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Autore: Kim_HyunA    21/10/2013    2 recensioni
Adorava sentirsi addosso il suo respiro. Era come se lo rassicurasse che era lì, proprio al suo fianco. Avrebbe potuto essere ovunque, a migliaia di chilometri lontano da lui, e invece no. Era accanto a lui. Ed era una sensazione meravigliosa.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Jonghyun aveva solo tre anni quando lo aveva visto per la prima volta. Era seduto in un angolo, in disparte, mentre focalizzava tutta la sua attenzione su un giocattolo che aveva tra le mani. Come se il mondo intero intorno a lui fosse scomparso, troppo irrilevante per i suoi gusti.
 
Jonghyun aveva iniziato a guardarlo con interesse con i suoi grandi occhi innocenti, trovando strano che un bambino potesse divertirsi giocando da solo. Lui amava stare con gli altri, inventare storie di pirati o di mostri, fare tutto ciò che faceva ogni bambino normale.
 
Fu questo il motivo che lo portò a notare Kibum per la prima volta, incuriosito da quella persona solitaria. Era strana, diversa, con il suo viso paffuto e un buffo fiocco in testa.
 
Sporse le labbra in fuori e corse verso di lui, strappandogli il gioco dalle mani senza nemmeno sapere perché. Era solo un bambino, non doveva necessariamente esserci un motivo dietro le sue azioni. Forse voleva semplicemente che alzasse lo sguardo, che si accorgesse di lui. E riuscì nel suo intento.
 
Quel bambino sollevò gli occhi da terra, guardandolo tra il sorpreso e il contrariato, e quasi Jonghyun si aspettava che scoppiasse a piangere, e invece no. Si alzò e si mise davanti a lui, i loro occhi allo stesso livello.
 
-Ridammelo- gli aveva detto, la voce leggermente nasale.
 
-No- fu la sua semplice risposta mentre allontanava il braccio per mettere in salvo il gioco. Si stava divertendo ad indispettirlo, almeno lo aveva strappato dalla sua solitudine.
 
Lo vide fare un passo davanti a lui e, prima ancora che potesse avere il tempo di accorgersene, Kibum gli diede una spinta abbastanza forte da fargli perdere l’equilibrio e farlo finire a terra.
 
E mentre Jonghyun era scoppiato a piangere disperato, il bambino aveva ripreso il suo gioco dalle mani dell’altro e se n’era andato soddisfatto.
 
 
 
 
 -Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?-
 
Jonghyun era sdraiato sul suo letto, un blocco degli appunti davanti a lui mentre scribacchiava qualche parola e qualche accordo per la chitarra. Alzò lo sguardo verso l’altro e sorrise perdendosi nei ricordi.
 
-Mi hai dato una spinta e mi hai fatto cadere- diede voce alle immagini che avevano subito riempito la sua mente mentre racchiuse tra le labbra un’estremità della matita.
 
-Solo perché mi avevi dato fastidio- rispose subito, non mostrando alcun rimorso per come aveva reagito.

-Solo perché te ne stavi tutto solo-
 
Kibum alzò gli occhi al cielo senza rispondere. Ma quelle sue graziose fossette sulle guance non erano passate inosservate all’altro.
 
 
 
 
Jonghyun non sapeva quando avessero iniziato ad uscire seriamente. O quando i suoi sentimenti verso Kibum avessero iniziato a cambiare.
 
Sapeva solo che al primo appuntamento era andato senza troppe aspettative, senza pretendere nulla, quasi come se fosse una delle loro solite uscite, quasi come un modo come un altro per passare un po’ di tempo insieme ma poco tempo dopo Jonghyun era già talmente preso che il cuore gli stava esplodendo nel petto per la troppa agitazione.
 
La verità era che non poteva rimanere indifferente davanti all’altro ragazzo. Kibum era perfetto, era bellissimo, e gli faceva sentire le farfalle nello stomaco. Ogni volta che lo vedeva, provava l’irrefrenabile impulso di prenderlo per mano, di avvolgergli un braccio intorno alla spalla e tenerlo vicino a sé.
 
E l’aveva fatto, l’aveva fatto senza pensarci troppo, senza farsi problemi, perché gli sembrava giusto, gli sembrava la cosa più giusta da fare in quel momento: la sua mano doveva stringere quella di Kibum, doveva intrecciarsi con le sue dita.
 
Aveva fatto quel gesto d’istinto, senza troppi pensieri, senza avere il tempo di pentirsene, e non aveva avuto il coraggio di guardarlo mentre lo faceva. Guardava semplicemente davanti a sé, gli occhi che gli si stringevano in un caldo sorriso.
 
E capì che quello era il suo posto, che non l’avrebbe più voluto lasciare.
 
 
 
 
Kibum aveva l’incredibile capacità di attirare Jonghyun, di non fargli mai staccare gli occhi di dosso e Jonghyun voleva abbracciarlo sempre, in ogni momento, in continuazione, voleva sentire il suo corpo caldo contro il proprio, voleva sentire la sua presenza nella propria vita.
 
