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Autore: Serephiem    15/10/2013    3 recensioni
Da perdere c'è molto, ma in gioco c'è troppo.
Laurance Blacke deve stare attento, ha una grossa responsabilità:
un amico da salvare, un mistero da risolvere e un assassino che ha bisogno di un nome.
E ha tempo fino al crepuscolo, prima che sia troppo tardi.
Genere: Drammatico, Fantasy, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Pianto Rosso del Calzolaio


 

Tarnèssos, città franca retta dal marchese De Vries, non si può definire un luogo tranquillo o equilibrato: case in pietra o legno crescono come funghi, a ridosso di mura o altri edifici pubblici, rendendo le strade dei distretti angusti dedali di terra battuta. Non circola un solo idioma, sarebbe troppo semplice, ogni razza ci mette del suo in accenti e vocaboli: le imprecazioni sono invece riconosciute bagaglio linguistico comune. Nella liberissima Tarnèssos la libertà è filosofia di vita: tutti sono incoraggiati a prendere in mano il proprio destino, non importa quello che fai, né come sfrutti il tuo talento, l'importante è guadagnarci sempre e comunque, soprattutto a spese del prossimo. A Tarnèssos arroganza ed opulenza vanno a braccetto con povertà morale e miseria: meravigliose dame elfiche camminano al fianco di oppressi, nani e goblin si dilettano nella pericolosa ricerca del combustibile perfetto, mentre i fanatici orchi esibiscono bestie rare e per pochi soldi è possibile affrontarle. A Tarnèssos un cadavere può restare dov'è per giorni, e nessuno fa una piega quando lugubri individui lo trascinano sotto i canali di scolo cittadini.
Non è dunque un caso che qui inizi la nostra storia.

La prigione sotto la caserma del distretto era esattamente come Laurence se l'aspettava: angusta e squallida. Si levò l'ampio cappello piumato dalla testa e avanzò con attenzione, evitando di pestare con il bastone alcune macchie sospette sulla pietra. All'interno non c'era vero silenzio, bensì il monotono brusio della strada soprastante, collegata alla sala tramite piccole grate tra parete e soffitto: le uniche fonti di luce e aria del complesso.
-Jon- chiamò l'uomo fermandosi vicino alla grata di una cella -Sono io, sei qui?-
-Laurence?- domandò una voce dall'ombra -Sei tu, amico?-
-Sì- Laurance aguzzò gli occhi castani e finalmente lo vide.
Jon Nolan, Scout dell'esercito del Marchese, si era fatto avanti oscillando e non era caduto solo perché era riuscito ad afferrarsi alle sbarre, e vi restò attaccato con convulso vigore. Era diverso dall'ultimo incontro, e vederlo così lo fece rabbrividire.
I capelli bianchi stavano conquistando la sua testa nera e ricciuta, stessa sorte che stava toccando alla sua mascella prominente. Respirava rapidamente, prevalentemente con la bocca, passandosi spesso la lingua chiazzata di bianco sulle labbra secche e sottili. I suoi occhi, arrossati e sfuggenti, facevano male al cuore, ma la cosa più agghiacciante era osservare la sua mano sinistra e il braccio: il tessuto verdastro era scuro e zuppo fino al gomito, mentre in alcuni punti della mano erano chiaramente visibili chiazze incrostate rosso cremisi.
Il suo abbondante naso non aveva dubbi: era sangue.
