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Autore: goldenfish    19/10/2013    1 recensioni
...Quando la sento singhiozzare penosamente torno da lei e osservo da lontano i suoi occhi arrossati e gonfi e le guance bagnate. Se me lo permettesse proverei a leccare via il dolore assieme al sale delle lacrime che le rigano le guance.
Si stinge le ginocchia mentre si urla frasi di completo disprezzo. Ha impigliate tra le dita delle ciocche dei suoi capelli scuri e del sangue avvelenato che le scorre sul dorso della mano.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Lasciami leccare via il tuo dolore
di Goldenfish

 
Sollevo lo sguardo, ho ancora la mente annebbiata dai fumi del sonno e i cuscini del divano si sono abbassati sotto il mio peso creando una confortevole conca che avvolge il mio corpo. Mi stiracchio mentre strizzo gli occhi per avere un'immagine più nitida di ciò che mi circonda.
I passi dei suoi piedi rimbombano nei miei timpani e paiono musica, se sapessi cantare avrei intonato una ritmata canzone blues: una di quelle che ascolta sempre lei. Con la camicia da notte giallo canarino che le svolazza contro le cosce formose ricoperte da una sottile peluria bionda, pare un fiore appena sbocciato. Mentre cammina lascia una scia del suo profumo dolce come se fosse polline ed io l'ape che la insegue in cerca di nutrimento.
Si è appena svegliata, esattamente come me. Ha la faccia struccata e triste, gonfia per il sonno. E' il viso che mostra solo a me. Sono l'unico a sapere tutto di lei, l'unico ad aver visto il suo corpo nudo di cui si vergogna tanto, ma che, per me, è bellissimo. Vorrei dirglielo, vorrei spiegarle che è la più bella che esista, che non deve piangere per il ventre troppo gonfio o per le guance piene perché quando mi abbraccia e mi accarezza è morbida proprio come il divano su cui ho dormito. La sua pelle è vellutata e sa di latte e cucina. I suoi capelli non sono unti come dice lei mentre se li taglia davanti allo specchio con aria furiosa e gli occhi appannati dalle lacrime, ma luccicanti come le stelle che osservo di notte, steso sul prato. Gli occhiali dalle lenti spesse le espandono i suoi laghi color turchese conferendole un'aria saggia e dolcissima, non da idiota, come sostiene lei nel suo diario di pelle rossa. Temo perfino di poterci annegare dentro se li fisso troppo intensamente.
A volte mi stendo sul suo letto e la osservo scrivere. La schiena curva e la maglia attillata che delinea tante ciambelline attorno ai suoi fianchi, la carne delle braccia danza ad ogni suo movimento e io provo l'impulso di mordicchiargliela, sembra così invitante.
Scommetto che se gliela mordessi fino a congiungere le punte dei denti, verrei investito da una cascata di miele e latte.
Se le cavassi uno dei suoi chiarissimi occhi invece del sangue spruzzerebbe petali di rosa e di camelia.
Ogni volta che una ragazza mi sfila davanti penso a lei, mentre l'erba avvolge le mie dita come una mamma amorevole, e non riesco a capire perché le invidia tanto: sono tutte uguali. Stessi capelli lunghi e leggeri, stesse sopracciglia che paiono disegnate e stesse gambe così magre che non mi stupirei di vedere rotte alla prima folata di vento.
I raggi del sole penetrano attraverso il vetro della finestra.
Colpiscono la mia pelle infondendomi un piacevole tepore. Lei sposta il suo sguardo verso di me, sento i suoi occhi sondarmi e allora quel tepore si trasforma in un vero incendio e la mia pelle ribolle e si stacca per cadere al suolo, lasciando i muscoli scoperti. Mi accarezza con le ciglia lunghe e io socchiudo gli occhi per assaporare al massimo quel piacevole momento.
M'impongo nella mente la sua immagine circondata dalle tende rosa e leggere che svolazzano sempre nella sua cameretta. Il suo sorriso argentato che splende sotto la luce del sole è più bello delle dentature bianche che lei agonizza tanto. Nessuno di quei sorrisi riesce ad accecarmi come il suo.