E anche questa volta Jonghyun aveva agito senza troppe preoccupazioni, seguendo semplicemente il suo istinto che gli diceva che era quello il momento più adatto.
 
E mentre Kibum era sulla porta di casa, pronto per andarsene dopo l’ennesimo pomeriggio trascorso insieme davanti ad un film, tra silenzi imbarazzanti e sguardi furtivi, Jonghyun pensò che quell’abbraccio avrebbe potuto trasmettergli tutto ciò che provava e che non poteva esprimere a parole, perché non sapeva davvero quello che provava e quel gesto gli sembrò l’unico modo per risolvere tutto.
 
Gli strinse le mani intorno alla vita, perché sarebbe stato scomodo alzarsi sulle punte per cingergli le spalle —Kibum era diventato più alto di lui di parecchi centimetri e gli bruciava terribilmente ammetterlo—.
 
Aveva poggiato il volto contro il suo petto, ed era perfetto. Era perfetto che Kibum avesse reagito imbarazzato, portando un braccio intorno alle sue spalle dopo qualche secondo; dopo qualche secondo perché era stato colto di sorpresa; era perfetto perché sentiva il battito del cuore di Kibum riempirgli le orecchie e l’aveva sentito accelerare, e doveva essere un buon segno, no? Doveva essere un buon segno se non l’aveva allontanato ma aveva accettato il suo gesto, doveva essere un buon segno se aveva sentito le sue mani stringersi con più forza a lui. Doveva essere un buon segno perché non avrebbe potuto sopportare il contrario.
 
Jonghyun non riusciva a lasciarlo andare, perché non si era mai sentito così bene e pensava che non avrebbe potuto sopravvivere se si fossero allontanati.
 
Fu con una grande forza di volontà che alla fine riuscì a togliere le mani da lui, ed immediatamente si sentì come se gli mancasse qualcosa, come se una parte di lui ora mancasse e gli fosse stata strappata via e dovesse sempre stargli vicino per essere completo.
 
Tenevano entrambi lo sguardo fisso per terra e Jonghyun si sentiva le guance in fiamme perché non erano mai stati così vicini in quel modo o per tutto quel tempo. E ora si sentiva imbarazzato.
 
Gli aveva mormorato un intimidito “Ciao” e l’aveva guardato mentre si allontanava, non staccando gli occhi dalla sua schiena fino a quando non era scomparso dalla sua vista.
 
Per tutta la serata si era sentito le farfalle nello stomaco e il suo sorriso era così grande che presto i muscoli del volto gli facevano male. Ma non gli importava.
 
Non gli importava perché aveva abbracciato Kibum.
 
 
 
 
Jonghyun era un romantico, era un inguaribile romantico che sognava un bacio perfetto.
 
Sognava di baciare Kibum sotto il cielo stellato e la luna piena, sognava di baciarlo davanti al fuoco scoppiettante di un camino che illuminava i loro volti.
 
Sognava tante cose e ogni notte prima di dormire, si immaginava diversi scenari, tutti perfettamente dettagliati; pensava alle parole che avrebbero detto, alle espressioni che avrebbero fatto e alle emozioni che avrebbero provato. Aveva pianificato tutto in ogni dettaglio ma la vita aveva ovviamente deciso di non seguire il preciso copione che Jonghyun aveva preparato con tanta cura; per questo quando l’atteso momento avvenne davvero, il ragazzo fu colto alla sprovvista e non sapeva cosa fare.
 
Kibum era sdraiato sul suo letto, appoggiato sulla pancia e sui gomiti mentre le sue mani si muovevano freneticamente sul joystick, intento ad uccidere quanti più mostri gli si presentavano davanti sullo schermo della tv.
 
Jonghyun stava facendo altrettanto, seduto sul parquet del pavimento, le gambe incrociate che sostenevano le braccia. Stava sudando perché mai una partita ai videogiochi era stata così agguerrita, e la barra della sua vita era pericolosamente vicina al rosso e, no, non era possibile, non poteva perdere perché aveva giocato a quel videogioco da quando era piccolo e non vincere contro Kibum che era la prima volta che teneva in mano un joystick, non era assolutamente accettabile.
 
Buttò il joystick per terra quando la scritta “game over” comparve in caratteri bianchi nella sua metà dello schermo. E le cose non migliorarono quando, spostando gli occhi verso il personaggio di Kibum, si accorse che non sola la sua barra della vita era ancora completamente verde, ma quell’adorabile bastardo aveva anche osato raggiungere la fine del livello, alzando le braccia al cielo e urlando di gioia in segno di vittoria.
 
Ed era così bello in quel momento, che Jonghyun non poteva nemmeno arrabbiarsi per aver perso la partita. Ma quando i suoi festeggiamenti sembravano non avere intenzione di finire tanto presto, il moro sentì il proprio orgoglio incrinarsi un po’ di più.
 
-Yah, smettila!- gli disse frustrato.
 
