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Autore: Momoko The Butterfly    15/10/2013    3 recensioni
Londra, 18XX. In una grigia giornata come tante altre, qualcosa di inaspettato sta per accadere; qualcosa che metterà a dura prova entrambe le fazioni coinvolte nella Guerra Santa. In seguito a una terribile tragedia, la piccola Gwen si risveglia come Noah. Ma qualcosa va storto...
Il freddo londinese le faceva battere appena i denti, generando un rumore che rompeva il glaciale silenzio che altrimenti l’avrebbe resa del tutto invisibile agli occhi della folla che, incurante, procedeva disinvolta lungo la strada avvolta in morbidi e soffici cappotti.
E lei invece per scaldarsi era costretta a rannicchiarsi come un verme tra la spazzatura, un cencio consumato a coprirla quel tanto per non farla morire assiderata. Il viso scavato, sul quale era caduta un’ombra cupa che mai essere vivo o morto aveva posseduto, fissava i propri piedi impalliditi per il gelo. E respirava, a malapena. Brevi ansiti costringevano il suo petto a sollevarsi pigramente e ad abbassarsi con cautela. Come se avesse paura che qualcuno potesse avvertire la sua presenza.
Perché lei era maledetta.
Era un mostro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Conte del Millennio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Into the Madness



Capitolo 3
Ciò che sta oltre lo sguardo
 



 
La calma e la quiete di quel luogo erano quasi spettrali. Il sole era sorto già da qualche ora, eppure non era udibile neanche il più impercettibile dei rumori, lo sbuffo di una corrente d'aria o il flebile movimento di fronde. Assolutamente nulla. Non che i suoi abitanti ostentassero ancora nel dormire, no... Come accadeva ogni volta dopo la manifestazione del devastante potere dell'Innocence, che con forza straordinaria modificava l'aspetto geografico del luogo, tutti gli animali fuggivano il più lontano possibile e solo dopo qualche giorno osavano rimettere il naso nelle loro tane, diffidenti di quel luogo che non era più come un tempo.
Rispetto al caos precdente tuttavia, ora si respirava un'aria diversa in quel bosco tanto stravolto dal potere della materia divina. Il gelo del mattino, assieme al silenzio che inghiottiva ogni foglia di ogni albero, donava un'atmosfera rilassante, eppure innaturale. Perché a quell'ora sicuramente si sarebbero sentiti i canti degli uccellini, ai quali spesso si manca di far caso per via dell'abitudine con cui si è abituati ad ascoltarli; e lo squittire dello scoiattolo sul ramo più alto, il beccare del picchio, i passetti ponderati e timorosi dei daini. Invece in quella foresta i suoni erano completamente assenti, divorati dal nulla, racchiusi in un passato che per quanto vicino e famigliare, ora non esisteva più. Solo il ricordo di ciò che quella foresta era stata un tempo permeava nelle memorie degli abitanti del villaggio vicino, ansiosi di potervi tornare un giorno senza la paura nel cuore. Le loro speranze e i loro desideri non potevano che essere riposte nelle mani degli Esorcisti, i messaggeri di Dio, i soli che avrebbero potuto liberarli dalla maledizione che li affliggeva. E con questi desideri di libertà caricati sulle spalle, come monito, come promessa per non cedere mai, Allen Walker, Linalee Lee e Albin si erano avventurati con tremante coraggio in quel luogo portatore di tante angoscie.
Poi, il potere dell'Innocence si era manifestato più forte che mai, come a voler proclamare con impeto la propria presenza, ed aveva mostrato agli Apostoli cosa realmente fosse in grado di fare. E allora le montagne e le terre circostanti erano diventate una sola ed unica superficie ondeggiante, i cui elementi cambiavano disposizione scivolando come privi di fondamenta o radici che li tenessero ancorati al suolo. Allen e Linalee erano stati divisi, presi alla sprovvista da quel devastante potere, perdendosi l'uno agli occhi dell'altro.
E no, non se lo aspettavano. Mai si sarebbero immaginati simili risvolti per quella missione tanto ordinaria, così uguale a molte altre da risultare quasi monotona. Avevano abbassato la guardia, dando per scontato per fosse semplice. Grosso errore. Ed ora, ne avrebbero pagato le conseguenze...


- Mi dispiace, Nobile Esorcista. Temo che ci siamo persi.

- Non demordete, Albin.

Nemmeno Linalee però riusciva a sentirsi completamente a suo agio in quel luogo. Qualcosa pareva metterla continuamente in guardia, rendendola incapace di rilassarsi anche solo per distrarsi un momento. Avevano da poco ripreso conoscenza tra gli alberi, scoprendo di trovarsi in un luogo totalmente differente dalla grotta nella quale avevano passato la notte. Circondati da quella muta e glaciale atmosfera, Allen non era con loro, perso chissà dove. Chiamarlo non servì, perché in risposta alle loro grida, solo un gelido silenzio pregno d'angoscia era ritornato indietro. Linalee era preoccupata come non mai. Dopo aver perlustrato accuratamente la zona, rivoltato ogni filo d'erba alla ricerca dell'albino, lei e Albin si erano seduti su di una roccia, ad aspettare un segno; qualcuno o qualcosa che li indicasse verso la direzione giusta. Nemmeno controllare dall'alto era servito. Dopo aver attivato la propria Innocence, i Dark Boots, Linalee aveva spiccato un salto che con estrema grazia e facilità l'aveva portata a sovrastare quell'immensa foresta, più veloce di un fuoco d'artificio. Prima che la forza di gravità l'attirasse nuovamente al suolo, col vento dato dall'improvviso spostamento a scompigliarle i capelli scuri, aveva minuziosamente scrutato in ogni angolo, purtroppo senza riuscire ad individuare nulla. I fusti arborei erano a tal punto ammassati l'uno accanto all'altro, che nemmeno la buona vista della cinesina riuscì a trapassarne la verde, impenetrabile barriera.
Sconsolata era tornata a terra, dovendo poi deludere il buon Albin: Allen non era da nessuna parte. Se però in un primo momento ci fu lo smarrimento, nei loro piccoli cuori attanagliati dal dubbio, successivamente la fiducia vi infuse nuova speranza, allontanando le tenebre.

- Starà bene, vedrai - sorrise candida Linalee, con quella gentilezza che era capace di convincere chiunque - Lo conosco.

