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Autore: andromedashepard    12/10/2013    6 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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 “The world was on fire and no one could save me but you.
 It's strange what desire will make foolish people do.
 I never dreamed that I'd meet somebody like you.
 And I never dreamed that I'd lose somebody like you”
 
 (
Chris Isaak, "Wicked Game")

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Mentre aspettava l’arrivo di Garrus, Thane osservava la sala dall’unico angolo a lui disponibile, cercando istintivamente vie di fuga e deficit nella sicurezza, come d’abitudine. Lo faceva sovrappensiero, come se fosse semplicemente un istinto naturale che non richiedeva particolare attenzione. Attenzione che, però, fu catturata ad un certo punto da una chioma rosso fuoco, nascosta in parte dall’esile figura del cameriere di prima. Quando l’uomo si spostò, quello che vide lo lasciò senza parole. Un paio di occhi verdi si specchiarono nei suoi, prima di spalancarsi per lo stupore. Per una manciata di secondi restò interdetto, rendendosi conto che se avesse visto un Collettore in smoking, sarebbe rimasto meno meravigliato. Poi si alzò d’istinto. Qualunque cosa significasse la presenza di Shepard in quel posto, non poteva semplicemente restare immobile ad osservarla, nonostante fosse una visione così bella da togliere il respiro.
Lei, dal canto suo, appariva terribilmente sconvolta e impacciata. Gli occhi verdi guizzavano da una parte all’altra, alla ricerca di qualche appiglio, di un modo per poter sparire in quel preciso istante. Alla fine si costrinse a reagire e si avvicinò al tavolo, dove Thane la aspettava in piedi. Dischiuse le labbra per parlare, realizzando che la frase appena pronunciata era stata solamente un sibilo. Riformulò la domanda, schiarendosi la voce.
“Che significa?”, chiese, indicando vagamente il tavolo con un gesto del braccio.
Evidentemente si aspettava che lui lo sapesse. Thane si guardò intorno, senza riuscire a mascherare l'evidente imbarazzo.
“Speravo potessi spiegarmelo tu. Dovevo vedermi con Vakarian”, rispose, col tono di voce più calmo e gentile possibile.
Shepard si morse un labbro, con il cuore in gola e le mani sudate.
“Io dovevo vedermi con Tali”.
O uno di loro stava mentendo, o erano stati davvero ingannati entrambi. Shepard fece per sedersi, stando attenta a non calpestare l’orlo del suo vestito o quello della tovaglia, fallendo miseramente nel farlo. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto nei prossimi secondi, ma tutto ciò che sentiva di volere, in quel preciso istante, erano almeno un bicchiere d’acqua e un attimo di pace per schiarirsi le idee. Anche Thane tornò a sedersi sulla sedia di fronte, senza toglierle gli occhi di dosso, mentre lei, al contrario, faceva di tutto per evitare il suo sguardo.
“Non so che dire”, mormorò, dopo essersi scolata un intero bicchiere di quella che credeva fosse acqua.
“Forse ci raggiungono più tardi?”, tentò di dire lui.
“E’ un tavolo per due, Thane”, rispose lei, col tono di chi sta sottolineando per l’ennesima volta la cosa più palese del mondo.
“Beh, devi ammettere che ti sei circondata di persone interessanti”.
“Di idioti, vorrai dire”, sbuffò Shepard, versando ancora un po’ di quella bevanda nel bicchiere. Poi alzò lo sguardo, pentendosene un attimo dopo aver incontrato i suoi occhi. “Vuoi?”, domandò. Lui rifiutò garbatamente, sfilandole la bottiglia delle mani per fare da sé. Shepard diede un lungo sospiro, appoggiando la fronte su una mano, quasi a voler sorreggere un carico di pensieri troppo pesante. La sera prima aveva scioccamente espresso il desiderio di trovare qualcuno in grado di risolvere per lei quella situazione, ma si rendeva conto solo adesso che trovarsi forzatamente faccia a faccia con ciò che le faceva più paura, era in realtà terrificante. Doveva essere proprio un’idiota per meritarsi degli amici che progettavano incontri e riconciliazioni al posto suo. Accantonò momentaneamente ogni desiderio di vendetta nei confronti dei responsabili e si concentrò sulla situazione in cui si trovava. Dall’esterno, nessuno avrebbe mai indovinato chi fossero quelle due persone sedute a quel tavolo, nessuno avrebbe mai capito che ruolo avessero, quali fossero i loro problemi e le loro speranze. Nessuno si sarebbe mai accorto di quanto dolore attanagliava le loro anime, mentre entrambi cercavano di dare un senso a quel momento.
