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Autore: Ita rb    15/10/2013    2 recensioni
Dal testo:
[...] Le immagini, i colori, lo scorrere del tempo: tutto e nulla, se identificato come l’uno o l’altro, può affievolirsi fino a perdersi nell’immensità. Qualcuno doveva avergli detto qualcosa di simile, un giorno [...]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Genjo Sanzo Hoshi, Hazel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, ragazzuoli! Sono tornata ad assillarvi con le mie storie random, ma questa volta avrei un soliloquio da fare su quella che vi apprestate a leggere, perciò eviterò di farlo a priori, ponendomi esattamente lo scopo di rispondere in eventuali recensioni ai crucci che lascerà aperti in molti.
Nell’ultimo periodo mi sono avvicinata molto a un altro anime/manga, anche perché su questo avrei potuto spaziare dalla quotidianità alla contemplazione di discorsi affini alla fan fiction che ho appena scritto, però ho voluto dedicarmi a Saiyuki, dopo tanto tempo, anche considerando l’ora in cui ho terminato di scriverla (?) che apparentemente non ha un senso logico, ma allo stesso tempo è per me molto importante, coincidendo con la mia ora di nascita ~
Non mi aspetto grandi risultati da questo assurdo tentativo di filosofeggiare, ma spero comunque che potrà essere apprezzato da qualcuno, nonostante tratti di un personaggio che spesso viene ignorato volutamente o casualmente.
Sappi che ti amo, Hazel, anche la mia civetta si chiama come te (?) perciò non demordere ~
Anche questa volta non c’è il banner, ebbene sì: è tardi e non ho la minima intenzione di aprire Photoshop dopo essermi messa alla ricerca di un’immagine idonea al contesto ~ so sorry!
Xoxo

 
 