Il Finder parve rincuorarsi. Sorridendo anch'egli, lasciò che la sicurezza della compagna riempisse il suo animo. Lasciò così da parte le angoscie e tentò di essere ottimista.

- Ne sono sicuro. Dopotutto, si tratta sempre del sign...

Dei boati improvvisi lo interruppero improvvisamente. Dapprima timidi, quasi impercettibili, aumentarono rapidamente d'intensità e nonostante la grande distanza i due li sentirono chiaramente. Linalee aveva voltato la testa nella loro direzione, di scatto, colta alla sprovvista: esplosioni.
A breve distanza da loro, fecero tremare appena la terra in maniera sinistra. E nello stesso istante, il cuore dell'Esorcista iniziò ad agitarsi, battere tanto forte da dare l'impressione di poterle schizzare fuori dal petto.
Ed a quel punto un sussurro, un impercettibile bisbiglio, era sorto dalle sue labbra sottili quasi senza preavviso. Una preghiera. Una stupida preghiera, pensò, di una persona egoista, che pur di non vedere il proprio piccolo mondo andare in pezzi, sarebbe corsa in capo al mondo.

- Allen...

Pregò che nulla di quelle terrificanti esplosioni avesse a che fare col compagno; che potesse rivederlo sano e salvo.

- Andiamo, Albin! Laggiù potrebbe esserci Allen!

Il ragazzo acconsentì timidamente, intimorito appena da quei sinistri boati. Eppure, non appena vide la giovane iniziare ad avviarsi verso il luogo delle esplosioni con decisione, la seguì senza pensarci due volte. E si disse che in confronto ai proiettili di Akuma, che distruggevano qualsiasi cosa colpissero, e al morire sotto il fuoco nemico, quello non era niente. Finalmente aveva ottenuto l'occasione che desiderava, la ragione per cui era diventato un Finder: poter servire gli Esorcisti, assisterli e, se necessario, proteggerli con la vita. Questo era il compito che gli era stato affidato. Era stato scelto perché i suoi compagni sapevano che ne sarebbe stato all'altezza. E non voleva deludere le loro aspettative. Doveva perciò lottare, lottare con tutte le sue forze. E vincere. Per quelli che all'Ordine lo aspettavano trepidanti; e per quelli che dal cielo lo osservavano orgogliosi.

In breve tempo si misero a correre, badando a non inciampare in qualche radice e scansando i rami sporgenti con un veloce colpo di mano. Linalee era in testa, con indosso gli eleganti stivali di un rosso cristallino a renderla sempre più agile ed elegante, come una piccola stella cometa saettante nell'oscurità del cielo. Albin tentava di starle dietro con tutte le sue forze, e nonostante non fosse al pari della cinesina seppe farsi valere, evitando inutili lamentele o borbottii. Ma quando fu palese la sua stanchezza a causa del fiatone, venne afferrato in fretta e furia e trasportato col minimo dello sforzo. Giunsero così sul luogo prefissato. Ad accoglierli, una vasta area devastata da grossi crateri fumanti. Al loro interno, ancora avvolti da piccole fiamme sull'orlo dell'estinzione, ciò che era rimasto di un gran numero di Tease: residui nerastri, simili a fogli di carta strappati, giacevano al suolo sfrigolando in scintille lumnescenti in attesa di essere consumati del tutto e sparire.
Linalee le riconobbe all'istante. Aveva intravisto un simbolo distintivo di quelle creature, ancora miracolosamente intatto: un cuore spezzato a metà, parte dell'ala di una di quelle terribili farfalle cannibali. Si paralizzò all'istante. Il pensiero che Allen potesse essere incappato nei Noah si fece d'improvviso concreto e terribile. Osservò attentamente la zona, senza percepire la presenza di nessuno. Allen non era lì.

- Fate attenzione, Albin - sussurrò, lo sguardo concentrato su quei rimasugli dello scontro che era appena avvenuto. Uscirono allo scoperto guardigni, attenti al minimo rumore o movimento che potesse rivelarsi pericoloso. Tuttavia, la zona risultò completamente deserta; e se mai qualcuno avesse avuto la sfortuna di trovarsi in quel luogo al momento sbagliato, ora era improbabile che ve ne fossero rimasti anche solo dei resti.


 
 


Allen aprì lentamente gli occhi, e la prima cosa che avvertì fu l'innaturale presenza di luce, in quel luogo che riconobbe essere una piccola radura circondata da verdi alberi in fiore. La testa gli girava ancora, probabilmente a causa degli effetti dell'Innocence, e non sapeva dire con precisione né dove fosse stato trasportato né in quale direzione l'improvviso cambiamento di territorio lo avesse sbalzato. A fatica si sollevò, stirandosi la divisa scura ricoperta di polvere e terra. Si guardò attorno. Era solo, totalmente solo. In più, quello strano silenzio che lo circondava lo rendeva inquieto. Qualcosa non andava in quella foresta; ed era compito suo scoprire cosa, recuperando l'Innocence al più presto.
Circondò la bocca con le mani e gridando più che poté chiamò i nomi di Linalee e Albin. Provò una, due, tre, cinque, dieci volte, senza purtoppo ricevere mai risposta. Si rassegnò al fatto di doversela cavare da solo, ma non demorse: conosceva i suoi compagni, Linalee in modo particolare. Conosceva la sua determinazione, il suo valoroso senso del dovere e la sua bravura e grazia nel combattimento. Non aveva dubbi sul fatto che in caso di attacco nemico se la sarebbe cavata egregiamente. La stessa cosa non poteva dirsi per Albin, che essendo un Finder era maggiormente esposto ai pericoli. Pregò che fosse assieme alla sua amica, che entrambi stessero bene, e che presto avrebbe potuto rivederli sani e salvi.
Decise di percorrere una via a caso, inoltrandosi nella foresta con passo sicuro, fiducioso del proprio sesto senso che gli indicava la migliore strada da percorrere.
Fu a quel punto che venne sorpreso da un'inaspettato fruscio giusto dietro di lui. Si voltò di scattò, assumendo la posizione di guardia, pronto ad attivare l'Innocence in qualunque istante. Tuttavia il rumore non si ripeté, e l'albino si sentì alquanto rammaricato. Forse era stato un animale. Si avvicinò ai cespugli, esaminando attentamente la zona circostante. E lo vide, adagiato silenziosamente su una foglia. Sbiancò: sangue.
Spostò lo sguardo sul terreno. Piccole macchioline cremisi costruivano una breve e frammentata stradina che scompariva tra l'erba alta e le radici. Senza pensarci due volte, scavalcò il cespuglio con impeto e seguì quella traccia con minuzia, badando a non lasciarsi scappare neanche il più piccolo degli indizi. Gli occhi argentati scrutarono con attenzione il terreno alla ricerca di impronte, segni, qualsiasi cosa che potesse condurlo in una direzione. Il suo cuore vacillò appena al pensiero che Linalee e Albin potessero essere in pericolo, che potessero essersi feriti. E se in un primo momento vide quelle tracce rossastre quasi come un colpo di fortuna, che avrebbe potuto condurlo da loro, si rimangiò poi il pensiero all'istante, dandosi persino dello stupido. Aveva appena sperato in qualcosa di orribile senza accorgergersene. Avvertendo lo stomaco ingarbugliarsi per quelle orribili previsioni che, come viscidi serpenti, s'insinuavano nella sua mente instillandogli il dubbio, sentì crescere dentro di lui l'impellente necessità di riaverli accanto all'istante.

