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Autore: Ita rb    19/10/2013    4 recensioni
Dal testo: Quell’immagine se ne stava lì, incurante di tutto, senza proferire un solo fiato, mentre gli occhi rossi lo esaminavano – stavano scrutando proprio lui, ne era certo.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sha Gojio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, è strano che io riesca a scrivere qualcosa, soprattutto sul fandom, ma devo ammettere che ultimamente mi stanno bazzicando in testa delle idee e quella che propongo in questa OS è una di queste, nata in un giorno come un altro, guardando il film “The Butterfly Room” – se non l’avete visto, magari guardatelo a tempo perso, perché è davvero bello e a me ha toccato molto ç//ç
Di solito non scrivo mai di cose che mi sono nate a causa di un’ispirazione esterna, ma fondamentalmente il richiamo al film è molto blando e lo noterete anche solo guardando il trailer, volendo ~
A chi dedico questa fan fiction? A me stessa, lol X°
Nonostante io non sia così affine al personaggio di Gojyo, nonostante il mio carattere non centri assolutamente nulla con il suo, forse alcune cose che lo riguardano posso comprenderle anch’io, purtroppo.
Che ami l’introspezione già si sa, perciò spero solo che questa OS possa piacervi e mi defilo elegantemente (?) nel bozzolo (?) della tristezza di oggi che mi ha colta impreparata dopo aver incontrato inaspettatamente una persona che avrei voluto smembrare amabilmente con le mie sole mani *mega-smile*
Xoxo
 
 
Con il suo sguardo,
fintamente,
l’osservava.
 
Mostrava la sua schiena indomita con spavalderia e noncuranza, schernendolo nelle sfumature plumbee che gli portavano alla mente i silenzi sordi dell’infanzia – quelle melodiche urla che, lentamente, avevano imparato a tacere oltre gli acuti guizzi d’apatia, assecondando le palpebre pesanti e la loro voglia di cadere verso il basso.
Non faceva che guardarlo e il tempo sembrava essersi cristallizzato in gocce dense che, perse tra le nubi del cielo opprimente, si confondevano con la foschia grigia che carezzava l’aria, sfregandola senza pudore dalla sommità della sigaretta accesa che teneva tra le dita.
Se solo avesse sollevato quel coperchio di latta, nulla sarebbe volato via per poi librarsi nel vento: nulla, se non la delusione di non aver neppure pronunciato una parola di fronte alle sue lacrime che apparivano come rugiada sugli zigomi prominenti e tesi, segnati ai margini dalle dolorose rughe della disfatta.
L’aveva davanti a sé, ferma nella sua gabbia fatta di vetro soffiato e fuso che, liquido, ne anneriva i contorni e la distorceva appena.
Quell’immagine se ne stava lì, incurante di tutto, senza proferire un solo fiato, mentre gli occhi rossi lo esaminavano – stavano scrutando proprio lui, ne era certo.
Aveva sempre creduto che per voltare pagina e lasciarsi tutto alle spalle non sarebbe bastato liberare una farfalla nel vento, sussurrandogli quel desiderio infantile con un po’ di coraggio, eppure aveva ascoltato attentamente le parole di quel viandante, facendo in modo di catturarne un bell’esemplare nella zona boschiva ai margini del villaggio.
La disillusione del fallimento, però, sembrava inseguirlo costantemente a ogni passo, mentre i tacchi un po’ logori delle scarpe battevano al suolo un passo dopo l’altro, conducendolo nel vicolo stretto che costeggiava la casa ormai vuota.
Paura: aveva solo paura che il macigno nella sua gola sarebbe stato tanto pesante da mozzargli il fiato, costringendolo a rinunciare in partenza, mentre le ali fisse sembravano analizzare la sua figura con un certo sadismo e scherno, intimandogli in silenzio di provare quell’insulso rituale.
Provò appena l’impulso di distruggere ogni cosa, di farla cadere in terra per mandarla in frantumi con sfida, mentre il brusio del villaggio era solo un eco lontano e mostruoso che sormontava i pensieri solo per essere sottomesso poco dopo dagli stessi.
La confusione dimenticata di quei giorni lontani si sarebbe riproposta a fatica, ma infidamente l’avrebbe annientato nell’animo, qualora il detto del viandante si fosse rivelato un’assurda frottola; allora il vociare leggero e distante gli avrebbe fenduto le orecchie fino ad assordarlo e quel flebile mormorio del cielo, pronto ad annientare ogni segreto, sarebbe capitolato copioso in stille piccole e taglienti sulla sua pelle accaldata.
Che mura pallide erano mai quelle pronte per essere infrante?
Il fumo pareva denso dinanzi ai suoi occhi, mentre scivolava dalle sue labbra per annebbiargli la vista, e lei era ferma lì, sul suo rametto fresco che sembrava pronto a germogliare dal nulla: avrebbe potuto ucciderla per la sfacciataggine che gli mostrava, ricordandogli quale peccato avesse macchiato le sue membra prima ancora di essere additato come abominio, ma era troppo bella.
Ghignò al ricordo dei capelli sciolti di sua madre, così arruffati e selvaggi, e di quelle spalle fine che avrebbe voluto proteggere, stringendole tra le sue braccia con innocenza: tutto era andato in pezzi a causa sua.
Tenendo gli occhi chiusi, dopo aver mosso appena le labbra vicino alla superficie fredda che stringeva tra le dita, Gojyo svitò il tappo e attese – sì, attese così tanto da sentire il fastidio del filtro bruciato tra le dita e l’aria farsi più umida, mentre il cielo tuonava lontano nella promessa d’un acquazzone crepuscolare; allorché, dopo aver schiuso le palpebre, vide il suo corpo scuro nel barattolo, ancora aggrappato al ramoscello che non voleva abbandonare, e schioccando la lingua infastidito per la testardaggine della farfalla lasciò in terra il vasetto per poi allontanarsi alla svelta, dandogli le spalle con astio.
All’improvviso vide quegl’occhi battergli dinanzi con scherno, superandolo addirittura, prima di salire verso il cielo torvo.
Non voglio più vedere una donna piangere a causa mia.
   
 
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