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Autore: Ceci Princessofbooks    11/10/2013    2 recensioni
Vegeta, giunto all'autunno della sua vita, riflette su ciò che ha avuto e ciò che ha perso, e scopre cosa significhi essere umano.Questa storia mi si è accesa nella mente mentre ascoltavo recitare un frammento di Mimnermo, un poeta lirico della Grecia arcaica, sulla vecchiaia e la bellezza dell'amore. Lo stile, invece, è ispirato ad Hemingway, uno dei miei scrittori preferiti.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And we will walk in the snow

 

L'aria era fredda e bianca, e urlava.

Il vento gonfiava le tende di mussola, invadendo la stanza, e scompigliava i capelli di Hope. Aveva i capelli biondi, lunghi e setosi, e si sollevavano come un velo d'oro sulle spalle. Inspirò profondamente l'odore di città e di gelo e di notte, e si voltò verso di lui. -Hai visto, Vegeta? Ha cominciato a nevicare. È presto, non trovi? Ma va bene così.-

Vegeta era seduto sull'orlo del letto, le braccia incrociate sul petto. -Certo, ragazza. Va bene così.-

-Se nevica, possiamo andare al parco, e camminare tra gli alberi. E io potrei stringermi a te e non lasciarti e farmi scaldare, perché tu non hai mai freddo. Non è vero, Vegeta?-

L'uomo si alzò, avvicinandosi alla giovane donna. I suoi anni cominciavano a diventare molti anche per quelli della sua razza, ma la schiena era ancora diritta, i passi silenziosi e cadenzati. Era abbastanza convinto che avrebbe camminato così incontro alla morte. -É vero, ragazza. Una volta potevo correre tra i ghiacci a piedi nudi e tuffarmi in mari lividi d'inverno, ma ora sono vecchio. Però posso ancora scaldarti.-

Le sue mani scivolarono intorno alla vita flessuosa di lei, stringendola. I suoi sensi troppo acuti coglievano il ritmo familiare del suo respiro, il suo profumo di miele e sapone, la lana morbida del suo vestito. Hope si sporse dalla finestra, guardando la strada lontana e sfumata e grigia. -Non sei vecchio, Vegeta, ma ti piace pensare di esserlo. Sei solo cambiato, ma questo è capitato tanto tempo fa. Molto prima che ci fossi io. Mi racconti di nuovo della tua vita, Vegeta? Delle tue avventure?-

-Sai già tutto, ragazza. Te le ho raccontate come non ho mai raccontato niente a nessuno.- Ed era vero. Non aveva mai raccontato qualcosa senza rabbia, senza paura di descrivere quello che aveva pensato e quello che aveva sperato. Forse gli anni l'avevano reso saggio. Forse c'era voluta Hope perché lo capisse.

La giovane si voltò, camminando leggera. Da quando Bulma era morta, Vegeta non aveva più voluto vivere alla Capsule Corporation. L'aveva lasciata a Trunks e alla sua famiglia, anche se talvolta ci tornava con Hope, e passeggiava senza parlare sotto gli alberi azzurri del parco e si fermava di fronte alla Gravity Room. Curiosamente non c'era amarezza in quelle visite, perché sapeva che il modo contorto e difficile e tormentoso con cui aveva amato era stato quello che gli apparteneva.

-Forse hai ragione. Ma le tue storie sono le più belle, e mi piace ascoltarti. Mi piace il fatto che in quelle storie tutto bruci di fuoco e passione e paura, ma che tu sappia controllare le fiamme.-

Vegeta si addossò alla finestra, lasciando che la brezza gli penetrasse nella schiena e nel sangue. Probabilmente, era così: doveva essere davvero bravo a raccontare. Quando, qualche anno prima, Hope l'aveva spinto a scrvere un libro sulla sua vita, lui aveva creduto fosse una pazzia. Ora il suo agente doveva tenere a bada decine di giornalisti e critici, e la copertina dei suoi romanzi riempiva le vetrine del centro.

-Sei sempre troppo maledettamente poetica, ragazza.-

-Forse hai ragione. Ma è la neve: mi fa pensare a te, Vegeta, perché anche in lei c'è qualcosa di nobile e bello e senza patria. Ti do fastidio, se parlo così?-.