- LINALEE! ALBIN!

Chiamarli ancora non servì a nulla, in risposta non ricevette nient'altro che l'eco del proprio disperato richiamo. Iniziò a preoccuparsi, nonostante dentro di sé ripetesse fino allo sfinimento che di motivi per crucciarsi non ve n'era nessuno. Aumentò il passo; e pregò di ritrovare in fretta i suoi compagni.

Una cosa però non sapeva: che ad esser feriti non erano né Linalee né Albin; e che, inconsapevolmente, era tenuto d'occhio da qualcuno ben celato alla sua vista...

Tyki si accertò che Allen non lo notasse, accovacciandosi dietro un albero abbastanza robusto. Smise volutamente di respirare affinché la sua presenza potesse passare totalmente inosservata, in quell'ingannevole silenzio che aveva improvvisamente avvolto il luogo. Era incredibile come a volte il destino si divertisse a giocare con le vite umane, tessendo trame estremamente complicate, che seppur inspiegabili trovavano il tempo per incrociarsi, attorcigliarsi l'una all'altra, in un continuo ed infinito vorticare di pensieri e azioni tutti collegati tra loro. Persino lui, in quel momento, aveva però compreso quanto l'affrontare il ragazzo sarebbe stato dannoso per lui. Ma nascondersi non lo avrebbe portato a nulla; continuando a quel modo, le cose non avrebbero potuto che peggiorare. Doveva trovare al più presto il gate per il ritorno sull'Arca del Conte - sperando che esistesse -. Doveva avvertirlo di quanto instabile fosse la Follia, di come improvvisamente lo avesse aggredito, rischiando di ucciderlo per giunta. Una puntura di dolore al braccio lo costrinse a evadere dai suoi ragionamenti. Spostò lo sguardo sulla divisa macchiata di rosso e si lasciò scappare un gemito. Gli conveniva darci un'occhiata, prima di perdere i sensi. Già sentiva la sua vista annebbiarsi e confondere il verde delle foglie con l'azzurro dorato del cielo. Con totale indifferenza per quell'indumento cucito appositamente dal Conte per lui, ne strappò un lembo e cercò di annodarlo come meglio poté attorno alla ferita, resistendo con fare orgoglioso al dolore.
Era in collera con se stesso per essersi lasciato sopraffare in maniera a detta sua incredibilmente ridicola da una perfetta inetta. Aveva abbassato la guardia, preferendo giocare con quella donna tanto stramba e fragile, da apparire quasi debole. Ed aveva sbagliato, come mai prima d'ora. Credeva di aver capito, oramai, che situazioni come quelle non andavano mai prese alla leggera. Eppure, puntualmente trovava il modo per lasciar correre; fregarsene delle cose, sottovalutandole. E per quanto potesse detestarlo, doveva ammettere che quel comportamento faceva parte del suo essere, che era fin troppo radicato in lui perché potesse scrollarselo di dosso.
Trovato un po' di sollievo dopo la blanda medicazione fatta in quattro e quattr'otto, si mise in piedi barcollando appena e scrutando gli alberi attorno a lui alla ricerca dell'Esorcista. Fu allora che udì la sua voce chiamare disperata i propri amici; capì quindi che non era solo. Erano presenti la probabile detentrice del Cuore dell'Innocence e qualcun'altro che non aveva mai sentito nominare. E quasi per magia, cominciò a balenargli in testa un'idea alquanto intelligente. Ostentando i modi raffinati che contraddistinguevano la parte più cupa della sua anima nonostante il dolore fosse perfettamente visibile sul suo volto, fece per tendere un braccio in avanti e lasciare che una piccola Tease vi fuoriuscisse, posandovisi sopra leggiadra e letale al tempo stesso. La fissò per qualche attimo, prima di darle un semplice comando:

- Conducili da lei.

E l'ambigua creatura si levò in aria sbattendo placida le alucce. Calma, silenziosa, consapevole di essere la catalizzatrice della grande catastrofe che di lì a poco si sarebbe scatenata, solcò il cielo senza vento per raggiungere l'Esorcista.
Tyki sorrise, come se in qualche maniera potesse già prevederne l'esito. Si complimentò con se stesso per l'idea avuta, pensando che non poteva esistere modo migliore di prendere due piccioni con una fava. Mentre lui avrebbe osservato indisturbato la situazione, il Conte avrebbe potuto constatare ciò per cui aveva mandato lui e Gwen in quel postaccio; e al contempo, finalmente avrebbe potuto vedere la faccia di Allen Walker nell'istante in cui avrebbe tirato le cuoia.