“Non dobbiamo per forza restare”, disse poi, mentre il cameriere le porgeva il menù, comunicando loro che il conto era già stato pagato, qualunque cosa avrebbero ordinato.
“Non dobbiamo per forza andare via”, rispose invece Thane, incrociando brevemente il suo sguardo.
E cos’altro avrebbero potuto fare, a quel punto? Andarsene significava inevitabilmente porre fine a qualunque cosa ci fosse mai stata fra di loro, e nessuno dei due voleva esserne il responsabile.
Mentre tentava di leggere il menù, senza riuscire a dare un significato alle parole che distrattamente le passavano davanti agli occhi, Shepard realizzò che da parte sua sarebbe stato opportuno scusarsi per la sera prima… per come aveva reagito, per le parole che aveva usato, per il modo in cui aveva cercato di strappargli una confessione senza neppure rendersene conto, ma lui la precedette, comunicandole con un sorriso che quel pomeriggio aveva incontrato Kolyat.
“Alla fine, è andata meglio di quanto mi aspettassi”.
“Mi fa davvero piacere”, rispose lei, trattenendosi dal fargli domande più approfondite.
“Dipinge, sai? Non ha voluto mostrarmi nulla perché non mi ritiene capace di apprezzare la sua arte, ma sono felice che abbia qualcosa con cui distrarsi”.
Shepard stavolta sorrise, immaginando suo figlio imbronciato e imbarazzato mentre tentava di nascondergli le sue tele.
“Dagli tempo, sono sicura che un giorno verrà a chiedere la tua approvazione, al contrario”. Era sollevata che lui avesse scelto di parlare d’altro, mettendola nelle condizioni di poter ignorare per un po’ la questione in sospeso.
“E’ stato felice di vederti?”, gli domandò poi.
“Sta ancora cercando di accettare la mia presenza nella sua vita, ma oggi ho capito tante cose… Molte delle quali grazie a te”.
Shepard si irrigidì a quella risposta, serrando istintivamente le labbra. Continuava a ringraziarla per tutto, ma poi le sue azioni le comunicavano tutt’altro. Decise che non avrebbe accettato di nuovo di impantanarsi in un discorso apparentemente spassionato che poi sfociava nel personale, così si limitò a sorridere lievemente e concentrò la sua attenzione sul menù, scegliendo il primo piatto che stuzzicò il suo appetito.
Poi, mentre aspettavano che il loro ordine arrivasse, gli raccontò brevemente dell’esito della riattivazione del Geth, evitando però in qualunque modo di toccare tasti dolenti. Ne parlò con tranquillità, affermando che alla fine si era rivelato un acquisto importante per l’equipaggio e che non vedeva l’ora di testare le sue abilità in campo.
“Con Vakarian e Legion come cecchini, sarai libero di adottare uno stile di combattimento più libero”, affermò.
“E’ quello che succede anche adesso, no? Alla fine finiamo sempre per trovarci in prima linea, fianco a fianco”, rispose lui, rendendosi conto troppo tardi dell’ambiguità di quella frase. Le guance di Shepard si tinsero di un rosa più intenso, sotto le lentiggini, e lui osservò quel leggero cambiamento con stupore.
Mille pensieri attraversarono la mente di Shepard a quel punto, e si ritrovò ad odiarsi mentre si mordeva l’interno di una guancia per evitare di esplodere da un momento all’altro. Era stato abbastanza chiaro nelle sue intenzioni, perché continuava a stuzzicarla in quel modo?
Fortunatamente il cameriere non tardò ad arrivare, e dopo aver poggiato con eccessiva riverenza i loro piatti, li lasciò liberi di consumare la cena, dando finalmente loro a disposizione una scusa per tenere la bocca chiusa. Osservarono le rispettive pietanze con curiosità, ma non si azzardarono a fare domande. Sarebbe stato troppo semplice varcare quel muro che avevano eretto fra di loro, persino scontrare i propri piedi con quelli dell’altro avrebbe potuto farlo sgretolare da un momento all’altro… e chissà perché, sembravano tenerci troppo a quell’odiosa barriera ricolma di paure e fraintendimenti.