-Ho fatto il prima che ho potuto, compagno, felice che ti sia ricordato dove abito.-
-Scusami, non ti sono mai venuto a trovare dal tuo congedo.-
-Tranquillo- lo interruppe Laurence -Appena mi hanno detto che eri nei guai sono corso il più in fretta possibile. Gamba e bastone permettendo.-
-Vogliono impiccarmi Laurence!- sibilò l'altro andando a poggiare la fronte sulle sbarre -Dicono che ho ammazzato un calzolaio, ma io non c’entro, te lo giuro.-
Laurance lo ascoltò con attenzione e gli si avvicinò, fino a dove le sbarre permettevano -Giuri- sussurrò al prigioniero -sull'onore del nostro reparto, di non mentire a me, in quanto tuo ex superiore e compagno? E di essermi sincero come amico?-
-Lo giuro, Laurence, su tutto ciò che ho di più caro.-
- Ti credo- sospirò ritraendosi -E ora racconta.-
-Tutto è iniziato qualche ora fa- disse il prigioniero rialzando il capo -Avevo bisogno di un nuovo paio di stivali, così decisi di andare da uno dei calzolai che hanno bottega sul Viale della Nebbia. Sono arrivato da una strada secondaria e ho provato con uno del vicoletto, perché fanno sempre prezzi più bassi. Una volta dentro ho trovato il proprietario per terra in un lago di sangue. Ho provato a tirarlo su. Quando ho visto la ferita sul petto sono stato preso dal panico. Mi è scivolato, non ho più la fermezza di una volta. Sono corso fuori in cerca delle guardie cittadine o della milizia, ma quando ho trovato quest'ultima mi han bloccato, insospettita dal sangue. Mentre cercavo di spiegare sono entrate e hanno trovato il corpo. Mi hanno incastrato. Pensano che sia colpevole, e al tramonto mi impiccheranno.-
-Era già morto quando l'hai sollevato?-
-Sì, non respirava.-
Laurence non ebbe il tempo di rispondere, sobbalzò nel sentire la porta spalancarsi, e nella stanza entrò un miliziano, alto e longilineo, dai lunghi capelli bianchi che mal celavano orecchie a punta. Questi lo squadrò dai piedi alla testa, arricciando il naso quando arrivò al volto: probabilmente si soffermò a guardargli le cicatrici, sia quella obliqua che passava sulla gobba del naso, sia quella che scendeva dall'angolo della bocca carnosa al mento. Quando ebbe finito sbatté la porta e venne verso di lui.
-Capitano Arthur Amos della milizia, signor Blacke. Responsabile del corpo di guardia e del distretto. Il prigioniero ha implorato di vedervi, così vi ho fatto chiamare. Vi do un consiglio, salutate quest'uomo, perché tra sei ore penzolerà dal cappio.-
-Siete precipitoso, Capitano, già lo definite colpevole? Avete almeno l'arma del delitto?-
-Eccola qui, un trincetto da calzolaio- disse l'elfo mettendolo sotto il naso di Laurance, perché lo esaminasse: una lama d'acciaio leggermente curva, con il tagliente obliquo, lunga una ventina di centimetri. Il sangue incrostato ne copriva un buon lato e chiazzava l'altro.
-Dove l'avete trovato?-
-A fianco del cadavere. Un'incuria fatale per un aspirante omicida di bassa lega.-
-Capitano, mi spiace contraddirvi- iniziò Laurance aggiustandosi una ciocca dei lunghi capelli castano scuro -ma avete svolto almeno un’indagine? Quale sarebbe poi il movente?-
-Rapina finita male, o regolamento di conti.-
Laurance si voltò ad osservare Jon, tremante e ancora aggrappato alle sbarre di ferro, un animale in gabbia che aspetta il macello. Si morse un labbro, quindi tornò a fronteggiare l'elfo.
-Ero un esploratore, capitano, ed ero famoso per essere un tipo acuto, noto per non abbandonare mai un compagno in difficoltà: una volta scelsi uno di loro, al posto della gamba- alzò il bastone da passeggio dando un piccolo colpetto al polpaccio della destra -Io sarò uno zoppo, che finì quel giorno la sua carriera, ma ora quella persona è viva. E oggi metto in gioco il mio onore, chiedendo di poter indagare per far luce su questa storia, per dimostrare che le vostre impressioni sono sbagliate.-
Lo sguardo di Laurence, fiammeggiante di fervida convinzione e quello di ghiaccio del capitano, si affrontarono in un silenzioso duello , di sottofondo i rumorosi respiri di Nolan.
