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Autore: tortuga1    19/10/2013    2 recensioni
Gli uomini e le donne sono spesso lontani pur vivendo vicini, così tanto da avere difficoltà ad incontrarsi. Pensando a questo mi è venuta l'idea di SPLIT, una storia ambientata in un futuro possibile, nella quale uomini e donne sono stati separati per un esperimento che aveva il fine di salvare l'umanità dall'estinzione. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto, e alla fine del viaggio uomini e donne non si sono più incontrati...
La storia comincia così, nella comunità di sole donne che ha colonizzato come previsto il pianeta Terra Due, e da secoli ormai ripete un rituale di clonazione.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SPLIT

Personaggi principali

 

 

 

  • Anna/Giulia esperte di computer

  • Antonio/Helix Horn comandante della missione maschile

  • Francesca/Rina addette alla sicurezza

  • Elisabeth/Carmen comandante della missione femminile

  • Emily/Flavia ingegneri e virtuose musicali

  • Erika/Carmen meccanica

  • Ester/Paula medicina e ingegneria genetica

  • Habel/Nikita ufficiale della sicurezza

  • Helga/Marzia addette alla sicurezza

  • Judith/Ernesta responsabili dell’energia

  • Miko/Sarah responsabili della sicurezza

  • Naomi/Genevieve piloti

  • Sebastian/Salvatore ufficiali medici

  • Stephy/Adele esperte in comunicazioni

  • Steve/Nicola ingegnere ed investigatore

  • Tania/Sandy arte clandestina e agricoltura

     

 

 

I.

 

Perché erano cattivi, cattivi dentro, ti dico! – le mani ossute screpolate dal lavoro pesante e costellate di geloni si muovono sicure fra i pericoli dei fornelli a legna. La cucina è satura di fumo ma tiepida, non si direbbe che fuori c’è un metro di neve.

Cattivi dentro... che vuoi dire? – Giulia, fra poco sedici anni, si muove inquieta sulla panca di legno duro. Come sempre d’inverno c’è poca energia e serve solo per le cose essenziali, è meglio tenere spente le lampade il più possibile. Per fortuna la legna non manca, basta pensare in tempo a segarla e conservarla al coperto ben ordinata, prima che il sole vada via e le macchine ridiventino pezzi di ferro gelato.

Cattivi significa quello che tu non puoi essere, e nemmeno io, e nessuna di noi. – Anna ripete stancamente quello che le hanno detto, quello che c’è scritto nelle banche dati, tutto ciò che non è stato cancellato. – non erano come noi, però stavano con noi. E un giorno tutto è cambiato. Siamo andate via.

Andate via, da dove?

Non c’è scritto, questo! Se non c’è scritto significa che non serve saperlo. Non essere curiosa. Siamo venute qui, e stiamo benissimo senza di loro.

Ti prego, dimmelo! Tu sei vecchia, devi saperlo per forza...

Basta con le domande! – la voce di Anna diventa aspra, questa ragazzina magra è noiosa, le ricorda... – Invece di farmi perdere tempo vai fuori, prendi un cestino di legna.

Va bene, Anna. – la ragazza si copre con un antico mantello argenteo e armeggia con la porta di quercia pesante. Finalmente riesce ad aprirla con una spallata, vincendo il vento che soffia dentro uno spruzzo di neve.

Torna subito dentro, si sta facendo scuro. E non allontanarti dalla casa, capito?

