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Autore: Viola Plummer    10/10/2013    4 recensioni
Prima di allora non avevo mai tenuto un diario, solo libri di contabilità. Il resto non mi interessava, o per lo meno non mi sembrava importarte prendere nota dei dettagli per ricordarli a lungo termine. Ma al terzo giorno che, mentre ero seduta alla mia scrivania concentrata nel prepararmi per l'esame d'ammissione della Todai, la porta della mia stanza sbatteva e la finestra si apriva da sola sul mio naso, senza che soffiasse un alito di vento... beh, decisi che prendere nota di fatti ed orari era una buona misura cautelativa per salvaguardare la mia igiene mentale. Faceva caldo, era estate e l'anno scolastico volgeva al termine.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nabiki Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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fanfic-cap11 Merda.

- Ma tu avevi detto che ti eri convinta che Ranma non c'entrava nulla... -

Merda.

- Perché hai firmato una cosa del genere dopo quello che hai detto stamattina? E dopo quello che ti ho detto ieri sera...?

Cosa ci siamo messi a fare?

- Nabiki, tu non avrai mica aspirazioni suicide vero? Non è che vuoi morire per qualche oscura ragione e non ci hai detto nulla?

Le scommesse sui cavalli?

- Perché fare una cosa del genere è suicida. Al 100% kamikaze. Perché l'hai fatto?

Che gli avrà detto la testa a quel pazzo di Tofu?

- Forse sei ancora in tempo per ritrattare, per andare da Obaba e dirgli che c'è stato un grosso equivoco, che il dottor Tofu credendo di aiutarti ha fatto una sciocchezza senza sapere...

Quel Tofu... sta fuori come uno zerbino

-
... per evitare la condanna a morte!

Morte?

- Quale condanna a morte, scusa? Non mi pare che sia stata emessa nessuna sentenza, no?
Finalmente riuscii a sollevare lo sguardo da quel pergamenone infame e a guardare Akane dritto negli occhi. La sbruffonaggine non mi veniva proprio spontanea e risultare credibile mi costò uno sforzo notevole. Ma glielo dovevo. Ammettere di starmela facendo sotto avrebbe voluto dire avallare la sua assurda teoria dell'unilateralità e dare un colpo letale alla sua già barcollante autostima.
- Non ti preoccupare, questa dopotutto è opera del dottor Tofu. E del dottore ci si può fidare... no? - non sapevo bene se stavo cercando di convincere Akane o di autopersuadermi che fosse davvero così. Probabilmente entrambe le cose.
- Ma magari l'ha scritto Mousse e Tofu ha dato la sua approvazione mentre Kasumi passava di là e non era in sé! -
- Se Kasumi avesse visto questo coso prima di noi a quest'ora il testo sarebbe sporco di litri di sangue del caro dottore anziché di qualche goccia del nostro. E stasera ceneremmo anatra all'arancia alla giapponese - mormorai quasi tra me e me e nessuno capì il vero senso delle mie parole perché nessuno aveva ben chiaro cosa stesse passando per la testa di quella paranoide monomaniacale di Kasumi, ma io in quel momento stavo più che altro pensando che sarebbe stato bello, davvero bello, se la sorellona li avesse colti in fragrante, al dottore e al papero, salvandomi da questo delirio.
Come aveva potuto? Come aveva potuto fare una cosa così avventata una persona seria e sensata come il dottore?

Povera me.

- Ad ogni modo sarà bene che io gli parli, se non altro per capire cosa ha in mente. Ma non è proprio il caso di farsi prendere dal panico. Quindi vi pregherei di starvene tranquilli per un po'.  Adesso la zia Saotome ci prepara uno spuntino freddo, io intanto vado a darmi una rinfrescata. E vedo se riesco a convincere Kasumi ad uscire da lì e a farmi cambiare la medicazione all'occhio. -
- Se preferisci posso farlo io, cara. -
- Lo so zia Saotome, ma preferisco fare almeno un tentativo. Anche se non in realtà non ne ho nessuna voglia, credo sia meglio così. -

