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Autore: Malvagiuo    17/10/2013    2 recensioni
Una strana maledizione si è impadronita di un remoto villaggio circondato da una foresta ancestrale: da anni, i bambini muoiono in preda a un male oscuro, di cui nessuno riesce a individuare la fonte. Un cavaliere raggiunge il villaggio, entrando in contatto con un’entità di cui diventerà preda egli stesso.
[Storia Vincitrice del Contest 'L'ANTIEROE' di Athenryl e Shayd]
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTE AUTORE
Ciao a tutti! Benvenuti nella mia storia, spero che possa piacervi. E' un racconto fantasy un po' particolare, vincitore del contest "L'antieroe" indetto da Athenyl e Rosheen. Come sempre, sarei lietissimo di leggere le vostre opinioni, sia positive che negative. Buona lettura.



 

IL SEGRETO DELL'IDROMELE






Mendrick sollevò la coperta e ricoprì il corpicino inerte disteso sul pagliericcio. Il piccolo era morto nel cuore della notte, ma la veglia si era protratta fino al sorgere del sole.
Il vecchio Aben sedeva in un angolo della stanza, immobile e silenzioso. Mendrick gli si avvicinò, porgendogli la fiaschetta di idromele che portava sempre con sé, nascosta sotto il saio.
«Ne hai bisogno, amico mio.»
«No, Mendrick, io...»
«Fidati di me, bevine almeno un sorso.»
Aben obbedì. Strappò il tappo dalla fiaschetta e trangugiò una lunga sorsata di idromele. Richiuse il contenitore e lo restituì al monaco, che si affrettò a celarlo sotto le vesti.
Dopo pochi istanti, la bevanda cominciò a fare effetto. Il vecchio Aben si ritrovò a pensare alla propria vita, tutta quanta trascorsa nel villaggio, coltivando un campo di rape al limitare della foresta e cacciando lepri e volpi. Si era sposato giovane e aveva avuto molti figli, ma nessuno di questi aveva superato la soglia del secondo anno di vita. Quello che ora giaceva morto dinanzi a loro  era il settimo, probabilmente l’ultimo che lui e Eby avrebbero avuto. Il vecchio sentì ogni speranza scivolare da sé, come una calda coperta che cade al suolo lasciando il corpo vulnerabile al gelo della notte.
«Era la nostra ultima occasione. Eby è vecchia, ormai. Pensavamo che ci sarebbe stato concesso di vederne crescere almeno uno, ma a quanto sembra...»
«I disegni del Grande Padre sono incomprensibili ai suoi figli, Aben, ma ciò non dimostra che Egli non sia saggio.»
Aben alzò lo sguardo su Mendrick. Il monaco vi intravide un miscuglio di emozioni che aveva già visto tante altre volte: uno strano fermento di rabbia, tristezza, rassegnazione e spossatezza.
«Non avrò mai un figlio. Non mi illudo più, Mendrick.»
Quasi aspettando quella frase, il monaco estrasse dalla bisaccia un fazzoletto e una boccetta di vetro blu. Aben sapeva cosa stesse per fare e in cuor proprio ringraziò il buon frate per la compassione. Mendrick intinse il fine fazzoletto di lino con il contenuto oleoso della boccetta, ripiegò il fazzoletto più volte fino a ridurlo un quadratino, e lo dispiegò nuovamente. A quel punto, applicò il lembo di tessuto unto di olio prima sulle guance di Aben, poi sulla fronte e infine sul collo.
«Ti darà sollievo.»
«Lo so. Ti ringrazio.»
Mendrick ripiegò il fazzoletto e lo ripose nella bisaccia.
«Vorrei applicare l’unguento anche su tua moglie. Ne avrà senz’altro bisogno. Dov’è?»
«Non ne ho idea, vecchio mio. Credo che non potesse restare in questa casa un momento di più.»
Mendrick recuperò le fiale e gli strumenti con i quali aveva finto di alleviare le sofferenze del figlioletto di Aben durante la notte. Si preparò ad andarsene, alla ricerca di Eby.

