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Autore: alip16    15/10/2013    4 recensioni
"La copertina era scura, in pelle, con il titolo che si vedeva a malapena, Rachel soffiò sulla superficie e ci passò la mano per pulirla leggermente, così da leggere meglio.
“Libro delle Ombre” sussurrò mentre lo aprì e un black-out colpì la casa, facendola rimanere senza elettricità."
[Crossover Glee + Charmed (Streghe)]
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Jessie St. James, Nuovo personaggio, Rachel Berry, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian, Jessie/Rachel
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Era una strana sensazione tornare in quella casa dopo tanto tempo, erano passati anni da quando Blaine se n'era andato e non aveva mai dimenticato quel posto.

Da bambino adorava andare a trovare la Prozia Phoebe, era divertente, buona e gli dava sempre le caramelle ricoperte di zucchero. Amava anche villa Halliwell, grandissima per giocare e piena di misteri da risolvere.
Quando erano ancora bambini, lui e sua cugina Rachel giocavano spesso a nascondino e quando si nascondeva in cantina, la vecchia Prozia andava su tutte le furie. Diceva che quello non fosse un posto per bambini e sicuramente non un luogo sicuro in cui giocare. Non seppe mai il perché di tale accanimento contro quel posto, ma mai Blaine avrebbe osato disubbidire a Phoebe.

Però era piccolo e si sentiva davvero al sicuro in quel posto, era come se qualcosa gli trasmettesse tranquillità e forza, come se potesse fare tutto quello che avrebbe voluto.
E questo per un bambino non è poco.

Invece Rachel era sempre incuriosita dalla soffitta. Le avevano negato il permesso di entrare dicendo che fosse solo piena di polvere e cose da buttare, ma ovviamente a Rachel Berry non si poteva ordinare niente e un paio di volte era riuscita a sgattaiolare fin sù in soffitta e quello che aveva scoperto l'aveva lasciata senza parole.
Vicino alla grande finestra in fondo alla stanza, era posizionata una pentola grande e rotonda. Era circondata da strani libri, molto grandi e sicuramente molto antichi. Sullo stesso tavolo era appoggiata una grande mappa di San Francisco, e un cristallo trasparente era disteso su di essa.

Impiegò circa tre secondi la piccola bambina ad andare a raccontare tutto al cugino. Gli aveva detto che probabilmente in quella casa qualcuno usava la magia, che uno dei loro famigliari era sicuramente una strega. Ovviamente Blaine non le credette e di tutta risposta la piccola Rachel gli schiacciò il piede con tutta la forza che aveva nelle sue piccole ballerine, gli fece la linguaccia e corse al piano di sopra a rintanarsi sotto le coperte della camera della zia, piagnucolando di quanto i maschi siano stupidi e insensibili.

Che poi ad essere sinceri, il dubbio era venuto pure a lui quando uno strano signore con chissà quale malattia in viso, gli disse che i poteri della zia non potevano proteggerlo per sempre, ma in quel momento gli sembrò solo un pazzo con una faccia davvero strana.
Per non parlare della signora anziana che avrebbe giurato di aver visto, con sei braccia. Insomma, in quella casa ne succedevano di ogni, ma lui si era rifiutato di attribuire tutto ciò alla magia, anche se a volte riusciva a percepire strane presenze vicino a lui, cose che non riusciva e non voleva spiegarsi, al contrario di Rachel che cercava spiegazioni in tutto, facendosi trasportare dall'immaginazione.

Crescendo, i due cugini si allontanarono sempre di più, vivendo in due luoghi completamente opposti e costruendosi vite lontani l'uno dall'altro.

Rachel scelse New York per i suoi studi, avrebbe sempre voluto diventare una grande star di Musical e la scelta le sembrò piuttosto ovvia. Furono anni felici, nei quali si impegnò enormemente per raggiungere il successo, studiò con i migliori insegnati e lavorò con i migliori artisti, finché non si ritrovò all'età di 27 anni, in un ambiente fatto di superficialità e apparenza.

Nessuno avrebbe mai detto che le star di Broadway conducessero una vita ancora più sregolata degli attori di Hollywood, ma Rachel aveva scoperto esattamente questo.
Party che venivano considerati di alto livello culturale, anche se non differivano per niente da quelli normalissimi delle superiori, venivano dati quasi tutte le sere e le amicizie erano fatte di pura aria. Rachel, se ne accorse nel modo peggiore, quando scoprì la sua migliore amica del tempo, darci dentro con l'allora suo ragazzo, nel bagno delle ragazze a teatro, quando tutti insieme erano andati a vedere la prima di un amico comune, che comunque era troppo ubriaco per accorgersi della loro presenza o assenza.