-E' ora di colazione- mi dice e io scatto in piedi e la seguo. Fremo mentre lei mi versa il latte. Beviamo quello della stessa bottiglia e questo mi fa sentire onorato. Mentre aspetto impaziente, lei mi racconta della sua giornata ed io l'ascolto rapito. A volte mi perdo nel suono della sua voce e tra le sue sopracciglia folte e scure che sembrano una foresta selvaggia. Ogni volta che se le strappa con quelle maledette pinzette mi sento morire. Vedere cadere quei peli è come assistere alla falciatura dell'erba su cui mi stendo ogni pomeriggio. Tutto più ordinato e pulito, certo ma il fascino e l'armonia vengono completamente annientati e allora la terra scura e i sassi sostituiscono la morbida nuvola verde e mi fanno male, rimangono scomodi e freddi e le cavallette e le farfalle smettono di giocare con me, non mi fanno più il solletico con le loro zampine e non posso più udire il frullio di ali delle cimici e delle coccinelle. Dei fiori rimane solo un misero stelo mozzato che finirà con l'avvizzirsi nel giro di qualche giorno e allora io piango perché non voglio che anche lei perda la sua vera natura per assomigliare a quei giardinetti artificiali e privi di vita. Lei che venderebbe l'anima per essere una delle donne che girano nel centro della nostra città, non capisce quanto meravigliosa e autentica sia, priva di tutti quegli artifici che la rendono primitiva quanto un prato incolto o la foresta delle sue sopracciglia.
-Mi ha presa in giro un'altra volta- singhiozza, mentre scaglia la tazza piena di latte e caffè contro il muro. Io la guardo atterrito, mentre il suo dolore avvolge anche me penetrandomi fin sotto pelle e ferendo il mio cuore.
Sanguiniamo insieme, le sussurro, ma lei è troppo impegnata a graffiarsi la faccia e a strapparsi i capelli per ascoltarmi. Mi avvicino e premo il mio corpo minuto contro il suo, accucciato in un angolo, e cerco di trasmettetele il mio calore, farle capire che io non la prenderò mai in giro. Che io la amo perché è un dono della Natura. Lei ruota la mano verso di me e mi fa intendere che devo lasciarla in pace, ma io non voglio che soffra da sola, che rimanga schiacciata dal peso del suo dolore, allora lei s'innervosisce e mi allontana bruscamente calciando il mio costato. Mi allontano avvilito domandandomi il motivo per cui non sfrutti la sua forza contro tutti quelli che la feriscono.
Quando la sento singhiozzare penosamente torno da lei e osservo da lontano i suoi occhi arrossati e gonfi e le guance bagnate. Se me lo permettesse proverei a leccare via il dolore assieme al sale delle lacrime che le rigano le guance.
Si stinge le ginocchia mentre si urla frasi di completo disprezzo. Ha impigliate tra le dita delle ciocche dei suoi capelli scuri e del sangue avvelenato che le scorre sul dorso della mano.
So che non posso fare molto per lei, so che non esiste una colla per il suo cuore spezzato ed eccessivamente trascurato che sta lentamente marcendo nel suo petto, ma vorrei ugualmente vederla ridere come faceva una volta, quando la sua risata grassa m'investiva come un'onda. Quando era felice. Allora mi avvicino e mi accuccio nel suo ventre morbido e sudato e le pulisco le ferite e le lacrime. A questo punto lei mi regala un sorriso sollevato ed io sono al settimo cielo.
In un attimo la stessa mano carica di rabbia che ha scagliato la tazza contro il muro, si fa dolce e delicata sulla mia testa e la stessa bocca che ha vomitato oscenità mi regala parole affettuose. Smette di piangere e, almeno per ora, dimentica lo stronzo che l'ha fatta soffrire.
Le ho donato un po' della mia felicità e mi sento soddisfatto.
Ho adempito al mio compito.So perfettamente che domani tornerà a piangere e che questa è solo una piccola parentesi felice nella sua vita dolorosa satura di complessi e paure, ma, purtroppo,
sono solo un gatto.
 
  
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