Il raccolto di Aben era stato fruttuoso. Un padre intriso della sofferenza che nasce dall’aver perduto sette figli! Quale materia prima migliore per l’idromele?
Mendrick aveva già la risposta.
Si incamminò lungo il sentiero fangoso che attraversava il villaggio fino alla strada. Le modeste capanne di legno, paglia e fango erano così deliziose. Dentro ci viveva l’umanità più derelitta che Mendrick avesse incontrato durante i suoi lunghi viaggi. Mai si era imbattuto in un terreno tanto fertile, da quando era stato costretto a vagare per il vasto mondo. Le cose non sarebbero mai cambiate, da quelle parti. Non l’avrebbe permesso.
Se conosceva Eby, l’avrebbe trovata a vagare sul ciglio della strada. Era un suo tipico comportamento, camminava per evitare di pensare. La sola presenza di Mendrick sarebbe bastata a costringerla a ripensare a tutto quanto. Il monaco pregustava la dolcezza dell’idromele che avrebbe ricavato dal suo dolore.
Come previsto, Eby era lì. Avanzava lentamente, a passi pesanti, verso est, dandogli le spalle. La sagoma della donna, smunta e spigolosa, con i capelli spettinati nonostante la crocchia, si stagliava contro il disco rosso del sole, quasi a formarle un’aureola intorno alla testa. Quando Mendrick la raggiunse, entro breve la sofferenza e la rassegnazione affluirono in superficie, in quantità di molto superiori a quelle del vecchio Aben. Mendrick stava quasi piangendo di gioia.
«Siete generoso a commuovervi per noi, padre.»
«Soffro per la perdita di tuo figlio come se fosse stato mio» mentì Mendrick, mentre ormai non frenava più le lacrime di eccitazione che gli sgorgavano dagli occhi. «Tutto quello che posso fare è offrirti questo vecchio rimedio che...»
In quel momento, un rumore di zoccoli interruppe le parole del monaco. Sulla strada fangosa a oriente, si stava avvicinando a grande velocità un uomo a cavallo, talmente veloce che il mantello del cavaliere svolazzava sospinto dalla corrente d’aria.
A meno di due iarde da Eby e Mendrick il cavaliere rallentò la propria corsa, fino ad arrestarsi del tutto a pochi passi da loro. Entrambi erano rimasti senza parole: nessuno dei due aveva mai visto un viaggiatore come quello.  In groppa a un magnifico sauro dal pelo ramato, indossava una corazza levigata che, nonostante gli spruzzi di fango, appariva lucente sotto i primi raggi del sole. Il lungo mantello rosso, agganciato alle spalle, ricadeva sul corpo dell’uomo fino a ricoprire il posteriore del cavallo. Una spada pendeva dal fianco sinistro, inguainata in una fodera di cuoio con una breve incisione in caratteri sconosciuti in prossimità dell’elsa. Il volto era celato da una sciarpa di lana grigia.
L’apparizione era stata talmente fulminea e imprevista che né Eby né Mendrick erano stati in grado di reagire in alcun modo. Ora si trovavano immobili, paralizzati dalla sorpresa e in silenzio di fronte al misterioso uomo a cavallo, che si apprestava a levarsi la sciarpa e mostrare il viso.
Il cavaliere si rivelò essere un ragazzo, con una faccia dal colorito roseo e vivace che confermava la sua giovane età. Gli occhi erano brillanti e di un azzurro cristallino, che ogni donna del villaggio non avrebbe fatto a meno di notare. Ogni particolare della sua espressione emanava calore e desiderio di vivere, sensazioni così estranee da quelle parti.
Mendrick cominciò a temerlo da quel momento.
«Vi saluto, brava gente» esordì. «Siete abitanti del villaggio di Forgruik?»
Lentamente, Mendrick e Eby annuirono.
«Bene, sono contento di non essermi perso strada facendo» sorrise, affabile. «Sono Galwaire di Gellin, e viaggio in direzione dell’accampamento del re a Boswald, per poterlo servire in battaglia. Confidavo di poter essere ospitato per il tempo necessario a raccogliere del cibo e un po’ acqua.»
Né Mendrick né Eby avevano mai sentito parlare di un re, né tanto meno dei posti che Galwaire aveva menzionato.
Eby fu la prima a spezzare l’incantesimo e a prendere parola.
«Non so chi siate, cavaliere, ma i vostri occhi esprimono sincerità. Dovete essere stremato dal viaggio. Venite al villaggio, vi offriremo ciò che abbiamo per ristorarvi.»
Mendrick non aveva mai sentito Eby, l’ignorante, sempliciotta, comunissima Eby esprimersi con tanta cortesia. Ma non era questo a irritare il monaco: Eby aveva appena offerto ospitalità a nome dell’intero villaggio, senza nemmeno consultarlo!
Il cavaliere smontò da cavallo e rivolse un inchino alla donna.
Soffocando la rabbia che gli ribolliva dentro, Mendrick sorrise compiaciuto e si rivolse al cavaliere.
«Come dice la cara Eby, dovete essere stanco. Troverete la pace presso di noi.»