“Riesco a ricordare alla perfezione la prima volta che abbiamo mangiato insieme”, gli disse poi lui, attirandosi il suo sguardo perplesso. “Sono passate solo poche settimane, eppure mi sembra sia successo un secolo fa”.
“Era stata una giornataccia, lasciamelo dire. E la parte peggiore è stata attraversare quel ponte in costruzione fra le torri. Miranda ha rischiato un paio di volte di volare via come un fuscello al vento”, sorrise lei, raccogliendo le ultime foglie d’insalata dal piatto.
“Mi dispiace”.
“Dovere. L’Uomo Misterioso mi aveva spedita a reclutare l’assassino più abile dell’intera Galassia e io non potevo di certo farmelo sfuggire”, disse d’istinto. E a quel punto, anche lei aveva commesso l’errore fatale di esporsi troppo. Si maledisse internamente, mentre le labbra di lui si curvavano in un sorriso sincero.
“Eri bellissima nella luce di quel tramonto”.
 
 
 
Non riusciva a credere di aver sentito davvero una cosa del genere. Non capiva… perché, perché continuare a farle del male se non aveva intenzione di andare fino in fondo?
Quando gli attimi di silenzio che seguirono a quella frase furono troppi da sopportare, lei perse inevitabilmente il controllo e si alzò di scatto, colpendo il tavolo con una mano. Non poteva semplicemente restare ferma davanti a una situazione che la vedeva disarmata e totalmente impreparata. Lo guardò con rabbia, ignorando l’espressione sconvolta che si era formata sul suo viso.
“Perché mi stai facendo questo?”, gli chiese, guardandolo dritto negli occhi come non aveva più avuto il coraggio di fare.
Lui non rispose, evidentemente incapace di farlo, e lei continuò. “Perché illudermi, perché farmi credere che t’importi davvero qualcosa se poi sei pronto a fuggire al minimo ostacolo o alla minima incomprensione?”.
A quel punto si alzò anche lui, non più spaesato, ma determinato come non mai. Gli aveva appena confermato di non aver capito nulla, assolutamente nulla di ciò che lo aveva spinto ad agire così. “Non lo capisci che ti sto dando la possibilità di salvarti?”, esclamò con rabbia.
Quella frase fu per lei peggio di un’offesa, peggio di uno schiaffo. Gli si avvicinò, prendendolo per il colletto della giacca, ormai totalmente fuori controllo. “Smettila di credere di sapere cosa è giusto per me, smettila di mascherare una decisione già presa come una scelta. Io merito rispetto”, scandì, senza staccare gli occhi dai suoi. Poi lo lasciò andare, socchiudendo gli occhi nel tentativo di calmarsi. “Non voglio scuse, voglio la sincerità che mi spetta dopo quello che c’è stato, qualunque essa sia”, disse, preparandosi per ricevere il rifiuto che aspettava ormai da troppo tempo.
“Vuoi sincerità, ad ogni costo? E’ questo che vuoi?”
“Si, dannazione. E’ troppo da chiedere?”
Nel pronunciare quella frase, sentì il pavimento crollarle sotto ai piedi.
“Io ti voglio con tutto me stesso”.
 
 
 
L’aveva vista accasciarsi di nuovo sulla sedia, come se avesse perso improvvisamente tutte le forze. Non l’aveva guardato, non dopo quelle parole, e si era invece coperta il viso con le mani. I lunghi boccoli color rame coprivano le sue dita affusolate, nascondendo a lui qualunque parte del suo volto. Durò solo qualche secondo, prima di vederla alzare nuovamente, con una luce estranea ad illuminare le sue iridi verdi e le labbra serrate. Non ebbe il tempo di capire quale emozione avesse preso il sopravvento su di lei che si sentì trascinare per una mano e in un attimo lei gli aveva dato la schiena, iniziando a camminare verso l’uscita del locale senza dire una parola.