-Sta bene, Blacke. Ma badate, avete tempo sino al crepuscolo. Sei ore. Allo scadere della sesta, se non mi avrete convinto, si alzerà il patibolo. E Jon Nolan, allora, pagherà con la vita.-

-Ah bello, ma te ce sei accroccato qua? Largo, c'ho da lavorà!-
-Veramente, mastro nano, mi manda il Capitano.- disse Laurance alzando un sopracciglio, squadrando da testa ai piedi il tarchiato ometto barbuto, tutto bardato nella tenuta gialla della milizia -Tenete, questo è un suo permesso scritto.-
Il nano prese la pergamena e per leggerla dovette tenersi con una mano la massa di capelli e treccine rosso fuoco che gli ricadevano sul foglio. Laurence provò a sbirciare all'interno della bottega, ma non fece in tempo che l'altro accartocciò il foglio e gli diede una sonora pacca sul braccio, tanto che gli scappò un sonoro -Argh!-
-E così te chiami Laurence eh? Bravo, io sò Jeremy Bentham, e devo da custodì sta scena der crimine. Mo so ai tuoi comanni, quindi viè dentro che te faccio vedè l'accoppato!-
-Ditemi mastr...-
-Aoh, ma che ‘n ce senti? Me chiamo Jeremy!-
-Allora Jeremy- ricominciò Laurance alzando gli occhi al cielo -Che sai dirmi della vittima?-
-Er carzolaro se chiamava Josh Moore, ecceomo de mezz'età. Niente famija, niente battone. Era n'appiggionante.-
-Un cosa?-
-Ah capocciò! Stava, come dite voi... doveva da pagà pe sta bettola.-
-Era in affitto, chiaro. E chi sarebbe il proprietario?-
-Un babbalocco che se chiama Jack Larlson. ‘n vecchio minchione. Richard, er cirifischio che me ritrovo, c'ha parlato:  Josh doveva a Larlson quinnici monete d'oro. Cinque pe’ mese. Ma nun pagava. Te dico subito n'artra cosa: quanno Moore è morto, sto Larson stava fori dar distretto, do l'ha beccato la guardia cittadina. Stava a pija sordi d'artri appiggionanti, ed è dall'arba che sta a gironzolà e incassà.-
-Capisco. Uccidere qualcuno che ti deve dei soldi non ti aiuta di certo a riaverli. Solitamente si minaccia chi non paga, o si uccide e si ruba il denaro che serve. Ma cosa si fa quando quest'uomo non ha liquidità?-
Laurence si levò il cappello e invitò il nano, con un ampio gesto del braccio, a fargli strada. L'altro grugnì un assenso e lo condusse all'interno, facendosi subito da parte perché l'uomo potesse osservare la scena dell' omicido.
Il locale era composto da un'unica stanza spaziosa, adibita ad essere casa e bottega: gli interni erano tutti in legno, con la mobilia sistemata prevalentemente lungo le pareti. Volgendosi a destra vide un tavolo, sul cui piano erano disposti in rastrelliere una serie di strumenti del mestiere: una lunga fila di martelli posti in ordine crescente, lime meticolosamente ordinate sul tavolo, pinze e tenaglie di vario genere, per finire con alcune lesine dalle punte uncinate o dritte. Sulla sinistra c'erano quattro scaffali, dove troneggiavano forme e modelli di piede per tutte le taglie e gusti.
"Il paradiso di un feticista" pensò Laurance andando finalmente a dedicarsi alla parte che volutamente aveva evitato: davanti a sé, a qualche metro, c'era l'ampio tavolo del mestiere e alla sua sinistra, sul pavimento, si scorgeva un braccio fare capolino vicino ad una delle zampe. La presenza del corpo era inoltre annunciata da un'estesa chiazza di sangue. L'uomo si avvicinò e finalmente lo vide: Josh Moore era rivoltato a pancia all'aria, con le braccia distese verso l'alto, adagiato nel sangue. Il camice da lavoro era zuppo, specialmente all'altezza dello sterno, dove probabilmente era arrivato il colpo fatale. Non indossava le scarpe. Almeno qualcuno aveva avuto la decenza di coprirgli il volto.
-Stava a panza a tera prima.-
-Immagino- disse Laurance prendendo un fazzoletto dal taschino del gilet rosso che indossava sugli abiti neri -Hai dell'acqua Jeremy?-
-Tiè- il nano gli porse una borraccia, poi si sistemò vicino a lui -Te devo dà ‘na mano?-
-Sarebbe gradito- Laurence stappò e versò l'acqua sul fazzoletto -Dovresti levargli il grembiule e sbottonargli la camicia, voglio esaminare la ferita.-
Recise le corde del grembiule, e sbottonata la camicia ormai scarlatta, Laurence si chinò sulla vittima ripiegando il fazzoletto: l'odore forte del cuoio, misto a quello del sangue, lo costrinse a respirare con la bocca. Con mano ferma, mordendosi un labbro, iniziò a tamponare i grumi di sangue attorno alla ferita, fermandosi ogni tanto solo per consentire a Jeremy di inumidire nuovamente il tampone. Quando ebbe finito si pulì la fronte con il dorso della mano ed osservò attentamente quanto vide: la ferita era verticale, all'incirca all'altezza del cuore, con i bordi della carne rigonfi ma dal taglio netto e regolare. Laurence si fece ancora più vicino: l'angolo superiore era smussato mentre quello inferiore acuto. L'uomo gettò il fazzoletto e prima che il nano potesse dire qualcosa, infilò l'indice nella ferita lasciandolo scivolare tra i lembi di carne, facendo pressione quando incontrò resistenza. Quando il dito non fu sufficientemente lungo per proseguire, si volse a guardare altrove, lo estrasse, e ci versò sopra il fondo della borraccia.
