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Autore: Sylphs    10/10/2013    16 recensioni
La notte della battaglia tra i Lannister e Stannis, Sansa non è rimasta ad Approdo del Re ma è fuggita con Sandor Clegane, affidandosi completamente a lui. Accampatisi all'aperto, ai piedi di una grande quercia, i due si confronteranno l'uno con l'altra, dovranno imparare a superare le reciproche diffidenze e a fidarsi e forse persino ad accettare un sentimento nato tra di loro a dispetto di ogni differenza....che persino un mastino e un uccellino possano amarsi?
Una mia What if? sulla SanSan, cosa sarebbe successo tra i due se fossero fuggiti insieme.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La notte in cui un mastino e un uccellino si scambiarono il loro primo bacio
 

 
 
 
 
 
Lady Sansa della casa Stark era abituata al freddo. Poteva addirittura affermare di esserci vissuta, tra le gelide e amate mura dell’austera Grande Inverno, la casa che aveva lasciato così gioiosamente in passato, stanca dell’isolamento e della monotonia che ora le mancavano più di ogni altra cosa, e ansiosa di immergersi tra i colori e i fasti di Approdo del Re, il luogo che adesso odiava con tutta se stessa e che avrebbe voluto vedere crollare fino alle fondamenta insieme a tutti i suoi abitanti, specialmente Joffrey, mostro camuffato da principe, e l’insidiosa regina Cersei, che aveva creduto sua amica e che l’aveva invece ingannata, facendole scrivere la condanna a morte di suo padre.
Eppure, malgrado fosse una giovane lupa, non poteva impedirsi di rabbrividire nel gelido vento notturno che s’infilava dentro il suo leggero abito azzurro e vibrava unghiate sulla sua pelle delicata. Non aveva mai dormito all’addiaccio, sotto la chioma frondosa di una quercia che iniziava ad avvizzire – dopotutto, l’inverno stava arrivando – né mai avrebbe immaginato un giorno di farlo. Se septa Mordane l’avesse vista in quel momento, avrebbe di sicuro scosso la testa. Una vera signorina non si sarebbe trovata mai in una simile situazione.
Ma che altra scelta avevo? E la septa è morta…come mio padre, e Jory Cassel, e tutti gli altri…
Pensare ai morti non le faceva bene. Ogni volta che indugiava nel ricordo di ser Ilyn Payne che mozzava la testa a Lord Eddard Stark, le sembrava di soffocare, che il senso di colpa e il dolore le afferrassero gli organi interni e li stritolassero con artigli rapaci. No, non avrebbe pensato ai morti, se non quando pregava per loro. Stava per tornare dai vivi, a casa sua, da sua madre, e Bran, e Rickon.
Sempre che il Mastino mantenga la sua promessa.
Rabbrividì di nuovo, ma stavolta non per il freddo. La spoglia pianura intorno a lei, costeggiata da qualche albero e da un’infinità di erbacce e piante appassite, su cui si stendeva un cielo nero come un sotterraneo, con poche stelle e un’esile falce di luna, le parve ancora più cupa e tenebrosa. Si rannicchiò accanto al fuoco che lui aveva acceso con una certa riluttanza, allungando timidamente le mani per scaldarsi al tepore delle fiamme. Doveva avere le labbra bluastre e un colorito tutt’altro che sano. Ma quando mai, da che Joffrey l’aveva fatta prigioniera, aveva avuto un colorito sano? Perlomeno ora era libera.
Aveva accettato di fuggire con Sandor Clegane nell’infuriare della battaglia tra Stannis e i Lannister, senza riflettere affatto, mossa soltanto dal desiderio di fuggire da Approdo del Re e soprattutto dal suo mostruoso fidanzato e di andare lontano, con la speranza di poter riabbracciare sua madre. Tutto quanto sarebbe stato migliore dell’orrida cattività che aveva dovuto sopportare. Il Mastino l’aveva posata sulla sella di uno stallone da guerra come se pesasse meno di una piuma ed erano andati via al galoppo, approfittando del caos e delle tenebre, allontanandosi dall’incendio che consumava le navi amiche e nemiche e dal castello che, nella gioia e nello stupore di Sansa, era divenuto sempre più piccolo e inoffensivo. In un primo momento l’esaltazione di essere finalmente libera e lontana da Joffrey, oltretutto, l’aveva sopraffatta, e aveva pianto silenziosamente lacrime di felicità pura che il suo cupo accompagnatore aveva osservato di sottecchi, poi, dopo aver cavalcato un’intera giornata per mettere più distanza possibile tra loro e i Lannister, il Mastino si era fermato e aveva montato il bivacco ai piedi della quercia. Vedendola tremare aveva acceso il fuoco, pur con il consueto timore, poi era andato a caccia nelle vicinanze, lasciandola lì.
