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Autore: BlackEyedSheeps    11/10/2013    3 recensioni
Clint Barton e Natasha Romanoff hanno appena portato a termine la loro prima missione insieme. Una raccolta di one-shot, legate l'una all'altra da un sottile filo conduttore, vedrà mutare e crescere il loro rapporto attraverso nove città e due punti di vista, fino agli eventi di The Avengers. [Clint/Natasha]
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Compromised'
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CAPITOLO 9

San Francisco

 
 
Un sorriso limpido, sincero. Totalmente suo.
 
Distolse rapidamente lo sguardo dalla conversazione che stava avendo luogo a pochi passi di distanza dall'angolo di palestra che aveva reclamato come suo. Atterrò con estrema facilità il giovanotto con cui si stava allenando. Stava lavorando da più di un'ora, giostrandosi tra i vari attrezzi e i soliti esercizi, quando il tipetto l'aveva avvicinata con aria incerta, chiedendole se avesse potuto insegnargli qualche trucco del mestiere. Aveva l'aria di essere una recluta e di aver riflettuto a lungo, prima di racimolare il coraggio per fronteggiarla e porle la fatidica domanda. Natasha non era riuscita a dirgli di no.
 
“Passi troppo tempo a pensare alle mosse e troppo poco a metterle in atto. Ti si leggono su tutta la faccia”, lo istruì col suo solito tono monocorde. Si distrasse per lanciare l'ennesima occhiata alla coppietta di agenti che – approfittando dell'area allenamenti semideserta - stava effettuando dei piegamenti piuttosto allusivi, sorridendo e scambiandosi continui sguardi complici. Senza capire perché le interessasse, studiò i loro movimenti, i piccoli gesti, la posizione dei loro corpi. Era così che succedeva nella vita di tutti i giorni? A ragazza piace ragazzo, a ragazzo piace ragazza. Agiscono di conseguenza. Quella danza che a loro veniva tanto naturale, si scompose nella sua testa come una catena complicatissima di azioni e rispettive reazioni, macchinose, artificiose, impossibili da armonizzare le une alle altre.
 
Afferrò il pugno che la recluta tentò di sferrarle contro, piegandogli il braccio di lato prima di falciargli le gambe e spedirlo al tappeto per l'ennesima volta.
“Non puoi perdere il controllo di metà del tuo corpo perché ti stai concentrando sull'altra”, formulò sovrappensiero, sforzandosi di lasciar perdere la coppietta – che in tutta sincerità cominciava ad innervosirla – per guardarlo in viso. Avrà a malapena vent'anni, constatò. Gli tese una mano e l'aiutò a rimettersi in piedi.
 
Lo invitò ad attaccarla di nuovo.
 
***
 
Finì di raccogliere le sue cose ed uscì dalla palestra. Era indolenzita e accaldata, ma non era riuscita a rilassarsi come avrebbe voluto. Seguì le frecce che indicavano la direzione giusta per raggiungere la caffetteria. La sede dello SHIELD a San Francisco aveva dimensioni piuttosto ridotte in confronto al mastodontico centro di New York. Fosse stata una persona con abilità sociali meno limitate, sicuramente avrebbe apprezzato la familiarità che un luogo più piccolo consentiva di prendere sia con gli ambienti che con le persone.
 
Aveva appena fatto ritorno dall'Australia, dove aveva portato a termine una missione solitaria relativamente semplice: aveva fatto tappa sulla West Coast per qualche giorno, avrebbe partecipato ad una riunione con il direttore Fury – che stava trascorrendo la maggior parte del suo tempo da quelle parti – quella sera stessa e poi sarebbe ripartita per New York, in attesa di nuove istruzioni.
 
Abbandonò la sacca accanto ad un tavolo libero, avvicinandosi al bancone del piccolo refettorio. La sala era semideserta: a meno che non si fossero collettivamente dimenticati che era ora di cena, Natasha immaginò che avessero valide alternative al di fuori della sede dello SHIELD. Un paio di donne in divisa stavano discutendo animatamente in fondo alla stanza; un uomo sedeva solitario al suo tavolo, un libro sollevato al di sopra del vassoio che conteneva il suo pasto; un trio di giovani reclute – due ragazzi e una ragazza – troppo impegnati coi loro smartphone per alzare gli occhi l'uno sull'altro, figurarsi metter qualcosa sotto i denti.
 
Si appoggiò al ripiano di metallo, sporgendosi oltre per richiamare l'attenzione di un inserviente. Prima che potesse controllare sia a destra che a sinistra, una figura riemerse proprio davanti a lei, filtri per il caffè in una mano, una tazza pulita nell'altra.
L'agente Clint Barton sembrava reduce da un'accurata spedizione tra le provviste della mensa. Era abbronzato, i capelli più corti e chiari di quanto ricordasse. Rimase immobile, per un attimo convinta si trattasse di un brutto scherzo della sua immaginazione, convincendosi del contrario solo quando lui si accorse della sua presenza, un'espressione di analogo stupore sul viso.
 
