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Autore: LawrenceTwosomeTime    11/10/2013    3 recensioni
Ettore pensava che l'ennesima festa fosse solo un motivo in più per compatirsi, ma l'insperato aiuto dell'alcool, una parola sbagliata e il supporto dei suoi amici trasformeranno la serata in qualcosa di assolutamente folle, spassoso e imprevedibile. Per costruire l'atmosfera mi sono ispirato all'ultimo film di Edgar Wright, che cito con una battuta e un paio di sequenze.
Genere: Azione, Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ettore palpò con circospezione le sbarre del cancelletto in ferro battuto e avanzò nella penombra, spostandolo quanto bastava ad aprirsi un varco.
Il frastuono della festa era assordante anche da lì, perciò non si prese la briga di riaccompagnare il cancello. Il tempo di due passi e un gong tipo tempio buddista condito da un riverbero di scaracchi rugginosi lo annunciò in pompa magna.

“Guarda un po’ chi c’è! Il figliol prodigo è tornato all’ovile!”
Abel gli corse incontro dimenando il microscopico codino, nel gesto che lui stesso autodefiniva scondinzolata. D’accordo che era il padrone di casa, ma come diavolo faceva ad accorgersi del suo arrivo tutte le stramaledette volte? Sospettava il coinvolgimento di un sensore a fibra ottica o forse una telecamera nascosta nel deretano di quegli orribili fenicotteri rosa.
“Abel, razza di prosciuttone rancido stagionato male, che mi racconti?”
“Solita birra da scudo, soliti pezzi di corda, solita musica del sacco”
“Marisa chiede di me?”
“Scherzi? Sorellina acquisita numero uno va pazza per la tua cazzeggio generalizzato way of life! Esclusi i congressi conviviali, il jogging e l’amore per il canto gregoriano, che – detesto ammetterlo – si sono contesi il primo posto una volta di troppo”
“Proprio non lo capisco questo desiderio di stabilità”
“Fidati, quando avrai bisogno di soldi capirai tantissime cose. Ma non preoccuparti, qui nessuno ti giudica solo perché sei un’accidiosa, imbonificabile, mefistofelica testa di cazzo!”
“Mica mi preoccupo…”
“Conosci la parabola del padre misericordioso?”
“Mica sei mio padre”
“Ho il doppio dei tuoi anni!”
“Anche Johnny Depp, se è per questo”
“Sei troppo brutto per essere nato dai suoi lombi”
Nato?”
“Oh, eddai! Intendevo… intendevo… cazzo!”
“Comincio a rimpiangere la mia intelligenza”
“Vieni, ti offro da bere!”

Ettore tracannò la sua prima birra tutta d’un fiato, poi si concesse di dare un’occhiata al panorama.
Abel abitava in una villa di periferia che condivideva con la moglie. Essendo lei un’amante del minimalismo e lui un fan del barocco, ne era risultata una fusione schizofrenica tra spazi vuoti e bianchi e salette arredate in stile saloon del primo Ottocento.
Abel insisteva nel dire che la sua non era una villa “da ricchi”, ma nessuno mancava di fargli notare che il fatto di abitare in una villa fosse di per sé “da ricchi”. L’unica cosa su cui nessuno aveva da obiettare era il doppio dispenser di birra alla spina montato sul bancone centrale.

Nell’ampio salotto diviso in due salette più piccole da una mezza parete si accalcava ogni genere di gruppo sociale, con i fighetti, i depressi, gli intellettuali – e gli intellettuali fighetti depressi.
“C’è anche Gregory?”, chiese Ettore con una punta di fastidio.
“Uhm… già. Pensa un po’, me n’ero quasi dimenticato”
Il regista emergente spiccava nell’ambiente allagato di festoni psichedelici, con il suo trench nero e i capelli scarmigliati ad arte. Intorno a lui, uno stuolo di leccapiedi in vestaglia, e addosso a lui…
“Marisa?”
Ettore deglutì. Abel ammiccò con la coda dell’occhio.
“Sta…”
“…limonando”
“Con…”
“…Lui, già”
Ettore agguantò l’amico per la nuca e protese la faccia fin quasi a toccare la sua.
“Si stanno limonando!”
“Ettore…”
“Si stanno limonando!”
“Che cazzo, c’è l’eco qui dentro?”