 
 
Il sangue aveva preso a colarle sulla faccia in maniera insistente, impedendole la vista dell'occhio destro. La testa le girava; più di prima, s'intende. Grazie però a quelle... Farfalle?, che l'avevano assalita senza motivo, ora stava peggio. Si portò una mano tremante alla tempia ferita, esitando persino nel sfiorarla. Il dolore era tanto forte da farle venire le lacrime agli occhi. Bruciava come una cascata di lava bollente sul viso, impossibile da fermare; impossibile da sopportare. Si contenne dal piangere. E nel farlo il petto cominciò a pesarle: un macigno di angosce ricadde su di lei, soffocandola.
Però... Chissà perché... Quel bel cielo azzurro proprio lì, davanti a lei... La rincuorava. Nuvole di bianca ovatta soffice vi navigavano sbarazzine, susseguendosi in silenzio e tingendosi delle tonalità calde e fredde del mattino. E i suoi occhi gonfi di lacrime, di un oro sporco di sangue, vi si rispecchiarono. Parvero come salirci sopra, incuranti del dolore, di quel peso che lentamente la stava uccidendo, e vi si addormetarono. Persi tra sogno e realtà, arrancando in una nebbia fatta di indifferenze, insicurezze avvolte nel buio, perse e - forse - ormai cancellate.
Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare?
L'unica cosa cui il suo animo, da quel giorno maledetto anelava, era una sola. Perché però ogni volta soffriva così? E senza poter raggiungere la sua ultima destinazione, rimaneva bloccata a metà. Soffrendo. Piangendo. Lasciando che il passato le lacerasse il cuore ancora, e ancora, e ancora... Lasciando che il destino riattaccasse brandelli della sua anima alla vita, per non vederla spegnersi.
Ma lei tutto questo... Non lo voleva. Non voleva vivere. Non voleva continuare a trascinarsi lungo un sentiero distorto, fatto di sbagli e amarezze, rovinandosi ad ogni passo; consumandosi, irrimediabilmente, respiro dopo respiro.
Perché da quel giorno lei li aveva provati tutti.
Tutti.
Che cosa, poi?

Modi per morire.

Modi che le permettesso di raggiungere la persona speciale che dimorava lassù, su quelle nuvole candide come cuscini. Perché era questo quello che voleva. Solo questo.
Ne aveva abbastanza della solitudine, della violenza, degli incubi intrisi di sangue nei quali s'immergeva ogni notte, gridando e piangendo come una bambina; la bambina che quel pessato non era stata capace di rimuoverlo, ma che ancora faticava a ricordare. Solo vaghe sensazioni a pregnare il suo essere, ancora. Dolori sopiti ristagnanti nella sua mente, confusi con divagazioni della sua anima lacerata che sebbene avesse cercato di ricordare, di riottenere quelle memorie maledette, al contempo se ne era guardata debitamente.
Ecco, ciò che più la faceva disperare. Il trovarsi a metà; l'essere imperfetta, sotto ogni punto di vista. Desiderare la morte ma al tempo stesso la vita, inconsciamente. Farsi male da sola, ferirsi: modi per espiare una colpa che non ricordava nemmeno e che, forse, non avrebbe nemmeno voluto ricordare. Perché sicuramente le avrebbe procurato solo un taglio in più in quel cuore già grondande di sangue, che non ce l'avrebbe fatta. La redenzione era un'orizzonte troppo lontano per lei; un'utopia fatta di blande speranze appena più luminose dei suoi occhi dorati spenti.
Proprio questi fissarono ancora qualche secondo il cielo azzurro del mattino. Le sue labbra rosee e sottili si distesero appena in un flebile sorriso. Una lacrima scese lungo la guancia.
Forse si trattava del dolore alla testa o delle numerose ferite e morsi presenti sul corpo, ma qualcosa improvvisamente la invogliò ad alzarsi. E Gwen ne era certa: era stata Cari ad incitarla a non mollare, dal Cielo. Da quel cielo tanto bello e brillante.
Un fremito percorse rapido le braccia, risvegliando i muscoli indolenziti come per il passaggio di una scarica elettrica. Con un'incredibile sforzo, riuscì a mettersi a sedere sull'erba, il lungo abito stracciato in più punti dalle diaboliche farfalle e i capelli incollati al viso dal sangue. La pelle pareva essere tornata di una colorazione normale, seppur pallida, e le stigmate erano scomparse. Gli occhi però no, erano rimasti giallo dorato; perché, dopotutto, erano l'unica cosa naturale che le era rimasta. Lei ci era nata, con quelli. Erano 'gli occhi di chi nasconde un tesoro dentro di sé', come diceva sempre Cari. Lei allora le diceva che i suoi invece erano quelli di chi porta un cielo infinito nel cuore. Ed entrambe sorridevano, guardandosi intensamente per poter davvero scorgere tesori splendenti e cieli azzurri dietro i rispettivi sguardi. Puntualmente, però, una di loro scoppiava a ridere, pensando che comunque fosse una scemenza, e l'altra in pochi secondi la seguiva a ruota.
Una goccia salata piombò sull'erba, piegandone gli steli con una forza invisibile e silenziosa.
Gwen s'asciugò le lacrime, con grazia. Successivamente, volse il suo sguardo distrutto davanti a sé. Era ora di aprire lo scrigno del tesoro; di fare vedere ciò di cui era capace. Realizzare quel suo ultimo desiderio, senza che strambi mostri dal sorriso perenne glielo impedissero ancora.

- Arrivo, Cari... - un sussurro, flebile; una promessa, fatta col cuore.

Ma nulla sarebbe andato secondo i piani. Il destino aveva altri progetti per lei e quella volta, aveva assunto sembianze davvero inusuali.
Accadde tutto in un attimo. I cespugli alti e imperscrutabili presero a frusciare rumorosamente; subito dopo, una piccola e sottile figura vi emerse con tempestività, bloccandosi all'istante a guardarla stupito. Capelli bianchi, occhi argentati, una cicatrice e... Una divisa scura.
E sebbene non l'avesse mai vista in vita sua, Gwen ebbe come un presentimento, accompagnato da una sgradevole sensazione di deja vu. Perché lei, quegli abiti li aveva già visti. O meglio, aveva già visto il simbolo ricamato sopra: una croce, appuntata sul petto, chiara e ben visibile. Come la vide, sentì un sibilo fulminante attraversarle il cervello. Si portò una mano alla tempia sanguinante, chiudendo un occhio a causa del fastidio.
Perché le sembrava così famigliare?!
Si accasciò a terra.
Il dolore alla testa divenne tutto ad un tratto insopportabile, quanto una marea di aghi appuntiti ficcati a forza nel cervello. La vista s'annebbiò gradualmente; tutto diventò confuso, indistinto. Grigio.
Il fiato cominciò a mancarle, ed i suoni a rimbombarle attorno, ingigantiti a dismisura. Passi... ? No, battiti. Sentiva il suo cuore battere, furioso, pulsando incredibilmente forte, risvegliando il suo corpo che attimo dopo attimo sembrava andare in pezzi. Quando ai suoi polmoni l'aria smise di arrivare, si buttò a terra, strappandosi a forza il colletto dell'abito, con le mani tremanti dalla paura, dal panico. Ma quella stoffa era così dura, così spessa...
Le dita cominciarono a dolerle ma lei non si fermò. Continuando a tirare, a tirare con tutte le sue forze, fece appena in tempo a produrre un piccolo strappo nel tessuto, che cedette.
Le mani delicate, lacerate dall'impeto con il quale aveva cercato di respirare, persero la presa e cascarono al suo fianco, ritirando le dita come le zampe di un ragno rinsecchito. Gli occhi dorati rimasero aperti; vacui, liquidi di lacrime sofferte, per un'indegna immagine della morte sul suo pallido viso. E ad avvolgerla fu poi solo il silenzio...

