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Autore: angelikakiki    16/10/2013    4 recensioni
Dal primo capitolo:
“ Tu non hai amici” sussurra. Resto di sasso. Ma come…?
“ E hai sofferto tanto. È per questo. Hai difficoltà ad aprirti con le persone, ma quando lo fai, gli dimostri chi sei veramente, senza censure. La gente, allora, si spaventa. Non è facile adattarsi al cambiamento che fai. Quindi scappano tutti. È normale, sai? Lo fanno anche con me” ammette alzando le spalle. Non riesco a rispondergli. Come diamine fa a sapere… mi ha capita meglio lui in dieci minuti che le persone che mi conoscono da una vita. Non è possibile. Al mio sguardo stupito, mi risponde con un sorriso radioso.
“ Quando hai sofferto tanto, impari a riconoscere la sofferenza altrui!”mi spiega velocemente Finnick. Abbasso lo sguardo.
“ Ti riferisci agli Hunger Games?”
La storia di Finnick e Annie.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Apro gli occhi. Sono viva, respiro. Mi porto una mano sulla pancia. Non sento nessun liquido simile al sangue. No, infatti. La mia mano è pulita. Era solo un sogno. Manca una settimana alla Mietitura. Non so descrivere le mie sensazioni. Ansia? No, non può essere quella. La mia famiglia non ha mai dovuto chiedere cibo extra dai Pacificatori. Il mio nome c’è appena cinque volte. Quindi, come classificare una sensazione del genere? Inquietudine. Come se stesse per succedere qualcosa. Ma non mi viene proprio in mente niente. Mi alzo dal letto e apro la finestra della mia camera. Inspiro l’aria salmastra della spiaggia. Qui si trova la mia casa: proprio davanti al mare. Che ore saranno? Forse le sei. Non amo svegliarmi tardi. Preferisco poter osservare il panorama che mi si para davanti. Ma soprattutto, voglio vederlo pescare. Ed eccolo, è sempre lì: Finnick Odair. Il Sopravvissuto ai 65esimi Hunger Games. Vive nel Villagio dei Vincitori, un fantastico quartiere provvisto di ogni lusso. È posizionato sul promontorio. Immagino che da lì ci sia un’ottima visuale. Ma Finnick viene sempre a pescare davanti casa mia. Ogni mattina. E a me piace guardarlo. Il perché, non lo so. Non ci ho mai parlato, in realtà. Né intendo farlo. So solo che è un mistero. Nonostante conosca la sua storia a memoria. Qui al Distretto 4 è una sorta di leggenda. Un tributo che ha fatto la storia, ecco. Lo vedevo ogni giorno in tv. Uccideva, pescava, e poi ancora uccideva. Ma mai un lampo di gioia o di soddisfazione nell’uccidere gli altri tributi, anzi. Per avere avuto all’epoca solo quattordici anni, nel suo sguardo si poteva leggere una sorta di compassione, mentre inforcava i suoi avversari con il suo famoso tridente. E una volta tornato qui… Niente. Lui non aveva sorriso, anzi. Sembrava quasi dispiaciuto di essere tornato. Poi, con il tempo, è tornato normale: il ragazzo di quattordici anni che amava fare castelli di sabbia e ridere con i suoi amici è l’incarnazione di questo Finnick diciannovenne. Ma cè sempre un’ombra, su di lui. Qualcosa che sembra non essersene ancora andato. E quest’ombra, è messa in luca proprio ora, su questa spiaggia. So che di tanto in tanto va a Capitol City. E ogni volta che torna, si mette a distribuire gioielli e pietre preziose ai bambini dei pescatori più poveri, i quali ci giocano come fossero semplici balocchi. Non tiene mai niente per sé. È proprio un mistero. Lo guardo ogni mattina, appena sveglia. È quasi confortante averlo lì, nonostante