Non disse nulla, limitandosi a seguirla e a tenere il passo, mentre il solito cameriere tentava di chiedere spiegazioni, seguendoli a distanza come un segugio spaurito. Quando furono in strada si aspettò che lei avesse intenzione di parlargli, di spiegargli qualunque cosa le stesse passando per la mente, ma Shepard non si dimostrò minimamente interessata, continuando invece a camminare a passo svelto mentre la presa della sua mano intorno al polso aumentava di intensità.
Prima che potessero anche solo realizzare cosa stesse succedendo, si ritrovarono dentro a un taxi.
“Allo Spazioporto. Hangar d’attracco 24. Subito”.
Thane si voltò a guardarla, scoprendo di non averla mai vista così tesa e determinata. Per un attimo ebbe paura che fosse successo qualcosa sulla Normandy, ma non ricordava di averla vista ricevere alcun messaggio. L’ansia s’impadronì di lui, lentamente, annidandosi nella sua mente, intaccando ogni pensiero come un subdolo parassita, mentre le luci della Cittadella ricamavano disegni astratti sul volto di lei, sul suo vestito. Finalmente era riuscito a dirle quello che per tanto tempo aveva cercato di seppellire, sotto strati infiniti di quelle che sembravano buone ragioni, ma ora… ora che riusciva a sentirsi in parte sollevato, un’altra domanda premeva per trovare una risposta. Alzò una mano, quasi nel panico, con l’intenzione di trovare la sua e stringerla, implorando per un solo sguardo, una parola, ma il timore di aver sbagliato di nuovo tutto glielo impedì categoricamente, e quel gesto passò inosservato. Avrebbe dato qualunque cosa pur di leggere ciò che si celava dietro a quegli occhi vispi, impegnati a rincorrere mille dettagli fuori dal finestrino, dietro a quelle labbra che sembravano trattenere troppe cose. Cos’era… cos’era che aveva visto sul suo volto, appena dopo le sue parole, e che ora non gli dava pace? Fece per parlare, meravigliandosi di aver finalmente trovato il coraggio, quando una brusca frenata si frappose tra lui e la sua audacia, costringendolo definitivamente ad arrendersi all’idea che sarebbe stato più semplice smetterla di farsi domande e, semplicemente, attendere.
 
 
 
Dovette aspettare di ritrovarsi dentro la sua cabina, prima di poterla guardare di nuovo negli occhi. Shepard si abbandonò sulla scrivania, appoggiando le mani dietro la schiena sulla superficie metallica, e lo guardò come se fosse lei in realtà ad attendere una risposta da lui. Thane si avvicinò con cautela, senz’avere la minima idea di come interpretare i suoi gesti.
“Dimmelo di nuovo”, gli disse lei, con un malcelato tono di sfida.
Thane non rispose subito, rendendosi conto di essere lui, adesso, nella posizione di non riuscire più a guardarla negli occhi.
“Vuoi la verità…”, disse piano, “…la verità è che ti voglio nella mia vita, ma non voglio essere la causa di un futuro pieno di dolore”.
Shepard scosse il capo, come se la risposta che gli aveva appena dato non fosse quella giusta.
“Meriti un futuro migliore, meriti di essere felice”, aggiunse lui, facendo un passo verso di lei, costringendosi a guardarla con occhi tristi.
“Non me ne faccio nulla del futuro, se non posso averti nel mio presente”, rispose Shepard bruscamente. “E dio solo sa quanto ho bisogno di te…”
Restarono per un attimo a fissarsi i piedi, i cuori in tumulto, i muscoli tesi, poi lei cercò i suoi occhi, con una dolcezza disarmante.
“Lasciami scegliere di averti…”, lo supplicò, “perché io, davvero… non voglio nient’altro”.
E in quel preciso istante lui capì. Capì che continuare a negarsi ogni cosa non lo avrebbe sollevato dai suoi sbagli, capì che se voleva dare un senso al cambiamento, questo non poteva escludere le persone accanto a lui, capì che l’isolamento non gli avrebbe rimarginato le ferite, capì che per rispetto ai morti, bisognava amare la vita… e Shepard per lui aveva sempre rappresentato questo. Si era presentata quando aveva ormai deciso di non poter più continuare a vivere, facendogli rivedere le sue scelte, facendolo scontrare con le sue certezze, facendogli cambiare modo di vedere le cose, regalandogli una nuova chiave di lettura, un nuovo colore. Non era troppo tardi per accettare quel dono, non era troppo tardi per amare di nuovo, non era troppo tardi per essere felice… perché se fossero morti tutti, di li a qualche giorno, lui voleva essere certo di aver fatto l’ultima cosa davvero giusta in suo potere. Se lei avesse avuto davvero bisogno di lui, lui ci sarebbe stato, con ogni parte di sé.