-Ti brucia che hai perso?- rispose l’altro, ancora pieno di sé e con il sorriso che gli illuminava il volto.
 
-La fortuna del principiante- borbottò a denti stretti, non ritenendo ancora possibile che avesse davvero perso. Era certo che Kibum fosse stato semplicemente fortunato ed avesse schiacciato i pulsanti a caso, anche se, sotto sotto, sapeva anche che la colpa era sua, perché gli risultava leggermente difficile concentrarsi sullo schermo quando Kibum era a pochi centimetri da lui.
 
Mise scherzosamente il broncio, incrociando le braccia e, quando si accorse che Kibum si era spostato verso di lui, avvolgendogli le braccia intorno al collo forse per consolarlo, Jonghyun decise che avrebbe continuato a fingere di essere offeso se questo comportava quella vicinanza.
 
-Dai, vincerai la prossima volta- gli disse in tono consolatorio, passandogli una mano sulla testa e scompigliandogli i capelli in un gesto affettuoso -Forse-
 
Jonghyun sporse ancora di più le labbra, sperando in altre manifestazioni di affetto da parte dell’altro ragazzo e si stava girando verso di lui per ribattere qualcosa, ma evidentemente aveva avuto un pessimo —o un ottimo— tempismo perché aveva scelto l’esatto momento in cui Kibum si stava sporgendo verso di lui per dargli un amichevole bacio sulla guancia, risultando in un leggero ed inaspettato sfioramento delle loro labbra.
 
L’incidente fu talmente inatteso che ci volle qualche secondo a Jonghyun per realizzare quello che era successo. Improvvisamente si sentì il volto in fiamme e il cuore esplodere perché ciò che aveva appena sentito erano le labbra di Kibum contro le proprie. E anche se era durato solo una frazione di secondo, e il suo cervello aveva fatto a malapena in tempo a registrarlo, wow, era stato incredibile.
 
Si girò imbarazzatissimo, non avendo idea di cosa fare o cosa dire.
 
Seguirono alcuni secondi di silenzio, e quando Kibum prese parola poco dopo, Jonghyun gliene fu immensamente grato.
 
-Altra partita?- propose con tono visibilmente meno concitato di qualche minuto prima.
 
-S-sì- rispose l’altro, senza nemmeno avere il coraggio di alzare gli occhi dal pavimento ed afferrando il joystick che aveva scaraventato per terra poco prima.
 
Fu una strana partita quella che seguì, senza più le imprecazioni e le urla di prima, senza più i gesti veloci e decisi. I movimenti erano calmi e controllati e Jonghyun non riusciva nemmeno a concentrarsi sullo schermo, vedeva solo macchie di colore sfocate e indistinte, e non si sorprese minimamente quando il suo personaggio morì per la seconda volta quel pomeriggio.
 
 
 
Non era un bacio. O lo era? No, non poteva considerarlo un bacio. Era successo per sbaglio, era stato involontario, e Jonghyun non si aspettava che il loro primo “contatto” avvenisse in quel modo.
 
Quella sera aveva continuato a girarsi nel letto, ripensando a com’era stato avere le labbra di Kibum contro le proprie, cercando di fissare quell’istante e renderlo meno rapido. E aveva ripercorso talmente tante volte quei secondi nella sua mente, che molto presto non era più in grado di dire se quello che ricordava fosse successo davvero o se la sua immaginazione avesse arricchito di dettagli inesistenti quel momento.
 
 
 
 
Jonghyun non aveva nemmeno più il coraggio di immaginare quando e se si fossero baciati di nuovo, perché si era sentito così agitato la prima volta, che l’idea di un vero e proprio bacio lo spaventava a morte.
 
Non aveva programmato che succedesse di nuovo —e intenzionalmente questa volta— aveva semplicemente seguito il suo istinto, prendendo quella decisione in meno di una frazione di secondo, senza nemmeno il tempo di provare paura o agitazione. Aveva agito e basta. Senza troppi pensieri.
 
Kibum stava cucinando nella cucina di Jonghyun, concentrato con tutto se stesso nel preparare il miglior dolce che potesse per il compleanno dell’amico.
 
E Jonghyun lo guardava come estasiato mentre si muoveva con una certa dose di familiarità tra gli spazi della cucina, spostandosi da un cassetto ad uno scaffale come se avesse vissuto lì da una vita intera. E senza un particolare motivo, sentì una sensazione di calore al petto.
 
Si avvicinò a lui, spinto da un impulso improvviso, guardandolo più da vicino mentre mescolava il contenuto di una pentola, e quando Kibum si girò, incuriosito e sorpreso da quella improvvisa vicinanza, Jonghyun lo baciò.
 
Si sentì rabbrividire al contatto con quelle labbra talmente morbide da sembrare di seta e gli dispiaceva aver rovinato la sorpresa di Kibum, perché ora sapeva quale gusto aveva il dolce che stava preparando.
 
-Vaniglia- sussurrò, e in quel momento seppe che era il gusto che preferiva più di tutti.
 