Si prese una pausa da quel mondo e cercò un altro lavoro, qualcosa di più tranquillo e si ritrovò a dare lezioni di recitazione in una modesta scuola appena fuori New York.

L'unica cosa che non era realmente cambiata negli ultimi sei anni era la relazione che condivideva con Jessie St.James, ragazzo che aveva conosciuto a teatro e con il quale aveva inizialmente avuto non poche schermaglie. Tra alti e bassi, la loro vena competitiva li aveva visti condividere una complicità e una passione invidiabile per dei ragazzi così giovani e concentrati sulla carriera.

Negli anni avevano imparato ad abbassare la guardia l'uno dall'altro e questo permise loro di conoscersi nel profondo. I propri difetti e manie non sembravano più così importanti e la paura del futuro era sempre meno presente.
Per questo ci misero poco a decidere di condividere un piccolo appartamento a metà strada dalle classi alle quali Rachel dava lezioni e il teatro, che Jessie frequentava ancora, anche se molto meno assiduamente da quando la sua migliore rivale si ritirò.

Era un bellissimo posto, ma Rachel sentiva che le mancava ancora qualcosa, non si sentiva interamente a casa. Certo, vivere con Jessie era incredibile, quel ragazzo era un vulcano di idee e un concentrato di talento assoluto, però una parte di lei non aveva mai abbandonato San Francisco, luogo dove aveva passato la sua infanzia spensierata.
Alla fine anche Rachel Berry sentiva nostalgia di casa.

Fu anche per questo, che quando ricevette la telefonata dell'ospedale nella quale le dicevano che la vecchia prozia Phoebe, era in condizioni non certo rosee, prese il primo volo e si catapultò nella stanza dov'era ricoverata la vecchia donna, ovviamente mai abbandonata dal suo ragazzo.

Non altrettanto fortunato fu Blaine a Los Angeles.

Arrivato là, cercando di costruire la propria vita intorno ad una carriera musicale, si trovò presto a fare i conti con un mondo non esattamente gentile e giusto come pensava che fosse fino a quel momento.
Quello che vide furono corruzione e ipocrisia fino all'ultima sfumatura.

Volevano tutti cambiare quello che era, dal nome al look. Blaine era troppo naif per quegli anni, sia per i vestiti che portava, che per le canzoni che cantava e componeva. Era troppo poco alla moda per far sì che le agenzie di Los Angeles scommettessero su di lui. Semplicemente non andava bene.

Così passò molti anni a cantare nei Piano bar, sperando di essere scoperto da qualche talent scout, ma così non fu, e Blaine riuscì a vivere a malapena degnamente con le mance e le piccole somme che riusciva ad arraffare di qua e di là.

Fu con l'arrivo del primo dei suoi tanti ragazzi che le cose cambiarono.
Era il ricco figlio di un dirigente e gli facilitò di molto la vita in California, così Blaine mise da parte il suo sogno e diventò in qualche modo famoso per essere famoso nel giro delle persone importanti. Era sempre alle feste giuste, circondato dalla gente giusta e improvvisamente il suo look non era più naif, ma ricercato. Non era più un passo indietro, ma due metri avanti a tutti.

Più si trovava al centro dell'attenzione, più ne voleva. E per averne era sufficiente qualche piccolo scandalo, vero o non vero, che riusciva a far avere ai giornali di gossip.

Cambiò molti ragazzi e molti passatempi diversi, si sentiva in cima al mondo, finché non si trovava nella calma del suo appartamento, senza nessuno che tenesse davvero a lui, senza nessuno che gli mostrasse un sorriso autentico e affetto disinteressato. Solo come non si era mai sentito. Solo davvero, non come quando suo fratello l'aveva dimenticato al supermercato e lui aveva girato di scaffale in scaffale per trovarlo.

Ma poi indossava i suoi pantaloni attillati, il gel e il papillon, e tutto ritornava come prima, i paparazzi lo seguivano ovunque andasse e con qualcuno di loro scambiava anche qualche convenevole sul tempo o sull'ultimo film uscito al cinema.

Salutava, sorrideva e andava da qualche parte a far finta di divertirsi, e più mentiva, più migliorava nel mentire. Sapeva di vivere una vita fatta di nulla, ma non gli importava molto. Si sentiva importante e poteva avere tutto, poco importava se il prezzo di tutto ciò fosse perdere sé stesso.