Lasciò che a rispondere fossero le sue labbra, con un bacio delicato ma lungo abbastanza da farle capire con quanta intensità anche lui avesse così disperatamente bisogno di lei, e lei sembrò percepirlo perfettamente, perché le sue mani iniziarono ad affaccendarsi sulle fibbie della sua giacca come se odiasse adesso ogni centimetro di quell’ostacolo.
Quando l’indumento cadde sul pavimento, lui si distanziò, guardandola come avrebbe fatto con la cosa più fragile e preziosa del mondo. E in un attimo, anche il vestito di lei scivolò via, una cascata del colore del mare in tempesta che si raccoglie ai suoi piedi, un fruscio che precede il suono di un altro bacio. Un bacio che non era altro che un tentativo impetuoso di cancellare ogni cosa che si erano detti per ricominciare da capo, senza più dubbi a guidare i loro gesti, senza più tormenti ad impedire loro di guardarsi negli occhi nel modo più sincero possibile.
Affondò il viso nei suoi capelli mentre le sue mani lentamente esploravano sua schiena, e la sentì sorridere contro la sua gola, come se tutta la tensione che c’era stata fra loro fino a quel momento fosse improvvisamente scomparsa, come se avessero ripreso esattamente dall'ultima volta che si erano lasciati, quando la Normandy si trovava ancora sotto il cielo stellato di Telmum.
“Che c’è?”, le chiese dolcemente, scostandole un ciuffo di capelli dal viso. Lei si tuffò di nuovo sulla sua spalla, quasi ridendo adesso.
“Avrei dovuto dare un’occhiata ai video di Mordin…”, confessò, imbarazzata.
“Ah… quei video”, sorrise lui, accarezzandole la nuca.
“No, aspetta…”, si scostò leggermente per guardarlo negli occhi, “…non vorrai dirmi che Mordin… anche a te?”, domandò, una mano a coprire la propria bocca.
“Ho sempre trovato il professore piuttosto invadente, in effetti…”, annuì lui, imbarazzato e allo stesso tempo stranamente divertito, “ma non pensavo fino a questo punto”.
“Oh, dannazione, mi dispiace…”
Lui scosse il capo, sorridendo per tranquillizzarla. “Ha una collezione piuttosto… vasta”.
“Non ci credo… hai avuto il coraggio di guardarli davvero?”
“E’ stato l’unico modo di persuaderlo ad evitare di cantare nelle ore notturne. Iniziava a diventare insopportabile e, a dirla tutta, sono convinto che lo facesse apposta”.
“Avresti potuto, che so, parlarmene… gli avrei…”
“Siha”, la zittì lui, strofinando una guancia contro la sua mentre le sue mani cercavano quelle di lei, “non ha importanza… e poi, dopotutto, potrebbe anche essersi rivelato utile”.
Lei rise, sfuggendo dalle sue mani per intrecciarle invece intorno alla sua schiena, annullando il più possibile ogni distanza. Poggiò le labbra sul suo collo, accarezzandolo con baci delicati, appena accennati, deliziandosi di quanto fosse così morbida e calda la sua pelle lì.
“Lo sai, non sono abituata a trovarmi in simili condizioni di svantaggio”, ammise, senza interrompere il contatto.
“Dimentichi che questa non è una gara, Siha”, rispose lui, sfiorandole un orecchio con le labbra, tanto quanto bastò per farla rabbrividire all’istante, mentre un sorriso impertinente curvava gli angoli della sua bocca.