-Signò- disse in un soffio il nano -Sei popo ‘n dritto.-
-Ascolta Jeremy, non avevate controllato la ferita?-
-No, avemo visto ‘o squarcio der grembiule, e avemo tratto conclusioni.-
-E quindi avete concluso che il caso era chiuso eh? Senza neanche ispezionare la stanza?- Laurence prese a picchettare il pavimento con il bastone -Tanto avevate già il vostro colpevole, no?-
-Aò, tu c'hai ragione, nun avemo fatto er dovere nostro.-
-Non è troppo tardi per farlo, Jeremy. E scusami per aver alzato la voce- Laurence si rimise in piedi -ma stiamo giocando con una vita.-
-Aspè. Te vojo fa vedè ‘na cosa.-
Il nano si alzò ed iniziò a fare il giro del tavolo. Laurence ne approfittò per passare il suo bastone sulle braccia del defunto: su quella destra il legno scivolò sul tessuto, ma sulla sinistra un pezzo di stoffa si sollevò, rivelando una nuova ferita, un taglio poco profondo, ma lineare.
"Ferita da difesa" pensò mentre il nano tornava. Ritrasse il bastone e osservò ciò che il miliziano poggiò sul tavolo. Un paio di stivali di cuoio chiaro, a gamba lunga, con un curioso taglio sulla tomaia: anche qui lo squarcio era stato netto, ma meno preciso, terminante in un angolo acuto. Laurence prese il sinistro e si avvicinò all'unica finestrella: i bordi del taglio erano rossicci, e non del colore del resto del cuoio.
-Jeremy, passami l'altro- disse poggiandolo sul davanzale.
Quando il nano arrivò con il secondo, lo spettacolo era il medesimo.
-Dove li hai trovati?-
-Là, vicino ar tavolo.- indicò davanti a sé ma, quando lo fece, non poterono che voltarsi l'uno a guardare l'altro, entrambi con le labbra socchiuse. Con la luce alle spalle Laurence aveva visto qualcosa di invisibile controluce. Dalla pozza di sangue si diramavano quattro piccole orme, una dietro l'altra, che andavano alla loro destra, fino al davanzale. Orme di sangue secco, e due di queste avevano solo quattro dita.
-Una persona scalza, a cui manca il mignolo del piede destro, che accidentalmente ha pestato il sangue. Era vicino al cadavere,- disse invitando Jeremy ad allontanarsi dalle imposte -e la direzione dei piedi va verso la finestra.-
-Signò, guarda mpo'! Ste imposte mica so’ chiuse, so’ accostate!-
-Vero, e mi sembrava una cosa normale quando si apre bottega, ma può anche essere che qualcuno le abbia aperte per fuggire, oppure che sia entrato da lì. Eppure è una finestrella, un uomo di media corporatura non ci passerebbe mai, e le impronte sono piccole. Solo un bambino, un goblin o nano molto minuto, avrebbero potuto passare. Forse ha lasciato altre tracce, non sono passate molte ore. Potresti provare a seguirle?-
-Daje Signò, te invece?-
-Darò un ultimo sguardo. Se non mi trovi entro il tramonto ci vediamo in caserma.-
-Daje, bona fortuna bello.-
-A te.-
Dopo che il nano fu uscito di gran carriera, Laurence recuperò gli stivali e li ripose sul tavolo. "Perdonami, Jeremy, seguire tracce sarebbe il mio lavoro. Ma qui non ho ancora finito, e per ora siete tutti potenziali sospetti."
Dopo aver dato un'occhiata all'ultima parete che gli mancava, dove c'erano tre armadi, un letto di paglia e un mastello pieno di cordami, iniziò ad aprire le ante in cerca di altri stivali: quando trovò un intero ripiano pieno, vi si sedette davanti, prendendone un paio tra le mani. Cuoio scuro, gamba corta. Ne tastò la punta e la trovò morbida. Passò oltre: scarpette da donna, cuoio chiaro. Ci infilò una mano dentro e le trovò vuote.