Chiuse gli occhi e, senza avere la minima idea di quello che stesse facendo, iniziò a muovere le sue labbra contro quelle dell’altro, grato con ogni singola fibra del suo corpo che Kibum non si fosse tirato indietro.
 
Sapeva di averlo colto alla sprovvista, sapeva di averlo sorpreso con quel gesto improvviso e in qualche modo si sentì orgoglioso di se stesso per aver fatto una mossa inaspettata.
 
Non sapeva se anche l’altro stesse vivendo le stesse emozioni che stava provando lui, ma si sentiva il cuore scoppiare e, forse era solo una sua impressione, ma era certo che il suo battito fosse talmente accelerato ed intenso, che non solo Kibum poteva percepirlo chiaramente, ma persino tutto il mondo fosse in grado di sentirlo.
 
Si allontanò per meno di un secondo —un sorriso grande come tutto il viso e gli occhi luminosi di un’espressione affettuosa— e, alzandosi ancora una volta sulle punte dei piedi, lo baciò per una seconda volta, con le mani tremanti e più consapevolezza.
 
Si sentiva girare la testa e l’unica cosa che lo teneva in piedi erano le braccia di Kibum, saldamente strette intorno al suo collo. Tenendolo per la vita e avvicinandolo di più a sé, Jonghyun non poteva fare a meno di sorridere in quel bacio, e sapeva di essere già diventato dipendente da tutto questo. Da come le loro labbra si muovevano in armonia, da come le farfalle nello stomaco lo facessero scoppiare di felicità e perfino dal sentire il respiro caldo di Kibum sul suo viso.
 
Era perfetto.
 
Era semplicemente perfetto.
 
 
 
 
Non avevano programmato nemmeno la prima volta che fecero l’amore. L’avevano desiderato entrambi, l’avevano sognato per mesi e mesi senza mai dirlo apertamente, ma non ce n’era bisogno, era evidente in ogni loro gesto e in ogni loro parola dolce quanto desiderassero compiere quel passo.
 
E il non aver programmato nulla di quel momento aggiunse quella giusta dose di nervosismo e insicurezza necessari a rendere il tutto ancora più magico ed emozionante.
 
Era stato un susseguirsi di gesti attenti e pieni di attenzione, carezze e dolci baci, parole sussurrate e timidi ansimi.
 
Nessuno dei due aveva perfettamente idea di come dovevano fare, non avevano un metodo, non avevano una teoria da seguire. Fecero quello che credevano fosse più giusto e ogni volta che ricevevano una conferma da parte dell’altro, si sentivano in un qualche modo più sicuri.
 
Furono tutto il tempo stretti l’uno all’altro, respirando la stessa aria e provando le stesse emozioni. E quando il piacere si fece più intenso —le sopracciglia corrucciate e gli occhi serrati— Jonghyun era certo di non essersi mai sentito legato a Kibum come in quel momento.
 
-Sei bellissimo, lo sai vero?- gli aveva chiesto con il sorriso, baciandogli la punta del naso, sdraiandosi poi accanto e attirandolo a sé in un forte abbraccio.
 
Non lo avrebbe più lasciato.
 
 
 
 
Arrivò anche il primo litigio e Jonghyun non si era mai sentito così male come nei giorni in cui non si rivolsero la parola, e faceva male perché per tutti quei mesi non aveva fatto che stare con Kibum, e ora che non era più al suo fianco, era come se si sentisse vuoto. Non poteva sopportare di vivere senza l’altro e decise di mettere da parte il suo orgoglio per chiedergli scusa. In realtà non sapeva di chi fosse la colpa, forse era di entrambi, forse no, quello che era certo era che era stato il nervosismo a far alzare troppo la voce, accendendo i toni più del necessario.
 
Si presentò davanti la porta di casa sua con dieci palloncini tra le mani, e quando Kibum si rifiutò di farlo entrare, Jonghyun mise in atto il piano B che aveva già programmato perché era certo sin dall’inizio che Kibum non avrebbe ceduto troppo facilmente a causa del suo orgoglio.
 
Prese la chitarra che aveva sulle spalle e, dopo aver legato i palloncini sulla maniglia della porta di casa, vi si sedette davanti, con le gambe incrociate e le dita che iniziavano a scorrere sulle corde tese dello strumento.
 
Iniziò a creare la sua melodia, cantandogli le parole che aveva scritto la notte precedente, rinunciando al sonno. Non che gli importasse dormire poi, Kibum era decisamente più importante di qualsiasi altra cosa.
 
Stava cantando con l’anima, con gli occhi chiusi in concentrazione e le mani che quasi tremavano per quanto era agitato.
 
Non smise di cantare nemmeno quando sentì la porta aprirsi; sollevò solamente le palpebre quasi piangendo di fronte al sorriso sincero dell’altro.
 
Finì la canzone che la sua voce era un sussurro, e le corde quasi non avevano ancora smesso di vibrare quando Kibum si buttò in ginocchio, abbracciandolo con forza. E a Jonghyun non interessava che la cassa armonica della chitarra premesse contro il suo petto facendogli mancare il respiro, gli importava solo che Kibum fosse di nuovo tra le sue braccia.
 