Alle sette esatte del pomeriggio di quel giorno infausto uscivo dalla doccia con il morale sotto i piedi e una gran voglia di mettermi a piangere. Mi diressi verso lo specchio sopra il lavandino per vedere lo stato in cui versava la mia faccia. Dovetti rimuovere un po' di condensa con il palmo della mano per riuscire a distinguere qualcosa. Ebbene sì, quella ero proprio io. Tristemente palliduccia a causa del poco sole che avevo potuto prendere per colpa dello studio, lo stacco cromatico tra il bianco dell'asciugamano che tenevo legato sotto le braccia e il mio incarnato era quasi impercettibile. Faceva ovviamente eccezione il mio bell'occhio nero, ancora così gonfio da restare praticamente del tutto chiuso. Quanta miseria. Mi asciugai alla meglio i capelli senza l'uso di apparecchi elettrici ché non volevo correre rischi - e poi tanto faceva così caldo che certo non rischiavo un raffreddore, - mi vestii rapidamente - minigonna di jeans chiara e una canottiera a righe bianche e rosse - e uscii di lì. Prima di tutto andai in cucina a spizzicare qualcosa, poi sospirando salii di malavoglia al piano di sopra decisa ad affrontare le ire di Kasumi. Agli occhi di tutti andavo a consolarla, a prendermi cura di lei, magari a chiarire un equivoco e a spiegarmi... in realtà sapevo bene che l'unica cosa intelligente che potessi fare sarebbe stato farmi nuovamente coprire da una valanga di insulti, lasciarla sfogare, sforzarmi di non reagire - sai che sforzo! con la stanchezza che avevo addosso... - e quindi andarmene quando si fosse sentita soddisfatta, almeno un po'. Il fatto era che non avevo proprio nessuna voglia. Peccato che questo non avesse la benché minima importanza.
Mentre salivo le scale strascicando i piedi, Genma mi chiese se fosse proprio necessario, strappandomi un sorriso amaro. Assurdo che fosse l'unica persona a preoccuparsi per me con un minimo di cognizione di causa. Davvero assurdo.

- Kasumi? -
- Vattene - la sua voce più che dura suonava lacrimevole, leggermente tremula.
- Vorrei solo che mi medicassi di nuovo l'occhio, ho fatto la doccia e la benda si è tutta bagnata... -
- Non mi interessa. Non voglio vederti. -
Emisi un sospiro che in effetti assomigliava più ad uno sbuffo ed entrai. Aveva tirato le tende e la stanza era immersa nella penombra. Se ne stava stesa sul letto, la faccia sprofondata nel cuscino, dava l'idea di aver appena spesso di singhiozzare. Che palle.
- Si può sapere che ti ho fatto? - chiesi lasciandomi cadere sulla sedia accanto al suo letto.
- Tutto! -
- Tutto? Come sarebbe tutto? - questa versione di lei in stile bambina imbronciata quasi mi faceva sorridere, non fosse stata una seccatura immensa doverci avere a che fare in circostanze simili. -
- Tu! Tu hai fatto quanto di peggio una persona possa fare ad una sorella! Mi hai usata, raggirata, manipolata, mi hai fatto giurare il falso col sangue! Col sangue! - che visione melodrammatica della cosa...
- Uhm. Ma lo scopo finale era raggirare Cologne e salvarci la pelle tutti quanti. Tu mi hai solo involontariamente aiutata, come io ho involontariamente portato a termine il piano di Tofu. -
- Non raccontare frottole! Quel documento nascosto, quell'accordo con Joketsuzoku, quella è opera tua. Le tue promesse sono parole al vento. Parli con lingua biforcuta, donna più o meno bianca. Cerchi di dirmi quello che voglio sentirmi dire per tenermi buona, perché pensi che io sia una cretina, un'idiota fuori da tempo con dei valori inutili, antiquati. Non me ne faccio nulla delle tue menzogne io. Preferirei che mi dicessi chiaro in faccia che intenzioni hai, invece di gettarmi fumo negli occhi. Che credi di fare, Nabiki? Devi dirmelo. Parlo sul serio. -
Per qualche strana ragione in quel preciso istante tutto il mio aplomb svanì in una nuvoletta d'odio. Tutta la mia stanchezza, il mio scazzo, la pesantezza che mi sentivo addosso, evaporarono in un batter d'occhio, spazzate via dal fuoco rovente della mia sacra rabbia. E fu in un moto di pura stizza che le afferrai il viso con una mano, stringendoglielo forte, deformandolo in una maschera grottesca. Le sue guance erano molli sotto le mie dita, opponeva una blandissima resistenza e mi fissava con gli occhi sgranati. Durò il tempo di un respiro.
- A te non te frega niente se mi ammazzano, vero? Ti importa solo che nessuno alteri l'equilibrio del tuo prezioso mondo delle favole - mi avvicinai di scatto, il mio naso a pochi centimetri dal suo, in fondo l'intenzione di spaventarla era piuttosto cosciente - Ma quale equilibrio? 
- Non gridai, scandivo le parole a voce bassa, lentamente, con i denti stretti, sforzandomi di mascherare la mia ira - Esiste solo nella tua testolina malata. Questa casa ci sta cadendo in testa, non lo vedi? - Le tende si agitarono nella stanza chiusa, l'anta dell'armadio cigolò per qualche istante. Aveva i lucciconi agli occhi, stava per mettersi a piangere di nuovo. Mollai la presa e mi alzai bruscamente dandole spalle - Sei diventata una persona spregevole, Kasumi. E il fatto che tu non ne sia minimamente consapevole non è un attenuante. Mi fai vomitare. -Avrei davvero voluto sputarle in faccia. E no, non credo fosse stata una mossa intelligente attaccarla in quel modo, ma le alternative erano esplodere o sbottare. E poi in fondo era dalla notte precedente che volevo togliermi quel sassolino dalla scarpa.
Per il momento l'avrei lasciata cuocere nel suo brodo, ma ci sarebbe stato tempo successivamente per rinnovarle le mie promesse e la mia lealtà. Ci voleva una saggia e ben bilanciata politica del bastone e della carota. Anche se una vocina dentro di me aveva iniziato a ripetermi "ma se lei è una persona spregevole, tu cosa sei invece, Nabiki?" e un'altra vocina insisteva a rispondere "l'eroina e la vittima l'eroina e la vittima l'eroina..."

