugugnò lui ad un certo punto.
Anya ricercò un compromesso, spostando la direzione del fascio luminoso. Doveva eseguire gli ordini del medico, per quanto fastidioso fosse per lui e il suo mal di testa.
Il dottore passò qualche minuto dopo per controllare che andasse tutto bene e fu così contento di vedere che Anya aveva rispettato i suoi precetti, che decise di farla rimanere tutta la notte per vegliare il malato. Quell’affermazione alla ragazza non giunse nuova, perché già dal suo arrivo aveva deciso di stare con Paride, ma le ricordò che non dormiva da più di ventiquattro ore e la testa incominciò il suo capriccio con un rimbombare improvviso tra le pareti del cranio.
Il dottore ne approfittò per fare una breve visita al paziente,  che non parve molto contento di rivederlo, e rassicurò Anya dicendo che non era più necessario tenerlo sveglio, ma che poteva anche farlo dormire per brevi intervalli.
Quando se ne fu andato, Anya corse sulle impostazioni del cellulare per attivare la sveglia. Nonostante l’agitazione di poco prima, non se la sentiva di tenere gli occhi aperti per un’altra notte.
Si addormentò col capo poggiato al materasso.
 
 
Il momento in cui il tenue grigiore di una giornata nuvolosa si insinuò fra le sue ciglia, ebbe la conferma di non essere morto.
Ma per lo stato in cui si trovava e per l’indolenzimento che agguantava il collo e tutto il lato sinistro del volto era convinto che ci fosse mancato poco.
Non poteva permettersi grandi movimenti. A stento riusciva a girare il viso a destra e a sinistra. Quel dannato collare impediva davvero ogni gesto. Il medico gliel’aveva detto che per una buona settimana, e forse di più, la sua vita quotidiana avrebbe subito delle modifiche.
Anya l’aveva svegliato un sacco di volte. Non poteva vedersi, ma era sicuro di avere un aspetto orrendo. Al tatto aveva sentito un cerotto sulla fronte, sul punto in cui doveva aver sbattuto. Faceva molto male, di sicuro c’erano anche dei punti, ma non ne era certo perché la sera prima non era stato nelle condizioni di decifrare parole e azioni dei medici.
Si sentiva ancora frastornato e una tossina, dentro, ammalava la sua consueta pace, infangando l’animo di una rabbia indecifrabile. Qualcosa dentro la testa, in basso, sulla nuca, premeva e pungolava come un nervo ferito, i muscoli del collo si irrigidivano, facevano sempre più male. Ma non era il dolore fisico la fonte di tutto quel malessere. O almeno non solo questo.
Il motivo lo scoprì poco dopo, quando la coscienza di sé si diffuse al resto del corpo. Stringeva debolmente la sua mano destra, inondava il braccio di sottili fiumiciattoli rossi, respirava così piano e profondamente da non poter essere facilmente udita.
Non seppe come si ritrovò a guardarla. Le iridi si aggrapparono alle estremità degli occhi, premettero per poter curiosare e si pacificarono nello stesso istante.
Ma c’era qualcosa, nella testa, che risuonava come un monito. Volteggiava mollemente e poi saettava come un cobra, mordendo il suo lato sentimentale, cantilenandogli di stare all’erta, di riflettere. Di respirare a fondo, di soppesare le parole prima di pronunciarle.
Le pupille si riportarono verso l’alto, salutando con sarcasmo un soffitto ormai troppo familiare, e le palpebre si chiusero, annebbiandolo con molteplici visioni dai mille colori, che il cervello tentò subito di riassettare in immagini sensate. Ricordi sfocati furono il prodotto dei primi sforzi. La concentrazione era ancora troppo debole per poter fornire un valido aiuto. Il cobra continuava a pungolare, a strangolare le emozioni, ad avvelenare il buonsenso. Fu allontanato e con un guizzo affaticato i ricordi del pomeriggio prima tornarono ad affollargli la mente.
Riaprì gli occhi così lentamente che gli parve di non averli mai chiusi e l’unico sopracciglio sano, pensieroso, si corrugò.
 
Anya si svegliò poco dopo, quando l’infermiera dei pasti entrò nella stanza.
Lo aiutò a mettersi seduto e poi a mangiare. La sua gentilezza, seppure offuscata da un mite risentimento che ne raffreddava il consueto ardore, lo intenerì. Si rifiutò categoricamente di condividere con lui la colazione accontentandosi di un caffè nero preso al distributore automatico.