-Aspetta a perdonarmi, avevo anche un piano C, non farmelo sprecare. Torna un attimo arrabbiato con me per favore- e Kibum si era messo a ridere di fronte a quell’insolita richiesta, ma l’aveva accontentato, facendo ricomparire sul suo volto un’espressione arrabbiata ed incrociando le braccia al petto.
 
-Allora, questo piano C cos’è?- disse, battendo un piede per terra e con un tono falsamente nervoso.
 
Jonghyun aprì gli occhi, più del solito, sbattendo più volte le palpebre. Era il suo famoso sguardo da cucciolo. Nessuno poteva resistergli, non era ancora stato scientificamente provato, ma era come se lo fosse. E anche se sapeva che Kibum l’aveva già perdonato, era certo che in quel modo tutto era davvero risolto.
 
E mentre continuava a sfoderare quell’arma micidiale, la risata di Kibum —alta e spudorata come sempre— gli riempiva il cuore.
 
 
 
 
Ci fu poi il primo anniversario, festeggiato con una romantica cena a lume di candela, e la prima casa in cui andarono ad abitare insieme.
 
Se c’era una cosa che Jonghyun amava della convivenza, era svegliarsi ogni mattina con Kibum al suo fianco. Si svegliava sempre prima dell’altro ragazzo e, anziché alzarsi e prepararsi per iniziare una nuova giornata, preferiva rimanere lì, immobile, con gli occhi incollati sulla figura accanto a lui.
 
Amava sentire il suo respiro profondo e regolare mentre era ancora addormentato. Amava osservare le sue labbra a cuore leggermente socchiuse per respirare meglio. Ma soprattutto amava la sua espressione, così serena, così rilassata.
 
Non avrebbe rinunciato a quelle mattine per nulla al mondo.
 
E mentre sorseggiava velocemente la sua tazzina di caffè, i suoi occhi non potevano fare a meno di soffermarsi su Kibum, acciambellato su una sedia e con lo sguardo ancora assonnato, occupato a mangiare i suoi cereali immersi in una ciotola di latte.
 
Era così calma la vita, così spensierata.
 
Jonghyun desiderava con tutto il suo cuore che sarebbe rimasto sempre tutto così, che nulla sarebbe cambiato.
 
 

 
Ma ovviamente non può esistere la felicità senza il suo contrario e presto arrivarono anche le prime vere litigate e le incomprensioni. Avevano cercato di affrontare i loro problemi con razionalità, parlando e discutendo per trovare le soluzioni più giuste, ma alla fine non avevano resistito.
 
Jonghyun si sentiva a pezzi.
 
Era vero che nell’ultimo periodo c’erano stati numerosi disaccordi tra di loro, eppure non riusciva a capacitarsi di quello che era successo. Come faceva a vivere senza Kibum? Come poteva riabituarsi alla sua vita di prima?
 
Aveva trascorso così tanto tempo con Kibum che non gli sembrava nemmeno che esistesse una parte della sua vita che non aveva passato insieme all’altro ragazzo.

 
 
Jonghyun aveva i nervi a fior di pelle quella sera. Era carico di tensione ed era pronto a scattare per il più futile dei motivi.
 
Era stato invitato ad una festa ed aveva accettato. Aveva bisogno di distogliere la mente da quei pensieri che lo stavano facendo impazzire.
 
Si aspettava della musica, del cibo, anche qualche bevanda alcolica, ma sicuramente non si aspettava di trovare anche Kibum.
 
In compagnia di un’altra persona.
 
Si sentì un tuffo al cuore, come se gli avessero appena strappato il muscolo dal petto. Il dolore era lo stesso.
 
Strinse i pugni, lasciandosi i segni delle unghie sui palmi, e si morsicò la lingua. Doveva trattenersi, doveva trovare qualche stratagemma per non saltare come una molla ed aggredire quello sconosciuto che osava tenere la mano di Kibum in pubblico.
 
Quello era il suo posto.
 
Si sentì ancor più morire dentro quando vide i due scambiarsi un bacio. Non era niente di passionale o troppo intimo, ma quel semplice sfioramento fu abbastanza per fargli mordere le labbra con rabbia sempre crescente.
 
Quando si accorse dell’occhiata fugace che Kibum gli aveva lanciato durante il bacio con lo sconosciuto, Jonghyun capì.
 
Capì che stava facendo apposta, che lo stava provocando di proposito. Ed era riuscito con successo nel suo intento. La gelosia lo stava corrodendo. Era certo che Kibum avesse compiuto quel gesto per vedere la sua reazione, ma era altrettanto certo che il ragazzo non lo avrebbe mai ammesso.
 
Non si stava per niente godendo l’atmosfera di quella festa. Aveva bevuto qualche bicchiere di troppo di birra e aveva sgranocchiato qualche salatino seduto su uno dei divani di quella villa privata, ma la sua attenzione era stata concentrata per tutta la sera su Kibum.
 