Prese un profondo respiro, infilò una mano dietro le scarpe più esposte, e afferrò un altro paio: stivali da cavaliere. Punta dura, ci infilò dentro una mano, e le dita sfiorarono una forma al tatto cenciosa. Con un po' di fatica la estrasse e la studiò.
Era una pallina fatta con pezzi di stoffa, dalla forma malleabile. Con pazienza iniziò a srotolare un lembo, fino a che non ne uscì una polvere rosata. Se ne fece cadere un po' sulla mano e l'avvicinò al volto.
Con l'indice ne prese qualche granello e se lo portò sulla punta della lingua: in pochi attimi fu preso da un forte bruciore, e dovette pulirsi in fretta con il dorso della mano.
 "Mandragora, peperoncino e qualcosa che mi sfugge" pensò pulendosi "Perché nasconderla, a meno che non si abbia paura di perderla?"
Stancamente Laurence si lasciò cadere all'indietro sul pavimento.
"Merda, Nolan, come sei finito in mezzo a questa storia?"

-Signor Blacke!-
-’Sera Gwen, Hector è in casa?-
-Sì, venite, vi porto da lui.-
Laurence seguì la giovane figlia del vicino e si levò il cappello non appena la ragazza dalle lunghe trecce bionde richiuse la porta. Hector Lars lo accolse con un bel sorriso stampato sul volto magro e scavato.
-Blacke! Resti pe cena? Gwen fa la menescia. Pensa, ha 'mparato a nun farla brusçiare.-
-Papà!-
-Scusa piccula. Ca faccia cca tieni Blacke, ti sei puru levato il tuo amatissimo cappellu. Vieni da un funerale?-
-No, sto cercando di evitarne uno.-
Il tempo stava scadendo, perciò raccontò tutto a grandi linee. Gwen gli si era seduta vicino, offrendogli compassione con i suoi occhi azzurri, mentre Hector aveva ascoltato il tutto annuendo.
-Sei un bra'uomo Laurence,- disse il signor Lars alla fine -Il tuo amicu è furtunatu ad avere te. Fammi vedere questa purvere che hai trovato.-
-Eccola- disse srotolando l'involucro -e grazie per l'aiuto che mi stai dando.-
-Ti pare? Lavurare per "Alchimia ed Artifici" è stato costruttivo, ammenu finché nun ho scupiertu ca quei goblin mi facevano maneggiare la purvere nera.-
Blacke sorrise e accettò volentieri un po' d'acqua da Gwen. Per il resto rimasero zitti ad osservare Hector che tastava, tagliuzzava, annusava, annacquava e tante altre cose degne di un alchimista mancato.
Quando ebbe finito restituì quanto avanzato a Laurence, si stiracchiò all'indietro, e diede il suo responso.
-Si chiama Pianto Rosso, è una droga dei Mezz'elfi, a base di mandragora e peperoncino, ma cu aggiunta di stramonio e farina. E' un eccitante, ma a lengu andare causa debulezza e bruciori agli occhi. Si assume o inalando il fumu della purvere bruciata oppure criando un impacco. Può puru essere ingerita, ma è scunsigliabile perché, come la farina, a cuntattu con i liquiti, diventa papposa.-
-Grazie,- Laurence si alzò  -e ora scusatemi. Devo fare un'ultima cosa.-

Laurance sospirò osservando tutti i presenti: nella prigione c'erano il Capitano, Jeremy, Nolan, Larlson e Jimmy, un bambino con quattro dita del piede, che Jeremy aveva scovato vicino a un canale. E con il bambino era saltato fuori un coltello incrostato di sangue.