E Sansa aveva iniziato ad avere paura.
Sandor Clegane l’aveva salvata. Due volte. Sapeva, sentiva che non le avrebbe fatto del male. Aveva ucciso tantissime persone e gli era piaciuto farlo, ma per qualche strana ragione che tuttora non le era chiara, non le avrebbe torto neanche un capello. Però non si fidava di lui. Era pieno di rabbia e di odio, il suo volto deturpato la atterriva tuttora e sembrava agire solo per se stesso. L’avrebbe davvero portata a Grande Inverno dalla sua famiglia? Oppure…si sarebbe approfittato di lei?
Bastò il pensiero a farla arrossire violentemente e a spingerla a stringersi nel vestito troppo leggero, l’unico indumento che si era lasciata addosso nella concitazione della fuga. No, non si fidava del Mastino come di chiunque altro, ma aveva troppa paura per scappare. E poi…dove sarebbe andata? Non era bene che una fanciulla si aggirasse sola e disarmata in terre disabitate, sarebbe stata alla mercé di chiunque. Clegane era la sua unica speranza. E poi…non era crudele come voleva far sembrare. Aveva difeso ser Loras dal fratello Gregor e aveva ucciso i suoi assalitori durante la Rivolta del Pane. Certo non era un vero cavaliere, ma nemmeno una bestia.
Per farsi coraggio, Sansa estrasse dal corpetto la bambola che suo padre le aveva regalato (e che lei aveva rifiutato con sdegno, cosa per cui si sentiva terribilmente in colpa) e se la strinse al seno, cullandola dolcemente. Le sembrava quasi di avere vicina una parte di Ned Stark. Il sangue del suo primo flusso mestruale, nel frattempo, colava lento nelle pezzuole e nell’ovatta con cui aveva foderato la biancheria intima, quel sangue che avrebbe dovuto incatenarla per sempre a Joffrey.
Spero davvero tanto che Stannis lo uccida…
Un fruscio smosse la fitta macchia di cespugli al di là della quercia e la fanciulla trasalì, spaventata, alzando la testa di scatto e raggomitolandosi su se stessa come un topolino spaventato.
“Non t’irrigidire così, uccelletto” grugnì una voce ruvida e raschiante, mentre una sagoma massiccia, avvolta in un’armatura annerita e chiazzata di sangue, emergeva dalla vegetazione trascinandosi dietro la carcassa di un giovane cervo: “Le tue urla si sentirebbero ad un miglio di distanza”.
Sansa arrossì, vergognosa, ma tuttavia innegabilmente rassicurata, rilassando i muscoli e sollevando uno sguardo pieno di timore su Sandor Clegane. I capelli scuri dell’uomo erano arruffati, così come la barba, e le piaghe che gli deturpavano metà del viso così orribili a guardarsi che fu costretta a posare gli occhi sul terreno. No, non assomigliava affatto ad un vero cavaliere. Né ne possedeva i modi. Non era mai riuscita a fare i conti con il suo sarcasmo e la sua rabbia sempre presenti. Non era come ser Loras, sempre gentile e galante, pronto ad esaudire ogni desiderio di una dama.
Ma anche Joffrey era così, un tempo. Prima di rivelare la sua vera natura.
Un lieve ghigno di derisione torse la bocca del Mastino: “L’uccelletto si diletta con uno dei suoi graziosi balocchi?”
Sansa si rese conto di avere ancora la bambola in grembo e si affrettò a ficcarla di nuovo nel corpetto, sentendo il calore sulle guance e sulle orecchie. Non stava guardando Sandor, ma ebbe l’impressione che ridesse silenziosamente di lei e della sua ingenuità. Strinse i pugni in un moto di orgoglio: “È un dono di mio padre” affermò, con voce molto meno sicura di quanto avrebbe voluto.
Il Mastino, sempre con il ghigno sghembo sulle labbra rovinate, si tolse di spalla il cervo morto e lo appoggiò sul terreno senza alcuna fatica, diffondendo intorno un lieve odore di sangue: “E così è questo che ricevevi in regalo dal Lord di Grande Inverno, graziose bamboline? Sì, in effetti sono adatte a te. Sembri una donna…il viso, il corpo…ma non lo sei, vero? Sei sempre il solito uccellino ammaestrato”.