Oltre quel velo d’incostanza, seguendo la linea superba del mento dritto e fino, si poteva scorgere il fantasma di un passato senza barriere che, nonostante l’impegno immesso nel proteggersi con le sue sole forze, stentava a reggere l’osservazione attenta e meticolosa di uno sguardo come il suo: prepotente e caparbio, non si lasciava sfuggire nulla; preferiva essere riscosso dalla tonante voce altrui, poiché questa ne animava la perplessità e lasciava socchiuso quel barlume limpido di purezza effimera.
Sapeva che presto o tardi si sarebbe voltato, sorprendendolo con aria trasognata a fissare un vuoto ricolmo della sua presenza, ma dopo tutto non gl’interessava. Nessuno avrebbe mai potuto rimproverarlo a tal punto da farlo realmente desistere nel suo intento: solo minando la placida naturalezza di quelle quattro mura poteva sentire su di sé il concentrico sospiro della notte impetuosa che, battente, gelava il vetro alla destra del volto candido del monaco per scontrarsi in un alito leggero contro la nube fluttuante di fumo grigio.
Le labbra schiuse sembravano incombere nell’ira degli Dei tant’erano perfette e delicate, così come lo sguardo torvo e accattivante, perso contro la volta alta e distante, costellata da puntini luminosi e chiari che accompagnavano il satellite turbinate nei vapori incoscienti dell’atmosfera.
Tanta armonia si sprigionava in raggi opachi, rilucendo nella penombra da quel corpo un po’ rude e allo stesso tempo delicato come un debole giglio reciso sul suo stelo dalle mani premature di un ardito amante; eppure lui sembrava non accorgersene: non era consapevole dell’eleganza del suo collo delicato, così come della carezzevole curvatura delle spalle o la sfrontatezza del petto che, alzandosi e abbassandosi in silenzio, si riempiva di torbida essenza per poi gettarla nella stanza come se nulla fosse, creando un piccolo spiraglio verticale dove, rifrangendo, la luce segnava un appiglio precario.
Aveva parlato tanto quella sera, talmente tanto da non ricordare assolutamente nulla del suo discorso che, forse, non era neppure sorto: si trattava dunque d’un illusione fatta di maschere contrite e liete, quella che si affacciava sulla sua coscienza con lo stimolo indecente di un congiungimento soave.
Quali fossero le sue intenzioni era un mistero, ma quella complessità racchiusa nel nome1 non poteva che denotare un ampio margine d’errore agli occhi dell’altro.
L’aveva visto abbandonare i suoi compagni, lasciandoli nel villaggio cui avevano subito l’attacco impetuoso del monaco Sanzo eretico chiamato Ukoku, così come aveva potuto bearsi del grugnito debole che seguiva la sua sconfitta plateale; allora aveva compreso con esattezza cosa avrebbe significato progredire nel viaggio in sua compagnia: esattamente nulla.
«Cos’hai da fissare a quel modo?» Domandò la sua voce, irrompendo all’improvviso nella moltitudine di considerazioni variabili del pastore che, dal canto suo, non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso tenue, continuando ad osservarlo dopo aver battuto appena le palpebre.
«Nulla», fu la risposta che prontamente venne servita con una sorta di ritrosia dalla voce più fina del ventenne, la stessa che, poco dopo, aggiunse: «Fissare il nulla è forse tanto difficile?»
«È come fissare ogni cosa con la consapevolezza di avere solo un paio d’occhi», constatò il biondo, portando la sigaretta alle labbra con aria assorta, senza voltarsi a guardarlo, dal momento che la sua attenzione era così lampante d’attraversare lo spazio con ostinatezza.
«Si può fissare tutto e niente nel frangente d’una vita, perciò non occorre essere tanto avidi da pretendere che questo mondo si sveli a noi tanto presto», disse, rimirando il liquido scuro che riposava ancora all’interno del bicchiere concavo poco distante.
Il vino sapeva essere amico di molti uomini, eppure, allo stesso modo, ne era anche l’artefice della loro rovina: poteva forse dirsi lo stesso di Hazel Gross, quel prete venuto dall’ovest solo per sondare le terre orientali con l’intenzione di liberarle dal male secondo i precetti del suo credo discutibile al pari di quello del monaco che si trovava nella stessa stanza.
Avevano uno scopo comune, ma solo in parte, perché l’altra metà era racchiusa nel silenzio di una vita sconosciuta a entrambi.
«No», replicò schiettamente il biondo, schiacciando un po’ il filtro della Marlboro, mentre aspirava una pesante boccata di fumo dallo stesso. «È possibile credere e convincersi di conoscere tutto e niente al contempo, ma ciò che resterà nell’attimo in cui la vita raggiungerà il suo declino, sarà solo un frammento della moltitudine che avrebbe potuto raggiungere, protraendosi eternamente.»
«Parole degne di un monaco Sanzo», rispose l’albino, afferrando l’asticella leggera del bicchiere per poi portarlo alle labbra. Reclinò la testa all’indietro di qualche centimetro, lasciando che il sapore dell’uva macerata scivolasse nella sua bocca fino a inondarla, mandando in visibilio le papille gustative che, aspramente, si contorsero nel catalogare l’ennesima sorsata.
«Sono solo parole», disse il bonzo, concentrandosi sulla riflettente superficie che aveva di fronte e constatando la naturalezza del prete poco distante, seduto sul divano in una posa elegantemente discutibile.
«L’uomo vive di parole fintanto che queste sono in grado di restare tali», ammise poi, scostando il bicchiere dalle labbra per sorridere debolmente, complice di quel contorto e divergente complesso d’idee. «Se un giorno riuscissero a prendere vita, allora sarebbero destinate a perire.»
«Non è forse questo il senso delle parole?»
Istillandogli quel dubbio, Sanzo osservò qualche istante la cicca della sigaretta stretta tra i polpastrelli, prima di lanciarla al di là della finestra con una schicchera che disegnò un piccolo arco incandescente fino al suolo antistante alla locanda.
«Vivere, poiché nate a causa di terzi, e morire, perché represse a causa degli stessi», aggiunse il biondo, lasciando che il fumo fluisse via dalle labbra schiuse, posando appena la testa contro il montante della finestra cui era seduto con ben poca grazia.
«Da questo punto di vista, il destino delle parole sembra quasi ignobile
«Il destino non le rende dissimili dai ricordi.»
 
I ricordi, abili frammenti fatti di vetro che, come schegge, sanno insinuarsi nella pelle altrui con animalesca convinzione di regnare sulla totalità dell’essenza, possono svanire nel nulla, assoggettati al destino, così come le parole e i suoni.
Le immagini, i colori, lo scorrere del tempo: tutto e nulla, se identificato come l’uno o l’altro, può affievolirsi fino a perdersi nell’immensità.

 
Qualcuno doveva avergli detto qualcosa di simile, un giorno, ma questo sembrava così lontano in quel momento, mentre le dita sfioravano appena la trama di una benda stretta attorno al suo capo sofferente.
Solo nel silenzio aveva imparato l’importanza delle parole, così come quella dei ricordi, perché il grande peso che sentiva nel petto, così come quelle lacrime calde che gli solcavano le guance, non potendo essere motivato sembrava quasi inesistente e si perdeva in stille isolate contro il tessuto aranciato che spiccava sulle lenzuola pallide.
 
«Ehi, ehi, che succede? Ti fanno male le ferite?2»
 
Gato.
 
 
1 Ho voluto mettere questa nota per coloro i quali non sanno ancora del significato del nome di Sanzo: Genjo equivale a grande mistero.
2 Citazione necessaria dal decimo volume di Saiyuki Reload.
   
 
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