lui non si accorga del mio sguardo sulla sua nuca bionda. Mi fa sentire meno sola. Certo, ho sempre mia madre e i miei fratelli più grandi, ma non mi capiscono quanto vorrei. Fare amicizia, poi, è fuori discussione: io sono “ quella strana”. In realtà, non faccio niente di male: essenzialmente, dico solo quello che penso. Sempre. La sincerità è la mia stranezza. Ma non ci posso fare niente. Non riuscirei mai ad essere falsa con qualcuno. O a mentire su qualcosa. Va contro la mia natura. Tiro un sospiro mentre mi infilo velocemente i pantaloni e la camicia. Dopo la mia colazione, Finnick se ne andrà e io sarò libera di scendere per prendere la mia barchetta e controllare se i polipi sono caduti nelle mie trappole. Il concetto è semplice: metto delle anfore vuote dentro l’acqua, così che si possano poggiare sul fondo. Ad esse vi lego un filo con una piccola boa, così da sapere esattamente dove le ho posizionate. I polipi ne fanno il proprio rifugio e vi si infilano dentro. Poi, la mattina, mi basta solo andare a vedere se le ancore sono piene o no. Ad ogni modo, i polipi sono molto difficili da prendere. Me li pagheranno molto bene al mercato. Dopo essermi data un’ultima occhiata allo specchio, il mio sguardo si va a riposare sulla spiaggia. Non c’è nessuno. Come è possibile? Finnick se ne va sempre dopo la colazione. Oggi se ne è andato via prima. La cosa mi lascia un po’ delusa. Scendo le scale e apro l’armadio della cucina. Con la coda dell’occhio, vedo mamma dormire sul divano. Increspo le labbra in uno strano sorriso. Tenerezza, forse. Non saprei proprio. Tiro fuori dall’armadio una scatola di biscotti e ne mangio un paio. Alexander si è dato molto da fare per avere quei biscotti. Ha dovuto vendere un kilo di sardine fresche fresche. Ma ne è valsa la pena. Alexander, poi, è un genio con gli affari. Mio fratello ha vent’anni, ed è proprio un bel ragazzo: alto, moro e con due occhi azzurri come il mare. Niente a che vedere con me: troppo minuta per la mia età, due occhi smeraldi e capelli castani tendendi al rosso. Non sono proprio una classica bellezza del Distretto 4. Niente a che vedere con le sorelle di Finnick Odair, ecco. Mi infilo un giacchetto e apro la porta di casa. Spero solo di non aver svegliato nessuno. Ma di solito non succede mai. Mi volto di scatto per osservare il panorama in tutto il suo splendore: il mare è calmo e pacato, ma sull’acqua vi sono piccoli riflessi dorati di un sole appena sorto. Scendo la duna di sabbia e mi avventuro nella vegetazione bassa e rigogliosa. Il mio viaggio non dura tanto: in men che non si dica sono sulla spiaggia. Ed eccola! La mia barchetta rossa. Me l’aveva regalata mio padre. Vi aveva fatto dipingere  In tranquillo esse quisque gubernator potest”. Ignoro il significato di quelle parole. E le ignorerò per sempre. Mio padre era vissuto tra il lusso e lo sfarzo: mio nonno era il Sindaco del Distretto 4. Aveva studiato opere immortali, alcune di esse anche scritte in questa strana lingua. Ma ormai non ha più importanza. Mi aveva promesso che mi avrebbe svelato il contenuto della frase una volta compiuti sedici anni. Bhe, ho sedici anni. E lui è annegato. Apro il lucchetto della catena che lega la barca a una specie di anello di ferro legato a un palo posizionato lì da prima che nascessi. L’aveva costruito mio nonno. La confusione dei pensieri nella mia testa non mi rende attenta e sussulto, quando sento alle mie spalle:

“ Hey, tu!

Mi volto di scatto, con un piccollo urlo. C’è Finnick. Finnick Odair. Non so cosa rispondergli. Mi guarda con fare sfacciato, un po’ troppo compiaciuto forse. Io, dal canto mio, mi limito ad osservarlo imbarazzata.

“ Sei tu la ragazza che ogni mattina mi fissa, dico bene?” mi domanda. Ok, questo è troppo. Sento l’umiliazione e l’imbarazzo crescere dentro di me ogni secondo di più. Mollo tutto: la barca, la catena, le chiavi, e, a passo di marcia, provo a tornarmene a casa, provando a fermare le lacrime di vergogna. Lui mi blocca, mettendosi davanti a me. È veloce, molto veloce. Mi prende le braccia. Io abbasso lo sguardo. Ma cosa diamine vuole? Mortificarmi? C’è riuscito.

“ Hey… va tutto bene, ok? Perché fai così?” mi domanda. Scuoto la testa. Sono incapace anche di parlare, tanto sono imbarazzata. Forse è il momento più umiliante della mia vita.

“ Volevo solo sapere chi eri, me lo chiedevo sempre…” ammette lui. Lascia le mie braccia. Riesco ad emettere un sospiro e trovo il coraggio di guardarlo negli occhi. Ha degli occhi verdi, con lievi sfumature di castano dorato. Guardando più attentamente, riesco anche a distinguere delle macchioline grigie che circondano l’iride. Mi sorride, ma non vedo scherno nei suoi lineamenti, né ira. Sì, posso percepire… curiosità.

“ Sì, sono io. Mi dispiace davvero, non succederà più” dichiaro allontanandomi verso la barca.

“ Aspetta, aspetta! Non mi dava fastidio, ok? Cioè, puoi continuare a guardarmi tutte le volte che vuoi!” esclama raggiungendomi. Gli scocco un’occhiata carica di rimprovero. Ma chi si crede di essere? Il significato implicito delle sue parole non è proprio dei migliori.

“ Ok, forse così suona molto da ‘ragazzo presuntuoso e pieno di sé’…

“ Esatto” dichiaro scansandolo e continuando a dirigermi verso la barca. Lui non mi segue subito. Sento che è rimasto indietro e il suo sguardo mi formicola sulla testa.

“ Come ti chiami?” mi domanda.

“ Annie.

“ Piacere Annie. Finnick” mi dice raggiungendomi e tendendomi la mano, mentre recupero nella sabbia le chiavi. L’afferro in modo molto sbrigativo.

“ Bene. Adesso scusami davvero, ma devo andare a vedere i polipi hanno abboccato!” esclamo spingendo la barca verso il mare. Lui mi aiuta.

“ Ah, il classico metodo delle anfore oppure punti a qualcosa di più elaborato?” mi chiede premendo le sue mani sulla mia barca.

“ Le anfore. Gli altri trucchetti non funzionano bene come questo” affermo pensandoci su. È vero che non ne avevo sperimentati tantissimi… Ma con le anfore era molto più facile la cosa.

“ Già, penso proprio che tu abbia ragione. Senti… ti dispiace se vengo con te?” mi domanda. Ormai la barca tocca l’acqua. Ci fermiamo. Lo scruto attentamente. Sì, la barca dovrebbe poter reggere anche il suo peso, è sicuramente meno massiccio di Alexander. Ma lo voglio lì con me? Mica tanto. La sua presenza mi agita parecchio per motivi a me sconosciuti. Forse questo disagio è dovuto al fatto che l’ho visto ammazzare, scuartare e massacrare almeno dieci tributi dei 65esimi Hunger Games. Ma il suo volto dice altro. No, non è un pericolo per me, glielo leggo negli occhi. E io sono brava a capire le persone.

“ Perché?” gli chiedo. Tanto per conferma. Lui mi indica qualcosa posizionato a qualche metro di distanza. Una canna da pesca.

“ Mi serve qualcosa da portare a mia madre. Ce l’hai l’occorrente per pulire il pesce, là dentro?” mi domanda.

“ E’ ovvio” sussurro un po’ infastidita dalla sua domanda stupida. Lui sorride e corre a prendere la canna. Mi aiuta a spingere la barca e aspetta che io sia salita prima di mettersi dentro pure lui. Sto per prendere i remi, ma lui insieme: vuole remare lui. E io, in tutta sincerità, ne sono contenta. È sempre una faticaccia, soprattutto per chi ha due spalline piccole come le mie. Arriviamo alla prima boa. Tiro su l’anfora. È vuota.

“ Annie… quanti anni hai?” mi chiede nel frattempo.

“ Sedici…” rispondo io mentre ricalo giù l’anfora.

“ Io invece ne ho…

“ Diciannove. So tutto di te, Finnick!” replico indicandogli con il dito l’altra boa.

“ Oh, spero proprio di no!” afferma lui ridendo. Ha una bella risata. Argentina, squillante. Un bel suono, insomma. Sorrido anche io al suono di quella risata.

“ Allora, se sai tutto di me, possiamo anche concentrarci su di te, no?” mi domanda. Concentrarci su di me.

“ Mi dispiace, Finnick, ma ne resterai molto deluso. La mia vita non è molto interessante” gli confesso.

“ Oh, fammi indovinare allora, vediamo se ci prendo!” esclama lui mentre prendo la seconda boa.