Va bene, Anna. – Giulia chiude la porta dietro di sé, e guarda in alto sorridendo. La neve continua a cadere, le piace da morire la neve, non le fa paura la noiosa raccomandazione che morire si può davvero assiderati, se si perde l’orientamento a pochi metri da casa. Gli alberi della foresta, larici e abeti altissimi, sono diventati sculture fantastiche, sembrano leggeri e quasi capaci di danzare, è strano, perché di sicuro la neve li spinge giù con il suo peso. E anche le poche piante spoglie vicino alla casa, querce e castagni, sono eleganti come i mandorli favolosi coperti di fiori che ha visto sullo schermo del computer. Giulia respira profondamente divertendosi a guardare gli sbuffi di vapore del suo alito, poi gira intorno alla casa rimanendo sotto la tettoia, lungo il percorso scavato dai suoi passi nella neve alta. La legnaia è ancora piena, piccoli tranci facili da maneggiare, in estate e in autunno lei e Anna li tagliano facilmente con la sega elettrica e poi li sistemano in ordine. Quasi dispiace disfare la catasta e bruciare i tronchetti, tanto sono belli a vedersi. Nel chiarore incerto del rettangolo della porta Giulia ci vede ancora, non occorre accendere la luce. La catasta di legna sembra un castello, o una di quelle costruzioni che le piacevano tanto quando era bambina. Ora che è cresciuta non gioca più con le costruzioni, però ogni tanto ci pensa ancora. Non sente freddo, protetta dal mantello che sembra di carta ma è molto più caldo di una pelliccia. Le mani invece soffrono, i guantini di lana sono consumati e Anna non si decide a fargliene un altro paio. Sarà perché lei è cresciuta, è diventata donna, ora dovrà imparare a sbrigarsela da sola. Va bene, vuol dire che si farà insegnare da Anna come si fa la maglia. Riempie di tronchetti un cestino con le rotelle e lo trascina lungo il sentiero, dopo aver chiuso bene la porta. Anna glielo raccomanda sempre, di non lasciare mai porte aperte, anche se lei non sa bene perché. Non ci sono animali pericolosi, qui, niente di più grande di una volpe, e anche quelle se la danno a gambe appena vedono un’umana.

Ce ne hai messo di tempo! – Anna è irritata e scontenta, il dolore al fianco sinistro è diventato più forte, sarà colpa del freddo. Oppure è perché si avvicina il momento. Già, il momento, rimangono esattamente due anni e sette mesi e non si potrà più alzare dal letto, poi per farla finita basteranno altre due settimane. Come sono passati in fretta questi settantasei anni, le sembra ieri di avere riconosciuto per la prima volta il viso un po’ avvizzito di Giulia. Ora che ci pensa, quel viso consumato a lei sembrava bellissimo. La macchia nera frastagliata lungo la tempia, gli occhi verdi identici a quelli di Giulia, di questa Giulia che la guarda preoccupata e sorride incerta come per farle coraggio.

Come ti senti... ti fa sempre male? – la ragazza si avvicina, appoggia una mano leggera sul ventre piatto di Anna, e lei si sforza di sorridere.

No, stai tranquilla. – stringe la mano di Giulia, deve ancora crescere un po’ per diventare grande come la sua. – adesso è passato.

Sono contenta. – Giulia la circonda con le braccia e affonda il viso sul petto di Anna, che la supera ancora di almeno dieci centimetri. – ti voglio bene, sai.

Anch’io ti voglio bene. Ora sediamoci, prendiamo un tè caldo. Stamattina ho fatto i biscotti.

Quelli con l’uvetta? – Giulia sorride contenta, di sicuro non perché è golosa, a lei non importa molto dei biscotti, però se Anna li ha fatti significa che non sta troppo male.

Proprio quelli, io li preferisco a tutti gli altri.

Anch’io! Allora, continua a raccontarmi.

Uffa, che noia! Ma chi ti ha messo in testa questa favola?

La dottoressa oggi ne ha parlato a scuola, alla lezione di genetica. Ha detto che forse abbiamo fatto male, ma poi non ha voluto dirci cos’abbiamo fatto. Era triste e quando abbiamo insistito ha cambiato discorso, sembrava... è strano, sembrava spaventata.

Quella cretina di Ester! Ma che cosa ne sa lei! – Anna appoggia bruscamente il bollitore sul fornello, facendo traboccare un po’ d’acqua.

E tu invece lo sai? Cosa sai tu più di lei? – Giulia insiste guardando fisso il viso scarno di Anna, dominato dai grandi occhi verdi. Ma Anna resta impassibile, solo scopre i denti bianchi in una smorfia dura.

Io non so niente, e nessun’altra sa niente, perché non c’è niente da sapere.

Mi stai insegnando quello che sai. Lo fai da quando mi ricordo, e ora sono arrivata molto avanti. Però una cosa non me l’hai detta mai. In quei macchinari che tu sai usare, non c’è nessuna risposta? Sei davvero sicura?

