How did we get here?
Sei anni dopo.“Ciao Marianne, grazie!” Uscii dal negozio con un sorriso e rimontai in macchina con i cornetti in mano. Il sole della solita mattina di agosto era forte come sempre. Mi passai una mano fra i capelli, che erano finalmente ricresciuti, e mi rimisi gli occhiali sul naso.
Da un paio di anni a quella parte odiavo il sole. Mi faceva rivenire in mente ricordi che avevo cercato con tutta me stessa di cancellare. Ricordi felici, lo ammetto, ma inevitabilmente portavano alla luce anche quelli tristi, pieni di lacrime e sofferenza.
Era il 12 novembre 2003, e Jimmy stava tornando a casa. Ero felice, non lo nego, ma il mio pessimismo era sempre in agguato, ricordandomi che tre giorni dopo lui sarebbe dovuto ripartire per il tour e stare via per chissà quanto. Mi passai una mano fra i capelli corti e mi guardai allo specchio: avevo un’espressione a metà fra l’euforico e sull’orlo di una crisi isterica. Mi infilai una maglietta e uscii da casa. Montai in macchina, diretta all’aeroporto e facendo mente locale. I mesi precedenti erano stati un inferno, nel vero senso della parola. Avevo continui attacchi di panico, non mangiavo nulla e facevo incubi ogni notte. Nonostante avessi vissuto con Elle per un periodo di due settimane, la situazione non era migliorata, anzi, era anche peggiorata. Vederla felice e sentirla costantemente parlare di Brian mi ricordava di me e Jimmy, e non avrei potuto resistere un giorno di più. Scesi dall’auto ed entrai nell’aeroporto, sedendomi al bar in attesa che atterrasse il volo dei ragazzi.
Ero rimasta sola da quando Elle aveva deciso di seguire Brian in tour. Ero felice per lei, sono stata io a dirle di andare con lui nonostante lei volesse rimanere con me. Io, invece, avevo deciso di rimanere, non potevo vivere su un tour bus per un anno. Gli altoparlanti annunciarono l’atterraggio del volo dei ragazzi. Il cuore iniziò a pompare come un matto. Una decina di minuti dopo, le porte del gate si aprirono e iniziarono a uscire fuori i passeggeri. Mi alzai sulle punte per vedere meglio, ma non fu necessario. Riconobbi la testa mora di Jimmy svettare sulle altre. Quando la folla si allontanò, mi avvicinai e Elle mi riconobbe subito.
“Taylor!” Gridò e mi si buttò addosso come se non mi vedesse da anni… beh, in un certo senso era così. La abbracciai fortissimo.
“Mi sei mancata da morire.”
“Anche tu. Vieni, Jimmy ti sta cercando.” Mi prese per mano e mi portò vicino ai ragazzi. Incrociai subito lo sguardo di Jimmy, che si illuminò come mai prima d’ora. Mollai Elle e lo abbracciai.
“Ciao piccola.”
“Ciao.” Riuscivo a malapena a parlare, avevo le lacrime agli occhi.
“Perché piangi?” Sussurrò sfiorandomi le labbra.
“Sono felice.”
Scesi dall’auto ed entrai in casa accarezzando Salazar. Buttai la borsa sul divano e aprii la portafinestra che dava sul giardino. Mi sdraiai sul dondolo e ricominciai a perdermi nei ricordi di sei anni prima.
“Non posso, Jimmy…”
“Perché no?” Mi strinsi la testa fra le mani, avevo la sensazione che stesse per esplodermi. “Perché?” Ripeté lui.
“Perché è troppo presto. Non me la sento di venire in tour con te, Jim.”
“Così dovrò stare lontano da te per un anno, non potrei sopportarlo. Ti prego, Taylor.”
“Resterò qui. E ti aspetterò.”
“Non voglio partire…”
“Smettila. Partirai, spaccherai i culi, farai felici i tuoi fans e, quando tornerai, ci sposeremo. Semplice.” Gli dissi con un sorriso.
“Davvero vuoi aspettare così tanto?”
“Ne vale la pena.” Il sorriso si allargò ancora di più.
Non avevo aspettato. Non avevo fatto proprio nulla di tutto quello che avevo promesso di fare, me n’ero andata. Litigavamo di continuo per telefono; lui era in tour, circondato da ragazze bellissime e fans arrapate, non riuscivo a sopportarlo. Non ci lasciammo ufficialmente, litigammo un’ultima volta e basta… un’ultima volta indimenticabile: ci eravamo urlati contro per venti minuti buoni, e la conversazione si era conclusa con un “Ci si vede” ed era finita. Per sempre. Dopo una settimana, traslocai e tornai in Arizona. Non che la cosa avesse aiutato, eh. Mi sentivo male ogni volta che qualcuno mi toccava.
Sporca e inutile.
Sentii la porta di casa aprirsi e chiudersi. Sospirai.
“Piccola?”
“Sono qui fuori.” Poco dopo, una testa bionda fece capolino dalla vetrata del salone.
“Ciao. Dove sei stata?” Si chinò su di me e mi baciò sulle labbra. Non un’emozione. Nulla.
“In giro.” Risposi apatica più che mai. Jason si buttò accanto a me sul dondolo e mi mise un braccio intorno alle spalle.
“Come ti senti?”
“Come sempre.” Lui sospirò e bevve un sorso della sua birra. Ed erano solo le undici.
“Vado a mettermi qualcosa di più comodo.” Mi alzai e andai in camera, chiudendomi a chiave come al solito e appoggiandomi addosso alla porta come accadeva da fin troppo tempo.
Mi mancava, e non potevo andare a riprenderlo.