“Natasha?” Domandò perplesso, lanciando un'occhiata confusa ai reperti che ancora teneva tra le mani. “E pensare che stavo solo cercando il caffè...”
“Sei arrivato fin qui dal New Mexico alla ricerca di caffè?”
“Per chi mi hai preso, Romanoff? A quel punto sarei andato dritto in Brasile, già che c'ero.”
“Non hai tutti i torti”, dovette ammettere lei.
“Non ne ho neppure uno, in effetti.”
“Da quel che posso notare il deserto non ti ha fatto rinsavire.”
“Rinsavire?” Sbuffò qualcosa, come se Natasha avesse appena detto la boiata del secolo. “Ci sei mai stata, nel deserto?”
“Non posso dire di esserci mai rimasta troppo a lungo”, fece una pausa, valutandolo attentamente con lo sguardo. “Se non altro la tua pelle sembra essersi adattata alla grande.”
Clint lanciò uno sguardo alle braccia muscolose lasciate scoperte dalla sua t-shirt, evidentemente con l'intenzione di controllare di non aver niente fuori posto. Solo dopo una manciata di secondi si concesse di considerare le parole di lei come uno pseudo-complimento.
“Sto una favola. Coulson dice che sembro uscito da Baywatch.”
 
Natasha si strinse nelle spalle: i riferimenti alla cosiddetta cultura pop dell'epoca non erano esattamente il suo forte.
 
“Lascia perdere, Romanoff”, decise. “Cosa posso prepararti in questa gloriosa serata californiana?”
“Ti hanno nominato cuoco?”
“No, mi sono auto-nominato tale”, indicò una targhetta inesistente appuntata sul petto. “Fury sarà qui da un momento all'altro e io ho una gran fame. Se uscissi a procacciarmi del cibo qua fuori, rischierei di rientrare tardi, e lo sai come reagisce Fury ai ritardi.”
“Non mi sembra ci voglia tutto questo tempo per uscire a prendere da mangiare”, obiettò lei.
“Hai provato ad uscire di casa con quest'abbronzatura? Sono come il miele con le api: le ragazze mi sciamano attorno e mi bloccano il passaggio e mi distraggono... è una vita dura, la mia.”
 
Natasha intrecciò le braccia al petto, un sopracciglio sollevato e l'aria interrogativa.
 
“Posso solo immaginarmelo”, si limitò a commentare, il pensiero di Clint novello adone da spiaggia a pungolarle fastidiosamente il cervello.
“Dai, vieni da quest'altra parte, ti preparo qualcosa”, la invitò. Natasha fece il giro lungo e lo raggiunse là dietro, senza prendere la poco igienica decisione di scavalcare il bancone. Clint, dal canto suo, parve contrariato.
“Sai cucinare?” Gli chiese, seguendolo nella cucina retrostante.
“Chi ha parlato di saper cucinare?”
“Hai ragione. L'ho semplicemente dato per scontato”, si guardò attorno: c'erano ripiani, mobili e fornelli d'acciaio ovunque posasse lo sguardo. “Dove sono andati a finire tutti?”
“Diarrea”, rispose laconico, affaccendandosi attorno ad uno dei tre grossi frigoriferi che occupavano un lato della sala.
“Tutti?”
“Tutti. Qualcuno ha riportato della carne da una missione in Argentina... un vero genio, se me lo chiedi.”
 
Lo guardò recuperare diversi ingredienti – riconobbe pomodori, maionese, degli... asparagi? - e appoggiarli su una zona libera, proprio accanto ai fornelli. Aveva tutta l'aria di non avere la più pallida idea di cosa stesse facendo.
 
“Devi annoiarti davvero molto in New Mexico”, commentò spassionatamente, adducendo il tedio a spiegazione di tutto quello zelo improvviso.
“Non dirmelo”, sospirò, concentrato sul da farsi. “Credevo fossi in Asia.”
“Australia”, lo corresse. “Appena tornata.”
“Che tipo di lavoro?”
“Oh, il solito. Seduci e colpisci.”
Clint mugugnò qualcosa in segno d'assenso, cominciando a spentolare senza il benché minimo criterio. Natasha sperava che le uova che aveva scovato in uno dei ripiani laterali del frigorifero di mezzo, fossero ancora commestibili.
 
