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Autore: bic    16/10/2013    0 recensioni
Questa storia parte circa un mese dopo la fine della battaglia, quando per il resto del mondo Magico le cose sembra stiano tornando alla normalità, ma per qualcuno la normalità è molto molto distante, anzi proprio fuori portata.
Ci sono dei piccoli accenni a Vuoto, ma non è necessario aver letto quella one shot per comprendere gli avvenimenti di questa storia.
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angelina Johnson, Famiglia Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Angelina/George, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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I
Era passato un mese, la primavera aveva lasciato spazio all’estate, un’estate così calda non si ricordava da molto tempo.
La vita stava lentamente riprendendo il suo corso. Quasi ogni famiglia aveva qualcuno da piangere e la mia non faceva eccezione.
Il negozio di scherzi non aveva ancora riaperto, ma gli ordini via gufo erano aumentati vertiginosamente: sembrava che la gente avesse davvero voglia di riprendere a ridere perché gli affari non erano mai andati così bene.

E invece io, di ricominciare a ridere, proprio non avevo voglia, dopo aver passato una settimana alla Tana ero scappato per disperazione: da una parte c’era mia madre che ogni volta che mi vedeva sospirava e si voltava dall’altra parte per non mostrarmi le lacrime. Poi c’era Percy che non riusciva a riprendersi, non parlava con nessuno e l’unica persona con cui interagiva mormorando o grugnendo era nostro padre.
 
Harry si era stabilito da noi, ma lui, Ron  e Ginny non si vedevano quasi mai o meglio Harry e Ginny cercavano disperatamente di allontanare Ron per avere un po’ di privacy, ma lui proprio non capiva l’antifona, così il sabato ebbi la brillante idea: - Voglio riaprire il negozio, Ron, ho bisogno di una mano, vieni con me a Diagon Alley?
Sembrava che gli avessi fatto un regalo di Natale in anticipo sia a Lui che a Ginny ed Harry che mi guardarono con immensa gratitudine, poi aggiunsi: - Ovviamente Harry, se vuoi darci una mano anche tu sei il benvenuto.

Mica potevo lasciare la mia dolce sorellina nelle mani di un diciassettenne infoiato che aveva passato l’ultimo anno vagando come un senzatetto.
Mia madre sorrise, era il primo tentativo di sorriso che vedevo dalla battaglia: - Certo ragazzi, andate tutti, poi tornate per cena.
- No mamma, loro tornano per cena, io ho bisogno di tornare a casa nos … mia, ho bisogno di tornare a casa mia. 
 
Aggiunsi, non mi andava più di avere tutta quella gente intorno.
 
Ginny sbuffò, Harry le strinse la mano sotto il tavolo e Percy rispose: - Domani torno al Ministero con papà.
 
E così era stato: quando entrammo il negozio era devastato, ci vollero giorni interi per pulire, ricostruire, preparare le pozioni, ci fosse stata Hermione al posto di Ron ci avremmo impiegato metà del tempo. In un paio di  settimane il negozio era pronto per riaprire e Ron era in fibrillazione per l’arrivo imminente di Hermione di ritorno dall’Australia. Praticamente lo cacciai a pedate dal negozio perché quel suo senso di appagamento e felicità mi dava sui nervi, poi andai nella Londra Babbana. Come facevo ormai da un po’ di sere. Mi ero fatto crescere i capelli, così non si notava l’orecchio monco e la giacca di pelle di drago poteva passare tranquillamente per quella di un motociclista, certo i capelli lunghi, la giacca di pelle e l’espressione perennemente incazzata che avevo in quel periodo non mi conferivano un’aria rassicurante.
 
Entrai nel primo pub che trovai, era più sporco della Testa di Porco, ma la scura era buona, me la feci correggere con del whisky, no so quanti boccali tracannai, il barista mi buttò fuori che erano le due del mattino e riuscii ad aprire la porta di casa solo alle tre dopo varie tappe piegato in due dai conati o dal mal di testa. Mi stavo abituando ai bagordi, trovavo confortante il sonno senza sogni che l’alcol mi garantiva.
 