Sì, si, va bene. Abbiamo capito.
 
- Non sei autorizzata ad uscire di qui fino a quando non te lo dirò io - annunciai cercando di suonare quanto più fredda e distaccata possibile.
Uscii rapidamente dalla sua camera richiudendomi la porta alle spalle, quindi passai per la mia stanza, presi la borsa, indossai un paio di grossi occhiali scuri a goccia molto vintage che una volta avevo rubato a un amico e scesi al piano di sotto a telefonare.
- Chiami Tofu? - chiese Akane apprensiva. Mi limitai a scuotere brevemente la testa.
- Pronto Akira? Hai da fare? Che ne dici se faccio un salto da te? - Anche il mio di equilibrio aveva bisogno di essere salvaguardato.

Diedi rapide disposizioni sul da farsi - Kasumi era in punizione in
camera sua, non sarebbe uscita e nessuno doveva andare da lei, Happosai doveva liberare la sua stanza e trasferirsi da papà che da lui avremmo montato il laboratorio, alle nove e mezza Mousse avrebbe portato la cena - comunicai che non sapevo a che ora sarei rientrata e me ne andai lasciandoli un po' perplessi, o almeno così mi sembrò di intuire dalle loro bocche mezze aperte, dalle espressioni degne di pesci ben lessati e dalla quasi totale assenza di commenti o reazioni in genere. Solo papà - neanche a dirlo - si azzardò a chiedere timidamente: - Ma allora non hai fatto pace con Kasumi...? - Mi faceva proprio cascare le braccia.
- È già tanto se non l'ho presa a schiaffi - risposi distrattamente dalla porta mentre sceglievo quali sandali mettere.

Quelli rossi con la zeppa, senz'altro, s'intonano alla maglietta e stanno bene con la minigonna.

- Ma non ve ne preoccupate, sarebbe successo comunque, prima o poi. Non è che una può passare tutta la vita ad incassare e lasciar correre -  aggiunsi quando vidi Akane avvicinarsi con un'espressione di puro orrore dipinta sul viso. Volevo fosse chiaro che la questione non aveva nulla a che fare con lei, se non superficialmente. Ma quando infilata la porta mi voltai per richiudermela dietro, con la coda dell'occhio la vidi coprirsi la bocca con tutte e due le mani. Esitai. Mi dispiaceva troppo per lei, avrei voluto parlarle con calma, ma non era il momento. Ora dovevo pensare un po' a me.

E non guardarmi con quella faccia da io la so lunga, Minako. Che la zia Nabiki non sia stata una santarellina non è mai un segreto per nessuno, non è che lo sai tu perché sei più sveglia degli altri. Era stata una giornata che a definirla pesante si sfiorava il ridicolo. Avevo in testa pensieri cupi, ero passata in poche ore dal pensare che forse dovevo saltare gli esami di ammissione e che magari avrei pure perso la casa, a temere che invece la casa me la facessero cadere in testa, fino a dubitare di arrivare viva alla settimana successiva per colpa di quel matto suicida del dottore. Per scacciare l'angoscia non andavano bene i sistemi ordinari, non valeva farsi una passeggiata, due chiacchiere con le amiche, attaccarsi alla cioccolata. C'erano sono due opzioni che potevano funzionare: affogare i dispiaceri nell'alcol o andare a trovare Akira. Scelsi la seconda perché alla salute ci ho sempre tenuto. E pure perché non mi sembrava una buona idea ubriacarmi da sola con quello stato d'animo.