Certo che sono sicura! – gli occhi di Anna mandano un lampo e Giulia distoglie lo sguardo. Questa donna che le è stata sempre vicina, che lei oscuramente sente di amare anche se non sa perché, riesce ancora a farle paura. – tu dovrai usare le macchine, sarà questo il tuo compito. E allora... – la voce esita, e lei si gira bruscamente fingendo di controllare il bollitore. È troppo, è troppo e nemmeno lei lo sopporta. Vince la tentazione di mettersi a gridare e respira profondamente. – e allora capirai, che non c’è niente di nascosto.

Ti senti male di nuovo...

No, stai tranquilla.

Però qualcosa sai. E anche le altre maestre. Anche Sarah me l’ha detto, che la sua maestra non vuole dirle cos’è successo.

Ma io te l’ho detto, no? Loro ci facevano del male, ci mettevano in pericolo. E così c’è stata la guerra.

La... guerra? È la prima volta che me ne parli.

È normale. – Anna versa l’acqua bollente nella teiera e aggiunge tre cucchiaini di tè. – io devo insegnarti poco alla volta, altrimenti non capiresti.

Allora vuoi dire che mi stai insegnando un’altra cosa. – gli occhi di Giulia brillano e le labbra si schiudono in un sorriso felice. Come tutte le altre, ha voglia di sapere e di capire, per lei la conoscenza è più importante dell’aria. Anna le restituisce lo sguardo e scopre un vassoio di biscottini all’uvetta. Ne prende uno e cerca di assaporarlo, pensando alla prima volta che lo ha assaggiato. Una visione confusa dei gradini della porta d’ingresso, gli stessi di ora, naturalmente, il dolore alla fronte e le lacrime amare. E poi le mani ruvide e fresche di Giulia appoggiate sul bernoccolo che sembravano portare via il dolore, e il profumo di un biscottino identico a questo, ecco la prima volta.

Sì, ti sto insegnando una cosa nuova. La guerra è stata lunga e dolorosa, e poi noi siamo andate via.

Non ti sembra di essere troppo...vaga? Dici che la guerra con questi esseri malvagi è stata lunga e dolorosa, ma tu cosa ne sai? E poi, cos’è esattamente una... guerra?

Una guerra è quando si è assolutamente nemici, e si cerca di distruggersi a vicenda.

È... terribile. Non ho mai visto una cosa simile...

Certo, e qui non la vedrai mai. Noi possiamo litigare, come è successo l’anno scorso fra me e Francesca, però non ci facciamo la guerra.

Vuoi dire che la guerra è peggiore di quello che hai fatto alla maestra Francesca? Le hai dato un pugno, e lei è caduta a terra. Se succede a scuola molto meno, anche solo una parola sgarbata, le maestre ci puniscono severamente.

Lo so che è proibito. Questa è la legge, non bisogna mai usare la violenza. E io mi vergogno ancora per quello che ho fatto. Però la guerra è molto peggio.

Peggio... non capisco cosa possa esserci di peggio di un pugno nello stomaco! La maestra Francesca è diventata pallida, sembrava che dovesse vomitare. E anche tu hai capito che l’avevi fatta grossa, ti sei inginocchiata vicino a lei con una faccia che non si capiva chi le aveva prese e chi le aveva date...

La guerra è una cosa terribile. Ho visto cosa succede, è... – Anna s’interrompe, forse non è ancora il momento.

Dove, dove l’hai visto? – Giulia respinge la tazza intatta e afferra le mani di Anna. – ti prego, dimmelo!

E va bene. – inutile, inutile lottare, tutto deve ripetersi inesorabile come la morte. – in uno dei dischi del computer centrale, quello che dovrai usare tu. C’è una parte che non è stata cancellata, una piccola parte. Ci si arriva facendo i collegamenti a mano, con un cavo che ho costruito io tanti... anni fa. Funziona ancora. Fa paura, si vede come loro... si uccidevano.

Uccidere... significa quello che facciamo agli animali quando dobbiamo mangiarli?

Proprio così. Però loro, quei mostri, lo facevano fra di loro, e non per mangiare! Non so perché, ma è una cosa perversa!

Anna, se c’è stata una guerra, allora hanno ucciso anche noi...

Certo, di sicuro hanno ucciso anche noi!

E noi... abbiamo ucciso loro?

