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Autore: Gio_Snower    14/10/2013    1 recensioni
Missing Moments OS ambientata nel mondo di Pandora Hearts.
Oz & Gil, padrone e servitore, amici legati da un legame forte e duraturo nel tempo.
Oz è tornato da ormai qualche tempo e Gil ne è felicissimo, eppure tra i due restano cose non dette.
Ci sarà un momento di pace per parlare? Senza che Alice o altri li interrompano?
Sharon conosce Xerxes fin da bambina, negli anni Xerxes è stato una specie di istitutore e fratello maggiore fino a diventare un suo compagno fidato.
Tra servitore e padrona legati da un legame fraterno, ma al tempo stesso diverso...
Elliot se ne è andato.
Ha rigettato Humpty Dumpty, la catena che aveva fermato lo scorrere del tempo per lui.
E Reo ripensa a quel suo caro amico, a Elliot che era il suo tutto ed il centro del suo mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gilbert Nightray, Leo Baskerville, Oz Vessalius, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il Ticchettio dell’Orologio
 
 
Tic. Tac. Questo era il ticchettio di un orologio, un normale orologio. Eppure, in quella villa, esistevano altri orologi.

Orologi che segnavano lo scorrere inesorabile del tempo segnalando l’avvicinarsi della fine, orologi che erano il marchio di un contratto.

Questo era il tipo di orologio che aveva il suo padrone, questo era il tipo d’orologio che portava sul petto Oz Vessalius.

Gilbert sospirò.

Oz era tornato da tempo, eppure non erano ancora riusciti a parlare di tante cose, interrotti troppo spesso da persone o vicende.

Gilbert avrebbe voluto domandare e raccontare tante cose ad Oz, avrebbe voluto che gli confidasse qualcosa, qualsiasi tipo di cosa.

Anche se, sapeva benissimo che Oz non era quel tipo di ragazzo.
Oz era debole nella sua forza, stupido nella sua intelligenza, falso nella sua onestà. Era una persona che agiva a seconda delle situazioni, dei pensieri scorrevoli e delle emozioni; Oz non voleva pensare ai “se”.

Neppure il sole di primavera, neppure l’odore di quel bellissimo roseto od il canto di un uccellino appoggiato su un ramo riuscì a tirar su di morale Gilbert che, per natura, qualche volta si deprimeva.

Si scostò dal volto i capelli neri come le ali della sua Catena, Raven.
Forse doveva tagliarli?

«Gill.» disse una voce dietro di lui. Gilbert conosceva bene quella voce, per tanto tempo aveva desiderato di risentirla.

Si girò ed i suoi occhi dorati fissarono gli occhi verdi di Oz.
«Oz-sama.» disse.

«Quante volte t’ho detto di chiamarmi solo Oz, Gill?» sorrise triste Oz. Poi gli si avvicinò con quel suo passo leggero e falsamente spensierato.

«Gill... che ne dici di parlare un po’?» disse con un tono noncurante Oz.
«Certo, Oz.» rispose Gilbert. Era davvero felice di poter finalmente parlare con lui, ma cosa dirgli?

Ora che lo aveva vicino non sapeva che dirgli.
«Senti Oz... » incominciò.

«Gil, sono dieci anni che non ci vediamo. Dimmi quello che vuoi, sono felice di ascoltarti.» lo precedette Oz, poi gli sorrise quando vide la sua sorpresa.

Gilbert ricambiò il sorriso ed incominciò a raccontare al suo padrone.
Insieme ricordarono i momento più belli, quelli più divertenti e quelli (per Gill) terrificanti che avevano vissuto insieme.

L’attacco di un gatto, le fughe dalle domestiche, un pomeriggio con Oscar Vessalius.

Il ticchettio dell’orologio per ora era lontano e dimenticato.
 
 
 
Tic. Tac. Lo scorrere del tempo non si può fermare per sempre, vero?

Tic. Tac. Un momento hai una famiglia, un momento dopo essa sparisce per sempre.

Tic. Tac. Hai tutto e poi niente perché lo scorrere del tempo non lo puoi fermare, vero?

«Vero, Cappellaio?» disse una voce agghiacciante e profonda nella mente di Xerxes.
Quanto tempo era passato da quando aveva sentito la voce di Mad Hatter, la sua Catena?
Anni, probabilmente, eppure ne ricordava il timore, il disprezzo e la misera gratitudine che aveva provato alla sua vista.

D’altronde, Mad Hatter era una Catena che distruggeva altre Catene, no? Era diversa dalle altre così come lui, ormai sporco di sangue, era diverso dagli altri.

Eppure Sharon insisteva, sì, insisteva nell’inseguirlo.
Prima come bambina, poi come sorella, infine come donna.

Ma lui, Xerxes Break, voleva farsi prendere?

Presto avrebbe perso la vista, presto sarebbe morto, era solo una questione di tempo... E allora perché lo voleva così tanto?

Perché la sua signorina non capiva?

E lui era sempre fuggito da lei, sempre fuggito dai sentimenti che provava.

Perché?

Non poteva permetterselo.
No, questa era decisamente una scusa.

La verità era che era solo un uomo codardo, vigliacco quando si parlava di queste cose, debole al perdere altro dopo aver perso troppo.

