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Autore: cormac    12/10/2013    4 recensioni
Con ancora gli occhi semi-chiusi dal sonno, Elliot si ricordò del perché amasse tanto la Domenica: nessun conoscente o collaboratore, nessun malefico parente stretto.
Solo lui, Leo ed un’intera giornata da trascorrere insieme.

[Elliot/Leo] [no spoiler!] [au! ambientata nel nostro mondo]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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[ Notes ]
Salve a tutti-!
È un po’ che non pubblico qualcosa su PH, tipo dal 30 Settembre, ma dopo aver iniziato questa fan fiction, tra la scuola e la voglia che mancava, ho lasciato correre parecchi giorni. Una Elliot/Leo ci voleva, su, lo so che concorderete anche voi uvu
Nonostante sia stata un parto trigemellare, questa ff mi soddisfa abbastanza… quindi boh, fatemi sapere se vi piace-! Ringrazio chi leggerà e chi vorrà lasciare anche un piccolo commentino. La turca vi ama tanto <3
 
 
 


Aujourd’hui Soleil
 
 
 
 
Quando Elliot si svegliò, a causa dei raggi del sole filtrati attraverso le logore veneziane verde acqua che gli ferivano gli occhi, poté notare con sommo disappunto che Leo si era già alzato. Ad Elliot non era mai piaciuto che Leo fosse così mattiniero, soprattutto di Domenica. Per lui, la Domenica era sacra; restare a letto per un discreto lasso di tempo era la maniera migliore di onorarla. Tuttavia, Leo pareva non condividere questo punto di vista, tant’è che i rumori provenienti dalla cucina suggerirono al biondo che stesse armeggiando con la colazione. Si stropicciò gli occhi, voltandosi più volte col busto ottenendo solo di attorcigliarsi le lenzuola attorno alle gambe, prima di decidersi ad alzarsi. Uscì dalla camera da letto con un paio di sformati pantaloni del pigiama ed una canottiera rimediata in fretta e furia dal cassetto, ancora assonnato e con i capelli alla rinfusa, senza nemmeno curarsi di aver lasciato la porta spalancata. Quando fece capolino in cucina, la buona fragranza emanata dalle brioche che Leo aveva servito su un vassoio gli fece spuntare un piccolo sorriso sulle labbra, normalmente incurvate all’ingiù in un broncio di disappunto. Con ancora gli occhi semi-chiusi dal sonno, Elliot si ricordò del perché amasse tanto la Domenica: nessun conoscente o collaboratore, nessun malefico parente stretto. Solo lui, Leo ed un’intera giornata da trascorrere insieme. Se gliel’avessero detto, qualche mese fa, non avrebbe mai creduto che quell’introverso e saccente studente universitario sarebbe diventato così essenziale per il biondo. Si erano conosciuti nel momento in cui entrambi avevano affittato lo stesso appartamento, scoprendosi coinquilini, con non poca iniziale irritazione. Uno era studente di lingue, Elliot, mentre l’altro di lettere antiche. In principio la convivenza pareva impossibile, ma poi, ironia della sorte, si erano ritrovati a condividere lo stesso letto, in un rapporto di totale affidamento e bisogno.
Gliel’aveva chiesto una mattina, a colazione, senza troppi peli sulla lingua (quando mai Elliot ne aveva avuti?):
« Sei gay? » dopo qualche attimo di esitazione, il moro aveva annuito timidamente, determinando una svolta decisiva nel loro rapporto. Dopo tutto era diventato più semplice, quasi liscio come l’olio.
Ma era grazie a Leo, se Elliot amava così tanto la Domenica.
« Cominciavo a pensare che non ti saresti svegliato. » la voce del moro lo riscosse dai propri pensieri, portandolo a sollevare lo sguardo su di lui. Leo appena alzato era uno spettacolo a cui raramente riusciva a dedicare la giusta attenzione: i capelli corvini decisamente troppo lunghi, che arruffati gli ricadevano in grandi ciocche scomposte sul viso, anche a coprirgli gli occhi violetti che trasparivano un’assoluta necessità di tornare a dormire; la voce ridotta quasi ad un roco rantolio, ancora impastata dal sonno, il pigiama troppo grande e sformato che gli avvolgeva malamente il fisico esile. Tutte queste cose assieme fecero arrossire Elliot, senza che lui nemmeno sapesse spiegarsi perché, ma lo imbarazzarono come quando si erano scambiati il loro primo bacio. Leo esercitava un potere misterioso sulla sua mente, la incatenava, in modo che non pensasse a nient’altro che a lui. Fu di nuovo la sua voce, speziata da un tono rassegnato, a riportarlo nuovamente tra i mortali.
« Non dire sciocchezze. Mangiamo, piuttosto. » mugugnò, abbandonandosi sulla sedia come se avesse appena compiuto la più ardua delle fatiche. Leo sospirò, si sedette a sua volta proprio di fronte al biondo, iniziando a mangiare con calma le uova strapazzate; sbirciò Elliot sbocconcellare svogliato dal proprio piatto, senza mostrare granché appetito. Si era accorto, il moro, che aveva ben altri grilli per la testa. Leo aveva sempre avuto la proverbiale abilità di intuire cosa pensasse la gente ancor prima che lo estraniasse, ed il suo burbero coinquilino non faceva assolutamente eccezione: era, forse, il più grande esponente della categoria. Perciò, guardandolo mentre straziava con la forchetta la sua colazione, capì semplicemente che la sua testa era altrove. Lontano, nemmeno lui avrebbe saputo dire dove di preciso, ma certamente non era lì, in quel malmesso appartamento per studenti della periferia di Edimburgo.