-No, ragazza. Non mi dai fastidio. Una volta sentire la verità mi faceva infuriare, ma non è più così. Non così tanto, almeno.-

-Oh, non fingere di non essere più un principe permaloso. Lo sei. È anche per questo che ti amo.-

Si guardarono, e lei vide il sorriso nascosto nel volto di lui e le bastò. Per un attimo, non ci fu bisogno di dire niente, e rimasero così, felici solo della reciproca compagnia.

Vegeta osservò quegli occhi grandi e ingenui e forti, del verde coraggioso dei pistacchi e delle prime foglie, e pensò alla prima volta che l'aveva vista. Era una sera di novembre, proprio come ora, e lui era appena uscito dal cinema; amava il cinema, il buio fumoso della sala, le immagini nude che avvampavano sullo schermo. Era sul marciapiede, quando aveva sentito la sua risata. Aveva alzato il mento, e lo sguardo innocente e sfrontato di quella giovane donna gli aveva ricordato le due persone che più lo avevano cambiato, e che ora aveva perso.

Sei mesi dopo si erano sposati.

Hope lasciò scorrere la mano sul cassettone, senza sentirsi minimamente costretta ad avviare un'altra conversazione. -Stasera non potremo andare a pattinare, allora. Ti dispiace?- le chiese.

Scrollò le spalle. -Oh, non importa. Possiamo fare tante altre cose. E domani sento che potremo pattinare quanto vogliamo, lo so.-

Sul viso di Vegeta si disegnò il sorriso obliquo che aveva accompagnato la morte di molti nemici, la vita di altrettanti amici. Era fatta così, Hope; plasmata dalla carne e dal sole, e dalla speranza stessa. Lui era penombra e sangue e chiaro di luna, ma si completavano, si incontravano. E il fatto che lei fosse poco più di una ragazzina e lui avesse due figli ormai adulti non sembrava importante. Non per loro, non per il sole e la luna.

Hope cercò oziosamente sul ripiano del cassettone, e si fermò d'improvviso. Si voltò verso di lui, stringendo qualcosa tra le dita. Vegeta lo scrutò bene. -Che cos'è? Non l'avevo mai visto.- disse lei, porgendoglielo.

Vegeta lo prese, rigirandoselo tra le mani magre e agili. Era un vecchio calendario, di un anno trascorso da decenni; la carta era arricciata, gialla di tempo. Sulla copertina c'era la foto di una nebulosa, il rosso fiore di ioni che scintillava nel buio dell'universo. Le sue labbra si strinsero. -È un regalo. Un regalo di tanto tempo fa.-

-Ha una storia; ha una storia, lo vedo nei tuoi occhi.-

-Non è una storia molto interessante. Non ci sono grandi gesti, grandi battaglie, e nemmeno grandi parole.-

-Però per te è importante. Lo vedo.-

-Perchè la mia autorità con te non vale mai?-

-Prché hai imparato troppo bene come si comporta un vero principe.-

-Allora, vuoi proprio che te la racconti?-

-Sì- Hope si abbandonò sul letto, le gambe bianche e tornite che increspavano la gonna. -C'è la neve, e quando neviva il mondo non respira, e tutte le cose diventano preziose. Anche le vecchie storie.-

-Bene, allora. Se proprio insisti.-

E Vegeta cominciò a raccontare.

 

Era stata una giornata di luce, uno di quei giorni di tarda estate in cui il cielo grava sulla terra ed è azzurro e pesante. Erano i giorni in cui il mondo sembrava distendersi e assopirsi, e si copriva di oro e di celeste. Per qualche motivo, era in quei momenti che Vegeta sentiva di più la mancanza della sua casa: l'ombra dei muri gli ricordava quella delle mura bianche del palazzo, il tramonto si accendeva proprio del violetto dei crepuscoli di Vegeta sei. Da quando si trovava su quel pianeta, ed era ormai più di un anno, trascorreva quel tempo da solo, allenandosi fino a stordirsi o camminando lungo le valli imbiondite della campagna. Solo la notte gli dava qualche conforto; smarrirsi nella bella geometria delle stelle, nel nero pulito dello spazio. In qualche modo in quelle scintille lontane poteva, lui che non credeva che nella carne e nell'orgoglio, quasi vedere gli occhi di suo padre, mentre gli mostrava per la prima volta i serpenti delle galassie dalla finestra della loro astronave. Poteva spalancare le palpebre, e credere che esistesse un sentiero anche nella libertà paurosa che gli aveva dato la morte di Freezer.

