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Autore: _InvisibleTouch    13/10/2013    0 recensioni
Un'ora al giorno bastava perché mi raccontasse il necessario.
Sembrava che volessi prendermi tutto il suo dolore, lentamente.
Ma quella che non era d'accordo era proprio lei.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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08.12.13
Mi piaceva tantissimo il suo giubbotto: era lungo, ma non troppo, e largo, di un colore verde scuro.
Non credevo m’avrebbe salutata in classe, e in un certo senso non lo fece, mi chiese solo una specie di conferma.
‘Ti è piaciuta la canzone?’
‘Sì.’
mentii, poi lei si girò. Eravamo sole in classe, il suo pullman arrivava sempre prima degli altri.
Ti ricordi che oggi dobbiamo parlare?
Certo.
Dove hai preso il tuo maglioncino nero?’ saltavo da un argomento all’altro. Stavo diventando anche io strana?
‘Camaieu.’
‘Grazie.’


Secondo me non era poi così vero che se lo ricordava, ma capire se mentiva o meno era impossibile.
Mi chiedevo cosa faceva a casa, per passare il tempo, e di cosa parlava con le persone che frequentava.
Da quel che sapevo non aveva mai avuto una relazione con un ragazzo, tranne che in prima, ma era diversa: aveva i capelli lunghi e si teneva male. Cambiò tutto in un mese, le bastò il tempo delle vacanze natalizie. Non capii mai perché tardò così tanto, ma ci riuscì e fu ammirevole.
Ci rimase male quando si lasciarono e non ebbe più nessuno, non ci provò nemmeno, ma era ovvio il fatto che cercava qualcuno proprio come lei. Non sarebbe stato facile.
A volte pensavo ‘Chissà come sarà il suo prossimo ragazzo.’
Per stare con lei di sicuro qualcuno che val la pena di conoscere. Odiava perdere tempo.

Mi deluse quando uscì dalla stanza senza aspettarmi. Dovevamo parlare. Sapevo che se n’era dimenticata, dovevo rimproverarla per questo, per questo la seguii.
‘Avevi detto che mi avresti aspettata.’
Aveva le cuffie nelle orecchie, cominciavo a non sopportarle, come lei probabilmente cominciava a non sopportare me, che stavo diventando ossessiva nei suoi confronti.
Le toccai la spalla e lei sobbalzò, girandosi. Ma quando vide che ero io sembrava quasi sollevata.
‘Ciao.’ disse tranquilla.
‘Avevi detto che mi avresti aspettata.’
‘Quando?’
‘L’hai detto tu: che avremmo parlato. Hai detto che te ne ricordavi.’
‘Ti ho detto che mi avresti trovata là.’
‘Hai ragione. Scusa. Cosa stai ascoltando?’
‘Crying lightning.’
‘Le scimmie?’
‘Sì.’
‘Perché ti piacciono così tanto?’
‘Non so risponderti.’


Non disse nulla per tutto il tragitto e quando si sedette guardò prima il suo zaino, poi la strada.
‘Pensavo di farmi crescere i capelli, appena sotto le spalle.’ aveva iniziato lei il discorso, fu strano, pensavo sarebbe rimasta zitta fino alle due.
Non ce la farai mai.’
‘Hai ragione. Ma devo vincere una scommessa.

Non mi sembri la persona che perde volentieri.
Infatti.
‘Come stai?’

Bene.’
‘Meno male.’
’Già. Non ho capito bene cosa vuoi da me: speri che io ti dica che sei diversa da tutte le altre persone che ho conosciuto? Per questo ti comporti in modo ossessivo e ti prepari le cose da chiedermi a casa?’
‘Non mi preparo le cose da chiederti a casa. L’ho fatto una volta sola, quando ti ho chiesto perché avevi il broncio.’
‘Quella frase non aveva senso, rivolta a me.’
‘Hai ragione, ma volevo far colpo.’


Non mi guardava in faccia, non lo faceva mai con nessuno, e non si lasciava toccare da chi non conosceva bene. Secondo me aveva bisogno d’abituarsi alle persone, piano piano, passo dopo passo. Iniziava con una stretta di mano e dopo vari livelli si lasciava abbracciare. E’ una cosa che notai quando in prima me la presentarono: non mi aveva detto nemmeno ‘piacere’, era rimasta zitta mentre le dita giacevano molli tra le mie che, invece, si stringevano a pugno sulla sua mano. Aveva delle dita lunghissime e le unghie sempre colorate con smalti che non c’entravano nulla col resto dell’abbigliamento.

E comunque, scusa se ti sto addosso.’ mezz’ora dopo.
‘Se non è tua intenzione non è un problema.’
‘Non è mia intenzione.’
‘Allora non è un problema.’
‘Abbiamo perso tempo, oggi, tra un po’ te ne devi andare e non abbiamo parlato di nulla.’
‘Ma abbiamo chiarito un punto fondamentale. Da domani potremo parlare davvero.’
‘Che non ti sto addosso intenzionalmente?’
‘No, che sai stare in silenzio per più di cinque minuti. Credimi: non è da tutti.’
‘Hai ragione. Devi andare. Cosa devo ascoltare oggi?’

Do I wanna know.
‘Ah, mentivo: la canzone di ieri non mi è piaciuta.’
‘Lo sapevo, ma sono contenta che tu l’abbia ascoltata.’


Era seduta allo stesso posto del giorno prima e sapevo che si sarebbe messa lì anche il giorno dopo e quello dopo ancora.
A casa pensai molto alle canzoni che mi proponeva: forse me le dava con un ordine preciso, ma sentivo che invece erano completamente dettate a casaccio, però le scrivevo su un foglio che avevo appeso vicino al letto, una sotto l’altra, in ordine. Ascoltai anche Crying Lightning. Non mi piacevano, ma le ascoltavo lo stesso perché me lo diceva lei. Stavo entrando in una specie di venerazione e, anche se non capivo bene come se l’era guadagnato, sapevo che ne aveva diritto.
Speravo mi raccontasse tutto. Volevo sentirla parlare. Però, volevo sentirla anche dare consigli.
‘Credo sia una delle persone con le orecchie più pazienti del mondo.’ aveva detto una volta qualcuna, in classe, che si era confidata con lei.
Speravo che un giorno dicesse ‘Parlo con quella ragazza alla fermata.’
Ma sembrava così menefreghista delle cose, delle persone, della realtà.
  
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