Non ebbe il coraggio di confessarle i propri propositi nel vederla così preoccupata alla sua salute e ricercò lungamente le parole più adatte al suo cattivo umore. Mordaci, gli avvenimenti del giorno precedente stuzzicarono il suo orgoglio, mettendo a fuoco una vigliaccheria offuscata solo nel lavoro.
In attesa della visita del medico, Anya, che, seppur accorata, non voleva saperne di allacciare un discorso, si spostò davanti alla finestra, poggiandosi al davanzale con entrambi gli avambracci e affondando il viso nel petto.
- Ricordi qualcosa di ciò che è successo ieri sera? – gli domandò dopo un po’.
Paride ricercò ancora una volta tra le immagini della mente. – No.
- Te ne ricorderai presto. Spero – si raddrizzò, sbadigliando. – E allora dovrai dirmi a cosa diavolo stavi pensando mentre guidavi.
Non ci fu bisogno di sforzare ulteriormente l’immaginazione. La logica si scomodò e il collegamento fra la lite del pomeriggio e la possibile causa della sua distrazione baluginò come una piccola scossa elettrica nel buio. Capì, allora, perché Anya lo stesse guardando in quel modo strano.
- Hai esperienza nella mnemonica …
Il modo in cui serrò le labbra gli diede a intendere che fosse pienamente soddisfatta di quel risultato, ma che non volesse darlo a vedere.
- Diretta, sì – sospirò.
Si aspettò di vederla avvicinarsi, ma il suo fare contrariato la obbligò a rimanere ferma sul posto. Il sole le inondava il viso di luce, alimentava il color fuoco della sua chioma e schiariva l’azzurro degli occhi socchiusi. Sembrava una ninfa dei boschi, così immobile e orgogliosa. Una ninfa pensierosa e pronta all’assalto come un felino affamato. Stava di sicuro pensando a qualcosa. Ma, che il collo gli togliesse la ragione con una fitta improvvisa, non capiva proprio cosa. Quella ragazza era veramente impossibile da decifrare e a volte si chiedeva se i sentimenti che nutriva nei suoi confronti fossero giusti e sufficienti, perché c’erano molte cose di lei che ancora non comprendeva. E si dannava, perché questo mistero investiva Anya di un’aurea che lo spaventava.
E lo portava a tacere.
Ripensò al diverbio avuto con lei a causa dei suoi silenzi, alla rabbia che non aveva contenuto nel sapere che sarebbe partito nel giro di due settimane, al rancore che ancora adesso doveva covare e al risentimento, al freddo risentimento che non gli concedeva miglior vista di quella che lei, messa quasi di spalle, non gli offriva già.
Quando stava con lei aveva voglia di guardarla negli occhi. E, seppure fosse cosciente di aver mancato anche lui ad un impegno di attenzioni e gesti affettuosi e sinceri, quella manchevolezza da parte sua lo irritò.
- Stavo pensando – disse d’un tratto Anya, sovrappensiero, girandosi appena – che questa mattina il dottore ti dimetterà.
- Lo so.
- Ha telefonato mia madre, mentre ero a prendermi il caffè. Ha visto la tua macchina e … - si voltò a guardarlo, con uno sbuffo quasi divertito – ti fa i complimenti per come l’hai ridotta.
Paride mosse istintivamente il capo nella sua direzione e di colpo si bloccò, portandosi entrambe le mani al collare, gemendo di dolore.
- Dannazione! – sibilò. – In che senso mi fa i complimenti?
Finalmente Anya si avvicinò e lo aiutò a distendersi, anche se lui non ne aveva voglia. – Chiudi gli occhi e rilassati – gli ordinò, sedendosi sul bordo del materasso.
- Che è successo alla macchina?
- Rilassati, ho detto, e ti spiegherò tutto.
Suonava come un ricatto, ma se serviva a farla parlare, perché non cedere?
- Dunque – sospirò lei – sei sicuro di non ricordare niente?
- Certo che sì.
- Rilassati. Hai avuto uno scontro frontale con il posteriore di un camion. C’era traffico e in un tratto di autostrada le macchine erano bloccate. Eri talmente distratto – enfatizzò il tono e la pronuncia nell’ultima parola, inarcando un sopracciglio – che hai continuato ad avanzare a moderata velocità fino a quando … non l’hai preso in pieno.