Perché tutti hanno paura di morire. E lei... benché lo desiderasse con tutta sé stessa, in fondo all'animo pregava sempre che la Falce arrivasse veloce e indolore. O che non arrivasse proprio. Non temere la morte sarebbe stato sciocco, da parte sua perché... Perché lei era umana.

O forse no... ?

- Signorina! Riprendetevi!

Tu-tum...

Ed ecco un battito, a spezzare il silenzio.
Qualche briciola di calore riuscì ad addentrarsi nel suo corpo devastato, donandole nuova energia. Un'energia diversa dalla solita. Un'energia alimentata da un sentimento che Gwen sì, conosceva, ma di cui aveva imparato ad avere paura. Un'emozione sinistra, innaturale, covata nel cuore di ogni essere umano, se ne impadronisce consumandolo; rendendolo succube di un'idea e lasciando che l'ossessione lo porti sulla strada del decadimento.

La follia.

Quell'attimo in cui tutto scorre, scivola via, come un fiume; in cui tutto ciò che ci circonda diventa contorno, non ha più importanza; in cui i desideri più nascosti dell'umanità emergono e si consumano, nel giro di pochi secondi, senza freni o catene a contenerli. La voglia di lasciarsi andare, di ridere se ne si ha voglia, di piangere se ne si ha voglia, di uccidere se ne si ha voglia...

I suoi occhi si mossero rapidamente, riacquistando la luce perduta. Un sibilo acuto le arrivò al cervello. Il dolore la risvegliò completamente.

Poi, un grido.

La bestia che, d'improvviso, aveva rotto la gabbia ed era uscita; e difficilmente, questa volta sarebbe rientrata. La liscia pelle di porcellana si tinse di cenere; gli occhi brillarono in maniera agghiacciante. E quel sorriso... L'aveva fatto anche quindici anni prima, di fronte al cadavere della sua migliore amica. E poi... Dopo... ?

Oh, dopo aveva riso.

- AH AH AH!!!

Allen si era allontanato di scatto, non appena aveva percepito una strana presenza provenire dalla donna. Fu allora che il suo braccio sinistro iniziò a tremare e apizzicargli, incontrollato. L'Innocence reagiva all'oppressione che quella esile figura si portava appresso. E a giudicare dall'agitazione della materia divina, non poteva che trattarsi di una cosa sola. E l'Esorcista lo capì nell'istante in cui le quattro cicatrici fecero capolino sulla sua fronte, ancora ricoperte dal sangue raggrumato formatosi precedentemente e che ora donava loro un aspetto molto più macabro.

Gwen si mise in piedi, arrancando. Lo fissò con gli occhi di chi ha in testa un solo, unico pensiero: la morte, e il piacere puro che si può provare nel concederla a qualcuno. I lunghi capelli spettinati le ricadevano lungo le spalle quasi a incorniciare in un terrificante dipinto il suo viso cinereo macchiato dal sangue e solcato da un sorriso sghembo, che di umano non aveva niente. Ed Allen dovette ammetterlo: faceva paura.
Non che lui normalmente non la provasse di fronte ad un nemico: più volte si era sentito il cuore in gola, combattendo contro mostri orribili e Noah - il cui ricordo rimaneva il più orribile - col terrore di poter morire o veder morire i propri compagni da un momento all'altro. Questa volta però, l'attrazione magnetica e al tempo stesso malsana che quella donna emanava dal suo essere, costituiva una fonte di disagio allucinante. L'atmosfera attorno a lei era pesante, lenta; opprimente.
Cosa ci faceva una Noah in quel posto?!

- Chi siete voi?! - domandò mostrandosi sprezzante, rivolgendo la propria arma anti-Akuma contro la Follia - Rispondete!


 
 
- La zona è deserta... - decretò Linalee gettando un'ultima occhiata alla radura attorno a loro, devastata dalle esplosioni. I crateri fumanti l'avevano irrimediabilmente deturpata. E tutto quello che era riuscito a salvarsi dal disastro erano stati i resti di Tease e... del sangue. La cinesina ne aveva scorto una sottile traccia sull'erba, seguendola ardita fino a perderla completamente tra i caspugli. Ed a quel punto aveva preso una decisione. Se cercare Allen dall'alto non serviva, e nemmeno chiamarlo, l'unica cosa da fare era... Farsi notare.
Aveva raggiunto Albin, disattivando i Dark Boots. Aveva il fiatone: naturale, dopo aver corso in lungo e in largo alla ricerca dell'albino. Persino lei, a furia di utilizzare la propria Innocence, finiva per stancarsi. Sedendosi con grazia su una grossa roccia sporgente ai margini dello spiazzio d'erba nel quale si erano temporaneamente accampati, notò come il Finder stesse armeggiando piuttosto abilmente con uno strano apparecchio di metallo. Cacciavite in una mano, strani cavi colorati nell'altra.

- Che cos'è? - s'azzardò a domandare, vinta dalla curiosità. Era abituata alle invenzioni di quelli della Scientifica - soprattutto Komurin - ma mai aveva visto qualcuno di loro creare marchingegni di quel genere. Che Albin fosse una specie di inventore, come loro?
Interrotto improvvisamente dal suo lavoro, il giovane rischiò di far cadere il cacciavite sul proprio piede, recuperandolo poi all'ultimo minuto con un repentino movimento di mano piuttosto maldestro.