“Posso chiederti una cosa?” Aveva parlato di nuovo, senza però sollevare lo sguardo dalla sua area d'azione. Se consciamente o inconsciamente, Natasha non seppe dirlo.
“Puoi chiedermi quello che ti pare”, lo informò. “Non è che detto che ti risponda.”
“Va bene... correrò il rischio”, annunciò, spaccando le uova in una ciotola. Gli ci volle un minuto buono per tirar fuori i pezzi di guscio che ci erano finiti dentro.
“I lavori seduci e colpisci...” riprese dopo qualche istante, “non ti danno fastidio?”
 
Natasha si adombrò.
 
“Perché dovrebbero?”
Clint si strinse nelle spalle. “Non lo so... perché hai a che fare con uomini disgustosi?”
“Abbiamo sempre a che fare con uomini disgustosi”, replicò.
“Lo so, ma almeno non me li devo...” si interruppe, decidendosi a rialzare lo sguardo su di lei.
“Ti dà fastidio sfruttare la tua mira?”
“No... no che non mi dà fastidio.”
“Anche se hai a che fare con uomini disgustosi?”
“Sì, cazzo... usare la mia mira su uomini disgustosi è la cosa più divertente”, dichiarò con una certa irruenza. Gli ci vollero una manciata di secondi per capire dove Natasha volesse andare a parare. “Okay. Okay, credo d'aver capito.”
Gli si avvicinò, appoggiando le mani al ripiano della cucina per recuperare un pomodoro troppo maturo.
“Apprezzo l'interessamento, ma non sono affari tuoi”, stabilì, il tono deciso, ma non ostico. “Ho smesso di fare cose che non voglio fare un sacco di tempo fa. Ricordi?”
Clint le lanciò un'occhiata che aveva del colpevole e annuì, prima di tornare alla preparazione della cena con rinnovato entusiasmo.
 
***
 
Osservò il piatto che le mise davanti e la prima cosa che le venne in mente fu quella volta, durante una missione in Alaska, in cui aveva scovato la carcassa di un opossum abbandonata nella neve. Ebbe il buonsenso di non rendere Clint partecipe dell'aneddoto.
Si armò, tentativamente, di forchetta e coltello, mentre lui – dalla parte opposta del tavolo – faceva altrettanto, un sorriso baldanzoso sulle labbra.
Natasha tagliò un pezzettino dal blocco monocromatico che giaceva tristemente davanti a lei.
“Ha un'aria disgustosa”, commentò spassionatamente, scatenando il puntiglio di lui.
“Non si giudica un libro dalla copertina, Natasha.”
“Questo non è un libro.”
“Assaggialo”, le ordinò, infilzando a sua volta un boccone. “Al tre. Tre, due, un -”
Si zittirono entrambi, masticando cautamente quella specialità dalla dubbia – nel migliore dei casi – consistenza.
I secondi passarono senza che nessuno dicesse niente. Tornarono a guardarsi solo quando i rispettivi glomp riempirono l'aria. Natasha inspirò a fondo mentre Clint riappoggiava le posate nel piatto.
“Stasera ho voglia di pizza”, dichiarò lui, come riprendendo una vecchia conversazione da dove l'avevano lasciata.
“Ottima idea. Offro io.”
 
***
 
Uscì per ultima dalla sala riunioni. Il direttore Fury l'aveva messa al corrente degli ultimi sviluppi del progetto Avengers, e informata della sua missione successiva che, tuttavia, con quel particolare affare non avrebbe avuto niente a che vedere. La sua meta, subito dopo la sosta a New York, sarebbe stata la Russia. Stava tentando di capire se si sentisse di star, in qualche modo, tornando a casa, ma non seppe decidersi a riguardo.
Si richiuse la porta alle spalle, lasciando il direttore Fury nel bel mezzo di un'accesa discussione in teleconferenza con una donna dalla pelle scura che Natasha non aveva mai visto.
Clint era seduto per terra, intento a leggere l'opuscolo – sembrava sempre averne uno a portata di mano - di un negozio d'arredamenti dal nome impronunciabile, ripescato da chissà dove.
 
“Credevo fossi ripartito”, disse semplicemente, attirando la sua attenzione. Lo vide cacciarsi il volantino in tasca e rimettersi in piedi per fronteggiarla.
“Stavo soffocando nella mozzarella quando Fury è venuto a cercarmi.”
“Un saluto originale, se non altro.”
“Hanno avuto qualche problema col nostro quinjet”, controllò l'orologio, “circa un'ora fa.”
“Quanto ci metteranno?”
“Non ne ho idea. In ogni caso, sarò di nuovo nel mio nido in New Mexico prima che possa dire 'Robin Hood'.”
 
Natasha gli sorrise senza stare troppo a pensarci. Clint sorrise a sua volta, sgonfiandosi per un attimo di tutto l'entusiasmo e il finto machismo, rilassando le spalle con un sospiro. Per qualche motivo, le tornò in mente la coppia di agenti che aveva osservato in palestra solo un paio d'ore prima.
 