Quando ricevette la telefonata da Rachel sapeva che quello che averebbe sentito avrebbe distrutto quella sorta di equilibrio che si era venuto a creare nella sua vita. Precario, ma pur sempre qualcosa.

Non rispose.

Non rispose a nessuna telefonata e passò quello che i Tabloid definirono “la settimana nera di Blaine Anderson”.
Nessuno seppe mai cosa successe in quei sette giorni. Nessuno seppe mai come Blaine si svegliava nel cuore della notte da incubi troppo vividi per essere solo sogni.

Di quel lasso di tempo si seppe solo la decisione che ne derivò, ovvero tornare nell'ultimo posto in cui si era sentito sereno, San Francisco.

Impacchettò le sue cose e si preparò a tornare a casa, senza dimenticare di ascoltare i messaggi in segreteria e accorgersi che sì, aveva avuto ragione, le telefonate di Rachel portavano tutto meno che belle notizie.

Era davvero giunto il momento di tornare a casa. Destinazione villa Halliwell.

 

 

-

 

 

Ci avevano messo qualche giorno, ma ce l'avevano fatta. Rachel e Jessie avevano messo a posto decine di scatoloni contenenti la loro vita di New York. Era stato estremamente difficile prendere quella decisione, ma entrambi avevano convenuto che la loro permanenza nella Grande Mela era giunta alla sua fine.

Al funerale di Phoebe, c'era tutta la famiglia. Tutti i nipoti, cugini e bisnipoti erano presenti. Tutti eccetto Blaine. In realtà, Rachel c'era rimasta davvero male per questa cosa. Sapeva che nel corso degli anni si erano allontanati parecchio, ma pensava che Blaine sarebbe rimasto il gentile e sensibile ragazzino che aveva lasciato più di dieci anni prima. Credeva che, nonostante Los Angeles fosse una città in cui è davvero facile perdere sé stessi, lui ce l'avrebbe fatta a preservarsi almeno un po'. Evidentemente sbagliava.

Ad ogni articolo che usciva sul conto del cugino, sperava che per una volta riguardasse il suo debutto nel mondo della musica e non su quale ragazzo frequentasse o che marca di scarpe indossasse, ma ogni volta la sua speranza fu mal riposta.

Sospirò all'ennesimo conto dell'ospedale e posò la penna sul grande tavolo da pranzo, lo sguardo rivolto alla finestra. Fuori pioveva e il vento non accennava ad abbassarsi, gli alberi erano quasi piegati a metà e un'aria fredda si era imposta sull'estate più frenetica che Rachel aveva mai passato dai tempi del suo debutto, quando passava intere giornate a provare e provare, davanti allo specchio, con partner improvvisati o da sola.

“Sta arrivando l'inverno” disse Jessie, raggiungendola alla finestra.
“Sì, direi che questa tempesta è la prova che l'estate è ormai finita.” Gli prese le mani e le intrecciò alle sue, in un abbraccio. Lui le mise la testa sulla spalla, com'era sua abitudine ed entrambi intonarono una melodia, dolce e intensa, ma in qualche modo molto malinconica.

I ricordi bussarono alla porta della loro mente, trasportandoli in un luogo a loro molto familiare, il palcoscenico. Entrambi avevano quella scintilla negli occhi che gli assicurò ruoli importanti e riconoscimenti di ogni tipo, entrambi avevano quella passione che si vede raramente in ragazzi così giovani. Entrambi riuscivano ad amarsi senza riserve ed entrambi volevano andare avanti.

“Ok” disse lui lasciando la presa, “mettiamo via questi assegni e decidiamo cosa mangiare”. Si sedette sulla sedia, prese in mano un mazzetto di volantini con segnati i numeri dei take away della zona e mise il telefono sul tavolo. Rachel, impreparata ad uno stacco così repentino, rimase in un primo momento alquanto sorpresa dall'allontanamento del ragazzo, per poi raggiungerlo subito al tavolo e sedersi sulle sue gambe. Gli strappò di mano quei fogli e iniziò ad analizzarli con foga.

“Allora” cominciò la ragazza facendo linee e croci rosse su quasi tutti i volantini gesticolando con fare drammatico, “pizza no, perchè l'abbiamo mangiata ieri, cinese no perchè è troppo pesante e sono ancora provata dal thailandese dell'altra sera, poi...” Jessie guardò uno a uno i volantini venire bocciati dalla mano della sua ragazza, come sempre esigente e maniaca del controllo.

