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Autore: cherrypunk_    17/10/2013    1 recensioni
* dal testo *
Eccomi qua! Sono Cherie Lydon, una qualunque sedicenne che abita col proprio padre divorziato in un sobborgo nella periferia londinese. Cos'ho di diverso da tutti i ragazzi sedicenni di Londra? Semplice, mio padre è Johnny Rotten!
Alcool, sigarette, abuso di sostanze, e tutti i problemi che circondano i giovani d'oggi. Un racconto in due capitoli nel quale scopriremo che Johnny Rotten non è poi così bravo come padre.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johnny Rotten, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hi my name is Johnny Rotten and I'm a dad.



Erano le sette del mattino quando tornai a casa, una fottuta emicrania martellava ininterrotamente nella mia testa e diciamo che la panchina del parco non è così comoda da dormirci sopra. Avrei sopportato di tutto, piuttosto che vedere John. Speravo stesse dormendo o fosse già andato via per lavoro. Il fatto che avevo una bustina di eroina ed una boccetta di quaalude, per John è stato uno shock. Nonostante non mi abbia mai voluta, sperava sempre che io stessi bene. In quel momento, più qualsiasi altra cosa al mondo avrei voluto dei pancake, una bottiglia di birra, una sigaretta e non beccare mio padre in casa. Qual'era la cosa migliore da fare? Dire che non l'avrei più fatto? Dire che mi dispiace? Forse non avrebbe cambiato più di tanto la situazione. Poi, mio padre che si interessa alla mia vita e alla mia salute? Un'evento più unico che raro. Ricordo ancora la sua voce, quel tono furioso e allo stesso tempo molto pacato che sembrava dire "Questa volta non la passi liscia, ragazzina!". Avrei voluto tenermi alla larga da quel posto, giusto un po, fino a che non si sarebbero calmate le acque e tutto sarebbe tornato come prima. Il problema era che ero chiusa fuori casa senza niente, lo zaino era dentro casa, e non avevo spiccioli per la colazione.

 

Scavalcai la recinzione del giardino sul retro, la porta della cucina era meno rumorosa di quella principale, anche se ne approfittai dell entrata del gatto, in fin dei conti ci passavo. Ero piuttosto secca, secca come la carestia, ero piccola e striminzita, sembravo uno di quei bambini dell'africa che fanno vedere alla tv e che ogni volta ti fanno sentire male moralmente. A casa non c'era l'antifurto e nel caso non fossi riuscita a passare, potevo sempre prendere le chiavi di scorta nascoste dietro il posacenere.

 

Finalmente entraii in casa e la sfiga volle che John fosse seduto in cucina, con una copia del Sun ed una tazza di thè.

 

- Ciao Cherie, la porta d'ingresso era aperta, sapevo che saresti tornata - disse in tono freddo e distaccato.

 

- Ah, ok! - risposi.

 

Aprii il frigorifero, notai una bottiglia di Beck's, la afferrai e dissi - Birra mi sei mancata! -

 

- Cosa credi di fare? Non vorrai mica bertela? Per colazione c'è una scatola di gelato, mangiati quella! Non ti basta il fatto che sei una drogata? Ti metti pure a fare l'alcolizzata come tua madre? - sbottò John.

 

- Questa è la mia colazione. - squittii senza guardarlo negli occhi, diedi una pacca sulla spalla a John e dissi con tono beffardo - Buona giornata Johnny caro!. -

 

Finalmente era sabato mattina, potevo stare tranquilla senza tante rotture di coglioni, solo io e la musica.

 

Ero in camera mia ad esercitarmi con la chitarra quando avvertii un forte senso di nausea

 

- John? - non avevo mai il coraggio di chiamarlo padre, quindi mi limitavo a chiamarlo come lo chiamano tutti, semplicemente John, a me andava bene così.

 

- Cosa c'è Cherie? -

 

- Non mi sento tanto bene - non feci in tempo a finire la frase che svenni sul colpo.

 

L'emicrania mi fece svegliare.