Ettore mandò un sospiro e recuperò una bottiglia piena per metà.
“Ero venuto qui per distrarmi. Per non pensare. E ora scopro che quel parassita montato a neve è alla tua festa, con la ragazza a cui faccio il filo da anni, e tutto il suo entourage di bertucce ammaestrate”
Abel mise le mani avanti.
“Ettore, mi dispiace. Gregory è un (amico di amici) amico di amici, abbiamo (lo stesso commercialista) lo stesso commercialista – mi fai il favore di non anticipare le mie battute?, grazie!”
“Abel, io vorrei suicidarmi”
Purtroppo o per fortuna, l’altro si era girato dopo aver subito una vigorosa strizzata di testicoli da un terzo incomodo.
“Come gira, ragazzi? Caspita, che facce da funerale! Ettore, bella maglietta. Anzi no, è orribile, sembra che tu ti sia…”
“Vomitato addosso, lo so”
“La pianti di finire le mie accidenti di frasi al posto mio? Uff, che pedante che sei”
“Onorio, tu non sai nemmeno che vuol dire pedante
“Certo che si, Abel professorino del buchino del camino: ha a che fare coi piduisti… o con… un qualche cazzo di pedaggio, una… metafora sul pedaggio di… devo pisciare!”
“Anch’io”
Onorio guardò Ettore di traverso.
“Sei arrivato da cinque minuti e già devi pisciare? Brutto segno”
Abel fece un sospiro stentato e mosse le mani come a dire “levatevi di torno, lasciatemi respirare”.

Andarono alla toilette, unica coppia di maschi in mezzo a una trafila di ragazze dai piumaggi colorati.
Mentre Ettore espletava i suoi bisogni, Onorio lo intratteneva da dietro la porta con i suoi racconti mio cuggino ha fatto questo e quello. Era un tipo senza pensieri, Onorio. Sotto sotto Ettore lo invidiava. Non erano legati come lui e Abel, ma il fatto che O. prendesse sempre tutto a cuor leggero gli rendeva più facile confidarsi con quel briccone.
“Di’ la verità, sei voluto andare al bagno per pensare un po’ a Marisa, eh?”
“Tpg…nn…fmc…pnr”
“Eh? Non capisco il linguaggio da sms!”
Ettore socchiuse la porta.
“Non… farmici pensare”
Onorio fece spallucce.
“Si, sta con quel Gaygory, e allora? Lei è una stronza bohème del menga, lui è un cesso smacchiato con l’acqua di Colonia… sono fatti l’uno per l’altra”
“Ti ringrazio Oni, ora mi sento molto meglio”
“Cedimi il posto, niubbo. Voglio pisciare nella tazza fingendo che sia la bocca di Gargoylery”