“Eh no mia cara,” la interruppe lui, togliendole i fogli di mano, con un gesto deciso ed elegante, “questa sera decido io!”.

Si alzò di colpo, facendo quasi cadere la sua ragazza e portò le mani con volantini e telefono in alto, così da renderli irraggiungibili da Rachel, che però, con un salto e molta fortuna riuscì a strappargliene di mano uno. Lo guardò e cercando di dissimulare il suo nervosismo sorrise soddisfatta. “Giapponese! Esattamente quello che volevo!”.

Jessie alzò un sopracciglio “Sarai anche una brava attrice, ma a me non riesci a mentire! Sarà pure giapponese, ma non è quello che volevi!” la fissò con le braccia conserte, sicuro di farla cedere.

Lei sbuffò, non voleva perdere e non gliel'avrebbe data vinta.

Continuarono il duello di sguardi per qualche secondo, finché furono interrotti dal suono del campanello all'entrata.

“Salvata dal gong!” sorrise Jessie alla ragazza che ricambiò non soffermandosi troppo sulle sue parole e avviandosi verso l'uscita.
“Certo, certo. Ma indovina chi non verrà salvato dal dormire sul divano!” ridacchiò.
“Dormire sul divano? Ti hanno mai detto che sei davvero la regina del melodramma?” chiese ironico il ragazzo
“Sì tu! Un milione di volte e per i motivi più stup-” non finì la frase Rachel quando, aprendo la porta, vide chi le stava di fronte.

“Ciao!” sorrise ad entrambi Blaine chiudendo l'ombrello ed entrando in casa al caldo.
“Blaine”, Rachel prese un grande respiro, cercando di non mettersi ad urlare dalla rabbia, “Che cosa fai qua?” lo fissò intransigente nei suoi occhi ambrati, ma non lo lasciò rispondere.
“Io ti posso dire cosa non ci fai qua. Non sei qua per aiutarmi ad assistere la zia all'ospedale, o con il funerale. Non sei qua per la veglia o per rispondere alle centinaia di telefonate e messaggi in segreteria che ti ho lasciato.”

Il ragazzo non risposte a nessuna di queste accuse, nemmeno tanto velate, e abbassò la testa farfugliando un qualcosa che somigliava tanto a delle scuse.

“Mi dispiace Rachel, è stato un brutto periodo e non-”
“Un brutto periodo?” lo interruppe la ragazza “un brutto periodo fatto di feste, ragazzi e soldi! Vuoi sapere com'è un brutto periodo? Vuoi sapere cosa è brutto? Vedere una persona alla quale tieni molto morire senza che tu possa fare nulla! Ecco cosa è brutto!”.

Le lacrime cominciarono a formarsi agli angoli dei suoi occhi, mentre Blaine abbassava la testa carico di dispiacere e di rabbia repressa che non riuscì più a trattenere.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare tutto questo, so che non te lo meritavi, ma cosa ci posso fare? Mica ti ho chiesto io di mollare tutto e tornare qua! Mica ti ho obbligato io a farti carico di tutti questi problemi! Tu non puoi minimamente capire quello che ho passato io in questi anni, non sai che cosa è successo e cosa ho fatto. Non provare nemmeno lontanamente a giudicarmi sulla base di due articoli e un'intervista di chissà quanto tempo fa!”

Rachel lo fissava con grande incredulità, non aveva appena detto quello che aveva detto.

“Tu cosa? E sentiamo, se non avessi mollato tutto per tornare a prendermi cura della zia, chi l'avrebbe fatto? Tu?” gli puntò l'indice al petto, “E non è sicuramente colpa mia se in questi anni non ci siamo sentiti, Mr Anderson. Sbaglio o sono io quella che ha fatto per lo meno tre anni di telefonate a vuoto? Ma guardati, cosa sei diventato? Una specie di burattino nelle mani dei giornalisti, ecco cosa! Non hai più un briciolo di dignità o di credibilità, per questo sei tornato!”

“Senti, mi spiace che tu abbia dovuto abbandonare la tua grande carriera nel mondo dell'insegnamento agli aspiranti attori di serie Z, ma non è colpa mia e soprattutto non ho voglia di farmi fare la predica da una persona arrogante e presuntuosa come te!”

Entrambi erano paonazzi dalle urla e con le lacrime agli occhi dalla rabbia, avevano molto da sfogare e non avevano la minima intenzione di perdere questo scontro verbale.

“Dai ragazzi, così può bastare. Deponete le armi!” cercò di migliorare un po' la situazione Jessie, quando alla porta, rimasta aperta, intravide il muso di un gatto tutto nero.

