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Autore: Lys3    10/10/2013    2 recensioni
Tutti a Capitol City amano gli Hunger Games. Tutti tranne Leo.
Lui è diverso, lo è sempre stato fin da piccolo, ma nessuno comprende le sue ragioni. E in un mondo così grande, così forte, lotterà nel suo piccolo per far valere le sue idee in una società travagliata da questi Giochi mortali.
Martia era una ragazza come tante altre. Questo prima di vincere gli Hunger Games. Ora lotta per non perdersi nei suoi incubi, per mantenere la sua famiglia che sta cadendo verso l'oblio e per dare a sé stessa una speranza di una vita migliore.
Dal testo:
“Siamo diversi. Apparteniamo a due mondi diversi. E questa cosa non cambierà mai. [...] Vuoi un ragazzo che ti salvi dagli Hunger Games, non uno il cui padre ha progettato la tua morte.” [...]
“Ti sbagli. Tu mi salvi dagli Hunger Games. Mi salvi dagli Hunger Games ogni volta che mi guardi, ogni volta che mi stringi la mano, ogni volta che mi sorridi. Ogni singola volta in cui tu sei con me, mi sento libera di nuovo, come se nulla fosse mai accaduto. [...]”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oltre il confine


 
 
Capitolo 1 – Leo e Martia
 
Leo era un ragazzo alto con i capelli neri. Fin dalle scuole elementari era sempre stato isolato dagli altri perché “diverso”. Ma lui li guardava e si sentiva normale in confronto a loro: con le pettinature strane, i capelli colorati e il trucco esagerato.
Lui aveva solo dei ciuffetti blu, che gli ricordavano il colore del mare che tanto gli piaceva ma che vedeva solo in figura.
Passava le giornate sui libri, a leggere, a cercare di capire perché le cose andavano in quel modo. Con i suoi occhietti castani scrutava con curiosità le parole e le immagini per scoprire quante più cose possibili.
“Mamma a cosa servono gli Hunger Games?” chiedeva ogni estate quando vedeva tutti bloccati davanti al televisore.
“Ma che domande assurde fai?! Sono tutto quello che abbiamo. Servono ad andare avanti.”
Ma le sue risposte non le piacevano, era vaga e allo stesso tempo ossessionata da quel fenomeno che iniziò a conoscere bene a dodici anni, quando anche i suoi compagni di classe ne parlavano.
“Tutti pronti per la 20esima edizione degli Hunger Games?” strillava un compagno prima di sorteggiare dei nomi e convincere gli altri a combattere.
A quel punto iniziò a guardarli. Ma da subito non gli piacquero: il sangue, i pianti, le urla, il dolore.
“Questo gioco fa schifo” disse un giorno mentre un suo compagno voleva obbligarlo a combattere.
“No tu fai schifo. Sembri uno dei pezzenti dei Distretti!”
Tutti lo deridevano, ma lui non si arrendeva.
 
Lui aveva ragione, quelli non erano Giochi. Ma intanto nessuno lo capiva: sua mamma lo sgridava, sua sorella lo prendeva in giro così come tutti gli altri e suo padre nemmeno gli parlava.
“E’ grazie agli Hunger Games che tu ogni giorno puoi mangiare” sbottò un giorno con rabbia.
Leo era triste. Voleva solo che gli altri capissero, che riuscissero a vedere cosa significava veramente morire. Ma era solo un bambino, non poteva fare niente.
Però poteva informarsi, conoscere al meglio le cose per convincere se stesso che non era lui a sbagliare. Iniziò a studiare geografia, a studiare tutti i Distretti nei minimi dettagli e vide luoghi terribili e bellissimi.
“Papà andiamo a fare una gita nei Distretti?” propose un giorno, raggiante.
“Ma sei matto?!” rispose lui con rabbia.
“Nel Distretto 7 ci sono foreste immense! Dai andiamo!”
“Lì non si può andare, toglitelo dalla testa!”
Quel giorno si chiuse in stanza a piangere. Lui voleva vedere il mondo, lui doveva vederlo altrimenti non avrebbe potuto conoscerlo davvero.
 
Quando aveva sedici anni sua madre lo obbligò a vestirsi con abiti sfarzosi di un giallo che gli irritava gli occhi, gli fece dei buchi alle orecchie e vi mise dei brillantini, prolungò le sue ciglia sostenendo che risaltavano la forma dei suoi occhi e vi mise dell’eyeliner blu per segnarne il contorno.
“Che schifo è?” fece Leo guardandosi allo specchio.
“Ignorante si chiama moda!” rispose la mamma schiaffeggiandolo.
Tutta la sua famiglia era vestita elegantemente. Lui pensò si trattasse di qualche cena di lavoro di suo padre, ma in realtà era solo la festa di inizio degli Hunger Games. Lo obbligarono ad andare a vedere i Tributi in arrivo, la loro sfilata, l’intervista e gli Hunger Games in diretta sul maxi schermo della piazza principale.
Erano arrivati alla metà dei Giochi quando lui, davanti a tutti, chiese a sua madre: “Saresti contenta di vedere tuo figlio morire?”
“Ma che sciocchezze dici, tu non morirai.”
“E secondo te come si sentono le madri di quei ragazzi dato che non possono dire lo stesso?”
“Ma loro appartengono ai Distretti... Tu sei di Capitol City.”
“No, io non appartengo a questa città. Io non voglio vestirmi così, non voglio truccarmi o farmi i buchi alle orecchie” e così dicendo strappò via la maggior parte delle cose superflue. “A me non piacciono, non sono come voi.” Poi corse, veloce tra la folla che lo guardava come se fosse pazzo.
Salì sul parapetto della piazza e guardò giù, proprio verso il livello inferiore dove vi era un’altra piazza. “Potrei morire anche io, sai? Così forse ti sentiresti più vulnerabile, come si sentono tutti nei Distretti.”
“Leo cosa fai?! Scendi subito da lì sopra!” strillò sua madre mentre lo inseguiva.
“Ti sto dando la possibilità di cambiare, di non essere schiava della società.”
“Cosa diavolo fai, idiota?!” fece sua sorella, in arrivo con suo padre.
“Cerco di vivere.” La sua era una frase un po’ ambigua, in quelle circostanze, ma esprimeva in pieno il concetto. “Anche la morte per me è una vita migliore di questa!”
Il pubblico che ora lo fissava tratteneva il fiato, mentre suo padre diede ordine ad alcuni dei suoi uomini di tirarlo giù. Leo non riuscì ad opporre resistenza e il suo tentativo andò in fumo.
“Tra tutti i problemi ci mancava solo un figlio svitato…” sentì borbottare suo padre.
 