Akira era un bel tipo, in tutti i sensi. Uno di quei ragazzi dotati di un fascino naturale, sicuri di sé senza necessità di ostentarlo. Le buone maniere seducenti, senza troppe parole, senza melassa. Si, insomma, Akira era un gran figo. Era anche un amico. E un rifugio. La persona a cui rivolgersi quando era davvero necessario staccare la spina. Akira era la fonte della discordia. Ex compagno di classe di Kasumi, era un tipo - come dire - molto chiacchierato. E tutta la scuola aveva saputo quando io avevo avuto una tresca con lui. Se ne era parlato parecchio soprattutto perché Akira non andava mai con quelle più piccole. E io ero una del primo quando lui era già in terzo. Kasumi aveva pensato che fosse stato un errore di gioventù e mi aveva compatita quando le era stato chiaro che non sarei mai diventata la sua ragazza. Akira non aveva una ragazza. O meglio ne aveva tante, ma non stava con nessuna. Quello che Kasumi non sapeva era che io ne ero sempre stata perfettamente cosciente e la cosa per me non rappresentava nessun problema. Così quando era venuto fuori chissà come che mesi dopo io continuavo a frequentare quel poco di buono saltuariamente, era andata su tutte le furie. O meglio era rimasta orribilmente delusa. Aiya! Ma che ci potevo fare? Io ero un po' una versione femminile di Akira, ma di me si rumoreggiava meno perché io avevo un'altra regola. Non coi i ragazzi della tua scuola. Akira era stata l'unica eccezione perché mi piaceva parecchio. L'avevo scelto per essere il primo perché aveva una buona reputazione. E poi era una sorta di sfida, gli avrei fatto infrangere la sua regola ferrea. Ingannare uno così non era una cosa da poco. In quanto alla mia di regola, dall'anno successivo sarebbe stata di nuovo al sicuro perché Akira sarebbe diventato uno studente universitario. Si poteva anche fare.
Ai tempi della Furia della Casa Stremata frequentava il secondo anno di una facoltà artistico-tecnologica di qualche tipo alla Todai e viveva da solo in un appartamento in un bel complesso di palazzine di recente costruzione poco lontano dal campus.
Era di famiglia ricca. Beato lui. Io, ammesso che fossi riuscita ad entrarci all'università, ammesso che mio padre non fosse andato in banca rotta e che fossi sopravvissuta, avrei potuto aspirare al più a una stanza nel dormitorio femminile. O questo almeno era quello che credevo allora. Per andare da lui dovevo prendere il treno e attraversare mezza città. Ci voleva quasi un'ora, per tornare indietro, ovviamente, idem. Probabilmente non sarei arrivata prima delle otto e non mi sarei potuta trattenere a lungo. Ma non importava. 