Sansa levò il mento come avrebbe fatto una lady di casa Stark, cercando di reprimere l’umiliazione. Era stata già umiliata abbastanza, non si sarebbe abbassata anche adesso: “Io sono una donna”.
Sperava di impressionarlo, ma tutt’al più lui parve divertito. Le gettò un rapido sguardo, sferzandola con i suoi occhi scuri, ferali, rabbiosi: “Certo, dimenticavo. Hai sparso il tuo fiore rosso per la gioia di quella puttana dai capelli biondi. Questo, secondo lei, dovrebbe fare di te una donna. Ma non basta sanguinare, uccelletto. C’è molto altro che devi provare”.
Sansa avvampò vistosamente e voltò il viso come se si fosse scottata, a metà tra lo sconvolgimento e l’imbarazzo: “Q-questi…non sono argomenti consoni, ser”.
“Non sono un ser” ringhiò lui, accigliandosi e sputando uno scaracchio di saliva a terra per dimostrare cosa pensava dei ser: “L’uccellino tende a dimenticare le cose. Sono una bestia. Un Mastino”.
“Un Mastino senza più padrone…” mormorò Sansa, quasi tra sé.
Ma lui la udì. Lui udiva tutto: “Esatto” sibilò, ponendo nella parola un’acredine tale che la ragazza se ne sentì scalfita come se fosse stata un colpo di frusta: “Un Mastino randagio senza più guinzaglio che farà quello che gli pare e ammazzerà chi cazzo gli pare. Non darò più motivazioni a nessuno, né a quel moccioso del re, né a quel fottuto Folletto. Devo rendere conto solo a me stesso” con gesti irosi, tolse un coltellaccio dalla lama incrostata di sangue secco dallo stivale e si inginocchiò presso la carcassa del cervo, la metà ustionata della faccia che si contorceva in quella smorfia che Sansa temeva di un timore sacro. Per qualche istante rimase in silenzio, inspiegabilmente colpita, mentre il vento fischiava appena e la luna li scrutava da una coltre di nubi nere.
“Utilizzerai la tua libertà per uccidere?” domandò infine, con un tono accusatorio che Sandor colse subito.
“Per uccidere e fare molto altro, uccelletto” rispose, aprendo il ventre del cervo con un movimento esperto e riversando viscide interiora dal fetore pestilenziale che spinsero Sansa a ritrarsi in preda al raccapriccio e ai conati di vomito. L’uomo sogghignò del suo disgusto: “Sono stato in gabbia troppo a lungo, proprio come te. E un Mastino, pur essendo fedele, inizia a mordere la museruola se lo tengono prigioniero”.
Sansa sentiva di essere sul punto di vomitare da un momento all’altro, ma era sicura che non avrebbe incontrato comprensione, ma solo scherno, così chiuse gli occhi, inspirando a fondo e cercando di non far caso alla puzza nauseabonda emanata da quelle cose simili ad un viluppo di vermi, e quando il giramento di testa si acquietò e la paura di crollare svenuta venne meno, trovò la forza di parlare di nuovo: “Perché…perché insisti a paragonarti ad un cane?”
Il volto di Clegane, che pareva immune al lezzo dei visceri dell’animale, si irrigidì, le dita callose strinsero più saldamente il manico del coltellaccio; iniziò ad incidere la carne del cervo e a scuoiarlo con rabbia, come se stesse straziando una vittima ancora viva: “I cani non sono ipocriti e bugiardi come i tuoi fottuti cavalieri, uccelletto. I cani dicono la verità, sempre”.
“Ma anche i cavalieri…” incominciò Sansa d’impulso. Poi si bloccò.
No. No, i cavalieri non dicevano la verità. I cavalieri erano proprio come Sandor li aveva descritti. Nessuno di loro l’aveva aiutata. E ser Meryn non aveva esitato neppure un secondo a picchiarla quando Joffrey glielo aveva ordinato. Se fossero stati dei veri cavalieri non si sarebbero comportati così. Avrebbero fatto come suo padre o ser Barristan Selmy, entrambi puniti per il loro onore.
Forse il Mastino aveva ragione. Forse, sotto il reame di Joffrey, non sarebbero più esistiti dei veri cavalieri.
Ma allora che senso avrà, tutto quanto?