Martia abitava nel Distretto 4.
Era una bambina bionda e con gli occhi blu, come il mare. Abitava in una piccola casa con la sua famiglia troppo numerosa: padre, madre, i suoi tre fratelli e le sue due sorelle.
Aveva solo otto anni ma già andava in alto mare con suo padre e gli altri marinai per aiutarlo nella pesca: era la più grande e doveva provvedere lei a imparare per prima queste cose.
A dieci anni scampò alla morte per miracolo: era fuori con suo padre e altri due uomini quando li colse una tempesta. Il loro peschereccio andò in pezzi e, sorreggendosi solo a un piccolo salvagente, dovette tornare indietro fino a riva.
Suo padre era morto e lei non poteva crederci. Solo uno degli altri due uomini era tornato indietro, sostenendo che per suo padre e l’altro non c’era nulla da fare dato che erano nella stiva della nave.
Le sue notti dal quel giorno furono pervase da incubi, di suo padre bloccato lì sotto, incapace di uscire e che piano piano annegava invocando il suo nome.
Le giornate furono contrassegnate da duri lavori insieme a due dei suoi fratelli: loro tre insieme andavano a pesca, sua madre badava ai più piccoli e sua sorella si occupava delle faccende domestiche.
In breve tempo divenne forzuta ed abile più di tutte le altre ragazze della sua età: dovette abbandonare gli studi, anche se di tanto in tanto si recava da una sua amica, Issa, per studiare qualcosa.
Suo padre aveva sognato per lei e i suoi fratelli un futuro migliore e lei avrebbe voluto esaudire il suo desiderio anche se, con tutto il lavoro che c’era da svolgere, non sapeva proprio come fare.
 
La risposta arrivò quando aveva quattordici anni e il suo nome fu sorteggiato alla Mietitura.
Era qualcosa di totalmente inaspettato per lei: aveva fatto attenzione a prendere pochi biglietti, non poteva uscire dato che ne aveva solo tre!
Eppure era così, la fortuna non era per niente a suo favore.
Fu portata in un’Arena gigantesca, costellata da vulcani e terreno arido. C’erano pochissimi nascondigli e i Tributi iniziarono a morire da subito.
Grazie alla sua alleanza con un ragazzo del 7 riuscì a cavarsela i primi tempi, poi tutti i vulcani eruttarono insieme e anche lui morì insieme al gruppo dei Favoriti.
Erano rimasti solo in tre, lei, una ragazzina di dodici anni del Distretto 3 e un ragazzo di sedici del Distretto 12.
Si erano salvati rifugiandosi in un piccolo lago: erano stati gli unici che sapevano nuotare che l’avevano raggiunto in tempo.
Il Tributo del 12 aveva ucciso senza pietà la dodicenne del 3 e poi si era avventato su Martia. Era riuscita a fuggire dall’acqua, dove ancora galleggiavano i corpi di coloro che non sapevano nuotare e quello della dodicenne annegata, per dirigersi in una zona inesplorata dell’Arena: un ampio spazio deserto, fatto di lava solidificata, senza rifugi né acqua o fonti di cibo.
Il ragazzo l’aveva raggiunta in fretta e aveva iniziato a picchiarla violentemente.
Martia tentò di difendersi il più possibile, ma stava perdendo. L’unica cosa che riuscì a fare fu portare le mani attorno alla gola dell’avversario e stringere il più forte possibile. La forza dei colpi del ragazzo divenne prima più lieve, poi inesistente e il suo corpo le cadde addosso.
Ma il cannone non aveva dato l’ultimo colpo e le trombe che segnavano la vittoria non avevano squillato. Così dovette infierire sul corpo inerme, soffocarlo affinché non si svegliasse di nuovo e la uccidesse.
Poi il cannone, poi le trombe e l’hovercraft.
Era la vincitrice 24esimi Hunger Games.




Buonasera a tutti. Da un po' mi ronzava in testa l'idea di questa storia e stasera avevo una particolare vena artistica così ho deciso di condividerla con voi :) Questo è una sorta di prologo, per spiegarvi un po' i personaggi e la loro storia. Cosa ne pensate del primo capitolo? Vi piace? Vi attira? Fatemi sapere, a presto! ^^

 
  
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