Sì, decisamente troppo.
Ed il prezzo di quella perdita era troppo ampio per esser dimenticato, eppure, ora stava meglio.

Eppure ora era in sé e sorrideva.

Il tempo passava e il ticchettio dell’orologio non poteva essere fermato, nemmeno quando era rotto, perché allora il fantasma di esso sarebbe risuonato per sempre.
Nessuno ferma il tempo.

«Emily, sono diventato proprio vecchio, vero?» mormorò alla sua bambola con un sorriso tirato e leggermente malinconico.

«Te ne sei finalmente reso conto, Xerx-nii?» lo prese in giro una voce delicata.

«Signorina, nemmeno lei è più tanto giovane.» ribatté Xerxes.

«Xerx-nii, questo lo so da tempo.» rispose Sharon sorridendo.

Più passava il tempo e più assomigliava a sua madre, eppure Sharon non sarebbe mai assomigliata del tutto a sua madre perché per lei il tempo s’era leggermente fermato e quando avrebbe ripreso il suo scorrere, lei sarebbe invecchiata di colpo.
 
«Vedo che però non cambia la sua passione per i ragazzi giovani, signorina.» la provocò Break.

Sharon sbuffò.

E Xerxes rise, divertito per un attimo.

«Ti vedo pensieroso. Me ne vuoi parlare?» chiese Sharon.

«No, signorina. I problemi di un uomo sono come i trucchi di un mago e mai vanno svelati
alle giovani donne.» disse con un sorriso provocatorio.

«Uffa.» esclamò infantilmente Sharon.

Xerxes avvinghiò una ciocca dei lunghi capelli Sharon, affascinato e sovrappensiero.

Leggermente li scostò e con un dito le accarezzò una guancia, un po’ come quando era piccola.

Sharon arrossì. E così Break tornò in sé e si scostò. No.

Sharon sembrò ferita, poi scosse la testa e gli si riavvicinò.

Lo abbracciò. «Signorina, no.» disse Break.

«Non mi importa. Anche se solo per un attimo, ti prego, Xerxes.» mormorò Sharon.

E nel buio della sera, in una terrazza di una splendida villa, un servitore fu abbracciato dalla sua signorina mentre l’orologio ticchettava.
 
 
Tic. Tac. Era come una danza il ticchettare di un orologio.

Tic. Tac. Era come un promemoria del tempo che passava, di un attimo che si trasformava in
ricordo.


Di qualcosa che cadeva nell’oscurità.

Ed l’orologio ticchettò anche quando Elliot rigettò Humpty Dumpty, mettendo fine alla sua vita ed ai suoi peccati.

«Eppure non doveva andare così.» mormorò Leo Baskerville.

«Non doveva morire?» domandò una voce nella sua mente.

«O forse, non doveva morire da solo?» domandò un’altra.

«Volevi seguirlo?» chiese una terza.

«Basta! Perfino nei miei pensieri! Perfino nella mia tristezza dovete circondarmi, Duchi della
Casata Baskerville?!» urlò Leo dentro di sé.

Delle risate risuonarono e Leo spalancò i suoi occhi chiusi, occhi le cui orbite erano cerchiate, occhi scuri in cui era infusa la tristezza, in cui il dolore lampeggiava, sovrano.

Leo rise, una risata isterica. Una risata stanca e mezza folle, una risata di chi era addolorato.

«Elliot... non doveva andare così.» mormorò con la testa abbassata.

Una mano gli sfiorò la spalla, una mano calorosa, calda e non pesante, non fatta della consistenza dei vivi.

Leo non osò alzare lo sguardo.

Una leggera brezza soffiò.

«Elliot, mi sto perdendo nelle tenebre.

E presto, prima o poi, dovrò uccidere Oz.» mormorò.

La sensazione di una mano si allontanò per poco e Leo si sentì sprofondare.

Poi sentì un tocco sulla testa ed alzò lo sguardo. Davanti a lui non c’era niente, eppure sentiva qualcosa.

Ricordò lo sguardo limpido e fiero di Elliot, il suo caratteraccio, i suoi valori e la tristezza riaffiorò ancora più profonda.

Gemette angosciato.


Leo non poteva sentirlo. Non poteva vederlo.
Elliot scosse la testa. Era morto, eppure non voleva che Leo soffrisse così. Non voleva che si scusasse mille e più volte.
Urlò, ma la sua voce non arrivava a Leo. Gli tirò uno schiaffo, amareggiato. Mentre con un cipiglio urlava :«Come puoi arrenderti così? Sei più forte di così Leo! Tira fuori il coraggio di quando mi sgridavi, stupido servo!»
 
Per un momento Leo sentì qualcosa, una specie di aria calda che si scontrò sulla sua guancia.

Uno schiaffo?

Poi riabbassò la testa che per un secondo s’era alzata e chiuse gli occhi. Rifugiandosi nelle
tenebre, scappando per il dolore e la dura realtà.

Tic. Tac. Il tempo non si può fermare.

Tic. Tac. E tu, in questo momento, stai usando il tuo tempo?

Tic. Tac. Ricorda che il tempo scorre e non può essere riavvolto.

 
   
 
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