Quel giorno aveva provato una gravità troppo alta, ed era caduto sul braccio con abbastanza forza da procurarsi un brutto squarcio. La donna l'aveva assillato fino a quando non aveva potuto che seguirla nell'infermeria. L'aveva medicato in silenzio, con mani sorprendentemente delicate, e senza il pudore o la lascivia che mostravano di solito le donne che aveva conosciuto.

Bulma aveva riposto le garze e l'aveva guardato, gli occhi fermi. Sapeva di vaniglia e di olio per motori, e aveva ancora uno sbaffo di grasso sulla guancia. -Dovresti stare più attento quando combatti. Vuoi ammazzarti?-

-Non sono affari tuoi, donna.-

-Pretendere da te una risposta normale è troppo?-

-Io dico ciò che penso, sempre.-

-No, non è vero.-

Era caduto il silenzio, ma era un silenzio imparziale, il respiro che segue un duello ben fatto. Gli piacque.

Alla fine, il viso della donna era diventato più maturo, più vero. -Ti cercavo perché volevo darti qualcosa- disse -non so quando tu sia nato, ma mi sono ricordata che sei tornato in vita più o meno un anno fa, e così ho pensato di farti un regalo.-

Gli porse un involo di carta velina rossa, un rozzo fiocco d'argento su un angolo. Vegeta sollevò un sopracciglio. -Un regalo? Per me?- In qualche modo, quella donna sembrava sapere sempre fare la cosa più inaspettata e pazza e impudente possibile. C'era coraggio, in quei gesti, e arroganza, e qualcosa di più caldo che lui non trovava da decenni. Ma anche in lui c'era coraggio e arroganza, e trovarli in qualcun'altro, qualcuno che sapeva appropriarsene così bene, era una sorta di piacere. Per questo prese il pacchetto; per questo, e perché quell'ombra calda gli toccava ancora la schiena, ed era più confortante delle stelle.

Vegeta strappò piano la carta, e i fogli si schiusero come petali di un fiore. Prese in mano il contenuto, scorrendolo veloce. Era un plico di pagine bianche e patinate, stampate con una serie di immagini dello spazio: nebulose imporporate, galassie candide, supernove rosse e gonfie come pesche mature. Molte le riconobbe, dai lampi che aveva scorto nella vetrata delle astronavi, o durante le notti di guardia di fronte ai fuochi dei bivacchi. Altre erano nuove, e Vegeta per un attimo si lasciò condurre in quello spazio mai sfiorato, fragrante e crudo e immacolato. Era come se quella donna avesse catturato il cielo, e lo avesse chiuso in una copertina. Sollevò gli occhi.

-È un calendario dell'altr'anno, quindi ti sarà poco utile- spiegò la donna, e se fosse stato più attento, avrebbe colto un tremito nella sua voce. -Ma quando l'ho visto ho pensato a tutte le volte che ti ho visto guardare le stelle sul tetto, e mi sono detta che forse ti sarebbe piaciuto.-

Vegeta non abbassò lo sguardo, e la fissò così a lungo da costringere la donna a ricambiare col suo. Restarono così a lungo, senza parlare, e per la prima volta Vegeta si accorse che i capelli della donna avevano il colore delle mattine del suo pianeta. Poi si voltò, e uscì a passi lenti dall'infermeria.

Non si separò mai da quel calendario.