- Non ricordo un accidenti …
- Ricorderai dopo … quando dovrai pagare i danni al camion. La tua macchina si è ammaccata per benino: stando ad un’analisi poco accurata potresti farla riparare, ma credo ti costerebbe meno comprarne una di seconda mano. Linda ci teneva a farti sapere che la prima parola che le è venuta in mente quando ha visto il cofano è stata “Crack” – e mimò con le dita di una mano l’accartocciamento del metallo.
- Oh Gesù …
Si stropicciò la fronte, deglutendo il vuoto, dimenticando la ferita al sopracciglio e pressando involontariamente un dito sulla cucitura. Anya se ne accorse quando lo sentì lamentarsi e gli allontanò con un gesto la mano, prodigandosi per controllare che tutto fosse a posto.
- Stai fermo – sbottò a bassa voce, strappando un’estremità del cerotto per dare un’occhiata. – È tutto a posto, fortunatamente … - poi sospirò, rimettendosi a sedere – A volte sei peggio di un bambino …
Il taglio bruciava e doleva tantissimo. Aveva appena toccato la cucitura e adesso non sentiva l’intero sopracciglio.
- Dimmi la verità, Anya, fino a dove mi sono rotto?
Lei aggrottò la fronte.
- Anya – la chiamò di nuovo lui, scrutandola obliquamente – so di essermi spaccato la faccia … ma dimmi fino a dove, almeno. Non ci capisco niente con tutta questa …  – e indicò il collare ortopedico - … roba addosso!
- Beh … ti hanno dato quattro punti. Solo quattro punti al sopracciglio …
La guardò ancora per un po’. Era una sua impressione o Anya stava pensando ad altro?
Sbottò in una secca risatina sprezzante. Sprezzante verso sé stesso.
- Mi hai fatta preoccupare tanto, sai?
Stavolta, magari, c’aveva azzeccato. Anya ignorò il suo sarcasmo, continuando piuttosto a seguire ben altre riflessioni.
- Te ne sei andato senza neppure salutarmi …
- Tu non hai voluto …
- … per colpa tua.
Ad una simile risposta si sarebbe strofinato il dorso della mano sul mento, che in quella situazione fu sostituito da un roteare esasperato delle iridi.
- Colpa tua, inutile che neghi.
- Non voglio discuterne, adesso, Anya.
- Come sempre, del resto …
- Anya – la richiamò, stanco – ti prego.
La ragazza tacque. Paride ci pensò un attimo su. Ma sì, perché tacere?
- Mentre ancora dormivi, stamane, ho riflettuto su un particolare …
- Quale?
- Appena esco da qui prendo il treno per Waterford.
Le sopracciglia vermiglie disegnarono una bizzarra W. – A Waterford?
- Sì.
- Conciato così?
- Cosa ci trovi di strano?
- Il medico non te l’ha ancora detto, ma, fidati, dovrai stare a riposo per un po’ di giorni. Non dovrai stressare il collo, dovresti saperlo tu prima di tutti.
- Certo che lo so … - mosse le labbra, serrandole, crucciandole come chi si sente responsabile – però, riflettendo su ciò che è successo ieri … te lo leggo nello sguardo e tu lo leggi nel mio: se continuiamo a frequentarci in questi giorni, rischiamo di cozzare un’altra volta …
- Cozzare? Che stai dicendo?
Paride alzò una mano per attirare la sua attenzione e al tempo stesso calmarla. Gli fece male il collo, ma  non gli importò.
- Anya cerco solo di vedere le cose come stanno realmente. Inutile negarlo: con il carattere che ci ritroviamo finiremmo per litigare di nuovo … è meglio se torno a Waterford.
Il materasso riacquisì in fretta la sua forma quando ella si alzò. Un piccolo sobbalzo ed un intero lato del suo corpo fu privato del suo piacevole tepore, le narici dalla fragranza che usava tamponare sul collo e sui polsi.
- Anya …
- Non ricominciare.
Ferma, glaciale. Paride non replicò, ma mise da parte quello che pensava per dirlo in un secondo momento.
Anya fece scricchiolare le nocche delle mani. – Non ti avrei alterato, Paride. Non nelle condizioni in cui sei. Credevo che in quasi un anno che stiamo insieme avessi imparato a conoscermi almeno un po’. Continui a non fidarti, invece.
La rabbia lo cavalcò da capo a piedi, le labbra fremettero. – Possibile ch … - sibilò, strozzando il tono di voce, gemendo poi per una fitta al collo – Merda …
Anya non lo degnò d’altro che di un’occhiata indifferente, con la quale cercò di celare la preoccupazione che in un baleno avviluppò pugni e stomaco.