« Se vuoi mangiare dovresti farlo, non torturare le tue uova. » puntualizzò Leo, rivolgendogli un’occhiata di sbieco, che trasudava rimprovero ed una sorta di paterna severità. Elliot evitò accuratamente il suo sguardo, rivolgendo tutta la propria attenzione al piatto ormai sporco di un pietoso giallo pallido. Alcune volte non sopportava come il suo giovane compagno di (dis)avventure si comportasse alla stregua di una madre con lui; non che i suoi genitori fossero stati molto presenti nella sua vita, troppo presi da un lavoro che retribuiva denaro ma non affetto e decisamente troppo concentrati sui suoi fratelli maggiori (e questo era il motivo che l’aveva spinto, non appena finito il liceo, ad andarsene in città per cominciare una vita da solo), ma proprio perché aveva così poca stima dei suoi che desiderava ardentemente un’indipendenza a cui non era abituato. Ciononostante, il biondo doveva ammettere che senza Leo non sarebbe andato da nessuna parte.
« Ehi. » attirò l’attenzione del moro quasi sussurrando, ma il silenzio incombente gli permise di distinguere comunque quel basso mormorio. « sei felice? »
Sbatté più volte le palpebre, Leo, orlate da ciglia di un nero corvino quanto i capelli; gli occhi violetti trasparivano stupore, ed una piccola percentuale di incomprensione.
« Perché me lo chiedi? »
« Ad una domanda non si risponde con un’altra domanda. » sottolineò Elliot, soddisfatto di essere lui, per una volta, a puntualizzare e dimostrarsi saccente con il compagno. Leo parve rifletterci, ponderando la risposta come se non ne fosse sicuro, come se avesse un dubbio. Era felice? Che strana domanda, lui non se l’era mai posta. Molte volte faceva cose senza chiedersene la motivazione, semplicemente le faceva e basta; viveva senza una vera e propria motivazione, e non se ne preoccupava.
« Chiediti se sei felice e smetterai di esserlo. » scherzò Leo, messo un poco a disagio dall’inaspettata domanda postagli dall’altro. Il biondo non parve per nulla soddisfatto da quella risposta, ed il suo infilzare fulmineamente il bacon con la punta del coltello da burro ne fu la prova schiacciante. Ma cosa mai avrebbe potuto dire? Aveva solo diciannove anni, era decisamente troppo giovane per farsi una domanda del genere.
« Dico sul serio. Sei felice? » domandò ancora, ma a quel punto, dopo un attimo di riflessione, Leo sapeva cosa rispondere: le parole gli si illuminarono come un’insegna al neon, tanto che non dovette far altro che leggerle.
« Vediamo: tu sei stressante. Sei infantile, sei scontroso, sei bisognoso d’affetto, sei una palla al piede. Sei sostanzialmente come un micio raccolto dalla strada. » ad ogni insulto, sebbene da Leo quelle parole non giungevano realmente come tale, la presa sul manico del coltello di Elliot si faceva sempre più convulsa. Dove voleva andare a parare con quella premessa?
« Ma onestamente non cambierei comunque nulla della mia vita. Perciò sì, Elliot, sono molto felice. » il coltello finì abbandonato sul piatto con un fastidioso tintinnio, tanta era la velocità con cui il biondo era corso ad abbracciare il proprio coinquilino. Non era per le dimostrazioni d’affetto, lui, ma era ben consapevole che non avrebbe sentito tanto spesso quelle parole sulla bocca del moro. Leo ricambiò l’abbraccio nei limiti del consentito, visto che l’altro gli si era praticamente avvinghiato addosso (il che era indice di quanto poco fosse abituato ad abbracciare la gente, tra l’altro), ed un piccolo sorriso gli sorse spontaneo sulle labbra sottili e rosee: era felice, dannazione. Traboccava di felicità, e tutto o almeno gran parte era merito di quel burbero coinquilino che si era ritrovato per puro caso, in un soleggiato giorno autunnale.
Un giorno che aveva maledetto per la sua sfortuna, e che adesso ringraziava con anima e corpo.
 
**
 
Elliot, vicino a sé, lo guardò mentre si tirava a sedere, con un’espressione esausta ma appagata. Gli occhi, abitualmente nascosti, venivano feriti ed illuminati dai raggi di quel pallido sole di fine Settembre. « C’è un bel sole oggi. » commentò con fare distratto, mentre si alzava per aprire le finestre. Il biondo, che lo osservava ancora steso nel letto, convenne che sì, era una giornata meravigliosa, ma solo perché era Leo quello che appena sveglio apriva finestre e veneziane e lasciava che i raggi del sole gli accarezzassero le spalle nude.
« C’è sempre un bel sole. » “quando ci sei tu”.  
   
 
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