Sapeva che ci sarebbe voluto molto più di questo per convincere una persona abituata a vedere tutto in termini di una missione, che certe cose, semplicemente, non seguono una logica né un percorso prestabilito. Non si nutrono di regole, né fanno affidamento a manuali d’istruzione. E in ciò risiedeva il bello… nell’avere assoluta libertà di esprimersi ed esprimere le proprie emozioni sconfinando ogni limite possibile, esplorando nuovi percorsi alla cieca, meravigliandosi di ciò che ogni orizzonte nuovo poteva rivelare a uno sguardo vergine.
La sollevò per i fianchi, facendola sedere sulla scrivania, poi le allontanò i capelli dalle spalle, in modo che le ricadessero morbidamente sulla schiena, mentre le sue labbra percorrevano i contorni del suo collo. Lei chiuse gli occhi, le mani strette intorno ai vestiti di lui, così insopportabilmente stretti.
“Che ne pensi di…”, mormorò con difficoltà, “…uscire da quel coso?”
Thane rise brevemente, ma non esitò ad ubbidire a un ordine così ben mascherato dietro a un’innocente richiesta, e nel farlo, non si perse il sorriso di lei, impaziente e allo stesso tempo teneramente imbarazzato. Poi la prese in braccio, meravigliandosi di come fosse così leggera, leggera e morbida nonostante la rigida muscolatura da soldato e gli impianti di Cerberus.
Quel letto che li aveva già visti insieme in passato, sembrava più soffice che mai, un piccolo angolo di paradiso illuminato solo dalla flebile luce azzurra dell’acquario sempre troppo vuoto. Le loro mani s’intrecciarono insieme, le loro labbra si sfiorarono mentre occhi troppo diversi cercavano di specchiarsi in quelli dell’altro. Thane, scioccamente, aveva sempre considerato gli umani così monocromi rispetto alla propria specie, ma ora dovette ricredersi, incantato ad osservare come la pelle di lei cambiava colore ad ogni tocco, come arrossiva sulle guance e sul collo, in risposta ai suoi sorrisi e alle sue parole. Ogni sfumatura era un dettaglio prezioso, qualcosa che sarebbe stato per sempre solo suo.
“Le tue squame mi solleticano”, sbuffò lei in una risata, accarezzandogli una guancia.
“Ed è… un bene?”, domandò lui, incerto.
“Umh… in realtà preferirei smettere di ridere ad intervalli regolari". Si sporse dal bordo del letto, rovistando dentro al comodino finché non trovò il barattolo di Mordin, poi glielo porse sorridendo. "A te l'onore", annunciò, sedendosi sul letto con le ginocchia. Gli diede la schiena, portandosi i capelli in avanti, e aspettò pazientemente che lui aprisse il barattolo.
Le lasciò prima un bacio sulla base del collo, poi immerse le mani in quella sostanza profumata e le appoggiò sulle sue spalle, iniziando a massaggiare la sua pelle delicatamente, forse troppo.
"Non mi romperai, Thane", rise lei. Si voltò, incoraggiandolo a fare maggiore pressione con un sorriso sfacciato.
"Lo so", rispose lui, applicando una pressione maggiore con i pollici mentre risaliva lungo la curva della sua spina dorsale, "…so anche che se volessi, potresti essere tu a rompere me. Certo, solo nel caso in cui io decidessi di lasciartelo fare", aggiunse, imitando un tono presuntuoso.
"Cosa stai insinuando, Krios?", domandò lei, senza perdere il sorriso, "Sei davvero sicuro che in uno scontro corpo a corpo avresti la meglio?"
“Mmm...", le sue mani iniziarono a sganciare il suo reggiseno, "…non è mia intenzione sottovalutarti, Siha, ma la natura viene a mio vantaggio... la muscolatura di noi Drell è molto più densa di quella di voi Umani", disse, e come per sottolineare il concetto, aumentò leggermente la pressione delle sue dita dove la pelle di lei presentava i solchi lasciati da quell'indumento a lui così estraneo, quasi a volerli cancellare. Il suo corpo, incredibilmente, gli appariva come una bellissima mappa dove avrebbe potuto facilmente lasciare i segni del suo passaggio, se solo avesse voluto.
"Se la forza si basasse solo sulla muscolatura potrei darti ragione, ma sai meglio di me che quello che conta in realtà è l'energia...", rispose lei, plasmando una piccola sfera biotica in una mano. "E’ incredibile cosa si è capaci di produrre solo con la mente".