 

Mi misi una mano sulla fronte per coprirmi dalla luce che filtrava dalle finestre, mi bruciavano gli occhi. Mi sentivo martellare la testa. Colpa dell'alcool ingerito a colazione, assieme a quello di ieri sera assieme all'eroina ed il quaalude con i loro effetti collaterali. Questo era certo. Ricordo soltanto che stavo per suonare Bad Reputation di Joan Jett, poi... il vuoto.

 

In quel momento sentii la porta aprirsi. Non credetti ai miei occhi quando vidi entrare John. Wow, prima volta che si prendeva veramente cura di me. Il mio sguardo incrociò il suo. Rimanemmo immobili a fissarci, io sconcertata e lui... beh, lui sembrava un po preoccupato, ma non riuscii ad afferrare a pieno la sua espressione.

 

- C..C...C...Cherie?! - sussurrò con voce insicura e tremolante, mordendosi il labbro, lo faceva sempre quand'era nervoso od impacciato - Come ti senti adesso? -

 

Come mi sentivo? Confusa, scioccata, nervosa, non capivo dov'ero ..... e dannazione John smettila di mordicchiarti quel labbro.

 

- Dove mi trovo John? Questa non è camera mia! - cercai di avere una risposta dall'unica persona nella stanza. Speravo rispondesse, non disse niente, mi abbracciò soltanto, quella cosa mi stranì alquanto, non era da John abbracciarmi.

 

- Il dottore ha detto che stavi rischiando la morte, seriamente Cherie sono preoccupato per la tua salute, tutto quel bere, fumare e drogarti. Cherie, io ti voglio bene e non immagini quanto, ho paura che tu possa andartene da un momento all'altro, so che non ci sono mai stato per te, non sai quanto mi dispiace non averti potuto crescere nel modo giusto, mi dispiace di averti lasciata sola sin da quand'eri piccola, mi dispiace per come sta andando la tua vita, scusami Cherie, scusami per tutto, mi dispiace. - e quella fu la prima volta che vidi John con le lacrime agli occhi, e no, non erano finte.

 

- Si certo John, la sai una cosa? Io ti odio, ti odio per tutto, ti odio per il fatto che non avevi costretto la tua amata Sandie Anderson ad abortire, almeno adesso tutti vivrebbero felici e contenti senza la mia costante presenza, ti odio perchè non mi hai dato in adozione, ti odio perché la mia vita è un inferno. Ti odio per il fatto che ti scopi ancora Sandie nonostante il divorzio. TI odio per il fatto che durante la notte sento tutto: i suoi gemiti strozzati per paura di farsi beccare, il tuo respiro irregolare intervallato da qualche gemito profondo. Ti odio per il fatto che mi tieni all'oscuro di tutto. E la colpa è tua, solo ed esclusivamente tua, che a 21 anni hai pensato di fare quella bravata che ormai non si può più cancellare, cosa speravi? Che ti perdonassi? Hahahahahah hai capito male, malissimo! John tu mi hai rovinato la vita! - scoppiai in un pianto isterico. All'udire di quelle parole taglienti come un coltello e più distruttive di una granata, John si avvicinò a me, delicatamente mi baciò sulla tempia, mi abbracciò, prese la sua giacca di pelle, la adagiò sopra le lenzuola e prima di andare sussurrò - Scusami. - poi se ne andò. Finalmente ero sola, completamente sola.

 

Guardai John dalla finestra allontanarsi sempre di più, fino a che lo persi di vista, e così anche un'altro frammento della mia inutile vita se ne era andato; ora ero sola, abbrandonata da tutto e da tutti, in una stanza d'ospedale che odorava come l'ufficio della vecchia Fuchs. Non avevo nessuno con cui sfogarmi, in quel momento desideravo soltanto che arrivasse Jackie, si stendesse accanto a me e stesse là a farmi compagnia. Dovetti passare la notte rinchiusa in ospedale, non avevo niente da fare, l'unica cosa era piangere, piangere per tutto quanto. A me andava bene così, sfogarsi col pianto è la cosa migliore che si possa fare secondo me. Ero consapevole di essere un disastro, dalla culla alla bara...

 

 

  
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