No... non lo so. Non si capisce. Non sono mai riuscita a capire.

Ne hai parlato con le altre maestre?

No. Non serve, ognuna deve fare la sua parte, le interferenze non fanno bene alla comunità, le direttive sono molto precise in proposito. E poi non cambia nulla.

E se loro... ci vengono a cercare?

Non succederà.

Come fai ad esserne così certa?

Perché... e va bene, ormai ho detto quasi tutto, tanto vale dire tutto quanto. Non mangi nemmeno un biscottino?

Non ho fame.

Va bene. Ti ho parlato spesso delle direttive, contengono tutto quello che c’è da sapere sulla nostra storia, e su come deve essere regolata la nostra vita. La prima direttiva dice che i nemici sono stati distrutti. Significa che la guerra l’abbiamo vinta noi.

 

 

La scuola è nel centro del villaggio, una casa di legno grezzo come le altre, ma senza divisioni interne, si entra direttamente in una grande aula con cinquanta banchi. Dalle finestre alte e strette filtra un po’ di chiarore, al centro del soffitto una lampada a basso consumo diffonde una luce bluastra. Giulia odia questa luce fredda che fa sembrare pallide e smunte le sue compagne, come se fossero tutte malate. Oggi insegna la maestra Francesca, che si occupa di letteratura e musica. È bassa e pesante, con il viso largo costellato di venuzze rosse, gli occhi un po’ sporgenti e le grosse mani deformate dall’artrite. Armeggia con la tastiera del terminale e sceglie un file multimediale.

Oggi vi farò vedere una cosa nuova. Finora abbiamo solo ascoltato la musica, ma oggi vedremo un frammento di un’opera. L’unico che abbiamo.

Opera, maestra? Non ce ne hai mai parlato…

È un pezzo di filmato che mostra una donna mentre canta. È molto arrabbiata perché l’hanno offesa, e lo dice… cantando.

Cosa le hanno fatto?

Non lo so, questo è solo un frammento molto breve, l’opera intera è andata perduta. Non so nemmeno esattamente cosa dice, parla una lingua sconosciuta. Sappiamo che si chiama Donna Elvira perché nel filmato c’è una sovrimpressione, e abbiamo scoperto che ripete più volte le stesse parole, come se fossero un pretesto per giustificare la musica. Pensiamo che questa opera sia stata scritta più di duemila anni fa, però la registrazione è più recente. Fate caso all’orchestrazione, basata soltanto su strumenti acustici. Gli archi, ricordate?

Sì, maestra. Violino, viola, violoncello e contrabbasso.

Bene, Giulia. E qualcuno ricorda gli ottoni?

Sì, maestra. La tromba, il trombone e la tuba. I sassofoni e i corni.

E i legni?

Oboe, fagotto, controfagotto, clarinetto e flauto.

Benissimo. E vi ricordate i vari tipi di flauto?

Certo, quello dritto di legno in diverse misure, che dava problemi di intonazione perché si inumidiva troppo, e poi quello traverso, sempre di legno duro. In tempi più recenti questo strumento fu realizzato in metallo, ottone o argento, e divenne molto più efficiente.

Sei bravissima, Flavia. Ti piace tanto la musica, vero?

Sì, maestra. Studio durante il tempo libero con Emily.

E diventerai brava come lei, ne sono sicura.

Vorrei poter suonare uno di questi strumenti antichi...

Sarebbe bello, lo so, però sono andati perduti. Nella banca dati ci sono gli schemi per costruirli, e anche tutti i particolari tecnici per suonarli. Purtroppo non abbiamo abbastanza tempo per queste cose, come sai. Dovrai accontentarti del campionatore.

Sì, maestra.

Torniamo alla strumentazione. Chi mi dice qualcosa del clavicembalo?

Io, maestra. Il clavicembalo è uno strumento a tastiera come il campionatore, ed emette suoni nella stessa scala che si chiama tamp... temp…

Temperata. Cosa significa?

Io... non l’ho capito bene.

Qualcuno l’ha capito? – dalle facce incerte la maestra si accorge che deve dare un supplemento di spiegazione. – e va bene. La scala che noi suoniamo con il campionatore è un compromesso, una delle infinite possibili. È stata inventata prima di quest’opera che sentiremo, proprio per il clavicembalo.