 

-Avevo ragione. È proprio una bella storia- disse Hope. Adesso era seduta sul letto, e si avvolgeva le ginocchia con le braccia. -Ho fatto bene a fartela raccontare.-

Vegeta scrollò le spalle.-È solo il ricordo di un vecchio.-

-Tu sei un principe. I principi non invecchiano.-

-Oh, invece lo fanno. Solo che non se ne accorgono, e anche quando lo fanno, gli altri non riescono a crederci. Per quanto ti abbiano odiato, per quanto abbiano detestato il tuo orgoglio, non possono farne a meno.-

-E perché non possono farne a meno?-

-Perché c'è bisogno di qualcuno che rialzi la testa ogni volta, anche quando affonda giù nel fango. C'è bisogno di eroi, ma gli eroi non sanno rialzarsi; vincono, ma possono spezzarsi. Per questo c'è bisogno di quelli come me, che sanno non abbassare lo sguardo anche quando sono sconfitti.-

-Sei diventato molto duro con te stesso, Principe Vegeta.-

-No. Semplicemente, ho usato su me stesso le regole della strategia: capire i punti di forza, le debolezze, le fessure da cui si può entrare e ferire e distruggere. Non ne ho molte, ma sono profonde.-

Hope si rialzò e gli venne vicino, posandogli le mani sul petto. Le piaceva sentire il suo respiro, l'ombra delle cicatrici sotto il maglione.-Sei molto duro.-

-Io sono spietato.-

-No, non lo sei. Forse lo sei stato una volta, quand'eri troppo giovane per dare importanza alla vita e alle risate e alle belle nevicate. Ma ora no, e da molto tempo.-

-Come fai a dirlo, se non mi conoscevi?-

-Perchè lo grida ogni parola che hai scritto, ogni pagina dei tuoi libri.-

-Dannati libri.-

-No, non chiamarli dannati. È grazie a loro se le tue avventure continuano a vivere, se i bambini giocano ancora chiamandosi con i nomi di tutti quelli che hai conosciuto e hanno lottato al tuo fianco.- Si strinse di più a lui, al suo calore. -È molto bello, non pensi?-.

-Forse. Certi giorni lo odio, e altri no.-

-Tu odi molte meno cose di quelle che dici.-

Gli occhi di Vegeta caddero sul calendario, spiegazzato e liso dalle troppe volte che l'aveva sfiorato. Ripensò a tutte le sere in cui si era addormentato guardando quelle figure, fino a quando ognuna gli era diventata familiare come la propria mano.

Fino a quando si era reso conto che non aveva più bisogno di cercare una casa lontano da quello strano pianeta azzurro.

-Ah, ragazza- mormorò tra i capelli di Hope -forse noi due siamo pazzi. Forse dovresti stare con qualcuno della tua età, qualcuno che ti porti a ballare e ti faccia ridere e ti mostri quanto è bello il mondo. Io ho già fatto troppe cose per riscoprirle con te.-

-Oh, non dire così Vegeta- lei gli gettò le braccia intorno al collo, dolcemente, come avrebbe fatto avvicinandosi ad un animale selvatico e bello. -Ne abbiamo già parlato tante volte. Io voglio stare con te: amo quello che dici, quello che pensi, il modo in cui mi guardi. Non riesci a capire che voglio te accanto mentre scopro il mondo?-

-A volte ho paura di essere un maledetto egoista.-

-Non capisci che la decisione è anche mia?-

Vegeta sospirò, mentre le sue mani salivano a cingerle la vita, e Hope seppe di aver vinto. -Non sei la prima a dirmelo, sai.-

-Raccontami.-

-Non ti stanchi mai, vero, ragazza?-

-Non voglio per forza capirti, ma voglio conoscerti. Per amare di te tutto quello che posso.-

-Mi dispiace, ma questa è una cosa che non posso raccontarti. Un giorno, forse.-

Lei non insistette, e Vegeta sapeva che non si sarebbe offesa.

-Va bene. Allora restiamo solo abbracciati così, e guardiamo la neve.-

Vegeta appoggiò il mento sulla spalla di Hope, e ricordò.

 

Fuori fiocchi bianchi cadevano senza rumore, scintillando come cristalli nella luce gialla dell'ospedale. L'aria della camera sapeva di disinfettante e di fiori e di medicinali. Vegeta era seduto sulla sedia di plastica bianca accanto al letto, le bracca incrociate e lo sguardo cupo e spaventato. Bulma gli accarezzava piano i capelli, il braccio sottile e chiaro come ossa d'uccello. Non parlavano, contenti del silenzio che tra loro non era mai stato un vuoto, ma una parte d'amore. Scie grigie solcavano i capelli della donna; ma per lui continuavano ad essere del colore dei mattini del suo pianeta.