Il trio marciò lungo la strada fangosa fino alla casa di Eby. Conducendo il cavallo al passo dietro di sé, Galwaire vide per la prima volta Forgruik: una dozzina di casupole di paglia, ricoperte di fango e bagnate da un’umidità malsana e persistente. Vide molti uomini abbandonati nel fango. Quasi tutti erano vigili, smunti e dallo sguardo vacuo. Altri erano seduti nella stessa sporcizia, con la schiena appoggiata ai muri delle case. Nessuno parlava, il silenzio era rotto solo dallo scalpiccio dei loro piedi nel terreno molle. Molte donne lo guardarono, allo stesso modo in cui un bambino guarderebbe un animale gigantesco che lo sovrasti: lo fissavano senza capire cosa fosse, indecise se temerlo o esserne affascinate.

Al villaggio, la comparsa del cavaliere destò la curiosità prevista. Mendrick fu turbato dalle occhiate che gli venivano rivolte: erano attente, vive, sorprese. Il monaco capiva bene cos’era a destare tanta vitalità nella visione di quell’uomo. Galwaire rappresentava una novità assoluta, qualcosa di talmente diverso da loro da spingerli a domandarsi quante altre meraviglie esistessero al mondo. E se quell’accozzaglia di bifolchi avesse intuito che quel gradasso, per quanto straordinario, non era che una minima e insignificante parte del mondo che li circondava? E se questo li avesse spinti ad abbandonare Forgruik, per scoprire altro ancora? Mendrick sudò freddo al solo pensiero.
Rimuginando tra sé, non si accorse che Eby aveva offerto a Galwaire ospitalità sotto il proprio tetto per il pranzo. Mendrick bestemmiò contro se stesso per essersi distratto e, soprattutto, per non essersi fatto venire l’idea per primo. Ma ormai il danno era fatto.
L’invito fu esteso a Mendrick, naturalmente, il quale comprese di non potersi permettere più alcun errore. Accettò con umiltà, con la ferma intenzione di controllare Galwaire da vicino.
Mentre sua moglie era stata assente, Aben – come consueto – aveva provveduto a trasportare il corpo del figlio nella foresta che circondava il villaggio. Gli spiriti del bosco lo avrebbero condotto accanto ai fratelli e alle sorelle che l’avevano preceduto. Era appena tornato quando Eby riapparve seguita dal monaco e dal cavaliere.
Per fortuna, Aben non dimostrò nei confronti di Galwaire lo stesso stupore di cui erano stati preda gli altri abitanti del villaggio. Mendrick se ne compiacque: la sua presa sul vecchio contadino era forte e non sarebbe certo bastato un bellimbusto in armatura per infrangerla.
«Vi chiedo perdono per il disturbo, brav’uomo» disse Galwaire, abbassando rispettosamente il capo. «Vi sono grato per l’ospitalità. Non posso che dimostrare la mia gratitudine offrendovi la mia spada: se mai ne avrete bisogno, sarò ben lieto di accorrere in vostro aiuto per difendervi.»
Entrambi rimasero colpiti dalle parole del cavaliere: nessuno si era mai rivolto a loro con tanto rispetto. Nemmeno Mendrick, sembrarono pensare.