Per questo la raccolta di sonate si chiama “clavicembalo ben temperato!”

Certo, Marzia. Dovresti ricordartelo, l’ho detto a lezione, ma tu forse pensavi a qualcos’altro. Per fortuna ci sei arrivata da sola. Continua.

Bene, il clavicembalo è simile al pianoforte, perché ha i tasti e le corde, però...

Dai, continua. Dimmi quali sono le differenze.

Non l’ho capito. Dal suono non si capisce.

Come, non si capisce! Li ho simulati con il campionatore, sia pianoforte che clavicembalo! Vi ho fatto provare a suonarli!

Io... non lo capisco. Mi sembrano tutte... sciocchezze. – Marzia si morde il labbro, è riuscita a frenarsi all’ultimo momento e non dire “stronzate” come avrebbe fatto la sua maestra, Helga.

Basta così, inutile discutere con te. – la maestra guarda con tenerezza il viso acerbo pieno di lentiggini di Marzia, è piccola per la sua età e non si capisce che in meno di un anno crescerà e diventerà bella da fermare il respiro. – Ora faccio partire il filmato. State attente e poi ditemi le vostre impressioni.

Lo schermo piatto s’illumina e la musica inizia, un preludio di archi, poi la voce pura e altissima, canta parole incomprensibili ma piene di dolore e rabbia, si sente benissimo. Le ragazze guardano stupite la donna che canta, è vestita con un ricco abito dalla gonna ampia e lavorata, molto diverso dalle loro tute, e specialmente le colpisce l’acconciatura complicata dei capelli, rialzati sul capo come una scultura, e poi...

Maestra...

Jill, aspetta che il pezzo finisca.

Ma maestra...

E va bene. – tocca un tasto e la scena si arresta, la donna rimane con un braccio alzato e il viso di tre quarti, la bocca aperta nell’acuto interrotto. – dimmi.

Maestra, la cantante è... diversa.

Come, diversa? Cosa vuoi dire?

Non è... anziana come te. E non è nemmeno una ragazza come noi. È grande come una maestra, però...

Hai ragione. Non immagini perché, no? – la maestra percorre con gli occhi l’aula gremita di ragazze, tutte immobili e attente, beh quasi tutte, Marzia sta parlando fitto con Rina, che l’ascolta con gli occhi socchiusi. Come un’altra volta... – bene, ragazze. Non vi ho fatto vedere per caso questo filmato, è perché devo dirvi una cosa. Intanto, quante di voi hanno già le mestruazioni? Alzate la mano. Tre, sei, e sette da questo lato siete tredici, no, quindici. Poche ancora, però fra meno di un anno ce le avrete tutte quante.

Maestra, come fai a saperlo?

Zitta, lo so e basta. La maestra Ester vi ha spiegato tutto, come e perché.

Sì, è vero che lo ha spiegato, però non abbiamo capito bene…

Capirete meglio col tempo. Ora dovete considerare una cosa, che state crescendo. Diventerete sempre più alte, fino ad essere come noi.

Diventeremo anziane?

Con il tempo sì. Però ci vorrà molto tempo. Per un lungo periodo sarete come questa cantante, grandi però non anziane. Capito?

Ma... come mai di donne così qui da noi non ce n’è nemmeno una?

Saprete anche questo, però io non voglio oltrepassare un certo limite. La nostra comunità è basata sull’equilibrio, come sapete. Penso che sia più giusto se ogni maestra lo dirà alla sua compagna, a modo suo, con le parole che vorrà. Io ne parlerò soltanto con Rina.

Maestra, perché hai cominciato il discorso se poi non vuoi dirci niente? – Marzia non si sente affatto intimidita dalla maestra Francesca, se n’è accorta da quando era piccola. E dire che lei in genere a scuola non ha la vita facile, per esempio la maestra Ester le fa paura con le sue sfuriate e la maestra Anna la fa sentire una stupida, dato che la matematica non riesce ad andarle giù.

Le vostre maestre ve ne parleranno, oggi o domani al massimo. Lo abbiamo deciso tutte insieme, e così devi solo avere pazienza per qualche ora. E adesso facciamo ripartire il filmato, ricordatevi che questa è la lezione di musica.

  
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