Un assembramento di festaioli allacciati in fatue posizioni si dimenava a ritmo con la musica, marciando sul pavimento in rovere come un circo equestre.
In un angolo appartato, Abel e sorellina acquisita numero due chiacchieravano cercando di farsi sentire sopra il baccano. Ettore e Onorio li raggiunsero spintonando con garbo un trenino umano di recente costruzione.
“Ciao, Elsa”
Il groviglio di capelli castani si scostò come animato da vita propria e lasciò intravedere un paio di occhi penetranti.
“Ettore! Ti è successo qualcosa? Hai un’aria sbattuta”
“Più che altro, ha l’aria di uno che avrebbe bisogno di farsi sbattere”, interloquì Onorio.
Lei gli diede uno spintone e poi rivolse nuovamente la sua attenzione a Ettore.
“Elsa e io stavamo giusto parlando della storia di Gregory”, disse Abel nel tentativo disperato di non suonare provocatorio.
“La storia di Marisa e Gregory, semmai”
“Stai zitto, Onorio”, dissero gli altri tre in coro.
Elsa prese le mani di Ettore con un calore che raramente aveva dimostrato di possedere.
“Ettore, non hai nessun motivo per farti sfruttare da quel… pallone gonfiato”
Lui tentennò, cercando di guardare altrove, di prendere tempo, di sprofondare nel pavimento.
“Non è poi così male, davvero. Sono io che non so impormi”
“Cazzate. Tu gli hai scritto una sceneggiatura fantastica nell’arco di una settimana, e lui non si è fatto più sentire. Non si è nemmeno degnato di mandarti una mail!”
“Come fai a sapere che la mia sceneggiatura valeva qualcosa?”
“Perché si vocifera che voglia trasformarla in un film”, disse Abel in tono quasi distratto.
“…Prendendosi la paternità dell’idea”, completò il quadro Onorio.

Ettore non disse nulla. Gli sembrava di non provare niente, ma sentiva distintamente una patina di sudore accumularsi sulla schiena.
Ciò che lo spaventava era la natura di quella reazione. Non provava rabbia. Solo stanchezza. Un fortissimo desiderio di mollare.

“Ettore?”
Elsa lo guardava con espressione mortificata.
Abel fu in procinto di dargli una pacca amichevole, cambiò idea all’ultimo e la mano rimase ferma a mezz’aria, incerta su dove nascondersi.
“Amico, non ti preoccupare! La qui presente Elsa sarà felicissima di tirarti su con uno dei suoi celeberrimi…”
“Onorio!”
“…Frappè alla vodka!”
Ettore sorrise. Il primo sorriso che gli affiorava alle labbra da giorni. Era quasi doloroso.
“E sia. Basta che contenga alcol”

Tre frappè e una variegata galleria di bicchierini dopo, Ettore giaceva su una pila di sedie impilate l’una sull’altra, lo sguardo vuoto perso tra le grazie di Marisa, che talvolta gli restituiva uno sguardo se possibile ancora più spento, un’indistinguibile accenno di derisione tra le righe – un segnale troppo raffinato perché Ettore, a quel punto della serata, potesse notarlo.
“Ahoy, coglione. Ti stai divertendo?”
Il suo livello di attenzione tornò improvvisamente alto. Era solo Franco Recchia, un mediocre scribacchino da avanspettacolo che lustrava le scarpe a Gregory più o meno dalla prima infanzia.
Lo chiamava “coglione” anche allora, l’unico amichevole insulto che Ettore non aveva mai sopportato. Franco lo sapeva, e sembrava ricavare una particolare soddisfazione nell’infilare quella parola in giro più che poteva.

Ma ora Ettore era ubriaco fradicio. Aveva mandato via prima Oni, poi Abel, che si era offerto di accompagnarlo a casa, e infine Elsa, che – a differenza degli altri – non aveva protestato, ma gli aveva lanciato un’occhiata talmente carica di comprensione da spezzargli il cuore.
“Ettore Ettore? Pronto? Fai il re della collina?”
Ettore si riscosse e venne giù dallo scranno di fortuna, cercando di impedire allo stordimento alcolico di deprivarlo del suo onore.
“Scusami, non mi sento molto bene”

Ancora una volta, non vedeva quasi niente. Sapeva cosa voleva, e in un modo o nell’altro l’avrebbe ottenuto: un’altra pinta, e poi un’altra ancora, e giù fino a sprofondare fin nel punto più profondo dell’inferno, nella misericordia del coma etilico, senza possibilità di ritorno. Non sarebbero riusciti a impedirlo, se necessario avrebbe bevuto a canna dal dispenser finché non gli fosse esplosa la vescica.
Nell’aria galleggiava una canzone degli Ash, un pezzo che parlava di luci nella notte e di speranza. Il motivetto orecchiabile aiutava a digerire il fatto che fossero una marea di stronzate.