“E tu da dove arrivi?” chiese fissandogli le iridi dal colore della Luna. Il gatto in tutta risposta iniziò a miagolare e a fare le fusa per tutte le attenzioni che stava ricevendo.
“Hai fame? Vuoi un po' di latte?” chiese al felino, accarezzandolo con delicatezza.

I due cugini si guardarono allarmati e prima che uno dei due avesse tempo di dire qualcosa, Jessie con tono rimproverante li precedette.

“Che nessuno dei due si azzardi a dire qualcosa. Viste quelle valigie all'entrata, sono più che sicuro che mi servirà aiuto per riuscire a sopravvivere a questa convivenza. Non è vero Nyx?”

Rachel aggrottò le sopracciglia e lo guardò di sbieco “Nyx? Che nome sarebbe Nyx?”

Il suo ragazzo non si prese nemmeno la briga di risponderle e dopo aver dato da mangiare alla gatta prese in mano il telefono e chiese a Blaine che pizza avrebbe voluto per cena.
Ovviamente la sua ragazza andò su tutte le furie e attuò quella che chiamava la 'punizione del silenzio' che durò tutta la cena, mentre Blaine raccontava a Jessie di quella volta che aveva incontrato il suo attore preferito ad una festa e si era fatto fare l'autografo su un fazzoletto di carta.

 

 

-

 

 

Era notte fonda e Rachel non riusciva a dormire, si rigirava continuamente nel letto cercando una posizione più comoda, senza riuscirci. Dall'altra parte, Jessie dormiva beato e in fondo alle coperte, in mezzo ai due, risposava la gatta, che dopo aver distrutto le tende della cucina e la poltrona del salotto, si appallottolò in quello che sarebbe stato il suo letto nella casa.

Rachel sorrise, per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva a casa e l'aver abbandonato New York non era più importante.

All'improvviso, la gatta alzò la testa e si mise a sedere sul letto, fissando gli occhi della ragazza che non poté fare a meno di ricambiare. Qualcosa in quel felino era diverso, era come se comunicasse con lei attraverso il suo sguardo. Come se vedesse qualcosa.
Si alzò in piedi, con un balzo raggiunse l'entrata della stanza ed uscì in corridoio.

Rachel la seguì fuori in punta di piedi cercando di fare il meno rumore possibile, sapeva quanto potesse diventare irascibile il suo ragazzo con una sveglia fuori programma, sopratutto dopo una giornata così stancante di trasloco.

Seguì la gatta fino alla scalinata che conduceva alla soffitta e fissò quegli scalini stretti, aveva la stessa strana sensazione e la stessa curiosità di quasi venti anni prima, con la differenza che quella notte ogni suo senso e l'istinto la trascinarono in quella soffitta senza che se ne rendesse conto.

Entrò facendo passi brevi e leggeri, come se non volesse farsi scoprire da qualcuno o come se non volesse svegliare un cane dormiente. Si avvicinò al fondo della stanza, guardandosi in giro con riluttanza. È incredibile come in tutti quegli anni di lontananza, la soffitta fosse rimasta esattamente la stessa, uguale a quando era una bambina di soli otto anni.

Una cosa mancava però, il grande pentolone e i libri che erano sul tavolo vicino alla finestra erano spariti. Di colpo le tornò in mente quando da piccolina era andata a raccontare tutto a Blaine e di come lui aveva riso di lei. Forse avrebbe attuato la punizione del silenzio per tutta la giornata successiva.

Senza che se ne rendesse conto, la micia la superò e raggiunse un vecchio baule di legno con rifiniture in metallo, posto sotto al tavolino posto al centro della stanza, illuminato lievemente dalla finestra appena dietro.

“Andiamo Nyx, non è il posto migliore per farsi le unghie!” esclamò la ragazza, appoggiando le mani sui fianchi e chiedendosi ancora una volta che gusti strani avesse il suo ragazzo per i nomi, “torniamo in camera” aggiunse. Ma ovviamente il gatto non ne voleva sapere, si sedette sopra il baule e prese a miagolare senza sosta.

Rachel si avvicinò allarmata, non voleva che i ragazzi si svegliassero e la trovassero in soffitta. Ignorava la motivazione, ma trovava quello un luogo dove passare del tempo in solitudine, o provare qualche canzone senza interruzioni e lamentele.