Eby servì una minestra di verdure piuttosto acquosa, ma che Galwaire parve gradire moltissimo. I problemi ebbero inizio quando il cavaliere venne a sapere da Aben della morte del suo ultimo figlio.
«Era il vostro primo figlio?»
Aben abbassò lo sguardo.
«Il settimo.»
«Dove sono gli altri?»
«Con gli spiriti della foresta.»
Il cavaliere abbassò a sua volta lo sguardo. Tuttavia, non era solo tristezza quella che Mendrick intravide nei suoi occhi. Scorse qualcos’altro, un bagliore che giudicò sinistro e che non gli piacque affatto.
«Sette figli morti... tutti giovani?»
«Alcuni appena nati, altri di poco più grandi.»
«Quanti per malattia o fatalità?»
«Nessuno. Tutti si sono spenti da un giorno all’altro, senza spiegazione.»
Il cavaliere fissò Aben ancora per un istante, poi distolse lo sguardo. Rimase silenzioso a lungo, scrutando il fondo della ciotola di minestra.
«Raccontateci qualcosa, cavaliere» chiese all’improvviso Eby. «È raro che un forestiero capiti da queste parti. Non sappiamo nulla del mondo.»
Mendrick comprese all’istante che la situazione si stava facendo critica. Tuttavia, non riuscì a escogitare alcuno stratagemma che gli permettesse di sviare l’attenzione di Eby dal cavaliere o di imporre un altro argomento. Così, Galwaire cominciò a raccontare. Parlò del regno da cui proveniva, della sua casa, della sua famiglia e del castello del suo signore. Descrisse i molti luoghi dov’era stato, le imprese che aveva compiuto e le genti che aveva incontrato. Non c’era modo di interromperlo: era come se quelle parole fossero magiche, il cui filo non poteva essere interrotto da parole che non fossero intrise di una magia altrettanto potente. Una magia di cui Mendrick non disponeva. Eby e Aben erano incantati, dimentichi della realtà che li circondava: avevano perduto sette figli, ma in quel momento era come se un raggio di luce fossero penetrato dirompente nella loro vita, aprendo uno squarcio su un mondo che non credevano potesse esistere. Anche se non potevano esserne consci, Galwaire aveva mostrato loro qualcosa che Mendrick si era augurato non vedessero mai.
Una via di fuga.

«Fratello, posso conferire con voi?»
Mendrick fu colto alla sprovvista. Si era allontanato dalla capanna non appena terminato il pranzo, spinto dal disperato bisogno di stare un momento da solo per pensare a come porre rimedio alla situazione.
«Ditemi pure, nobile Galwaire.»
«Chiamatemi Gal. Siamo fratelli in una missione tanto gravosa.»
Mendrick lo squadrò dal basso (il cavaliere era almeno due spanne più alto di lui). A che diamine si riferiva?
«Che cosa volete dire?»
«Da quanto tempo vivete qui, Mendrick?»
«Anni. Ho perso il conto, a esser sinceri.»
«Siete senz’altro un buon pastore, perciò ritengo che avrete notato il terribile stato in cui vivono queste anime.»
«Purtroppo sì. Vedete, la vita quaggiù è dura. I campi sono quasi sterili, e gli animali...»
«Non mi riferivo a questo» lo interruppe, brusco. «C’è qualcosa di terribile all’opera, in questo luogo.»
«La miseria è certo una cosa terribile.»
«Non parlo nemmeno di questo. Guardate bene questi uomini e queste donne: avete visto i loro occhi? Sono persone spente, senza vita. Sono... morte dentro, senza speranza. Sembrano gusci vuoti.»
«La nostra vita è dura, ve lo ripeto. Avete visitato pochi villaggi, suppongo.»
«Ne ho visti molti, venendo qui. La vita è dura anche altrove. Ma questo è il primo villaggio in cui ho percepito così nitidamente una simile angoscia.»
«Allora, la vita qui dev’essere più dura che altrove.»
Galwaire assunse un’espressione severa.
«Vi darei ragione, se non avessi parlato con il vecchio Aben» rispose, glaciale. «La famiglia di quell’uomo è maledetta. Sette figli morti senza spiegazione! Inoltre, ho notato un particolare inquietante, venendo a Forgruik: non ci sono bambini. Immagino che ce ne siano stati, ma che siano morti in età prematura. E magari senza motivo apparente.»
«In effetti, è proprio così. È la triste storia di questo paese: non abbiamo bambini perché muoiono prima di imparare a camminare» fu costretto ad ammettere Mendrick. «Ma dove volete arrivare?»
Il cavaliere si guardò intorno, per esser certo che non vi fossero orecchie indiscrete nei dintorni. Appariva teso, ma al tempo stesso deciso.
«Io penso che un demone infesti Forgruik.»

   
 
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