Rabbrividì fin nelle ossa, avvertendo l’ombra incombente del sovrano-ragazzino persino lì, in quella desolazione, lontana da Approdo del Re. Chissà chi aveva vinto la battaglia. Chissà se Joffrey e la regina Cersei erano vivi. Sperava che fossero morti tutti quanti. Tranne il piccolo Tommen, lui non aveva colpa di quanto successo. E il Folletto, egli in fondo l’aveva salvata ed era stato l’unico a prendere le sue difese.
Un paio di robusti stivali di cuoio si fermarono vicino a lei e Sansa, con un sussulto, si accorse che Sandor Clegane aveva interrotto la sua macellazione per venirle accanto. Torreggiava sopra di lei nella sua spaventosa stazza, scrutandola con uno sguardo freddo e indecifrabile, e di riflesso si rannicchiò in una posa spaurita, sentendosi più che mai piccola e indifesa al cospetto del guerriero gigantesco. La notte rendeva sbiadito il suo volto ustionato. In silenzio, l’uomo si sfilò la lacera cappa bianca macchiata di sangue secco e gliela gettò addosso: “Copriti, uccelletto” borbottò, la voce cupa come una sega sfregata contro un ciocco: “Stai tremando”.
Stupita, Sansa si avvolse istintivamente nel grande mantello di lui, che la avvolgeva dalla testa ai piedi come una coperta, e captò il suo odore, un misto di vino, cuoio e sudore. Era un odore così forte, così autentico da stordirla. Non era come quello di Joffrey, mascherato da profumi e lozioni speciali. Giocherellando con la stoffa grezza, mormorò: “Grazie”.
Sandor Clegane serrò le labbra, come se la sua risposta lo avesse irritato, e riprese a scuoiare il cervo morto, appoggiando porzioni di carne rosacea sulle braci rosseggianti per cuocerle. Lo spadone a due mani, issato sulla schiena, luccicava debolmente nell’oscurità.
“Lo hai fatto altre volte?” domandò coraggiosamente la fanciulla.
“Cosa, uccelletto?” sbraitò lui, in un tono secco che forse, poco prima, l’avrebbe convinta a cucirsi la bocca. Ma ora…dopo che le aveva offerto il suo mantello per scaldarsi, esponendosi al freddo…ora no. Si portò una ciocca fulva dietro l’orecchio, facendosi forza.
“Hai dormito all’aperto altre volte? O sei sempre stato…”
“…il Mastino del piccolo Joffrey?” completò Sandor al suo posto. Produsse un sorriso aspro, privo di allegria: “Sì, uccelletto, ho dormito all’aperto altre volte. Da ragazzo, soprattutto. Mi piace. Non sento puzza di menzogne e di falsità come in qualsiasi fottuto palazzo. Posso respirare”.
Quelle affermazioni colpirono Sansa. Anche lei aveva sempre avvertito un senso di soffocamento ad Approdo del Re, un’oppressione al petto che la notte la portava a contorcersi sotto le coperte, in preda agli incubi e al terrore del bellissimo volto maligno di Cersei e a quello angelico e mostruoso di Joffrey. Spesso aveva sognato la regina che la strangolava con le sue dita affusolate, o il ragazzino che le strappava i vestiti di dosso e le lanciava contro frutta di ogni tipo, inondandola di succo come il giorno in cui l’aveva fatta picchiare. Si arrischiò a guardare la faccia deturpata del Mastino, e anche se le cicatrici erano terribili, riuscì a sopportarle.
“Cosa…cosa facevi, quando eri ragazzo?” domandò, esitante, provando ad immaginare quell’uomo rude e feroce come suo coetaneo. Un’impresa difficile. Forse Sandor era diventato ciò che era fin da piccolo, quando il fratello gli aveva spinto il volto nel fuoco e ce lo aveva tenuto dentro finché metà di esso non si era liquefatta.
Clegane contrasse le mascelle: “Non sono cose che devono interessarti, uccellino” slacciò dalla cintura una fiaschetta di vino e ne bevve un sorso a canna, avidamente, incurante se il liquido gli tracimava ai lati della bocca. Ingurgitatane una buona quantità, porse la fiasca a Sansa: “Ne vuoi? Potrebbe riscaldarti”.
La fanciulla si tirò indietro immediatamente, sbiancando: “No!”
Anche la regina Cersei le aveva offerto del vino la notte prima, obbligandola a bere. Il sapore non le era dispiaciuto, ma aveva odiato sentirsi costretta, mandarne giù sorsate su sorsate solo perché quella donna, completamente ubriaca, lo desiderava.