Andò a sbattere contro qualcosa.
“Ettore, qual buon vento”
Alzò la testa.
Dall’alto del suo metro e ottantasette, Gregory sembrava infinito.
“Ci sei andato giù pesante, eh, campione?”
Ettore fece uno sforzo per ricomporsi. L’intera sala sembrava essersi ammutolita, o forse era solo un fischio nelle orecchie.
“La sceneggiatura… che fine ha fatto?”
“La… sceneggiatura?”
Gregory si passò una mano tra i capelli studiandolo come se fosse stato una blatta.
“Quella che ho scritto per te. Cinque mesi fa”
“Non so davvero di che parli, Ettore. Ma dubito che un uomo della tua… statura (e qui il fedele gorilla Fede si produsse in un barrito d’approvazione) abbia mai potuto scrivere qualcosa di più complicato del suo nome”
Ettore avvampò. Scorgeva a stento Abel che gli faceva cenno di raggiungerlo, come un neopapà che incitasse il figlioletto a camminare per la prima volta. Elsa cercava in tutti i modi di fissare il caminetto, mentre Onorio si esibiva in gesti osceni all’indirizzo di una ragazzina che cercava di squagliarsela rasomuro.
Si compatì. Tempo di togliere il disturbo, Ettore.

“Hai sentito quello che ho detto? Non sarai mica un po’ coglione?”

Il fischio svanì in un acuto lacerante. Le pupille tornarono a fuoco.
Ancora sbronzo, ma perfettamente padrone di sé, Ettore si raddrizzò.
“Hai ragione. Sono un’accidiosa, imbonificabile, mefistofelica testa di cazzo”
“Eh?”
E poi gli tirò una testata talmente fulminea che Gregory fece in tempo a schiantarsi al suolo, rimbalzare e riprecipitare a terra col naso ridotto a un’opera cubista senza riuscire a capire cos’era successo.
Ettore mimò una posa di vittoria mentre alcuni spettatori indietreggiavano, poi si precipitò sulla salma per riscuotere la sua dose extra di calci nella milza. “Vai… a farti… fottere, faccia da seminarista… baciapile… dei miei coglioni!”
Gregory gorgogliava come un cantante di musica a cappella, segno che era ancora vivo, ma non per molto. Sputava fuori bile e vomito come un pupazzo a cui fosse stata premuta la pancia a ritmi alterni; una scena che – più che drammatica – era quasi comica.
Ettore si sentì calare una mano sulla spalla, si voltò e dovette affrontare la vista del muscolosissimo corpo del fidato Fede, strizzato in un gessato striminzito, che incombeva su di lui.
“Tu non la passi liscia”
Ettore era troppo ubriaco per avere paura. Portò un pugno rapidissimo al viso dell’avversario, che gli afferrò il polso al volo e lo torse, Ettore si liberò dalla presa, usò la mano destra per deviare un jab, agguantò a sua volta un diretto, si esibì in una capriola che sembrava un passo di danza, parò un gancio che lo lasciò rintronato, si sporse cercando di stringere il collo del gorilla, venne inchiodato da cinque paia di dita granitiche, strattonò a tutta forza verso il basso, poi risalì con un montante che fece decollare l’avversario, il quale cadde infine a terra con un tonfo da schiantare la cristalleria.
Prese un bicchiere di Forst dalle mani di uno spettatore e lo ingurgitò in un unico, fluido movimento. La musica stava cambiando. Oh, si.
Avendo perso di vista l’amico in quel mare di sguardi tra l’inorridito e l’ammirato, Ettore fece per voltarsi.
“Ehi, Abel, hai visto che…”
Uno schiaffo gli piovve sulla faccia producendo il suono di una frusta.
“Sei andato completamente fuori di testa?”
Marisa lo fronteggiava, furente, le narici dilatate come quelle di un cavallo.
“Se pensi di riuscire ad attirare la mia attenzione comportandoti in questo modo, beh, hai commesso l’errore più grande della tua vita, pezzo di stronzo! Io aborro la violenza!”
Ettore la spedì gambe all’aria con un pugno ben piazzato.
“Chi ha detto che l’ho fatto per te, sottospecie di oca scornata?”
Una sedia si abbatté sulla sua nuca in un tripudio di stelle e pianeti. Ettore barcollò, si appoggiò al pavimento con le mani e gettò un’occhiata al di là delle gambe divaricate. Uno dei fedelissimi del Teatro per Giovani Stelle Nascenti brandiva ancora i resti del mobile, lo sguardo disorientato, come se cercasse di capire cosa aveva appena fatto.
“Non… si picchiano le ragazze”
“Ehi”
Il difensore dei diritti delle donne venne centrato da un calcio in affondo che lo fece accartocciare lungo una parabola intasata di bottiglie vuote. Il proprietario del piede si stagliò fiero sul campo di battaglia, le mani chiuse a pugno, e indicò le spoglie della sedia.
“Nessuno tocca il mio arredo liberty e la passa liscia. Nessuno!”
“Abel…”, esalò Ettore.
Fu allora che un gruppetto di radical chic gli furono addosso, organizzati come scout durante una raccolta fondi: lo pinzarono al suolo mentre due di loro trascinavano lontano il compianto Gregory. Il più palestrato dei quattro si esibì in un tuffo a gomito proteso che si sarebbe concluso con un atterraggio di fortuna sullo stomaco di Ettore, se non fosse stato che proprio in quel momento un ospite inatteso intercettò l’assalitore in mid air e lo trascinò sopra un tavolo ingombro di bicchieri e bottiglie.
“Onorio?”
Il molleggiatissimo culturista si era già rimesso in piedi direttamente sulla tavola, senonché Onorio lo centrò con un calcio sugli zebedei, mentre un secondo calcio provvedeva a spedirlo giù dal piedistallo. Thud.