“Cerca di non fare troppo rumore, o sveglierai tutti!” bisbigliò mentre prendeva la gatta in braccio accarezzandola dolcemente. Quell'animale la faceva sentire strana. Non sapeva spiegarlo, era come se la guardasse dentro e vedesse ciò che fosse realmente, cosa che non capì subito, anzi.
Se ne stava andando, quando da lontano vide qualcosa brillare nel buio e ritornò sui suoi passi, lasciando che la curiosità la guidasse come sempre.

Aveva sempre avuto una certa dote nel ritrovare oggetti smarriti, come se solo pensandoli si materializzassero davanti a lei, ma aveva sempre attribuito questa capacità alla fortuna o al massimo al buon senso. Come tutte le persone normali, del resto.

Solo che a lei bastava concentrarsi e ritrovava spartiti creduti persi per sempre nella spazzatura, o addirittura microfoni abbandonati in qualche angolo del teatro, per non parlare dei libri di testo dimenticati nelle stanze che venivano ritrovati negli zaini a scuola. Bastava pensare ad un oggetto già visto, che si materializzava vicino a lei.
Non ebbe mai voluto dare una spiegazione a ciò e per questo non perse nemmeno tempo nel cercarla.

Lasciò andare il gatto, che si mise subito a sedere di fianco al grande e antico baule, facendo oscillare la coda a destra e a sinistra mentre la fissava con i suoi occhi chiari.

Rachel prese un grande respiro e con tutta la forza che aveva cercò di aprirlo e, notando che non fosse chiuso a chiave, riuscì nel suo intento quasi subito.

In un primo momento, si sentì delusa, perché trovò solo un vecchio tappeto con una sottospecie di vaso appoggiato sopra, ma una volta tolti entrambi gli oggetti, i suoi occhi s'illuminarono, perché sì, aveva trovato sia il grande pentolone, che l'antico libro.

Prese il contenitore in rame e lo poggiò sul tavolo, con un po' di fatica e si rimise in ginocchio davanti al baule per estrarne il libro, ricoperto di polvere.

La copertina era scura, in pelle, con il titolo che si vedeva a malapena, Rachel soffiò sulla superficie e ci passò la mano per pulirla leggermente, così da leggere meglio.

“Libro delle Ombre” sussurrò mentre lo aprì e un black-out colpì la casa, facendola rimanere senza elettricità. Rachel sussultò leggermente, colta dal buio improvviso ma non totale, data la luce della luna, sbucata nel cielo alla fine della tempesta, che entrava dalla finestra.

Le pagine erano consumate dal tempo, la carta giallo ocra. Ognuna mostrava delle immagini raccapriccianti e delle strane filastrocche, in rima. Passò le dita su alcune parole, sentendo la fibra della carta impregnata solennità.
Non credeva a quello che stava guardando, tutte le sue domande più nascoste stavano trovando risposta , o almeno cominciavano a trovarla e non era sicura le piacesse.

Ripercorse indietro tutte le pagine, tornando alla prima e lesse la dedica.

Alle generazioni future, che questo libro vi faccia trovare le risposte che cercate. Piper, Phoebe e Paige.”

Rachel sospirò.

“Come se fosse così facile” ridacchiò amara, ma la sua attenzione fu spostata sulla pagina dopo, la prima effettiva di quel libro pieno di rime.

Fu ammaliata così profondamente, che non si accorse del rumore al piano di sotto e del fatto che qualcuno stesse salendo le scale, chiamandola.

“Oh, eccoti qua! Ti ho cercata ovunque, ma dovevo immaginare di trovarti in soffitta, esattamente come quando eravamo piccoli!” esclamò Blaine, cercando di riprendere fiato dalla corsa appena fatta sulle scale.

“Stavo leggendo quando improvvisamente è andata via la corrente. Sai, mi sento molto in colpa per la discussione di questa sera e non riuscivo a dormire” sorrise leggermente. Si disse che evidentemente la cugina era ancora in regime di silenzio, finché non si accorse che lei nemmeno aveva notato la sua presenza.

“Ma cosa stai leggendo di così interessante? Rachel? Mi rispondi?” ma non ricevette risposta.

Gli occhi della ragazza si aprirono in sorpresa, mentre lei stessa rimase senza parole.
“Non ci credo!”

Il ragazzo si avvicinò un pochino, allungando il braccio, ma per qualche motivo si fermò subito, come se fosse la cosa giusta da fare, come se qualcun altro gliel'avesse sussurrato.

“Rach-”

Venne prontamente interrotto dalla cugina, che senza pensarci due volte lesse quella pagina ad alta voce.