Temendo di perdere completamente il controllo sulla ragione, decise che era il momento di agire. Non aveva senso rimanere a guardarlo da lontano, come se con la semplice forza del pensiero sarebbero potuti ritornare insieme.
 
Si alzò ed andò verso la coppia, un’espressione dura e sicura sul volto e il passo leggermente barcollante a causa del troppo alcool che aveva in circolo.
 
-Dobbiamo parlare- aveva detto semplicemente, afferrando Kibum per un braccio e trascinandolo via dallo sconosciuto.
 
Ignorando completamente le sue proteste, lo aveva portato all’interno di una stanza.
 
Gli girava un po’ la testa e la sua vista era annebbiata. Non era mai stato un gran bevitore e non reggeva minimamente l’alcool. A quel punto, era un miracolo se ancora non era caduto.
 
-Chi è quello?- gli aveva chiesto. Non che gli interessasse davvero sapere chi fosse, conoscere il suo nome non avrebbe cambiato il fatto che non tollerava la sua presenza accanto al suo Kibum.
 
-Non sono affari che ti riguardano- la sua voce era calma e decisa. Erano rare le volte in cui lasciava trasparire il suo vero stato d’animo, si nascondeva sempre dietro una forte corazza, ma Jonghyun lo conosceva abbastanza bene e aveva passato così tanto tempo con lui da notare come si era morso fugacemente il labbro, o come aveva spostato per un secondo gli occhi verso il pavimento. Anche se Kibum stava cercando di apparire determinato, il suo corpo e i suoi gesti inconsci lo avevano tradito.
 
-E invece sì, sono affari che riguardano anche me-
 
-Non stiamo più insieme, Jonghyun. Ricordatelo- sentirlo pronunciare il suo nome in quel momento aveva un sapore amaro. Non aveva usato un nomignolo affettuoso come era solito fare, l’aveva chiamato con il suo nome intero. Suonava così freddo e distante.
 
Si morsicò forte la lingua intorpidita dalla birra. Ispirò lentamente. Avrebbe voluto avere il potere di far tornare tutto com’era un tempo. Come erano finiti così?
 
-Vuoi che me ne vada?- gli aveva chiesto con tono sconfitto, come se si fosse finalmente arreso all’evidenza che non era più a lui che spettava di stare accanto a Kibum.
 
Non arrivò nessuna risposta dall’altra parte. Jonghyun lo vide semplicemente abbassare gli occhi al pavimento, quasi come se non desiderasse altro che sciogliersi e diventarne parte.
 
-Guardami. Guardami e dimmi che non mi ami- la sua voce era calma, spaventosamente calma. E nel momento stesso in cui pronunciò quella frase, se ne pentì. E se Kibum glielo avesse detto veramente? Se Kibum gli avesse detto che non lo amava più? Cosa avrebbe potuto fare Jonghyun a quel punto, se non voltare i tacchi ed andarsene con la coda tra le gambe?
 
Si sentiva tremare le mani e serrò le dita per cercare di calmarsi. Affrontare quel genere di situazione da ubriachi non era certo stata una mossa intelligente.
 
-Guardami Kibum!- lo aveva richiamato con più decisione, ma la voce era alterata, quasi instabile. Era arrabbiato e spaventato, ma aveva bisogno di quella risposta.
 
Gli occhi di Kibum erano lucidi di nervosismo. Forse anche lui non voleva che le cose tra loro fossero andate a finire così. Al punto di urlarsi contro anziché abbracciarsi e risolvere tutto come avevano sempre fatto nei tempi trascorsi insieme.
 
Jonghyun avrebbe voluto prenderlo per le spalle e scuoterlo, fargli alzare lo sguardo verso di lui e farlo reagire. Lo stava facendo soffrire ma lo amava ancora troppo per pensare di farlo soffrire a sua volta.
 
Fece un passo verso di lui, portando una mano verso il suo volto. Volevo costringerlo a guardarlo, ma quando le sue dita si ritrovarono dopo così tanto tempo sulla sua pelle, il suo primo istinto fu quello di accarezzargli una guancia.
 
Quanto gli era mancato.
 
-N-non…- aveva iniziato Kibum, ma il brivido che gli percorse il corpo e gli occhi che si chiusero alla sensazione provata dimostravano esattamente il contrario di ciò che stava per dire.
 
Jonghyun non si ritrasse. Lasciò la mano posata sul suo volto, il pollice che scorreva sulle labbra. L’altro avrebbe potuto scacciarlo, avrebbe potuto tirargli uno schiaffo o spingerlo via; ma non lo fece. Anzi, inclinò il viso di lato, premendo contro la mano di Jonghyun come un gatto in cerca di carezze. E se anche Kibum avesse sentito la sua mancanza in quel periodo? E se Jonghyun non fosse stato il solo a volere che tutto tornasse alla normalità?
 