“Come vuoi” grugnì il Mastino: “Ma ti avverto, uccelletto, non ho dell’acqua con me. Al diavolo l’acqua! Se ti verrà sete, dovrai piantarla di fare la preziosa e porre le tue graziose labbra dove sono state le mie” scoppiò in una risata simile ad un latrato: “Sempre che il tuo ribrezzo non sia troppo forte”.
Sansa chinò il capo, nascondendosi dietro ai lunghi capelli ramati. In lontananza un gufo chiurlò, levando il suo lugubre richiamo, e le parve di udire, esile e ovattato, l’ululato di un metalupo.
Lady…
Quanto le mancava. Era stata una delle tante cose che i Lannister le avevano portato via e all’epoca aveva preferito incolpare suo padre anziché Joffrey e Cersei, cieca e stupida com’era. La sua metalupa non aveva fatto niente, eppure quei mostri l’avevano sacrificata lo stesso…solo per soddisfare la loro brama di vendetta. Se fosse stata con lei, avrebbe potuto proteggerla e cacciar via i nemici.
“Uccellino…”
Il richiamo impassibile di Sandor la riscosse e sollevò a fatica gli occhi su di lui, scoprendo un’espressione strana, illeggibile, sui suoi tratti feroci.
“Non devi piangere, uccellino” proseguì l’uomo, più dolcemente.
Sansa non si era neanche accorta della lacrima traditrice che le stava scivolando sulla guancia. Piangeva per Lady, per suo padre o per la ragazzina innocente e spensierata che era stata? Forse per tutte e tre le cose. Si vergognava di mostrarsi così al Mastino, ma a quell’uomo non sfuggiva nulla, e lei non era mai stata brava a fingere, certo non quanto Cersei o Petyr Baelish.
Sandor lasciò la carne appena macellata a cuocere sul fuoco e le si accostò, cavando di tasca un fazzoletto lercio e bisunto: “Sta ferma” berciò rudemente, chinandosi su di lei e asciugandole la lacrima come le aveva asciugato il sangue dal labbro il giorno in cui Joffrey si era mostrato per quel che era, con insolita delicatezza. E come allora, Sansa lo lasciò fare, immobile, ma protendendo appena appena il viso verso di lui per facilitargli l’opera. Era… piacevole sentirsi toccare così, con riguardo, senza cattive intenzioni. Da così tanto tempo non godeva più di un contatto umano. Si aprì in un debole, incerto sorriso, un sorriso che parve sbalordire il Mastino come mai era capitato prima: “Grazie per avermi portata via da lì” bisbigliò: “Grazie per avermi liberata”.
Sandor Clegane aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse. Come se davvero avesse lasciato senza parole quell’uomo tanto arido e feroce. Alla fine, scostò il fazzoletto dalla sua pelle bruscamente, allontanandosi da lei, e le voltò le spalle: “L’uccellino è sempre pronto a dispensare le sue paroline cortesi…” ringhiò: “Le hai imparate a memoria dalla tua septa?”
Sansa trasalì, con la sensazione di aver appena ricevuto uno schiaffo. Credeva di aver raggiunto una tregua con lui, di averlo capito e di essere stata capita, e invece l’aveva offesa ancora, ancora l’aveva sferzata con le sue parole animalesche. Scattò in piedi di colpo, rossa in faccia, con gli occhi scintillanti di improvvisa collera: “Perché devi sempre essere così pieno di odio?” esclamò, la voce incrinata dal pianto in arrivo: “Io ti stavo ringraziando!”
Le cicatrici di lui sembrarono muoversi oscenamente insieme al ghigno derisorio con cui la omaggiò: “Me ne sbatto dei tuoi ringraziamenti, uccelletto. Vanno bene per stronzetti come quel Tyrell, non certo per il Mastino. Io ci piscio sopra alle buone maniere!”
Il suo linguaggio sboccato la faceva ancora avvampare, ma stavolta non lasciò che l’imbarazzo prendesse il sopravvento; era una Stark di Grande Inverno ed era libera, non doveva più chinare la testa: “Vorrei che ci fosse ser Loras al tuo posto!” strillò, detestandosi per le lacrime che ricominciavano a sgorgare: “Lui non mi avrebbe parlato così!”