“Potremmo... fare qualcosa”, propose vagamente, impedendosi di riflettere troppo sui perché, i percome e i perquando.
“Qualcosa?”
“Qualcosa...” biascicò con una punta di stizza, come se fosse stato dovere di Clint sapere esattamente cosa “qualcosa” fosse.
Nessuno dei due disse niente, ognuno occupato a soppesare le varie ipotesi.
“Sai giocare a bowling?” Le chiese infine.
“Sì, faceva parte del mio allenamento”, rispose lei, con tanta impassibilità e tanta naturalezza da fargli credere davvero – anche se solo per un misero istante – che la Vedova Nera si tenesse in allenamento atterrando birilli con una pesante palla a tre buchi.
Sorrise della sorpresa di lui, sinceramente divertita dalla confusione che gli lesse nello sguardo.
“Imparo in fretta”, puntualizzò, giusto per non demolire del tutto l'offerta.
“Dio, quanto sei pretenziosa quando ti ci metti.”
“Non sono pretenziosa se è vero.”
“Questo è tutto da vedere. Conosco un posto qua vicino, possiamo prendere un ta -” Il vibrare del suo telefono li distrasse entrambi. Il display baluginava debolmente attraverso la stoffa della tasca dei suoi jeans. Le rivolse un rapido cenno e rispose alla chiamata. Durò solo pochi secondi, ma, quando riattaccò, aveva già un'espressione scocciata e desolata insieme sul volto.
 
“Il quinjet è pronto”, annunciò.
“Il New Mexico ti attende.”
“Come una madre soffocante”, sospirò e rimise il cellulare al suo posto.
 
Natasha indietreggiò di un passo, già pronta alla fuga.
 
“Ci vediamo in giro, Barton.”
“Ehi, buona fortuna in... ovunque tu stia andando.”
“La fortuna non esiste.”
“E' un modo di dire, Romanoff.”
“Il che non lo rende meno sbagliato.”
 
Clint sbuffò e scosse il capo, una luce divertita negli occhi. Una forza invisibile sembrava tenerli inchiodati in quel corridoio, l'uno di fronte all'altra, nonostante non avessero niente da dirsi. O niente che avessero il coraggio di dirsi.
 
“Buona fortuna in New Mexico”, gli restituì, come per assolverlo dal peccato della formula comune, macchiandosi della stessa identica colpa.
“Cercherò di non mancarti troppo”, commentò lui, il telefono che aveva ripreso a vibrare.
“Non sarà troppo difficile. E' la tua cucina, quella che già mi manca”, Natasha cominciò ad indietreggiare nella direzione opposta a quella in cui sarebbe dovuto andare Clint.
“Oh, ti ho conquistata, baby.”
“Sì, bè, se mai dovessi dimagrire... ti farò un fischio.”
“Sei crudele.”
“Prego.”
 
Erano ormai distanti, Natasha pronta a girare l'angolo.
 
“Non metterti nei guai!”
“Non metterti tu nei guai!”
 
Fu l'ultimo avvertimento che gli lanciò dietro, la sua voce ad inseguirlo in fondo al corridoio, prima che sparisse dal suo campo visivo. Lo estromise immediatamente da propri pensieri, concentrandosi sul volo di mezzanotte che l'avrebbe riportata nella Grande Mela.
Stilò una lista mentale di ciò che andava fatto: recuperare le sue cose, salire sul quinjet, comprare qualcosa da mangiare per l'indomani, acquistare qualche libro da leggere nei tempi morti, rifornire la sua scorta di sonniferi, controllare la posta, rescindere l'abbonamento ad una rivista di punto croce a cui aveva inavvertitamente acconsentito mentre navigava su Internet qualche settimana prima, rilassarsi, non pensare a Clint, eccetera. Se le ultime faccende le avessero creato qualche problema, tentò di consolarsi: le prime sarebbero state sufficientemente semplici.
 
New York è una città che non dorme mai, dicono.
 
______
 
N.d.A: È arrivato, anche questa volta, il momento dei saluti! La storia si conclude qui.
Sono d’obbligo i ringraziamenti a chi ci ha seguito, e a chi ci ha recensito e spronato a continuare con pareri e buoni consigli.
Questo, con la speranza di risentirci presto, anche perché, come direbbe Occhio di Falco, abbiamo ancora qualche freccia al nostro arco.
Pensavate davvero ce la sentissimo di lasciarli così, abbandonati a loro stessi? Alle porte dell’universo cinematografico Marvel a noi noto?
Noi ci andiamo a rivedere The Avengers e a complottare su quello che succederà dopo, a voi lanciamo (con un calcio rotante) il nostro più caloroso arrivederci.
C ya.
 
Sere & Eli.
  
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