-Mi sei mancato così tanto- gli aveva sussurrato con le labbra premute contro il suo orecchio, e anche se Kibum non disse nulla, la sua risposta valeva più di mille parole. Gli si era fatto ancora più vicino e gli aveva stretto le braccia intorno al collo in quello che era uno dei migliori abbracci che avessero mai condiviso. Lo teneva in modo talmente saldo, che Jonghyun poteva sentire le sue unghie attraverso la maglietta. Ed era come se non avesse più intenzione di lasciarlo andare.
 
Alzò il volto verso quello del ragazzo più piccolo, guardandolo dritto negli occhi per  la prima volta dopo quelli che sembravano essere stati secoli. Gli era mancato il suo sguardo, gli era mancato averlo talmente vicino da poter contare ogni singola ciglia o dover semplicemente respirare per sentire il suo profumo.
 
Lo baciò.
 
Lo baciò come se ne andasse della sua stessa vita. Come se quella sarebbe stata l’ultima volta e poi non si sarebbero più rivisti. Dopo tutto quel tempo, era come un primo bacio. Meno impacciato del loro vero primo bacio, ma carico di significato. Era riversata tutta la loro storia, tutto quello che avevano vissuto, tutto quello che avevano provato.
 
Dio quanto gli era mancato sentire il sapore delle sue labbra e baciarlo mentre il suo corpo premeva contro il proprio.
 
Era lì che doveva stare. Era lì che apparteneva. Accanto a Kibum.
 
Quando si allontanarono, Jonghyun si sentiva come stordito. Forse era stato la combinazione dell’alcool con quell’intensa emozione, ma i suoi occhi faticavano a rimanere aperti.
 
-Puzzi di birra- aveva subito commentato Kibum storcendo il naso. Ma sul suo volto c’era il sorriso.
 
E non c’era spettacolo più bello.
 
 
 
 
Tornare a dormire insieme a Kibum era una delle sensazioni migliori. C’era qualcosa di così intimo nel condividere un letto ed addormentarsi stretti l’un l’altro che lo faceva sentire bene.
 
Avrebbe voluto dargli il bacio della buonanotte ogni sera prima di addormentarsi. Avrebbe voluto posare le sue labbra su quelle guance morbide e calde senza mai allontanarsene. Amava stringerlo forte contro di sé e sentirlo soltanto suo.
 
Nella penombra della loro camera, Jonghyun era sdraiato sul letto, la testa poggiata contro il palmo di una mano. I suoi occhi non si staccavano dalla figura che aveva accanto nemmeno per un secondo, non ne era capace, quasi come se temesse che potesse scomparire non appena il contatto visivo si fosse interrotto.
 
Guardava le sue palpebre chiuse e l’ombra delle ciglia sul volto. Gli sembrava sempre così fragile ed indifeso mentre era addormentato, quasi come se lo scudo di sicurezza che portava durante il giorno si sciogliesse lentamente non appena le lenzuola gli coprivano il corpo.
 
E la consapevolezza di Jonghyun di essere il solo, di essere il solo in tutto l’universo che aveva la possibilità di vederlo in quel modo, alle tre del mattino, gli diffondeva un’appagante sensazione di calore per tutto il corpo. Ogni pensiero negativo, ogni fatica, ogni più piccola preoccupazione svaniva all’instante. Esistevano solo loro in quel momento e non poteva chiedere di meglio.
 
Allungò un braccio verso di lui, posando la mano sulla sua testa e facendogli scorrere le dita tra i capelli morbidi. La fragranza dello shampoo gli arrivava dritta alle narici e la sua memoria non poté non tornare indietro a solo qualche ora prima, quando avevano condiviso una doccia insieme.
 
Erano quei momenti che lo rendevano felice più di ogni altra cosa. Ogni più piccolo e semplice momento che trascorreva in sua compagnia, come passare la serata pigramente sdraiati sul divano stretti l’uno all’altro, o come stare distesi sul prato per un tempo interminabile a guardare insieme le stelle.
 
Non aveva bisogno di nient’altro.
 
Le borse sotto i suoi occhi si erano fatte più evidenti ultimamente e l’insonnia era diventata una fedele compagna durante la notte, e pur sapendo che la causa di tutto ciò era Kibum —quel ragazzo che amava osservare per ore e ore mentre dormiva, non preoccupandosi di privarsi del sonno— non pensava nemmeno di incolparlo. Che colpa ne poteva avere se era stupendo ai suoi occhi? Sentirsi stanco durante il giorno era il prezzo da pagare. E ogni sbadiglio valeva la pena di essere fatto, se significava essersi perso nel volto addormentato di Kibum la notte precedente.
 
Il suo sguardo era affezionato mentre lo guardava, come se ciò che aveva davanti agli occhi fosse quanto di più prezioso potesse esistere al mondo.
 
“Ti amo”. Due semplicissime parole che non aveva ancora avuto il coraggio di dire ad alta voce.
 