Nel dato momento in cui Paride, placatosi il dolore, girò lo sguardo per risponderle, entrò un’infermiere.
- Buongiorno – lo salutò avvicinandosi al letto e facendogli cenno di sedersi – il dottore la attende nel suo studio per la visita.
Paride si lasciò aiutare senza abbandonare l’aria risentita. L’infermiere lo fece alzare in un batter d’occhio, con dei movimenti che non gli procurarono nessun dolore al collo. Gliene fu tacitamente grato e mentre quello gli metteva in mano gli oggetti personali che man mano raccoglieva dal comodino, scoccò un’occhiata alla ragazza, girandosi goffamente con l’intero busto, incontrando il suo sguardo azzurro.
Anya gli camminò accanto fino allo studio medico ed entrò con lui.
- Penso e, spero, si farà aiutare da questa ottima crocerossina, signor Langley … dall’aspetto di entrambi deduco che nessuno di voi ha dormito in modo regolare, questa notte. Ha rispettato l’impegno preso, signorina, e mi congratulo. Qualcun altro si sarebbe addormentato e … buonanotte!
Lo sguardo dei due ragazzi si incrociò, prodotto e conclusione di una tensione che aleggiava e opprimeva l’aria, in un baleno di simulata indifferenza che non passò inosservato. Il medico interruppe il suo dire per un breve istante, dopo il quale riattaccò con una breve tiritera di consigli, prescrizioni e divieti.
Una stretta di mano e nel giro di pochi minuti si ritrovarono alle porte dell’ospedale, le facce pallide e assonate inondate di sole, i capelli scarmigliati scossi da un alito di vento tiepido.
 
 
 
Due giorni dopo.
 
 
Il secco scricchiolio di un guscio d’arachide ruppe il silenzio.
Anya si portò la racchetta alla spalla, passeggiando sul posto con le spalle rivolte verso la rete.
- Jack! Batti!
Ruotò fulminea sull’intero corpo, colpendo la palla con un rovescio ad una mano. Jack rispose con un diritto che indirizzò la palla alla destra dell’avversaria, che allungò leggermente il passo e si servì anche lei di un diritto ben caricato con le spalle e gli addominali, mentre un verso rabbioso fuoriusciva d’impulso dalle labbra. Jack ne valutò la forza, saltellando sulle punte dei piedi, prima di slanciarsi con pochi passi verso sinistra e rispondere con una volèe di rovescio che mandò la palla alla sinistra di Anya, obbligandola a scattare e ad utilizzare un rovescio a due mani. La palla urtò contro la rete.
- Va bene – esclamò Mr. Harris, sollevando una mano – per oggi finiamo qua.
Anya si drizzò sulla schiena, gonfiando finalmente il petto di sollievo. Dalla panca sul bordo campo Linda alzò i pollici in sua direzione in segno d’apprezzamento.
Era sera, il cielo si era annerito da almeno una decina di minuti. Agli angoli del campo erano stati accesi i fari d’illuminazione, che non ferivano gli occhi per merito della loro piccola dimensione. Anya si asciugò il sudore con un asciugamano, respirando pesantemente e defaticando i muscoli con una lenta camminata nella sua metà campo. Affidò la racchetta a sua sorella quando Mr. Harris richiamò lei e Jack con un cenno.
- Domani riprendiamo l’allenamento allo stesso orario – disse, rompendo un altro baccello d’arachide e versandosi i semi sui palmi. – Vi allenerete di nuovo insieme e tu, Anya, giocherai per dieci minuti con il rovescio a due mani. Voglio capire per quale diamine di motivo continui a carezzare quella dannata palla invece di colpirla a dovere! – si ficcò in bocca i semi e annuì ad un pensiero suo mentre masticava. – Anzi, fammene uno adesso. Jack, batti.
Il ragazzo si allontanò di malavoglia verso la sua metà campo, svogliatamente imitato da Anya che non vedeva l’ora di tornarsene a casa. Acchiappò la palla che Mr. Harris gli lanciò e batté. La ragazza rispose come voleva Mr. Harris, soddisfacendo involontariamente la sua voglia di vederla sbagliare con un colpo debole.
- Ecco … ecco!