- P-perdonatemi... Ero così concentrato che non mi sono accorto della sua presenza - si giustificò, cercando di non mostrare il proprio volto; era arrossito peggio di un pomodoro maturo, e di certo non aveva voglia di umiliarsi così di fronte ad una Nobile Esorcista.
Linalee reagì tempestivamente. Si drizzò in piedi, mormorando alcune scuse, per poi notare l'imbarazzo del Finder e sorridere appena, come rincuorata da quel gesto spontaneo. Infatti, sebbene gli provocasse un certo fastidio, Albin era una persona ben disposta a parlare dei propri aggeggi quando la gente gliene chiedeva. Era orgoglioso di poter dire "Sì, questo l'ho fatto io!". Per questo in molti gli avevano detto di diventare un membro della Sezione Scientifica e creare armi per sconfiggere gli Akuma. Lui però si era sempre sottovalutato, non ritenendo importante quel suo piccolo talento alla vincita della guerra. Riteneva che l'aiuto più concreto che potesse dare fosse il supporto agli Esorcisti come semplice Finder. Perché era ciò che più lo gratificava, e mai avrebbe accettato un compito superiore. Non era tagliato per la scienza, per le formule matematiche... Per lui la costruzione di piccoli oggetti era una cosa naturale; un istinto, quasi una vocazione. E mai ne avrebbe fatto un mestiere perché, nonostante tutto, non l'aveva mai reputato fondamentale quell'arte per un conflitto di quella portata. Si sentiva piccolo, ecco. Piccolo e inutile, se mai avesse deciso di fare lo scienziato. Aveva salvato molte più vite vivendolo, il campo di battaglia; non studiandolo.
Ora, l'apparecchio tra le sue mani, decisamente anonimo in quanto sprovvisto di segni di riconoscimento, targhe, sporgenze di alcun tipo, era di metallo, scuro, ed assomigliava vagamente a una scatoletta. Solo che di aperture non ve n'erano. L'unica cosa che davvero risaltava in quell'oggettino era un quadrante, rotondo, presente su uno dei lati corti. Era vuoto, completamente nero. E attorno... Dei buchi. Albin vi inserì all'interno i fili, congiungendo più aperture secondo un preciso ordine da lui studiato. Quando infine ebbe aggiancato l'ultimo, di un giallo brillante, il quadrante s'accese e vi comparvero sopra dei numeri.
Solo a quel punto Linlaee strabuzzò gli occhi, incredula. Mai si sarebbe aspettata che quell'aggeggio fosse...

- Una bomba?

Il Finder annuì con un sorriso, sollevato che la cinesina lo avesse capito al volo - Si può detonare a distanza.

- Il raggio d'azione?

- Circa duecento metri.

A quel punto Linalee parve accigliarsi, assumendo un'espressione vivamente preoccupata.

- E se... Venisse compito anche Allen?

Albin divenne improvvisamente serio. Comprendeva il rischio e la pericolosità dell'oggetto tra le sue mani. Ma non sarebbe mai stato così stupido da porre in svantaggio persino i suoi alleati.

- Reagisce unicamente alla presenza di Dark Matter. Il Signor Walker non ha motivo di preoccuparsi. Se ci sono nemici di qualunque genere, quest'ordigno esploderà e ci avvertirà della presenza di Akuma o Noah.

Ma la cinesina non sorrise più. Fissava quell'apparecchio quasi come fosse stato il male puro. Odiava gli strumenti di guerra come quello, creati solo per uccidere. Si alzò, allontanandosi in silenzio; sperando che il Finder non dovesse mai utilizzare una simile mostruosità...

 
Dopo aver piazzato l'ordigno al riparo, sotto a un ingombrante cespuglio, i due s'incamminarono svelti verso nord, cercando di allontanarsi il più possibile per evitare di rimanere nel raggio d'azione di una probabile esplosione. La foresta lentamente stava cominciando ad animarsi, riacquisendo ad uno ad uno tutti quei suoni che le appartenevano. Primo fra tutti, il canto degli uccellini. Riempì l'aria d'improvviso, sorprendendo i due compagni che al sol sentirlo tirarono un lieve sospiro di sollievo. A quanto pareva, l'Innocence avrebbe concesso loro un po' di tregua. Forse avrebbero avuto il tempo sufficiente per individuarla e recuperarla.
Linalee avanzò alcune ipotesi sulla sua locazione. Poteva trovarsi in un tronco cavo, così come sottoterra. Eppure Albin sentiva che, sebbene quelle potessero sembrare idee argute, in realtà erano piuttosto 'ingenue'. Un'Innocence tanto pericolosa non si sarebbe certo nascosta in un luogo alla portata degli animali residenti sugli alberi o di quelli che viaggiavano nel sottosuolo. Doveva trovarsi in un punto preciso, uno che non le imponesse il rischio di essere trafugata. Ripensò al momento in cui ne aveva visto il potere sprigionarsi davanti ai suoi occhi. Focalizzò nella sua mente l'immagine della terra che, improvvisamente, ondeggiava lasciando che ogni elemento su di essa scivolasse altrove.
E mentre ci rifletteva, inciampò col piede in una radice, cadendo rovinosamente a terra.

- Albin! - Linalee si chinò su di lui in fretta e furia per aiutarlo ad alzarsi. Ma non appena lo ebbe fatto, vide il suo volto illuminarsi, come colto da un'illuminazione improvvisa.

- Nobile Esorcista!! - esclamò tutto ad un tratto, ignorando completamente il bernoccolo sulla fronte che si stava formando, doloroso oltre ogni dire - Ho capito dove si trova l'Innocence!

La cinesina spalancò gli occhi scuri, davvero strabiliata dalla velocità con cui era riuscito a dare una risposta a quell'importante interrogativo.

- Ditemi tutto! - affermò decisa, mettendosi in posizione per cominciare all'istante le ricerche; non dovevano perdere neanche un minuto.

- Si trova sul fondo di un qualche piccolo specchio d'acqua, magari una sorgente! Ecco perché nessuno l'ha ancora trovata: nessuno animale può notarla dalla superficie, e sicuramente non c'è rischio che qualche pesce possa inghiottirla; potrebbe essere incastrata in un'insenatura, o addirittura seppellita dai detriti.