Prima di intraprendere la via del ritorno, mi feci coraggio e chiamai il Nekohanten. Per fortuna rispose Mousse. Ordinai la cena per otto persone, che la portasse il prima possibile e che mi aspettasse lì. Avrei fatto tardi, io e Kasumi avremmo mangiato il cibo freddo quella sera, poco male.
Poi chiamai Tofu, gli dissi che non ero arrabbiata, no, ero semplicemente furiosa. Ma non era il caso di parlarne per telefono. Era meglio se veniva direttamente a casa nostra verso le dieci con tutta l'attrezzatura, per quell'ora sarebbe tornata la vicina che gli prestava la macchina, sì?  Ovvio che sì, ma non era necessario aspettare perché per trasportare tutta quella roba si era fatto dare un furgone da un amico. Peccato, doveva aspettare lo stesso.
- E come mai? -
- Fatti un pacco di cavoli tuoi, dottore. -
Ok, era tempo di tornare nella mischia, ma almeno la giornata non poteva più dirsi una schifezza totale. Mi avviai verso casa con il cuore più leggero. Il sole era appena tramontato e il cielo si era tinto di mille colori. Se quelli dovevano proprio essere i miei ultimi giorni, ero decisa a fare in modo che almeno non fossero un inferno. Sul treno mi sforzai di tenere gli occhi fissi sul finestrino senza permettere a niente e nessuno di distogliere i miei pensieri dai piacevoli momenti appena vissuti. Tanto non avrei avuto bisogno di pianificare nulla, potevo tranquillamente improvvisare. In ogni caso la situazione sarebbe rimasta sotto controllo, mi avrebbero dato retta e avrebbero rigato dritto tutti quanti, altrimenti me ne sarei andata da Akira per sempre. Più o meno. Invece, miracolosamente, andò tutto come avevo sperato. Al mio rientro trovai ad aspettarmi la bi-famiglia al completo, incluso Happosai che aveva diligentemente sgomberato la sua stanza impiantandosi da papà, che già piangeva al solo pensiero di quella convivenza forzata. Anche Mousse era in diligente attesa ed aveva perfino messo da parte per me e Kasumi due menù speciali di pietanze che posso essere consumate fredde senza troppi inconvenienti. Tofu mi venne in contro all'ingresso con il passo svelto e l'aria nervosa di chi ha fretta di chiarire o magari scusarsi. Lo accolsi con un'occhiata severa, secondo le mie intenzioni, o piuttosto assassina a giudicare dalla sua reazione. Una cosa per volta, prima di tutto mi sarei occupata di Kasumi e avrei cenato che stavo morendo di fame. Era stato davvero una serata troppo movimentata perché il misero spuntino del pomeriggio potesse essere anche lontanamente sufficiente. Non avevo neanche pranzato! Mi girava la testa.
Appurato che la sorellona non era uscita dalla sua stanza se non per un brevissima puntatina al bagno di servizio del piano di sopra e che non era stata informata della mia prolungata assenza, decisi che era giunto il momento di riprovare a parlarle. Prima di salire le scale, per darmi coraggio, tentai di imitare le mosse degli All Black tenendo in equilibrio il vassoio con i viveri per la reclusa, tra le risate generali. Era davvero indispensabile alleggerire l'atmosfera.
Entrai  senza bussare.
- La cena. È fredda ma commestibile. - Ovviamente non rispose. Depositai il vassoio sulla scrivania. Gli avrei fatto un breve discorsetto e me la sarei filata rapidamente, senza darle il tempo di riattaccare bottone.
-  Volevo solo farti sapere che per quanto mi riguarda la promessa che ti ho fatto è ancora valida, indipendentemente dall'accordo con Joketsuzoku. Solo prove chimiche e al più qualche domanda d'ordinanza qua e là per trovare l'incenso del karma giusto e risolvere il nostro problema. Il fatto che abbiamo firmato col sangue un documento in cui ammettiamo... uhm... che la situazione potrebbe essere risolta per altra via, non implica minimamente che qualcuno si sia impegnato a percorrerla. Ti dirò di più, non credo affatto che sarebbe possibile, non nei tempi che la Furia della Casa Stremata ci impone. E so per certo che Tofu la pensa come me. D'altra parte, la formula chimica dell'incenso che troveremo fornirà alle vecchie megere del Consiglio tutte le prove necessarie a scagionarci. Per me questo è quanto. Tu poi fai un po' come ti pare. - Stavo per andarmene quando mi ricordai di farle un'ultima raccomandazione: - Cena pure con calma, c'è il buon dottore di sotto che è venuto per montare i macchinari, quindi è meglio se resti qui ancora un po', se non vogliamo che monti i pezzi alla rovescia condannandoci a morte certa, ok? Vengo a chiamarti io quando se ne sarà andato. -
Nulla da eccepire, i monologhi mi riescono decisamente meglio dei dialoghi.
- Nabiki...? - come non detto.
- Sì? -
- Hai un buon profumo. Hai cambiato shampoo? Odori come di... bagnoschiuma da uomo. -

Che attaccabrighe, perdiana!

Me ne tornai di sotto, senza risponderle. Tofu e gli altri avevano iniziato a costruire tutto quell'ambaradan, ovviamente col mio permesso, e tutto sembra procedere tranquillamente. La stanza di Happosai era spaziosa, naturalmente ventilata, ma soprattutto facile da evacuare. Purtroppo dovettero bucare la parete per rendere operativo il sistema di aspirazione, ma per il resto era perfetta. Mangiai il mio cibo con gusto, senza fretta. Dopodiché andai a chiamare Tofu. Non gli dissi neanche una parola, bastò un quasi impercettibile cenno, un sopracciglio arcuato in modo eloquente, perché mi seguisse in giardino.

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N.: Ma si può sapere che ti è saltato in testa?!