Aprire il negozio dopo una notte simile non fu uno scherzo, al mattino mi alzai con un gusto di melma in bocca ed un pessimo mal di testa, mi sembrava di avere degli spilli conficcati dietro gli occhi e, a ogni minimo movimento avevo la sensazione che la nuca venisse trapassata da un coltello.
 
Cercai avidamente qualche pozione che potesse riportarmi se non allo stato umano per lo meno a quello di lupo mannaro post trasformazione, ma a quanto pareva avevo finito tutto: niente tintura di alchemilla, niente estratto di ginepro né radici di valeriana, trovai una scatolina nell’armadietto dei medicinali, sembrava un rimedio Babbano: acido salicilico qualcosa, se c’era del salice probabilmente male non mi avrebbe fatto: avevo troppa fretta e poco tempo per controllare. Buttai giù due compresse e mi portai dietro la scatola.
 
Tutto era pronto, tutto tranne io, l’inaugurazione vera e propria sarebbe avvenuta solo nel pomeriggio, dopo l’arrivo di Hermione, ma dovevo ancora sistemare alcune cose all’esterno.
 
Aprii la porta e me la trovai di fronte: era bellissima, con un sorriso smagliante, due caffè in mano e un bel vestitino estivo.
- Uffa, volevo farti una sorpresa e invece eccoti qui.
- Angelina?
 
I segni della battaglia erano ancora ben visibili sul suo volto: probabilmente quella cicatrice sul sopracciglio sinistro non sarebbe mai scomparsa del tutto e faticava ancora a muovere il braccio, lo vedevo da come teneva il bicchiere.
 
- Cos’è non mi riconosci più? Ma cosa diavolo hai fatto, hai delle occhiaie mostruose, mi sa che ti ci vuole più di un caffè.
Mi offrì un bicchiere e mi prese sotto braccio proprio come l’avevo vista fare innumerevoli volte, solo che di solito dall’altra parte c’era Fred.
- George, a me non la racconti, cosa succede?
- Mia madre mi ha messo Ron alle calcagna, non è che non gli voglia bene, però è un impiastro, speriamo che ora che torna Hermione diventi un po’ meno noioso, non lo sopporto più con le sue paranoie: “E se decide di restare in Australia …. E se ai suoi non dovessi piacere …. E se… ” e che palle.
- Ma come sei bisbetico, è innamorato poverino, tu non sei mai stato innamorato?
- No! – mi affrettai a dire un po’ troppo velocemente mentre l’orecchio buono diventava scarlatto.
- Davvero? – Sollevò le sopracciglia dubbiosa – strano che tu ti sia affrettato a negare con tanta foga e decisione. – Rispose ridacchiando in tono canzonatorio. Poi si fece seria: - Comunque non parlavo di questo, cosa ti sta succedendo, hai una faccia che pare ti abbiano fatto un’Orcovolante venuta male.
- Non è niente, solo un po’ di mal di testa. A proposito, tu cosa ci fai qui?
- Lavoro da “Accessori di prima qualità per il Quidditch”, cosa ne dici, visto che ti ho offerto il caffè stasera andiamo a festeggiare la riapertura dei Tiri Vispi Weasley?
- Wow, Angelina Johnson mi sta invitando fuori per un appuntamento?
Questa volta fu lei ad arrossire, poi rispose: - E se anche fosse?

E si Smaterializzò mollandomi in mezzo alla strada come un perfetto imbecille.

La giornata fu estenuante, ragazzi, giovani e anche adulti arrivavano a frotte. Non avevo ancora trovato una sostituta per Verity, ma a Ginny ed Hermione donava il pervinca della divisa. Harry e Ron davano una mano in magazzino e tutti quelli che conoscevamo fecero un salto in negozio a salutare, comprare o anche solo per augurarci in bocca al lupo. Ogni volta che si apriva la porta speravo che si affacciasse in negozio lei, ma non si presentò.