Le aveva pensate, le aveva sussurrate nella sua mente decine e decine di volte, ma la sua bocca non si era ancora decisa a pronunciarle. Non sapeva di cosa aveva paura, perché era certo che da ogni suo gesto, da ogni sua attenzione, Kibum sapesse già quale era il sentimento che provava nei suoi confronti; eppure c’era qualcosa che lo bloccava.
 
Forse temeva che quelle parole, fin troppo abusate dalle persone che avevano intorno, non sarebbero state all’altezza di rappresentare tutte le emozioni che si sentiva nel petto. Non voleva che fosse un modo di dire privo di significato. “Ti amo” avrebbe dovuto essere una di quelle espressioni che richiedono un’attenta riflessione prima di essere pronunciate. Sono come un “Mi manchi” o un “Ti voglio bene”. Avevano perso così tanto del loro significato ormai per tutti, che forse era questo che tratteneva Jonghyun dal dirle ad alta voce.
 
Fece scorrere ancora una volta gli occhi sul viso dell’altro, indugiando su ogni tratto, e amando il modo in cui le ombre si creavano sul suo volto. Si abbassò verso di lui e posò per qualche secondo le proprie labbra su quelle di Kibum.
 
Erano soffici. Erano invitanti. Avrebbe voluto non doversene mai staccare.
 
Un leggerissimo schiocco, appena udibile, invase l’aria mentre la sua bocca si allontanava da quella dell’altro. Un piccolo sorriso si fece largo sul suo viso.
 
Era puro affetto ciò che si poteva leggere nel suo sguardo in quel momento. Affetto verso quell’essere perfetto che si trovava ad avere accanto. Gli capitava di pensare che doveva sicuramente aver compiuto qualche gesto eroico in una vita precedente per meritarsi una fortuna simile.
 
Kibum era un’opera d’arte, con i suoi occhi allungati e il suo naso perfettamente disegnato, con i suoi zigomi pronunciati e le sue labbra a cuore. Ma a volte Kibum stesso ne dubitava. Dubitava della sua perfezione davanti allo specchio. Il suo sguardo indugiava su difetti invisibili a tutti se non a lui. E a Jonghyun si stringeva il cuore quando lo vedeva così abbattuto. Perché non riusciva a vederlo? Perché non riusciva a vedere quanto fosse meraviglioso? Era lì, evidente, davanti ai suoi occhi e Jonghyun aveva deciso che era suo compito ricordargli ogni singolo giorno quanto speciale fosse.
 
Tic, tac. Tic, tac.
 
Il ticchettio della sveglia lo stava ipnotizzando.
 
Si accorse di non aver sbattuto gli occhi per così tanto tempo, che ora quasi gli lacrimavano. Era talmente assorto, che non se n’era nemmeno reso conto.
 
Sbadigliò silenziosamente, portandosi una mano davanti alla bocca spalancata e si sdraiò accanto a Kibum, così vicino da non riuscire nemmeno a mettere a fuoco il suo viso per ammirarlo ancora per qualche minuto.
 
Ma forse era arrivato il momento di dormire, o il giorno dopo —meglio, qualche ora dopo— non avrebbe avuto nemmeno la forza di rimanere in piedi.
 
Gli si strinse il più vicino possibile, amando la sensazione di calore che si diffuse subito lungo tutto il corpo.
 
Fece scivolare una mano sotto la sua maglietta per accarezzargli la schiena e finalmente chiuse gli occhi.
 
Adorava sentirsi addosso il suo respiro. Era come se lo rassicurasse che era lì, proprio al suo fianco. Avrebbe potuto essere ovunque, a migliaia di chilometri lontano da lui, e invece no. Era accanto a lui. Ed era una sensazione meravigliosa.
 
Era così che avrebbe voluto addormentarsi ogni giorno della sua vita.
 
Sorrise.
 
 
 
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A/N: A quanti è venuto il diabete??
 
Ho scritto buona parte di questa oneshot nelle mie ore buche al bar dell’università, e tipo a ogni mezza parola mi guardavo furtiva in giro per vedere se qualcuno riusciva a vedere quello che scrivevo ahaha poca ansia mi dicono .__.
 
Questo è il genere di storie che piacciono a me, molto tranquille, molto dolci e mielose e infatti 90% di quello che scrivi è a rating rosso, quindi se qualcuno di voi scrive questo genere, sappiate che divento la vostra fan n.1 =) Ma alla fine, bisogna ammettere che amo tutti i generi, tranne le cose drammatiche, quelle proprio no. Già sono depressa un giorno sì e l’altro anche, se ci si mettono pure le fanfic stiamo a posto XD oddio se scrivete angst, non offendetevi eh, era solo un commento molto random
 
Ci tengo a informarvi che due settimane fa ho finito gli esami, quindi, ispirazione permettendo, spero di riuscire a postare qualcosa ogni tanto senza sparire più per secoli come mio solito XD
 
Ci saranno sicuramente un sacco di errori in questa storia e mi dispiace, ma anche se sono stanchissima e non avevo più voglia di rileggerla, volevo pubblicarla.
 
Grazie per aver letto c:
  
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