Mangiò altri due semi d’arachide mentre la raggiungeva. La oltrepassò, posizionandosi dietro di lei e gridò nuovamente a Jack di battere. Non appena Anya si dispose per rispondere nuovamente con il rovescio a due mani, sentì Mr. Harris sbottare qualcosa con il tono di chi ha appena trovato un oggetto perso da tempo e subito dopo una sua mano toccarla alla spalla sinistra. Si irrigidì senza volerlo, avvertendo con una punta di allarme le dita dell’allenatore percorrere i muscoli delle spalle. In un primo momento non capì quella strana agitazione, ma un secondo dopo, quando lui le sollevò il braccio e premette i polpastrelli appena sotto l’attaccatura del deltoide, scattò con un lamento soffocato.
- Ah! Trovato! – esclamò, tronfio, a voce bassa, mentre continuava a muovere le dita e pressarle sul punto dolente. – Qui ti fa male?
Anya si contorse appena, con una smorfia che preoccupò Linda. Assentì col capo.
Alle sue spalle, Mr. Harris sbuffò quasi con apprensione.
- Mr. Harris?
- Hai sbattuto da qualche parte, per caso?
Lei ci pensò su. – No.
- Sicura? – la toccò di nuovo dove faceva male.
- Sì.
- Linda?
La ragazza si girò subito. Assunse un’espressione pensierosa, poi fece spallucce, scuotendo piano la testa.
- Hai la spalla gonfia, Anya.
Lei ritrasse il braccio, guardinga e si voltò.
- Non sembra grave – continuò lui, facendo un cenno in direzione della spalla – ma rimane pur sempre un problema … che intendo risolvere in fretta.
Lo spaesamento di Anya fu dissolto dal risuonare della voce di Jack. – Potrebbe darsi – azzardò, avvicinandosi alla rete – che sia dovuto all’allenarsi di frequente?
Mr. Harris fece subito di no, sventolando la mano con sprezzo, quasi che quella domanda fosse una vespa da cacciare via. Anya lo seguì con un crucciarsi della fronte, pronta a contraddirlo, ma le riflessioni che non aveva interrotto del tutto le servirono, come un piatto freddo, il ricordo del match con Sonja McKintoschk, quando, ad un suo potente diretto aveva reagito con uno scatto che l’aveva fatta finire a terra.
- Domani – la ridestò Mr. Harris con un pugnetto sulla spalla sana, in conclusione del discorso – facciamo un salto dal dottor White … d’accordo?
Nell’udire quel nome, perfino Linda si mise sull’attenti.
- Il dottor White? No di certo!
L’arachide che Mr. Harris aveva in mano si ruppe all’improvviso. – Perché no?
Linda incominciò a sudare freddo. Jack si spostò lungo la rete, avvicinandosi ad un’estremità.
- Perché … Ci sono altri fisioterapisti oltre lui! – ringhiò Anya.
- Ma lui – sibilò l’allenatore, mangiando un seme d’arachide – ti conosce da una vita.
Linda fece un cenno a Jack.
- Dal dottor White non ci vado! Chiuso il discorso!
Jack si appressò con circospezione ai due. – Mr. Harris … dovrei parlarle …
- Non lo dici tu quando chiudere il discorso, stupida ragazzina insolente! – ringhiò a bassa voce l’uomo, puntandole il dito contro. – Hai una spalla da recuperare, se non te ne sei ancora resa conto e sono disposto a trascinarti per i piedi dal medico. Vedi di comportarti da donna responsabile e matura!
Jack prevenì lo scatto rabbioso di Anya, prendendola dolcemente per il braccio e trascinandola fino alla panca davanti alla quale la aspettava Linda. Straordinariamente la ragazza non obiettò, obbedendo con una strana, fumosa, incandescente, calma. Ignorò il sudore, ficcò alla bell’è meglio gli strumenti da gioco nel borsone e uscì, la giacca ed il pantalone della tuta accartocciati sotto il braccio.
Jack tornò indietro verso la sua roba, non avendo in realtà nulla da chiedere a Mr. Harris, che continuò a sgranocchiare, imperturbabile come chi è abituato ad averla vinta, le sue arachidi.
- Ma perché se l’è presa tanto?! – sussurrò il ragazzo, guardando la porta oltre la quale Anya era appena scomparsa.
Linda piegò frettolosamente una maglia e la ficcò nel suo borsone, insieme ad una fascia di spugna per i polsi ed un asciugamano. Controllò, senza avere un motivo valido per farlo, che Mr. Harris non li sentisse e fece una smorfia. Poi calcolò mentalmente quanto Jack sapesse delle amicizie di sua sorella e rispose. - Il dottor White è il padre di Philip.
Gli fece un cenno come ad assicurarsi se avesse capito o meno e sgusciò via.
 
  
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