E da lì ogni cosa parve schiarirsi, come colpita da una improvvisa luce. Linalee socchiuse appena le labbra in un moto di sorpresa, per poi annuire ed attivare in pochi secondi i propri Dark Boots. I bracciali che le ondeggiavano alle caviglie mutarono avvolgendole le gambe e trasformandosi in stivali dalle sfumature carminee, così aggraziati eppure al tempo stesso inquietanti. Pensare che quell'arma fosse stata forgiata dal suo stesso sangue, faceva rabbrividire ogni volta sia suo fratello che i suoi amici. Eppure a lei non era mai parsa una cosa tanto orribile. Rispetto alle precedenti calzature, decisamente più pesanti e ingestibili, quelli avevano una potenza e una leggerezza spaventose. E forse, trattandosi proprio del suo sangue la rendeva una cosa più naturale; quasi ci vivesse in simbiosi. Un rapporto di amore e odio che rischiava in ogni momento d'incrinarsi.

- Andiamo! - e nel mentre spiccò un enorme balzo in avanti che la portò a dileguarsi alla velocità della luce tra gli alberi. Inizialmente stordito dallo spostamento d'aria, Albin si riprese e cominciò anch'egli la ricerca, scostando con cautela rami e cespugli.
Entrambi si erano prefissati una meta, consci dei rischi e che quella flebile speranza avrebbe potuto rivoltarsi contro di loro. Il terrore che la bomba piazzata dal Finder potesse esplodere era lì, a sostare nei loro cuori ma, ne erano certi, se Allen avesse avuto a che fare con dei nemici, non ne avrebbe avuto il benché minimo bisogno.
 
Allen sentì l'aria fremere attorno a lui.
In quell'istante riuscì a stento a parare un pugno, arrivato a velocità supersonica, respingendolo con abbastanza forza per non subire un contraccolpo.
Nel momento in cui quella ragazza si era rivelata per quello che era, una Noah, aveva cominciato a sparire dalla sua vista, comparendo per microscopici istanti giusto prima di sferrare colpi decisamente potenti. E lui, che di certo non era preparato ad una simile eventualità, si era lasciato sorprendere. Un sempre più crescente dolore al petto lo costrinse a chinarsi, stringendosi nel punto in cui pochi istanti prima gli era arrivato un calcio. Aveva il fiato corto, e benché aguzzasse la vista il più possibile non riusciva a scorgere alcun movimento della sua avversaria neanche di sfuggita.
Un fruscio alle sue spalle. Questa volta si vide scaraventato tra la selva, sommerso dai cespugli. La schiena gli doleva all'inverosimile.

"Ma come... Come è possibile che riesca a spostarsi così in fretta?!" ringhiò appena, resistendo al dolore e rialzandosi a fatica.

All'improvviso, udì una risata espandersi tra gli alberi. Echeggiando sinistra, come una vile presa in giro, si spostava troppo in fretta per poterne calcolare una posizione precisa. Gli occhi dell'albino saettarono da un punto all'altro alla ricerca di un qualunque indizio: anche uno scorcio dell'abito, o uno svolazzo di una ciocca di capelli. Qualunque cosa.
E invece... Quella risata isterica lo tormentava da qualsiasi angolo, confondendogli vista e udito e rinchiudendolo in una prigione in cui le sbarre erano invisibili e invalicabili. Messo sotto pressione, costretto a provare un'ansia del tutto nuova, poteva solo attendere e sforzarsi di elaborare un piano il più in fretta possibile.
Una cosa già la sapeva. Linalee e Albin dovevano rimanere al sicuro. Per nessuna ragione al mondo quella Noah avrebbe mai dovuto provare a mettere le sue grinfie su di loro. Qualsiasi cosa fosse accaduto, l'avrebbe sconfitta lui. Ad ogni costo.

- Vieni fuori e combatti seriamente! - intimò, sperando di poter indurre la nemica a mostrarsi.

In risposta ottenne solo un'altra risata agghiacciante, che gli gelò il sangue nelle vene. Perché provava tanta angoscia nel sentirla?!

- Come vuoi!

Un lampo. E l'Esorcista con un colpo della mano sinistra del tutto istintivo scaraventò altrove un proiettile che per poco non lo colpì. Una volta spedito tra l'erba, lo cercò con lo sguardo e scoprì che si trattava di una pietra, nera e dura. Eppure, non era Dark Matter. Che fosse la particolare abilità di quella Noah?
La cosa più sconcertante fu che quando sollevò lo sguardo se la ritrovò davanti, grondante di sangue dalle nocche e dalle caviglie, come se nemmeno lei fosse riuscita a sopportare i colpi che lei stessa gli aveva inflitto. Ma seppur sofferente il ghigno inumano sul suo volto non scompariva, anzi: pareva palesarsi sempre più come per nascondere la verità, cercando di velarla. Ansimava. Annaspava alla ricerca di ossigeno senza darlo a vedere. O forse, non gliene importava nulla?
In un istante, il suo viso si contorse in maniera mostruosa. Gli occhi invasi da uno spietato e brutale istinto nascosto; le labbra incurvate fino agli angoli della bocca, mostrando una fila di denti bianchi e voraci. Le cicatrici sulla sua fronte s'intensificarono, fino a toccare la tempia destra e la base del naso. Smisero del tutto di sanguinare, diventando sempre più nere.

Si stavano fortificando.

Attorno a lei l'aria tremolava, come per l'effetto di una fiamma. L'atmosfera di distorceva al suo passaggio, creando inquietanti giochi di correnti calde e fredde. Ai suoi piedi, l'erba cominciò a curvarsi, a ingrigirsi, fino... A scomparire, polverizzandosi.
E quella ormai non era più Gwen, no. Era un essere risorto dall'inferno per consumare la sua anima addolorata e trascinarla verso l'oblio. L'esistere non sarebbe stata una prerogativa di quel baratro buio e infinito, in cui fiamme rosse come il sangue avrebbero lacerato l'ultima stilla di essenza che si portava dietro. Così, mentre da un lato avrebbe gioito di quel risveglio, di quella rinnovata condizione che senza renderla conscia dei rischi le proponeva un potere superiore, dall'altro avrebbe sofferto sempre più, invocando la disperatamente la morte. Perché se l'essere Noah conferiva capacità che andavano ben oltre la reale natura umana, al contempo divorava l'orgoglio e i ricordi, riducendo le vittime a marionette insulse prive di emozioni. Costrette a combattere, ed uccidere, senza una volontà che li animasse all'infuori di quella del loro burattinaio.
Ed allora non sarebbero stati al pari nemmeno di un Akuma evoluto; loro, almeno, potevano ancora vantarsi di possederlo, un ego...