Ettore approfittò della confusione per sciogliere la morsa che lo inchiodava a terra, rotolare su un fianco, usare la base di una mensola per darsi una spinta e scivolare oltre una foresta di gambe.
Si sollevò dalla posizione supina, trafugò una bottiglia e trincò di gusto la birra fredda. Una spallata tra le scapole gliela fece sputare fuori.
Il salone della festa si era trasformato in un campo di battaglia.
La zona relax era teatro dello scontro tra gli amici della moglie di Abel – probabilmente fanatici dello stile minimal – e lo stesso Abel, che stringeva sotto le ascelle gli stinchi di una sfortunata vittima e la faceva ruotare sgominando chiunque provasse ad avvicinarsi.
Il prode Onorio, spalleggiato dai Cazzeggianti amici suoi, era impegnato in un furioso alterco contro i fedelissimi di Gym Factor, fiaschi contro capocce, zuppiere versus denti finti.
In una parentesi di umorismo (o più probabilmente per errore), il dj aveva messo su un rap pompatissimo.

Ettore fracassava facce, rovesciava caviglie e frantumava scroti con tanto accanimento da non accorgersi della rediviva Marisa che avanzava furtiva alle sue spalle roteando un attizzatoio.
Un’altra ragazza si frappose tra lei e il suo bersaglio.
“Mi dispiace, Ettore è già prenotato”
Marisa ringhiò.
“Elsa, brutta troia, lo sapevo che ti eri presa una cotta per lui!”
Elsa fece un sorrisino malizioso.
“Non mi sembrava che la cosa ti importasse fino a cinque secondi fa”
“Togliti di mezzo o ti farò rimpiangere di essere mia sorella”
Elsa brandì la sua mazza da baseball preferita e la abbatté sul cranio di Marisa.
Crack.
“Sorellastra”, aggiunse.
Poi sputò a terra e si precipitò ad aiutare Abel.