-Vegeta- cominciò d'improvviso, premendo appena di più sulla nuca dell'uomo. -C'è una cosa che devo dirti. Una cosa di cui volevo parlarti da tanto tempo.-

Vegeta non aveva risposto niente, aveva premuto appena la testa contro il tocco di Bulma, ed era bastato.

-Vegeta, sai che me ne andrò prima di te. Non mi rimane molto, amore mio, e anche se mi sarebbe piaciuto vedere che cosa ti saresti inventato nei prossimi anni, va bene così. In fondo, ti ho già visto tenere in braccio il tuo primo nipotino, e questo vale parecchio.-

-Smettila, donna.-

-Smettila di fare cosa?-

-Di scherzare. Di dire queste cose.-

-Ho usato l'ironia per tutta una vita. Non ci rinuncerò di fronte alla morte.-

-Allora combattila.-

Il sorriso della donna era stato dolce, e gli aveva spezzato il cuore. -Oh, hai ancora tanta forza dentro di te, Vegeta. È proprio di questo che volevo parlarti.-

-Che cosa intendi?-

-Intendo dire che hai ancora tanto da dare al mondo, amore mio. E per farlo, avrai bisogno di una compagna.-

-Stai delirando, donna. Adesso riposati.-

-No, Vegeta. Sei troppo intelligente per non capire che sto dicendo sul serio. Io non voglio che tu rimanga solo, quando me ne andrò. Certo, avrai i ragazzi, questo è vero: ma avrai bisogno di qualcuno che possa conoscerti come ti conoscevamo io e Goku, che possa vedere le tue ombre e abbia l'esperienza per accettarle. Tu hai già capito molto degli uomini, forse più di molti di loro, proprio perchè hai dovuto imparare di nuovo ad essere uno di loro. Datti la possibilità di conoscere ancora le dolcezze e le bellezze che possiamo darti noi umani.-

-Io posso stare da solo, donna. Non ho bisogno di una balia.-

-È proprio per questo che dovresti trovare qualcuno. Sei stato solo per tanto tempo, Vegeta. Non voglio costringerti ad esserlo ancora.-

Vegeta strinse la mano che gli sfiorava i capelli, e in quella stretta c'era tutto il suo amore, la sua supplica, la sua paura. -Donna...-

La mano ricambiò la presa. -Lo so, amore mio. Lo so. Ma ricorda le mie parole. Là fuori c'è qualcun altro che potrà avere il tuo amore. E non posso augurare dono migliore.-

Si erano guardati a lungo, senza baci, senza bugie, senza illusioni. Poi, insieme, avevano osservato la neve che danzava oltre i vetri.

 

Ora vedeva la stessa danza, e anche se il profumo sotto di lui era diverso e i capelli che toccava non avevano il colore del cielo, c'era qualcosa di altrettanto caldo e invincibile nel suo petto. E sì, aveva imparato molto altro dalla sua nuova compagna. E sì, si era concesso molto di più con quella nuova guida. Sì, il suo sentiero non era finito. Non ancora.

Per un attimo, si chiese di nuovo se tutto questo fosse egoista, se fosse stata la sua vecchia arroganza a fargli scegliere quella giovane donna tenera e nuova. Ma in quel momento capì che era stato l'eatto opposto, che era stata la sua umanità.

Faceva ciò che sapevano fare gli uomini, che li condannava e li salvava allo stesso tempo.

Continuava ad amare, ed era quello che avrebbe voluto lei.

-Mi ha incastrato.-

-Che cosa?- Hope sollevò la testa.

-Niente. Forza, mettiti il cappotto. Andiamo fuori, al parco.-

-E tu mi terrai stretta e non mi fari prendere freddo?-

-Certo, ragazza. Sarebbe una tremenda seccatura averti malata.-

-Sei molto dolce quando non vuoi, Vegeta.-

Vegeta aprì la porta, mentre Hope chiudeva il cappotto blu.

-Anche questo me l'hanno già detto.-

-Raccontami.-

-Va bene, ragazza.-

Uscirono, e furono solo due sagome strette nel bianco.

 

   
 
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