La Follia rise sguaiatamente, ignorando il patetico tentativo dell'Esorcista di difendersi da quell'attacco, decisamente troppo debole per dire che l'avesse sferrato con serietà. Gli umani... Erano tutti delle dannate bestie. Bestie fatte di odio, votate alla violenza e al pregiudizio.
Erano così inutili, così odiosamente mostruosi... Che la voglia di massacrarli era irrefrenabile.
Dovevano pagare per ciò che avevano fatto.
Dovevano essere puniti, giustiziati dal suo divino potere per gli atroci errori commessi. Non poteva più sopportare di vedere il marcio ovunque posasse lo sguardo; di vedere la decadenza avvelenare il mondo, renderlo un tripudio di miseria e desolazione morale.

Il vero aspetto del mondo... Ora poteva vederlo.
E non era che un ammasso di cadaveri ambulanti ignari di possedere un destino, spregiudicati; che si beffavano della morte, credendo di poterla dominare grazie a fama e potere.
Ma si sbagliavano. Oh, se si sagliavano.

E lei... Avrebbe ripulito il mondo; da ogni cosa, a cominciare... Da quell'Esorcista davanti a lei!

Uno scatto.
Allen la vide letteralmente sparire dal punto in cui si trovava, salvo poi riapparire un istante dopo a pochi centimetri da lui. Non fece in tempo. Un pugno lo colpì violentemente allo stomaco e lo scaraventò a qualche metro di distanza, tra gli alberi. Sbatté contro un tronco e fece appena in tempo a rialzarsi che una ginocchiata rapidissima lo fece rotolare sull'erba, senza possibilità di reagire in alcun modo.
Ansimando vistosamente, sputò qualche grumo di sangue e si rialzò, traballante, chiedendosi qualche diamine di trucco utilizzasse la Noah per muoversi così in fretta. Mai gli era capitato di avere a che fare con un avversario tanto potente. E l'unica volta in cui era successo, si era trattato di Tyki nella sua nuova forma da combattimento. Ma quella volta, era accorso in loro aiuto il Generale Cross. Questa volta non sarebbe andata così. Erano soli, divisi, completamente in balia di un nemico brutale e malvagio. Come avrebbero mai fatto a cavarsela?!



Dal suo nascondiglio, Tyki osservava la scena senza perdersene neanche un secondo. Quella paradossale situazione si stava rivelando interessante, e dire che quando Gwen aveva perso i sensi si era pure preoccupato. Ma solo per un attimo. La Follia non aveva potuto che manifestarsi, completa e terribile. Poteva dirlo, adesso: che i suoi sospetti su di lei fossero totalmente fondati. Che quel mostro non facesse minimamente parte della loro famiglia, perché diverso. L'aura che la circondava era strana, un conglomerato di rabbia, odio, afflizione, addensati su di un cuoricino debole e inerme. Come poteva anche solo continuare a respirare, una mostruosità simile?!
Una fitta improvvisa al braccio lo costrinse a evadere dai suoi pensieri. e fu a quel punto che, spostando lo sguardo sulla blanda fasciatura ottenuta strappando un lembo della giaccia, rabbrividì, perdendo qualche battito.
Il braccio... Era tornato normale. Attorno alla ferita il colore della pelle tornava ad essere quello di prima. Un rosa carne pallido, macchiato di sangue. Fu inutile tentare di annullare quella condizione. Ogni sforzo fatto gli costava una dose di dolore in più. Strinse a tal punto la fasciatura che le nocche sbiancarono. Com'era possibile che il braccio fosse... Tornato indietro?
Perché soltando lui era diverso, e il resto del suo corpo rimaneva cinereo. Perché quella maledetta era riuscita a colpirlo nonostante i suoi poteri?!

Poi capì.

Capì e si maledì per non esserci arrivato prima. Di certo non gli era chiaro come avesse creato quei proiettili neri e duri come sassi. Ma una cosa l'aveva compresa, soprattutto guardandola muoversi alla velocità della luce mentre attorno a lei la vegetazione moriva e si rinsecchiva. E gli parve una capacità, la sua, davvero temibile.

Il Tempo.

Gwen, la Noah della Follia, aveva l'abilità di manipolare il tempo.



 

 
Angolo di Momoko ¬

 Albin sa costruire bombe, sì. L'avevo detto che gli avrei dato importanza, a questo baldo giovine. Per saperne di più mi sono documentata; poi non dite che non vi amo alla follia, eh. Perché fare ricerche su 'ste robe è stato un suicidio assurdo. Dopo essermi fatta una cultura sulle mine antiuomo, sono arrivata a leggere delle bombe giocattolo; e dei bimbi che, ignari, perdevano dita e mani giocandoci. Una cosa allucinante, davvero, mi è venuto da piangere. E' inammissibile che abbiano escogitato una cosa del genere, davvero...
Sigh...
Comunque, come avete visto, il capitolo è leggermente più corto degli altri, principalmente perché è di transizione. Ho voluto però renderlo utile mettendoci vari elementi che poi ritroverete nei capitoli successivi. Primo fra tutti, il potere di Gwen, che Tyki ha gentilmente scoperto per noi. Non dico altro, lascio che siate voia  trarre le dovute conclusioni!^^ Per domande, insulti, critiche e quant'altro, sono qua! :)
Ah, prima che me ne dimentichi: avrete notato che aggiorno meno frequentemente, ma soprattutto che non recensisco. Tranquille donne, passo anche da voi! çwç Purtroppo sono abbastanza presa dai compiti e dallo studio ;A; Abbiate pietà, recensirò il prima possibile (probabilmente nel fine settimana) ;)
Ok, ora me ne vado. Vi ringrazio tantissimo per aver letto, recensito, messo tra le seguite / preferite questa storia. E' una soddisfazione immane, e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto^^
A prestoooo,


Momoko <3


 
   
 
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