Ascolta la parola delle streghe,
i segreti che abbiamo nascosto nella notte, 
i più antichi tra gli dei ho invocato,
la grande opera della magia ho cercato.
In questa notte e a quest´ora
l'antico potere ci onora. 
Manda i tuoi poteri a noi:
vogliamo i poteri, dacci i poteri!”

Nel momento esatto in cui Rachel finì di leggere quella che aveva capito essere una formula magica, una piccola scossa travolse la casa, un fascio di luce investì il lampadario al piano terra e il simbolo sul Libro delle Ombre s'infuocò qualche secondo attivandosi e attivando i poteri dei due cugini, confusi e leggermente impauriti.

La ragazza appoggiò il libro sul tavolo e si allontanò spaventata, mentre Blaine fece un paio di passi nella sua direzione, e nell'esatto momento in cui congiunsero le mani l'uno con l'altro, un'uomo apparse alle sue spalle.

Blaine sentì una voce mai sentita prima provenire dalle loro spalle e si girò, abbassandosi prontamente per evitare quella che sembrava una palla infuocata.

“Che cos'hai fatto?” chiese spaventato alla cugina, in preda ad un attacco di panico.
“Io-io non ho fatto niente!” deglutì “ho solo letto una filastrocca in quel libro!”
“Beh, annullala!” gridò spaventato “annullala!”
“Tutto questo non può succedere davvero!” gli rispose.

Lo strano uomo lanciò un'altra sfera di fuoco che sfiorò leggermente la ragazza e rise malignamente.

“A giudicare dal nostro divanetto che sta bruciando, lo è!” urlò il ragazzo.

La ragazza sbuffò, sperando che tutto ciò fosse solo un altro dei vividi incubi che popolavano i suoi sogni da quando la zia era ricoverata all'ospedale. Eppure sembrava fin troppo reale per essere davvero un sogno.

Chiuse gli occhi, quasi credendo che la risposta a tutto ciò piovesse dal nulla.
Ovviamente quando li riaprì vide che nulla era cambiato e che, al contrario, Blaine era sul pavimento con un braccio ustionato e sopra di lui quell'essere intento a dargli il colpo di grazia.

All'improvviso, nelle mani di Rachel si materializzò per magia, una spada e a metà tra la sorpresa e la paura la scagliò contro il nemico, separandogli il collo dalla testa. Nel giro di pochi secondi, il mostro si dissolse nell'aria come fosse vapore.

La ragazza si avvicinò velocemente al cugino, lanciando la spada lontana, in un angolo della soffitta.

“Tutto bene? Sei intero?” gli chiese aiutandolo ad alzarsi.

“Sì! Mi pare di sì!” rispose, prima di sentire un dolore acuto arrivargli dal braccio sinistro, dove nella confusione generale era riuscito a prendersi una sfera di fuoco.
Per qualche secondo non ebbe il coraggio di guardare in basso, verso l'ustione. Aveva paura di quello che avrebbe potuto trovare, una volta controllato. Ma con sua grande sorpresa, sembrava che quell'essere l'avesse preso solamente di striscio e appena se ne accorse, sospirò sollevato.

“A parte il braccio un po' bruciacchiato, direi che me la sono cavata abbastanza bene. Certo però, peggio di te che ne sei uscita come nuova!” rispose sollevato. Anche se avevano appena litigato, non voleva certo che alla cugina accadesse qualcosa.

“Ma da dov'è uscita quella spada?” chiese, indicando l'oggetto abbandonato a terra, con una certa curiosità negli occhi. Di certo non era una cosa che poteva trovarsi in quella soffitta sgangherata, ma chi poteva dirlo, ormai non c'erano più grandi certezze nella sua vita.
“Se te lo dicessi, non ci crederesti mai” rispose titubante.
“Sono sicuro, dopo tutto quello che è successo questa notte, di sì!” cercò di tranquillizzarla prendendole la mano, cercando di darle sicurezza.

Per tutta risposta Rachel sorrise, chiuse gli occhi e prese un grande respiro “Semplicemente ho provato una grandissima paura e ho visualizzato nella mia mente qualcosa che speravo potesse essere utile. Tutto qua.”

Blaine non rispose, limitandosi a fissare il proprio braccio, con le lacrime che iniziavano a farsi vedere, agli angoli degli occhi.

La ragazza, pensò che il cugino non le avesse creduto minimamente e che l'avesse presa per una squilibrata. Magari lo era davvero. Magari aveva appena avuto delle allucinazioni alquanto vivide e in realtà non era successo niente. Magari stava sognando e si sarebbe svegliata accanto a Jessie che dormiva profondamente al suo fianco. Magari.