“Franco, amico sincero della mia giovinezza dorata, vieni un po’ qui!”
Ettore avanzò a passo sempre più spedito tra le fazioni in lotta, in sincronia con Franco Recchia che indietreggiava a pari velocità. Fino a quando non ci fu più spazio, e Franco non si ritrovò seduto sul trono di sedie.
Ettore sollevò le mani serrate a maglio.
“Fa’ il re della collina, coglione!”
La martellata rintronò Franco al punto da incastonare le sue chiappe flatulente nelle schegge del trono, e viceversa.
Il tempo di un’altra sorsata, e un’ondata di corpi sommerse lo sghignazzante Ettore.

Si sentiva senza peso. Graffiato, morsicato, ricoperto di sangue e vomito, indubitabilmente vivo. Era come se tutti stessero cercando di stritolarlo, seppellirlo e spezzarlo in una volta sola. Non si era mai sentito così amato.

Una mano lo prese per l’orlo del cappuccio e lo pescò dalla bolgia. Ettore si vide atterrare su un divano, ruttare e battere le mani in segno di apprezzamento, e poco oltre scorse la sagoma concreta di Abel che reggeva due sgabelli in legno massiccio come giganteschi tonfa, frapponendosi tra lui e i superstiti della lotta. Era decisamente andato in berserk.
“Aaargh! Maledetti truzzi!!!”
Poi cominciò a falciarli.
Una sgabellata, one down.
Un aggancio e il secondo corpo caracollò verso Ettore, che lanciò in aria il boccale colmo, intercettò il proiettile umano con l’avambraccio e riprese al volo il bicchiere, trincando ancora una volta.
Tre, quattro, cinque. Il sesto cercò di stritolarlo da dietro, e ci sarebbe riuscito se Elsa non l’avesse pugnalato con un accendigas, urlando come un’amazzone.
L’assalitore crollò ginocchioni, giusto in tempo per registrare la presenza di Onorio che si scrollava di dosso una ragazza ricoperta di schiuma e gli tirava un calcio in bocca.
“Strrrike!”

Come guidati da una consapevolezza comune, i quattro guerrieri si voltarono verso Gregory che, unico sopravvissuto alla battaglia, cercava di togliersi di mezzo senza attirare l’attenzione.
“V-voi…”
Si tamponava il naso con un fazzoletto e piangeva lacrime di dolore.
“Voi siete fuori di testa! Ma non finisce qui! Io vi trascino tutti in tribunale!”
Ettore, Abel, Onorio e Elsa mossero un passo avanti.

Gregory strillò come una quindicenne e si lanciò in direzione della finestra chiusa.
Crash.
Anche a causa dell’astrusa planimetria della villa, dieci secondi dopo lo sentivano che atterrava in cantina.

Ettore eruppe in un’esultazione silenziosa e scagliò il bicchiere a terra, provocando un fracasso che sembrò riscuotere gli amici e perfino lui stesso.
Abel lasciò cadere gli sgabelli.
“Ehi!”, disse.
“Quello me lo ripaghi!”
Ettore gli mise un braccio attorno alle spalle.
Onorio rincarò la dose sull’altro lato.
“Se mi dicevi come sarebbe andata a finire, portavo minimo un tirapugni”
Elsa si lasciò avvolgere dal braccio libero di Ettore, lo scrutò per un breve istante e poi rimase a farsi coccolare.
“Irma mi ucciderà”, disse Abel con la rassegnazione di chi sa che il suo destino è ineluttabile.
Ettore respirò l’aria dell’alba che entrava dalla finestra rotta.

“Amico, non ho la più pallida idea di cosa succederà domattina, so solo che è stata la festa più divertente della mia vita”

La puntina del disco grattò e una placca d’intonaco venne via dal soffitto.
Un cane abbaiava.
Tutto era assolutamente perfetto.
  
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