-Dalla bottega ho visto uscire un signore senza capelli, nemmeno sopra gli occhi, con le orecchie come te- disse il bambino al Capitano -Ero alla finestra, volevo vedere il calzolaio. Quando non c'è nessuno è gentile. Mi sono affacciato, ho visto un tipo uscire, e il signor Moore per terra. Avevo paura, ma ho scavalcato. Il signore non si muoveva, c'era il sangue. Io avevo fame. Ho visto se aveva spiccioli, poi ho sentito tante grida fuori. Sono scappato. Ho corso fino al canale e qui ho rivisto l'uomo pelato. Ha buttato qualcosa in acqua ed è andato via. Io mi sono buttato è l'ho presa. Un pugnale. Volevo venderlo.-
-Dalla descrizione- rifletté il capitano -è un mezz'elfo della malavita, uno spacciatore che non riusciamo a incastrare. Si fa chiamare Glabro.-
-Ora che ci penso- intervenne Larlson -stava spesso vicino alla bottega, quando passavo per gli affitti.-
-Quinni c’avemo er corpevole: Glabro!-
-No- Laurence si alzò stringendo i pugni -Il colpevole è un altro, e si trova in questa stanza. Jon Nolan è l'assassino-
-Amico! Cosa dici!- urlò il prigioniero -Non è vero.-
-Come osi chiamarmi amico! Sei uno spergiuro, mi hai mentito, e ti sei preso gioco della mia fiducia. Quando sei stato catturato eri debole, con gli occhi arrossati: credevo fosse lo shock, se non fosse per la lingua chiazzata di bianco. Tu hai assunto oralmente del Pianto Rosso. Non eri casualmente da Moore, lì sapevi di trovare le dosi, perché avendo problemi di denaro arrotondava così, vendendo droga, probabilmente a nome del Glabro. Hai detto di aver trovato il proprietario morto: se era la prima volta che andavi lì, come potevi sapere che era lui? La ferita è stata inferta con l'affondo di un coltello, dati gli angoli acuti del filo tagliente. Un trincetto avrebbe fatto ferite ovali con bordi arrotondati. Avevi fretta: mentre Moore moriva l'hai scalzato, hai reciso gli stivali con lo stesso pugnale, e ti sei fatto rapidamente, ingerendola: conoscevi i suoi nascondigli. Poi hai dato l'arma a Glabro, perché sparisse.-
-Laurence, ti prego- disse l'altro tra i singhiozzi -Non sono stato io, Laurence.-
-Vorrei crederti, ma non posso. Capitano, io ho finito. Ormai è il tramonto. Faccia giustizia.-

-Vi chiedo scusa capitano Amos, avevate ragione.-
-E io mi scuso per l'incompetenza della milizia. Siamo stati superbi.-
Si scambiarono una stretta di mano. Nessuno dei due aveva assistito all'impiccagione, l'uno per sistemare dei documenti, l'altro per motivi d'affetto.
-Solo una domanda: se vi avesse detto subito che era colpevole, l'avreste aiutato?-
-Sì- annuì senza esitazione -Sono convinto che la giustizia sia la base di una società, senza degenera. Senza l'uomo diventa l'animale più cattivo. Avrei cercato di evitargli l'impiccagione, ma sempre l'avrei accusato. E fino alla fine dei miei giorni, Capitano, mi chiederò se ho fatto davvero la cosa giusta.-
-Il dubbio, Laurence, vi rende una brava persona.-
-Se avrete a che fare con Glabro ditemelo. Collaborerò: solo così avrò aiutato Nolan, e fatto giustizia.-
-Sta bene, Detective Blacke.-


 
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Angolo dell'Autore: Salve a tutti e tutte ^^
Questa è la prima storia che pubblico su un qualsiasi mezzo di comunicazione, e devo dire che è una certa emozione.
"Il Pianto Rosso del Calzolaio", alla quale lettura spero siate sopravvissuti, è una delle due storia che ho scritto tra fine Aprile/inizio Maggio e con cui ho partecipato alla XIX edizione del Trofeo RiLL, un concorso che riguarda racconti brevi di genere fantastico: per questa ragione, ogni racconto partecipante per regola non doveva eccedere le 21 600 battute (non parole, ma battute con spazi compresi) e questo ha determinato molto la lunghezza, la semplificazione e il ritmo della storia. Avrei potuto rimaneggiarla, allungarla e implementarla di nuovi particolari, ma la mia intenzione era proprio quella di condividere il testo originale con cui avevo partecipato.
Se l'avventura di Laurance vi ha entusiasmato, o comunque intrattenuto, sappiate che questo per lui è solo l'inizio, perché per  ho previsto in futuro una lunga serie di avventure per le vie di Tarnessòs, accompagnato da molti dei personaggi che avete conosciuto fino ad ora.
Siccome sto lavorando anche su altri progetti che riguardano il mio futuro in questo campo, spero di poter produrre al meglio le storie che condividerò con voi, facendovi dimenticare per un po' la realtà, perché questo è il mio compito! (eheh)

In attesa della prossima storia, un saluto a tutti e buona scrittura :)
-Serephiem/Eugenio-
  
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