Mentre lo diceva, si rese conto che era una bugia. Aveva sempre guardato il bellissimo Cavaliere di Fiori con occhi sognanti, ma lui non si era più curato di lei dopo averle donato quella rosa al torneo, non le aveva dedicato la minima attenzione. Forse Clegane non era cortese come il giovane Tyrell, ma perlomeno aveva fatto qualcosa per lei.
Le rise in faccia, una risata aspra, raschiante, bestiale, ruvida come acciaio contro acciaio: “E allora batti le alucce e vola da lui, uccellino! Coraggio, corri dal tuo damerino, imploralo di salvarti! Usa le tue dolci paroline con lui, magari in cambio ti farà un bell’inchino!”
“Credo che lo farò!” singhiozzò infantilmente Sansa, scagliando a terra la cappa che le aveva prestato e avviandosi incontro al nulla, con perfetta illogica, a passi rapidi e malfermi, lottando contro il macigno che per chissà quale motivo le opprimeva il petto. Stava piangendo per il Mastino? Non aveva alcun senso. Lui era un assassino, un macellaio. Non era un vero cavaliere. E non meritava niente, tantomeno le sue lacrime. Sciocca com’era aveva creduto che…ma naturalmente l’aveva smentita. Era come tutti gli altri uomini, pieno di vuote promesse e abili bugie. E lei aveva sbagliato a fidarsi di lui, a seguirlo fuori da Approdo del Re. Non sarebbe mai dovuta fuggire. Certo non poteva aspettarsi che l’avrebbe riportata a Grande Inverno.
“Uccellino!”
Serrò i denti, continuando a camminare. Era stanca di accorrere servizievole ad ogni richiamo. Septa Mordane l’aveva sempre elogiata per la sua docilità e la sua remissione, ma era finito il tempo di interpretare la parte della fanciulla sottomessa e mansueta. Era lady Sansa della casa Stark, figlia di Eddard e di Catelyn, sorella di Robb, Arya, Bran e Rickon, e per una volta almeno avrebbe portato onore al suo nome. Cercò di asciugarsi le lacrime, senza troppo successo.
“Uccellino, fermati, dannazione!”
Una mano d’acciaio l’agguantò per il braccio esile, stritolandoglielo in una morsa forte, seppure delicata. Iniziò a divincolarsi: “Lasciami stare! Che cosa vuoi da me?!”
Sandor Clegane produsse un sordo grugnito, tenendo a bada senza fatica i suoi contorcimenti e facendola ruotare su se stessa con un solo, secco strattone, di modo che si trovasse girata verso di lui: “Smettila di agitarti!” le intimò.
“No!” come una bambina, Sansa lo prese a pugni sul petto senza fargli alcun male: “Perché mi tratti così? Volevo solo ringraziarti!”
“Lo so, uccellino, lo so” replicò lui con un tono calmo che non gli aveva mai sentito. Lo guardò negli occhi e lui sembrò reprimere una risata, scostandole i capelli arruffati dalla fronte e asciugandole le lacrime con i pollici: “Mi dispiace. Non volevo provocare la tua furia”.
“Ti stai prendendo gioco di me?” berciò Sansa, stizzita.
“Niente affatto, uccelletto” sogghignò lui, continuando ad accarezzarle i capelli con quella delicatezza tanto sconcertante per la sua stazza: “Quando arruffi le penne sei davvero temibile”.
Nonostante la sua rabbia, la ragazza si ritrovò a sorridere suo malgrado in mezzo ai singhiozzi, sentendosi stupida e sollevata al tempo stesso. Si aggrappò agli avambracci massicci di lui, osservandolo, seria, senza distogliere gli occhi come faceva di solito: “Mi riporterai davvero al nord?”
Sandor ricambiò lo sguardo in silenzio, l’espressione imperturbabile.
“Sì” rispose infine, secco. Non promise. Non era un ser e i “non-ser” non promettono.
 
Consumarono la rustica cena in silenzio. Sansa doveva ancora calmarsi del tutto e Sandor Clegane era sempre stato un tipo di poche parole. Sbranò la sua porzione di carne in quattro avidi morsi, innaffiandola con abbondanti sorsi di vino, mentre la fanciulla mangiucchiava la propria con esitazione, poco abituata al sapore sanguinolento, alla consistenza dura e fibrosa e ai muscoli che le scricchiolavano sotto i denti. Ad un certo punto allontanò ciò che restava del suo pezzo di cervo e il Mastino ridacchiò, affilando la spada con una cote appuntita: “Dovrai imparare a rafforzarti quei dentini se non vuoi crepare di fame”.