Quando chiusi la saracinesca era quasi buio, sentii dietro di me qualcuno che si schiariva la voce: - Pensavo che avresti trascorso la notte lì dentro. Passato il mal di testa?
Le sorrisi:- Pare che a volte i rimedi Babbani funzionino.

Risposi mostrandole la scatola ormai quasi vuota.
- Ah, sì, aspirina, spero che tu non abbia esagerato, non vorrei doverti portare al San Mungo per un'intossicazione.
- Non dovevamo andare a cena?

Mi porse il braccio e notai che non riusciva a distenderlo completamente.

- Non sei ancora perfettamente in forma, vero?
- Cosa vuoi, i miei sogni di giocare da professionista si sono infranti, comunque non ero poi così brava, tua sorella è di gran lunga meglio di me, non mi stupirei se qualche squadra le chiedesse di giocare come professionista il prossimo anno.

Aveva risposto con tono leggero, ma si vedeva che il fatto di non poter più giocare le pesava parecchio.
Poi riprese sorridendo:- Stasera scelgo io, si mangia da Babbani, ti porto in un posto carino.
Ci Smaterializzammo insieme e ci trovammo davanti al “The star of Kings” un pub accanto alla stazione di King’s Cross.
Con una bistecca nel piatto e un boccale di scura chiacchierammo del negozio, del Quidditch, dei vecchi amici, della vita prima della guerra.

- George,  sei alla quarta birra, non sarebbe il caso che smettessi?

Non mi ero nemmeno accorto che avevo continuato ad ordinare da bere mentre lei ancora non aveva finito il suo boccale.

- Figurati, cosa vuoi che sia una birra in più?
- George, ti sembra normale non esserti nemmeno accorto che hai bevuto così tanto? – Non so se era più sconvolta o disgustata.
- Angelina, sono grande e vaccinato, sono perfettamente in grado di gestire la mia vita. – Non so perché risposi con tanta arroganza.
- Non penso proprio, ne è la prova il fatto che ti comporti come un idiota e pure bugiardo. Ti rendi conto che se continui così ti autodistruggi? – ora era davvero arrabbiata.
- E allora?
I suoi occhi erano accesi di rabbia. – E allora? E allora? Tua madre ha già perso un figlio, vuoi che soffra anche per te? Davvero sei così egoista da non accorgerti che c’è un sacco di gente che ti vuole bene e che non tollera il fatto che tu stia cercando in tutti i modi di punirti per essere sopravvissuto?

Non avevo parole per rispondere, a nessuno avrei permesso di parlarmi in quel modo.
Mi alzai ed uscii lasciando sul tavolo un po’ di sterline, non sapevo se bastavano, se erano troppe e nemmeno me ne importava.
Lei fu dietro di me in pochi istanti.

- GUARDAMI!

Mi voltai lentamente. Non mi andava di sentire altre prediche, ma quando la vidi tremare di rabbia non riuscii a Smaterializzarmi e mi avvicinai. Non avrei chiesto scusa per le mie scelte, era la mia vita, mia e di nessun altro e potevo farne quello che volevo. Stavo per dirglielo quando lei sollevò il viso, allungò le braccia allacciandole intorno al mio collo, mi accarezzò la nuca e poi un bacio lungo,  dolce,  Angelina aveva un buon profumo, sapeva di muschio e pino, le mie mani si strinsero intorno alla sua vita. Non pensavo di potermi sentire tanto vivo con una cosa così semplice: era da quella sera, quella maledetta sera che non sentivo il mio cuore battere in quel modo, percepivo il sangue pulsare nelle vene, quella sera quando avevo pianto tra le sue braccia la morte di Fred era stata l’ultima volta in cui mi ero davvero sentito vivo.

Ci Smaterializzammo direttamente di fronte al mio appartamento: - Se non vuoi ti accompagno a casa. – Sussurrai al suo orecchio, ma lei mi si strinse addosso e ricominciò a baciarmi.