“ Sei la più piccola della tua famiglia…” mi dice improvvisamente. Annuisco. Nel frattempo, vedo dentro l’anfora. C’è un polipo. Lo estraggo rapidamente e gli sbatto la testa contro un lato della barca.

“ … ma te la sai cavare benissimo anche da sola, senza l’aiuto di nessuno più grande di te!” conclude alla vista di questa scena.

“ Certo che sì, Finnick!” dichiaro contenta di aver catturato la mia preda. Lo guardo attentamente. Sembra che mi stia studiando.

“ Tu non hai amici” sussurra. Resto di sasso. Ma come…?

“ E hai sofferto tanto. È per questo. Hai difficoltà ad aprirti con le persone, ma quando lo fai, gli dimostri chi sei veramente, senza censure. La gente, allora, si spaventa. Non è facile adattarsi al cambiamento che fai. Quindi scappano tutti. È normale, sai? Lo fanno anche con me” ammette alzando le spalle. Non riesco a rispondergli. Come diamine fa a sapere… mi ha capita meglio lui in dieci minuti che le persone che mi conoscono da una vita. Non è possibile. Al mio sguardo stupito, mi risponde con un sorriso radioso.

“ Quando hai sofferto tanto, impari a riconoscere la sofferenza altrui!”mi spiega velocemente Finnick. Abbasso lo sguardo.

“ Ti riferisci agli Hunger Games?” chiedo in uno sprazzo di coraggio. Lui molla i remi ed afferra la canna da pesca.

“ Gli Hunger Games… e non solo” dichiara gettando in mare l’amo già provvisto di esca. Il modo in cui l’ha detto mi fa capire che la conversazione è momentaneamente finita. Aspettiamo qualche minuto. In questo lasso di tempo, però, non riesco a smettere di fissarlo come una matta. Scruta l’acqua attentamente, rilassato però. Si vede che è un pescatore esperto. Ma ci vuole una buona dose di fortuna. Appena formulo questo pensiero, ecco che qualcosa abbocca all’amo. Certo, che stupida: un essere umano che riesce a vincere gli Hunger Games a quattordici anni deve essere per forza fortunatissimo. Prendo velocemente il materiale per pulirlo da uno dei cassetti della mia piccola barchetta e glielo porgo. È una scatolina metallica, provvista di un coltello, una grattugia per levare le squame e una piccola tavola di legno. Le sue mani lavorano velocemente: si vede che è abituato. E poi arriva quel fantastico momento: Finnick taglia la testa al pesce. Rabbrividisco un po’. Lui sembra accorgersene.

“ Ti dà fastidio?” mi chiede.

“ Sì, em… lascio sempre che siano i miei fratelli a farlo. Non mi piace il gesto, non so. Mi spaventa” gli spiego. Spero solo che non mi abbia preso per una pazza scatenata.

“ No, eh? Però non hai paura di allontanarti così tanto da casa con un potenziale assassino” afferma improvvisamente. Sento il suo tono farsi più cupo. Metto su un sorrisetto nervoso.

“ Tu non mi farai del male.

“ Come lo sai? Dici di sapere tutto su di me. Allora sai anche che ho inforcato esattamente… dieci persone con il mio tridente. Non sei spaventata?

“ Per niente. So capire bene le persone.

“ E di me cosa hai capito?” mi domanda.

“ Che ti senti molto solo, Finnick” gli rispondo d’un fiato. Lui smette di pulire il pesce. Mi guarda negli occhi. Cosa vedo nelle sue pupille? Paura? Sgomento? Meraviglia? Non saprei.

“ Sai Annie… ci hai preso. Ci hai proprio preso” dichiara ributtandosi nel suo lavoro. Provo a concentrarmi sull’acqua, ma i pensieri galoppano lontani. In silenzio, ritorniamo sulla spiaggia. Mi aiuta a scendere dalla barca e la riposizioniamo dove stava prima. Ho messo in una busta il mio bel polipo: ci potrò comprare anche il latte, se tutto va bene. Sto chiudendo il lucchetto, quando sento:

“ Annie…

Alzo gli occhi. Finnick Odair mi sorride dolcemente. Cerco di non arrossire.

“ Dimmi.

“ Grazie per oggi. E, anche se non potrò più parlare con te, mi ha fatto davvero piacere conoscerti” mi dice. Non riesco ad afferrare il senso delle sue parole, ma, prima di averle razionalizzate, lui si volta e se ne va.

  
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