Il freddo, con l’addensarsi delle tenebre, si era fatto più intenso e pungente. Sansa tremava come una foglia nel mantello bianco della Guardia, così vicina al fuoco da rischiare di bruciarsi (il suo compagno non si avvicinava mai troppo, invece) e continuava a soffiarsi sulle mani senza risultato. Aveva i muscoli intorpiditi e le dita rigide e aveva la sensazione che le ossa le si fossero bagnate. I lunghi capelli le coprivano le orecchie, ma esse dolevano lo stesso, e la gola iniziava a bruciarle. Sì, era abituata al gelo, ma non aveva mai dormito all’addiaccio e ricordava con rimpianto il focolare sempre acceso nella sua stanza, le pelli in cui si avvolgeva prima di assopirsi e i piatti di rame che le servette ponevano sul letto per riscaldarlo.
“Ti stai congelando, non è così, uccelletto?” le disse Sandor ad un certo punto, che non l’aveva mai persa di vista. Finito di affilare la propria arma si era appoggiato al tronco della quercia, a braccia conserte, e i suoi occhi brillavano lievemente nel buio.
Sansa arrossì: “È solo…il vento”.
“Lo so” l’uomo fece una smorfia: “E andrà sempre peggio via via che ci avvicineremo alle fottute terre di tuoi padre. Ma a me non dispiace, il freddo. È il caldo che non sopporto” tacque per qualche istante, riflettendo. Poi le fece un cenno con la mano: “Vieni qui”.
La fanciulla si irrigidì, arretrando impulsivamente da lui con le orecchie in fiamme. Il Mastino produsse il suo consueto ghigno storto, deridendola.
“Non voglio attentare alla sicurezza dell’uccellino” le assicurò: “Saranno altre le donne che cercherò quando avrò quel tipo di bisogno”.
Sansa chinò bruscamente il capo. Anche le sue gote, ora, erano in fiamme.
“Voglio solo farti stare più al caldo” proseguì lui: “Ma se non riesci a starmi vicino, congela pure, uccelletto”.
Quelle ultime parole le parvero una sorta di sfida. Aveva l’aria d’essere certo che lei non avrebbe osato accostarsi. E forse, fino al giorno prima, non lo avrebbe fatto. Sarebbe stato disdicevole e poi lui…lui le faceva paura.
Ma l’aveva liberata dalla sua gabbia. Le aveva detto che l’avrebbe riportata a Grande Inverno. E, per quanto fosse assurdo, Sansa, adesso, si fidava di lui.
Ignorando il cuore che le batteva all’impazzata nel petto come una falena impazzita, aggirò il focolare, raggiungendo la quercia e il Mastino che l’aveva seguita con i suoi occhi vigili e rabbiosi, e si distese accanto a lui, con il corpo che sfiorava appena quello del compagno, dandogli la schiena per nascondere l’imbarazzo. Non era mai stata così vicina ad un uomo e una voce nella sua testa le urlava quanto fosse immorale e vergognoso, soprattutto poiché l’uomo in questione era stato la guardia del corpo di Joffrey e uno dei suoi nemici, nonché un assassino efferato, ma un’altra voce, nata da poco, una voce intraprendente che terrorizzava e affascinava Sansa, mise a tacere la prima. Aveva bisogno di scaldarsi, e il corpo di lui, così possente, avrebbe prodotto calore in quantità.
Dopo un primo istante, sentì le braccia del Mastino circondarla delicatamente, come se avessero timore di romperla, e realizzò di essere probabilmente la prima persona che lui avesse toccato con tanto riguardo. E l’idea la lusingò. Si irrigidì un poco, ma non si ritrasse, anzi, superando l’agitazione, si accoccolò contro il petto di lui, godendosi il tepore che emanava e socchiudendo le palpebre.
“Uccellino…” sussurrò la voce raschiante di Sandor mentre Sansa iniziava a scivolare in un denso, pastoso stato di dormiveglia, cullata dalle braccia di lui e avvolta dal suo odore di vino, cuoio e sudore. Quasi le sembrava di vivere un sogno. Fino al giorno prima, era prigioniera ad Approdo del Re, vittima preferita della tirannia di Joffrey e ostaggio da usare come arma di ricatto contro Robb, e adesso dormiva all’aperto come una contadina, sotto i rami di una quercia, in compagnia di Sandor Clegane, pressoché abbracciata a lui, cosa che oltretutto le faceva piacere. Forse non era accaduto davvero…forse era ancora nel palazzo dei Lannister…forse aveva rifiutato l’offerta del Mastino e aveva preferito rimanere in gabbia, come il bravo uccelletto ammaestrato che era.