I vestiti scivolarono via senza che nemmeno ce ne accorgessimo. La sua pelle di cannella imperlata di sudore mi metteva l’acquolina in bocca.  Non arrivammo nemmeno al letto, il divano era molto più vicino. Aveva un sapore più inebriante di qualunque cosa avessi mai bevuto. In quel momento ebbi la percezione che non avrei chiesto di meglio che divorare le sue labbra ogni giorno della mia vita. Poi non pensai più a nulla e fui completamente perso in lei.

Avevo Appellato una coperta, l’avevo abbracciata, la sua schiena contro il mio torace, le davo piccoli baci sulla nuca.

- George, io.., ecco, non so come dirtelo …, io non …, abitualmente non faccio l’amore così al primo appuntamento. – aveva parlato con una voce piccina che sembrava più il miagolio di un gattino che la voce di un ex capitano di Quidditch.
- Angelina, io non ho intenzione di lasciarti andare, ti amo, ho bisogno di te, tu riempi il vuoto, se ci sei tu mi sento completo.
- Hai detto delle cose molto dolci – disse voltandosi e fissandomi negli occhi – ma le hai dette nel modo sbagliato, o forse per il motivo sbagliato. Io non posso sostituire Fred e non voglio farlo.
- Guarda che non ho mai fatto cose del genere con lui. – Risposi baciandola a lungo, mordicchiandole le labbra e giocando con la sua lingua. Lei si allontanò un po’.
- Prima che tu possa amarmi davvero devi imparare ad amare te stesso, altrimenti non potremo mai costruire qualcosa.

Non riuscivo a capire. Come potevo amare me stesso? Se non ci fosse stata lei probabilmente in quel momento non sarei nemmeno stato lì, ma in un pub a bere. Fu allora che capii.

- Insegnami, insegnami come devo fare a voler bene a me stesso, perché da solo non ci riesco.   – ammisi sconfitto.

Lei sorrise, mi accarezzò la guancia e cominciò a parlare con quel tono calmo e dolce che in pochi avevamo sentito: - Prima di tutto devi capire che le persone che ti stanno intorno soffrono a vederti così, a tua madre non vengono le lacrime agli occhi perché vede in te il riflesso di Fred, ma perché non sa come aiutarti a riempire il vuoto. Percy non ti parla perché si sente in colpa per non averlo salvato e pensa che anche tu lo incolpi, Ron parla a ruota continua di Hermione per farti pensare ad altro. George, siamo tutti dei sopravvissuti, alcuni sono stati più fortunati, altri meno, alcuni dimenticheranno, altri invece vivranno per sempre con il peso di ciò che è successo. Non so a quale categoria appartieni, io posso starti vicino, ma tu sei l’unico che può fare i conti con il dolore che ti porti dentro.

Era mattino presto quando mi posò un bacio sul buco che si trovava al posto del mio orecchio: - Devo andare a casa a cambiarmi e farmi una doccia, ci vediamo stasera?
Io annuii e mi voltai sbadigliando. Le lenzuola avevano ancora il suo profumo, non so bene a che punto della nottata precedente fossimo finiti a letto, ma era piacevole non svegliarsi da solo.

Mi alzai e mi diressi verso il bagno, ma fu quando sollevai lo sguardo sopra il lavandino che me ne resi conto: per la prima volta dalla battaglia mi ero svegliato senza sentirmi mancante.

Lo specchio rifletteva il mio sguardo smarrito, per la prima volta da parecchio tempo mi fermai a fissare il mio riflesso: ero dimagrito e parecchio anche, i capelli lunghi e scarmigliati mi facevano sembrare una caricatura di Bill. Negli ultimi tempi avevo fatto molta attenzione a radermi solo osservando la parte bassa del mio viso: non volevo scrutare a fondo quegli occhi vuoti.

Li chiusi e quando li riaprii decisi che era giunto il momento di darsi una ripulita: mi rasai, poi saltai nel camino e piombai alla Tana.
 
  
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