T.: Perché?
N.: Perché?? E c'è da chiederlo?! È un azzardo enorme quello che stiamo facendo!
T.: Ti riferisci al fatto del 50%? Ma se anche tu...
N.: Io non ho mai sparato percentuali! Ma soprattutto non mi sarei mai azzardata a scommetterci la mia vita! La mia vita, nostra vita, dottore! C'è da essere completamente fuori di testa... andati.... partiti... suonati del tutto.
T.: Non credere. Ti parlo da medico di famiglia che conosce gli abitanti di questa casa da parecchio tempo, ma anche da uomo che è stato un'adolescente timido ma non per questo insensibile al fascino femminile.
N. [quasi non si sente]: Perché invece adesso è scafato...
T.: Come?
N.: No, niente.
T.: Dicevo, non hai nulla di cui preoccuparti, vedrai. So quello che dico. Puoi dormire sonni tranquilli.
N.: Beh, insomma...
T.: Già, certo. Piuttosto stai attenta a non esagerare con quelle medicine.
N.: Non sono io quella con le manie suicide. Io non voglio morire, caro Tofu. Non voglio morire avvelenata dalle tue droghe, ma neanche schiacciata dalla casa che si schianta, fulminata dall'asciugacapelli o strangolata dal bollitore, e neppure giustiziata in un posto dimenticato dalla civiltà tra le montagne cinesi, e nemmeno strangolata nel sonno da Kasumi.
T. [ridendo]: E perché mai Kasumi dovrebbe soffocarti nel sonno?
N.: Non ne hai idea, dottore, non ne hai davvero idea...
T.: Seriamente, sulle altre possibili cause di morte non mi esprimo, ma riguardo Joketsuzoku quella che abbiamo fatto è una scommessa vincente. Le prove le avrai presto, dal laboratorio e per qualche altra via. Devi stare tranquilla e fidarti di me.
N.: Ci proverò.
T.: Comunque, non è che avessi molta scelta. Se non gli avessi dato un buon motivo per cui Cologne avrebbe potuto agire in maniera scorretta, non ci avrebbero mai offerto la loro protezione. E un 50% o più di responsabilità a carico del futuro marito di sua nipote è per la vecchia Obaba una ragione
assolutamente più che valida per passare sopra a pressoché qualsiasi norma etica, di onorabilità o anche di buon senso.
N.: Non ne dubito, ma un 40% lo sarebbe ugualmente...
T.: Non secondo il Consiglio del suo villaggio.
N.: Speriamo solo che...
T.: Tranquilla, davvero. Sono un medico, ricordi?
N.: E questo cosa c'entra?!
T.: Merito fiducia, no? [pausa con sospiro di entrambi] Conosco i miei polli, Nabiki. Dammi retta e vai serena per la tua strada.
N.: Non credo di avere alternative.

