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Autore: Kairiy    11/04/2008    1 recensioni
"Ed ecco una storia assai strana scritta da moi ^-^' . . è la prima, quindi abbiate pietà (xD)
Spero sinceramente che vi piaccia. . .
Parla di una ragazza che è rimasta particolarmente scioccata dalla morte del fratello Jake in circostanze del tutto ignote, tanto da far muovere l'immaginazione della sua mente e di vederlo sempre (o quasi. . .) accanto a lei.
Ma sarà davvero solo un'illusione?
Buona lettura!!"
Genere: Malinconico, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Qualcosa mi scosse ed io mi svegliai dal mio sogno pieno di stranezze, come d'altronde strana è la mia vita. Mi girai dall'altra parte, ma venni scossa di nuovo e, stavolta, leggermente più forte di prima.
Aprii lentamente un occhio e poi l'altro: entrambi dall'iride blu scuro con pagliuzze dorate che circondavano la pupilla.
La luce fioca che filtrava dalla serranda alzata a metà scacciava di poco l'oscurità che per tutta la notte aveva regnato nella mia piccola e disordinata camera. Aprii e richiusi la bocca impastata dal sonno e con un grugnito mi misi a sedere. Guardai la figura in piedi accanto al mio letto: alta, slanciata, magra, ma comunque forte e dai muscoli tesi che spiccavano sotto la maglietta azzurra aderente. Indossava larghi blue jeans con spaziose tasche nelle quali erano custoditi il cellulare sottile a conchiglia e le chiavi di casa.
Le palpebre cadevano pesanti e ancora assonnate sugli occhi, ma tentavo in tutti i modi di restare sveglia. La voce della figura mi aiutò.
«Buongiorno. . .» ironici sia l'espressione che il tono di voce: quella voce che conoscevo da tutta la vita.
Osservai, ancora insonnolita, mio fratello, ventenne, dai capelli neri lunghi fino alle spalle e sparati a punte da tutte le parti e dagli occhi tanto azzurri e chiari che potevano passare per bianchi.
«Che ore sono?» farfugliai lasciando cadere all'indietro la testa appoggiandola sulla testiera del letto.
«Sono esattamente le due del pomeriggio» incrociò le braccia al petto e spostò il peso sulla gamba destra.
Rialzai la testa e allungai le braccia stiracchiandomi nascondendo, poi, uno sbadiglio con la mano sinistra.
«Quindi ho dormito. . .» feci i calcoli con la mente ancora intorpidita dal sonno «. . circa dodici ore»; mi scoprii dalle pesanti coperte e mi alzai lentamente dalla parte opposta di dov'era Jake. Posai i piedi nudi sul parquet freddo e rabbrividii leggermente. Riuscivo a stento a mantenermi in piedi. Jake se ne accorse e mi si mise accanto.
«Hai bisogno d'aiuto?» mi chiese premuroso e preoccupato come se fossi un'anziana signora invalida.
Lo scacciai innervosita dal suo comportamento con il braccio destro evitando di sfiorarlo. Un semplice gesto simile a quello che si fa per cacciare via un cane randagio che si avvicina troppo.
«Lascia stare, ce la faccio» dissi acida con la voce ancora roca per il sonno; Jake  si allontanò di qualche passo da me ancora con le braccia incrociate. Feci un passo e barcollai di poco, ma il mio odio d'essere aiutata mi diede la forza per mantenere l'equilibrio. Raddirizzai le spalle e mi avvicinai alla cassettiera in mogano sulla quale era fissato al muro un alto e ampio specchio ovale dal vetro perfettamente pulito e dalla cornice composta da una treccia bronzea; mi ci specchiai e, grazie alla poca luce che filtrava dalla serranda mezza alzata, riuscii a vedere la massa dorata ed informe che partiva dal capo e scendeva appena sotto le spalle. Presi la spazzola dal ripiano sopra la cassettiera e iniziai a spazzolarmi con cura i capelli; intanto osservavo il mio volto: ovale, dalla pelle diafana con un accenno di rossore sulle guance; al centro v'era un sottile e piccolo naso tendente all'insù e, appena più giù, una graziosa bocca dalle labbra non troppo sottili e tendenti al rosso. Guardai i miei occhi che avevano un taglio occidentale all'insù: troppo, grandi per i miei gusti. Sorrisi scoprendo i bianchi e diritti denti.
Finito di spazzolare i capelli, posai la spazzola sulla cassettiera tra i vari cosmetici e profumi mai o raramente utilizzati. Mi voltai verso Jake che mi sorrise, ma non ricambiai; mi avviai verso la finestra e alzai del tutto la serranda. La forte luce delle due e mezza del pomeriggio di una giornata invernale con un sole, però, che spacca le pietre, entrò di prepotenza nella mia camera e fui costretta a socchiudere gli occhi abituati al confortevole buio illuminato da una fioca luce.
«Dannato sole. . . » imprecai tra i denti; la mia voce ormai era tornata limpida come quella di tutti i giorni.
Mi abituai alla luce e aprii gli occhi rilassando le mascelle e, tornando alla cassettiera, aprii un cassetto e rovistai cercando una vecchia maglietta rossa e un paio di jeans grigi; poi andai verso la scrivania che si trovava accanto alla finestra e dalla sedia presi una felpa bianca con lo zip davanti lasciata la sera prima dopo il mio ritorno. Uscii dalla camera non curandomi se Jake mi stesse seguendo o no; lasciai la porta aperta e mi diressi al bagno che si trovava accanto alla mia camera. Aprii la porta e la chiusi a chiave. La luce che arrivava dalla finestrella del piccolo bagno illuminava le piastrelle blu con macchiette informi bianche e il vetro della doccia la rifletteva creando piccoli cerchietti di luce sulle piastrelle. Sopra il lavandino era fissato al muro un semplice specchio quadrato che rifletteva la mia figura in modo limpido e perfetto. Mi lavai e indossai gli abiti che avevo preparato. Ancora a piedi nudi scesi le scale ed entrai in una cucina.
Jake non c'era.
Presi una tazza dall'armadietto sul piano da cucina, aprii il frigo e presi un cartone del latte aperto il giorno prima. Posai il tutto sul tavolo al centro della stanza e versai un po' di latte nella tazza, quindi presi dalla dispensa accanto all'armadietto una scatola di cereali e versai anche quelli, distrattamente, nella tazza. Presi da un cassetto del piano cucina un cucchiaio e, senza sedermi, presi in mano la tazza e iniziai a mangiare appoggiandomi al tavolo. Finito il contenuto della tazza, la misi nel lavabo riempiendola d'acqua e gettai dentro il cucchiaio; sistemai, poi, i cereali nella dispensa e il latte nel frigo.

Ho detto che Jake non c'era, vero?
. . . ovvio, Jake era morto mesi fa . . .
  
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