La sua schiena si dipinse di azzurro, mentre Thane lasciò affluire liberamente l'energia oscura sulle sue mani, quasi come se avesse colto nel suo gesto precedente un suggerimento.
Lei si voltò, sorpresa. Sarebbe stata una sensazione strana da descrivere, quella dell'energia oscura che sfiora la pelle senza però disgregarla, limitandosi a una carezza che somigliava solo lontanamente ad una leggera scossa elettrica.
"Dove hai imparato?", gli chiese, sorpresa. Non era niente di ciò che avesse precedentemente sperimentato durante il suo addestramento.
"Ho avuto molto tempo libero a disposizione, negli ultimi anni", disse lui, accarezzandole i fianchi, concentrato. Era pur sempre un esercizio difficile, che richiedeva molta calma, e lui sentiva di essere ormai al minimo. Ogni respiro di lei, ogni piccolo sospiro, erano un’immensa distrazione.
"Me lo insegni?", domandò lei.
Lui fece aderire il corpo alla sua schiena, cingendole la vita con una mano, mentre con l’altra prendeva la sua, accostando il viso al suo. Le fece aprire il palmo, respirando piano.
"Chiudi gli occhi", le disse, un tono che avrebbe dovuto rilassarla, ma che in realtà produsse in lei l’effetto contrario.
"Mh".
"Ora falla affiorare, il più lentamente possibile... immagina di dover accarezzare i petali di un fiore, o una lamina sottile di cristallo".
La sua mano brillò per un istante, poi si spense.
"Devi mantenere il pensiero costante, leggero, ma costante".
Anche il secondo tentativo fallì miseramente e lei si morse le labbra, contrariata. Abituata com’era ad eseguire solo un certo numero di abilità, e piuttosto distruttive, un esercizio elementare come quello le sembrò assurdamente difficile.
"Non ti riuscirà mai finché sei così tesa", osservò lui, spingendole i capelli da un lato.
"Diamine, mi stai davvero chiedendo di rilassarmi... adesso?", esclamò lei, sentendo tutto il calore affluirle alle guance.
Lui sbuffo in una breve risata, dandole un bacio appena sopra la clavicola. "Hai ragione", mormorò, abbandonando quel proposito. “Ci riproveremo…”
Continuò nella sua opera, finché la pelle di lei non fu interamente ricoperta di uno strato sottile di pura luce. Poi le porse il barattolo, dandole le spalle. Sarebbe stata l’ultima occasione in cui avrebbero potuto esplorare i rispettivi corpi prima di trovarsi finalmente e inevitabilmente faccia a faccia, senza più nessuna barriera a separarli. Lei si prese tutto il tempo necessario ad accettare quell'idea, massaggiando la sua schiena lentamente, osservandone ogni dettaglio, ogni striatura, ogni piccola squama più scura che spiccava fra le altre, fremendo al solo pensiero che di lì a poco le sue mani sarebbero state di nuovo su di lei, le sue labbra sulle sue, i suoi occhi dentro ai suoi... come per troppo tempo aveva desiderato, e al contempo ne fu spaventata, preoccupata di non esserne all'altezza.
Poi, quando lui prese le sue mani, voltandosi a fronteggiarla con estrema impazienza, e la tirò a sé, intrecciando le dita ai suoi capelli, cercando le sue labbra, mordendole a tratti… lei ci mise ben poco a sbarazzarsi di quel timore ridicolo, rendendosi conto che, in realtà, tutto sarebbe andato meglio di come aveva sempre osato sperare.
Quella notte, con le sue braccia a stringerla forte, fra lenzuola troppo sgualcite e muri di metallo, si sentì per la prima volta davvero invincibile.




 

Non so neanche cosa scrivere in queste note perchè potrei rischiare di passare per una deficiente piùdicosìmadavvero? L'unica cosa che ci tengo tantissimo a dire è che senza shadow_sea e Johnee, probabilmente se ne sarebbe parlato tra qualche millennio (criostasi permettendo), quindi boh, un grazie enorme per non avermi mandata subito a quel paese e avermi dato il sostegno che mi serviva. Si, perchè sono stupida e per scrivere un capitolo mi faccio le peggio paranoie. Non so più dove nascondermi, insomma... au revoir.

 
   
 
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