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Così ce ne tornammo dentro. Non che mi sentissi molto rassicurata, ma diciamo che avevo scelto di non angosciarmi più dello stretto indispensabile. Chi vivrà vedrà, m'ero detta. Alla fine, come dice quel vecchio detto messicano, se il tuo problema ha una soluzione, perché ti preoccupi? Se il tuo problema non ha una soluzione, che ti preoccupi a fare? E tanto ormai la frittata era fatta.
Fu allora che mi resi per la prima volta conto di una cosa meravigliosa. Mentre io e Tofu attraversavamo quello che restava del salone, dalla stanza di Happosai sentimmo delle grida e dei rumori strani. Accorremmo sul luogo del misfatto e ci trovammo di fronte uno spettacolo stravagante, l'ennesimo. I pezzi degli strumenti che i nostri si accingevano ad assemblare avevano preso a sfrecciare ovunque, velocissimi, mentre le apparecchiatura già montate vibravano, sembravano fremere per andare in frantumi, ogni parte dava l'idea di volersi liberare dalle altre.
- Che accidenti avete combinato?! - non ricevetti risposta.
Seguendo la lezione dell'ultima volta nessuno stava reagendo, ma anche solo schivare quei proiettili improvvisati non era impresa facile, ma non era certo questa l'unica ragione per la quale non potevano fornirmi una spiegazione soddisfacente sul momento. Ci avrei impiegato due giorni per scoprire cosa avesse scatenato quel delirio dal nulla. Certo era affascinante. Come potevano i mutevoli umori umani sprigionare una potenza simile? Davvero incredibile. Non so cosa mi spinse a farlo, forse la curiosità, probabilmente ero semplicemente sovrappensiero, sta di fatto che entrai nella stanza. Feci un solo passo, ma tutti lo notarono immediatamente. La velocità di volo di quei bolidi si era decisamente ridotta. Azzardai un altro passo. Fissavo gli oggetti in volo attentamente, sperando di capire cosa stesse accadendo, ma non ci serviva tutta quella concentrazione per capire che si stavano fermando. Anche gli strumenti sul tavolo da lavoro. Avevano smesso di vibrare. No, non ci serviva molta concentrazione per capirlo, ma forse... forse la concentrazione era servita a placare quel trambusto? Ero stata io a riportare la calma? Tofu era rimasto fuori, quindi lui non c'entrava. Che avessi dei super poteri? Quando la risata stridula di Happosai arrivò ai miei timpani, quasi perforandomeli, capii che doveva esserci una spiegazione più triviale.
- E brava Nabiki-san! Se non ci pensi tu a riportare un po' di energia positiva qui dentro, chi vuoi che lo faccia? -
- E già! - aggiunse Tofu con un sorriso a trentadue denti - Sei la persona giusta per venirne a capo. Vedrai, ne uscirai vittoriosa. -
C'era un pezzo di tubo che ancora galleggiava in un angolo vicino al soffitto. Gli puntai un dito contro e poi, accompagnando il gesto del braccio con lo sguardo, lo feci muovere, fino a posarlo sul tavolo da lavoro. Fantastico. Semplicemente strabiliante. Doveva essere merito del karma positivo acquisito quel pomeriggio e non un potere intrinseco mio, ma era ugualmente elettrizzante.
- Wow! Sono forte! - esclamai euforica. Erano rimasti tutti basiti.
- Perché saresti forte? - domandò perplessa la voce di Kasumi alle mie spalle. Kasumi?! - Ho sentito delle grida e sono scesa a vedere... -
- Ka... Ka.. Kasumi.... - blaterò un Tofu color pomodoro maturo, il cui ki in stato confusionale lottò tenacemente contro il super equilibrio zen del mio rischiando di creare un nuovo macello. Lo spinsi fuori - Vattene a casa, doc, che si è fatto davvero tardi e qua adesso non ci sei di nessun aiuto. - Tentò di protestare - Ka... Ka... Kasumi... - ma gli assicurai che avremmo finito il lavoro senza di lui, tanto c'erano le istruzioni.

Di individui più emotivamente inetti probabilmente non ce n'è su tutto il pianeta.

- Ma che è successo? -
- Pensa per te, Kasumi - ci mancava solo - Hai finito di cenare? Bene, allora ti preparo un bagno così te ne vai a letto tranquilla. -
- Un bagno? Ma se l'acqua fa tutte quelle cose strane... -
- Non ti preoccupare, non c'è problema. -
- Eh..? -
- Beh, ti ricordi l'odore che hai sentito prima? - le chiesi circondandole le spalle con un braccio
con fare complice obbligandola a chinarsi un po' mentre ci avviavamo verso la sala da bagno - Lo senti ancora, no? Non è bagnoschiuma. È un incenso speciale che mi ha dato il dottor Tofu, mi sono rotolata un per un po' trai suoi fumi. Mi ha conferito un potere speciale che mi permette di stabilizzare piccole zone della casa. -
- Veramente? Dicevo io che non poteva essere bagnoschiuma da uomo! -
- Ah ah. - 
- Stupendo! Ma allora usiamolo tutti, no? Saremmo molto più al sicuro! -
- Ehm... non si può. -
- E come mai? -
- Beh, ecco, è compatibile solo con il mio ki. -
- Ah, che peccato... Quindi questo potere speciale puoi averlo solo tu? -
- Più o meno. -
- Comunque meglio di niente, sarà senz'altro di grande aiuto. -
- Certamente. -
- E così sei diventata una specie di super eroe... E non hai pensato a dargli un nome a questo tuo super potere? -

Che ne diresti di Akira Power?