Aprì gli occhi, speranzosa, ma quello che trovò fu Blaine che cercava di assimilare tutto l'accaduto.

Non le aveva risposto, si era semplicemente limitato a fissare il nulla per qualche secondo mentre cercava di non pensare al dolore che gli provocava l'ustione al braccio.

Rachel sospirò e andò diretta verso al tavolo con il libro.
Da lì erano arrivati i problemi e probabilmente in una di quelle pagine ci sarebbe stata una soluzione, o se non altro una spiegazione a tutto quello che era appena accaduto. Non aveva bisogno di nuove sfide, quelle che aveva appena superato erano più che sufficienti e aggiungere altro stress al suo sistema nervoso non avrebbe fatto bene né a lei, né alle persone che le stavano intorno.

“Pensiamoci domani” la fermò Blaine dopo pochi passi.

Si girò, cercando lo sguardo del ragazzo e lo trovò subito, le sorrideva tranquillo. Rachel alzò le sopracciglia sorpresa e prima che potesse dire niente venne preceduta.

“Andiamo a letto e pensiamoci domani, ok?” le disse.

Lei lo guardò un po' scettica, ma si disse che tanto l'indomani sarebbe stato ancora tutto uguale e che una bella dormita avrebbe fatto bene ad entrambi. Se fossero riusciti ad addormentarsi, certo.

“Vuoi una mano con quel braccio? A disinfettarlo intendo” si avvicinò la ragazza.
“No grazie, faccio da solo. Torna pure a letto dal tuo ragazzo e cerca di dormire se riesci”
“Come vuoi, ma domani vediamo di capire cosa succede, non voglio fare un giro in psichiatria così giovane!”

Risero insieme. Per spezzare la tensione, o per fingere che fosse tutto normale e per circa tre secondi lo sembrò, poi la consapevolezza che ormai più nulla di normale era rimasto di loro li prese alla sprovvista e, mentre Rachel sorrise amara e tornò a letto come l'era stato suggerito, Blaine andò al bagno del primo piano a disinfettarsi la ferita.

Si guardò allo specchio, e dopo tanto tempo ci intravide qualcosa di suo, qualcosa di vero; nonostante la situazione a dir poco incredibile, passare la giornata a villa Halliwell gli restituì qualcosa della sua essenza, un pezzo di sé stesso che mancava da molto tempo.

Forse era anche arrivato il tempo di fare un giro in cantina dopo tutti questi anni di vieto. Rise eccitato dall'idea, il bambino che era in lui non stava più nella pelle, ma era stanco ed era stata una giornata molto lunga e strana. Probabilmente quella di andare a letto non era affatto una brutta idea.

Aveva tempo, aveva tutto il tempo del mondo per cercare di rimettere a posto la sua vita.

 

-

 

Quelle ore non furono tranquille per nessuno dei due cugini. I loro sogni furono infestati da immagini raccapriccianti ed entrambi sentivano che c'era qualcosa in più, come se la loro mente avesse voluto comunicare con loro.

E mentre Rachel si ritrovò in un luogo oscuro a combattere contro sé stessa, o una copia di sé molto aggressiva e abile con la sciabola, Blaine era intrappolato in un labirinto, inseguito da un branco di lupi, mentre una scia di smeraldi lo conducevano verso quella che sperava fosse l'uscita.

Fu una lunga notte per entrambi, speranzosi di svegliarsi e di continuare la loro vita normalmente, facendo finta che la notte appena passata non fosse mai esistita.







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Ed ecco finalmente il primo capitolooo!!! *fa la ola*
Vi sono mancata? Ceeerto!

Bando alle ciance!!
Come avrete -certamente- capito questa non è una ff incentrata su storie d'amore (che non mancheranno), ma sulle avventure di questi due cugini (o almeno, ci prova!!)

Ringrazio ufficialmente la Mirma per il supporto (nel senso che mi ha dovuta sopportare... porella) e la Clà per la fiducia u_u
Ringrazio Aaron Spelling per aver creato il mio tf preferito ever, ringrazio Murphy per aver rovinato Glee e avermi spronata a scrivere (perchè tanto peggio di così!) e ringrazio chiunque capiterà qua, anche per caso.
Vi lascio il link della mia pagina che va sempre bene per spoiler e affini.

A presto con nuovi personaggi (alcuni conosciuti -Sebbu-, altri no -Ariel-) e altre belle cose!! =w=
ali
 

   
 
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