“Sì?” soffiò, insonnolita, girandosi impulsivamente verso di lui e trovandosi vicinissima al suo volto deturpato, ai suoi occhi che la fissavano febbrili. Eppure non provò repulsione. Che strano. Probabilmente non l’avrebbe provata mai più.
Esitante, quasi per la prima volta sentisse di dover soppesare le parole, Sandor le sfiorò una guancia con la punta delle dita e immerse lo sguardo nel suo, in un contatto visivo diretto che non avevano mai avuto prima: “Ti terrò al sicuro, uccellino” mormorò, concitato: “Nessuno ti farà del male. Se ci proveranno li squarterò vivi. Non dovrai più soffrire. Non sono come quel bastardo di Joffrey”.
“Lo so” rispose Sansa con un lieve sorriso.
Lui le afferrò una ciocca di capelli, stringendola con vigore quasi rabbioso mentre i lineamenti piagati si contorcevano in una smorfia ferale: “Ucciderò chiunque oserà ferirti. Se ti torceranno anche un solo capello…”
È come un vero cavaliere. Le sue frasi non sono delicate, ma sono da vero cavaliere.
Intontita dal sonno e dal lento, sconosciuto languore che le si faceva strada nel ventre, Sansa si sporse in avanti, inconsapevole di ciò che faceva, e lo baciò sulla bocca rovinata come le dame baciavano i loro nobili cavalieri nelle ballate. Non era Jonquil e certo lui non avrebbe mai potuto interpretare Florian, ma sentì che era la cosa giusta da fare.
Forse è solo un sogno…
Il Mastino reagì con sorpresa a quel contatto intimo e delicato, al bacio inesperto di una ragazzina che nulla aveva di abile o di seducente, ma lo accolse con improvviso, insospettato ardore, stringendola a sé e seppellendola nel suo petto, e ricambiò con una voracità animalesca che in fondo Sansa si aspettava da lui e che la atterrì meno di quanto avrebbe dovuto; egli affondò le mani nella chioma ramata della ragazza, lacerando con le unghie il tessuto impalpabile del suo abito azzurro, e le divorò le labbra come se avesse vagato in un deserto per anni e lei gli avesse offerto una brocca d’acqua. La sua bocca sapeva di vino, ed era strano, ma in un modo che Sansa trovò irresistibile, proprio perché diverso da come si era aspettata, proprio perché lui era l’ultima persona a cui mai avrebbe pensato di regalare il suo primo vero bacio.
Quello con Joffrey non contava. No, non contava niente.
Quando si separarono, ansimanti, e lui soffiò: “Uccellino…” Sansa si accorse delle lacrime che gli rigavano le guance. Allungò una mano e le asciugò con tenerezza, senza che Sandor si scostasse o le ringhiasse contro, ma anzi, l’uomo chiuse gli occhi ed esalò un lungo gemito, prestandosi subito alle sue carezze. Il cane selvatico era infine stato addomesticato e sarebbe stato fedele al compagno che si era scelto da sé per sempre.
E anche lei gli sarebbe stata fedele. Anche lei avrebbe potuto amarlo e vivere con lui felice per l’eternità, com’era giusto che fosse.
“Dormi, Sansa” le disse con voce rotta, accarezzandole i capelli.
E Sansa Stark si addormentò tra le sue braccia sentendosi finalmente, per la prima volta da mesi, al sicuro e a casa.
 
Angolo autrice: Questa shot è nata per tre motivi: primo, sono una SanSan fino al midollo e scrivere di questi due mi manda in brodo di giuggiole. Secondo: tempo fa, postata la mia prima shot su codesti tesori, parlavo con una fan della coppia della possibilità di un bacio passionale tra loro e da qui è nata tale…cosa. Terzo: la mia carissima Beauty apprezza a sua volta la SanSan e la cosa ha funto da incentivo : ) non linciatemi se è venuta male, ho fatto del mio meglio, li shippo da morire ma come sappiamo Martin li ha separati troppo presto e Sansa non ha avuto il tempo di realizzare quanto lui fosse perfetto per lei…quindi ho dovuto mettere le cose in un modo per cui finalmente si decideva a ricambiare il suo evidente sentimento. Speriamo bene! Spero che lascerete una recensioncina, mi farebbe piacere!
Un bacio,
Sylphs
 
 
  
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