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Che zia degenerata che sono. Ho steso la nipotina con una birra prima ancora di farla cenare. Se lo sapesse sua madre... se sapesse cosa le sto raccontando, tutte le cattiverie che vado dicendo... Che poi è tutto verissimo, ci mancherebbe! Ma certo che la impacchettavo in milioni di frottole. A mia discolpa posso dire che ne andava della mia sopravvivenza. Kasumi era così pesante, così asfissiante... così mal fidata! Invece di me c'è sempre stato da fidarsi. Per esempio adesso. È vero che l'ho fatta bere, la ragazzina qui, ma solo un pochino. Che ci posso fare io se certa gente figlia di genitori astemi non regge mezza lattina di birra a quindici anni. Quindici anni non son mica così pochi, no? Con quello che combinavo io alla sua età.  È anche vero che le sto raccontando una storia delicata, ma applicando una censura rigidissima. Ci ha provato a chiedermi qualche particolare in più sulla mia capatina a casa di Akira, ma io niente. Inflessibile. Ovviamente. Mica vado a sbandierare i fatti miei, con tanto di dettagli, ai quattro venti. Anche se sono cose vecchie di quasi vent'anni. Io sono sempre io. Ed Akira è sempre Akira. Credevo saremmo rimasti amici per sempre, invece poco dopo si è trovato una fidanzata gelosa che l'ha obbligato a tagliare i ponti con tutte le sue vecchie amiche. Non posso dire che non la capisca, ma aveva promesso di venirmi a trovare a New York. Li avevo invitati entrambi, lui e la sua nuova tipa. Invece niente. Questi bellocci che se la tirano tanto che loro non si legano, che sono liberi e indipendenti, poi alla fine si fanno mettere i piedi in testa da femmine tiranne, se li accattano sempre quelle più streghe. Ai tempi però non c'era ancora nessuna fidanzata in vista e ce la potevamo spassare tranquillamente. C'era dell'ottima chimica tra noi. Ahi, Akira...
Quando arrivai al cancello del cortile mi rispose prima ancora che citofonassi.
- Ti ho vista arrivare, ti vengo incontro, - la sua voce allegra attraverso il microfono riuscì subito a scacciare un po' del mio malumore. O forse dovrei dire terrore, perché sotto casa sua ci arrivai con un nodo in gola e tremando di paura. Avevo solo diciotto anni e di riflettere seriamente sull'idea di poter morire non mi era mai capitato. Sulla morte sì, era da quando avevo perso mia madre che mi capitava di pensarci. Ma in termini così concreti, l'eventualità che qualcuno mi tagliasse la testa, ecco, quella non l'avevo proprio mai contemplata prima. Quello che avevo dentro era un turbinio di emozioni, paura, rabbia, frustrazione, ma anche tanta incredulità. Ce l'avevo con tutti e con nessuno. Mentre percorrevo il tragitto che mi aveva portata lì, la mia corazza era andata disgregandosi. Distrutta, in frantumi. Così mi ero presentata al mio amico come mai avrei voluto. Non solo avevo un occhio nero, ma stavo piangendo e tremavo.
- Nabiki Tendo in tenuta estiva! Wow! Era un secolo che non ti facevi viva... ma che t'è successo? - Quel poveretto doveva aver pensato che mi avessero aggredita o robe del genere.
- Niente! - sbottai io tra le lacrime - C'è solo un branco di vecchie cinesi psicopatiche che mi vuole giustiziare, il nostro medico che vuole che ci suicidiamo insieme, mia sorella Kasumi che non vede l'ora di vedermi morta, mio padre che non capisce niente, Akane e il suo fidanzato che sono due ritardati mentali e casa nostra che ha deciso di seppellirci vivi! - sputai fuori
tutto, senza prendere fiato - E no, non sono pazza, se è questo che stai pensando - ruggi un po' fuori di me. Ma appena aprì il cancello e fu a portata di mano gli gettai le braccia al collo intimandogli, ma era quasi più una supplica, di non fare domande, soprattutto sul mio occhio e di non chiedermi indietro gli occhiali per il momento che ne avevo troppo bisogno. Devo dire che non ci fu bisogno di insistere. Spiccai un debole salto e col suo aiuto gli allacciai le gambe attorno la vita e mi feci portare dentro l'edificio, verso l'ascensore.
- Devo avere un aspetto orribile... - brontolai mentre l'ascensore saliva lentamente gli interminabili ventitré piani che ci separavano dal suo appartamento e io scendevo da quella posizione abbarbicata su di lui.
- Solo la tua faccia, Tendo. Il resto è perfetto come sempre. - La risposta arrivò insieme a un buon pizzicotto sul sedere. Aveva humour il bell'Akira, mi piaceva anche per questo. Di fatti, mi strappò un sorriso, e risvegliò la civetta mai del tutto sopita che albergava - e forse alberga tutt'ora - in me. Gli strofinai il naso sul collo, poi avvicinai le labbra al suo orecchio: - Allora vorrà dire che per oggi dovrai guardare altrove... - sussurrai.
Il campanello che segnalava l'arrivo al piano ci sorprese avvinghiati. Raggiungemmo la porta senza separarci, Akira prese le chiavi dalla tasca dei pantaloni ed entrammo.

   
 
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