Da quando ci eravamo “lasciati” non avevo più avuto notizie né di Jimmy e né degli Avenged Sevenfold. Sapevo che avevano inciso altri album, che avevano fatto altri tour e date anche in Arizona, e io avevo ignorato la cosa; ma, per quanto possa averci provato, non sono mai riuscita a passare davanti a un manifesto del loro tour senza rimanere ferma a fissare Jimmy dietro il suo drum set. La cosa brutta è che, con la rottura, avevo perso i contatti con tutti i Sevenfold in modo quasi repentino, Elle compresa. Non volevo parlare con nessuno di loro perché, se lo avessi fatto, sarei crollata; ero fin troppo orgogliosa per ammettere che Jimmy mi mancava, ma ogni volta che pensavo alla nostra ultima ‘conversazione’, se possiamo chiamarla così, non facevo altro che pensare: egoista, egoista, egoista.
Mi infilai una tuta e mi sedetti sul letto con il pc sulle gambe e Salazar accanto.
“Ho solo te…” Mormorai accarezzandolo. Lui rispose poggiando il testone sulla mia gamba.
“Amore, sto uscendo!” Sentii Jason gridare dal piano di sotto.
“Va bene!” Urlai in risposta. Accesi il portatile e gironzolai su internet finché, su Facebook, non apparve una pubblicità che mi fece scoppiare in lacrime.
Avenged Sevenfold live in Phoenix, AZ, 2nd August 2009
Chiusi di scatto il computer e iniziai a piangere come una deficiente.
Perché lo avevo lasciato?
Poco ma sicuro, quella era la cazzata più grande che avessi mai fatto. Mi fermai davanti all’arena e parcheggiai. Sapevo che da qualche parte avrei trovato Elle, ma non sapevo dove cominciare a cercare, dato che c’erano guardie dappertutto. Non c’era traccia di una testa color platino. D’altronde, volevo vedere solo lei. Se avessi visto uno dei ragazzi, anche Johnny, sarei crollata. Scesi dall’auto e iniziai a camminare intorno al grande edificio, finché non mi trovai in uno spiazzo deserto tranne per una Mercedes cabrio vecchio stile azzurra. La macchina di Elle. Mi guardai intorno: non c’era nessuno. Lontano da me, c’era una porta d’emergenza. Mi avvicinai e temetti di stare per scoppiare a piangere di felicità. C’era scritto “Sistema d’allarme rotto. Non utilizzare in caso di emergenza”. Oh, beh, se proprio la mettiamo così. Aprii la porta ed entrai nel backstage, meravigliandomi del fatto che riuscissi ancora ad indentificare ogni faccia che vedevo. C’erano Dan, Matt Berry, Murdock… tutti, non mancava nessuno. In un angolo, vicino al palco, riconobbi Jason combattere con la batteria di Jimmy. Mi si formò un nodo in gola e mi nascosi dietro una cassa che conteneva le chitarre. Ottima scelta… pensai fra me e me. Sentivo la folla di fan intonare ‘Sevenfold’ tutti insieme, sembrando così una persona sola. Sorrisi e mi accucciai ancora di più dietro la cassa, vedendo qualcuno avvicinarsi di corsa.
“Syn, muoviti che stiamo per andare in scena!” Riconobbi il vocione di Matt urlare contro Brian. Una fitta di nostalgia mi fece stringere il cuore.
“Arrivo, ho dimenticato una cosa!” Lo sentii aprire la cassa dietro la quale ero nascosta e allontanarsi di nuovo. Mi rilassai e uscii fuori dal “nascondiglio”. Poco dopo, i ragazzi fecero il loro ingresso in scena; davanti a me, c’era Jimmy.
Lui non poteva vedermi, dato che ero in penombra, ma io sì, e ciò mi fece piangere. Era bellissimo, le sue braccia si erano riempite di tatuaggi, ne aveva uno anche sul collo, un paio di manette. Giocò con le bacchette e poi iniziò a suonare una canzone del loro ultimo album. L’intro con l’organo era un po’ inquietante, ma poi mi resi conto che non era male. Provai ad avvicinarmi, ma ero troppo vicina, mi avrebbe vista e, se lo avesse fatto, sarei potuta crollare. Lo vedevo metterci tutta l’anima nel suonare, le braccia che si alzavano e si abbassavano per poi andare a colpire i piatti e i tom con violenza.
Mi mancava da morire.
Prima che potesse vedermi, mi voltai e uscii dal backstage. Nell’uscire, mi scontrai con qualcuno.
“Cavolo, attento!” Sbottò una ragazza indignata.
“Scusa…” Bofonchiai e superai la tipa che avevo appena urtato.
“Taylor?” Alzai lo sguardo da terra e mi voltai. Davanti a me c’era Elle.
“Elle, ciao.”
“Oddio, Taylor!” Mi si buttò addosso e mi stritolò in uno dei suoi soliti abbracci sbriciola-costole. “Cazzo, mi sei mancata tantissimo! Oddio, sei bellissima, hai ripreso peso!” Iniziò con la sua classica parlantina da sono-felicissima-di-rivederti-e-non-ti-lascerò-parlare.
“Shh, non urlare!” Mi guardai intorno per controllare che nessuno ci avesse viste, ma erano tutti presi dal loro lavoro.
“Ma come? Nessuno sa che sei qui?” L’espressione euforica sul suo viso lasciò spazio a una dubbiosa e confusa.
“No e, per favore, non dire nulla a nessuno. Io… sono solo passata a vedere come stavate.” Per la prima volta da quando ci eravamo scontrate, alzai gli occhi e la guardai. Non era cambiata di una virgola: i suoi capelli erano sempre lunghi, color platino e rasati da una parte, i tatuaggi sempre bellissimi, ma ero sicura che se ne fosse fatto qualcun altro, e gli occhi grigi erano felici come al solito.
“Come mai non vuoi far sapere a nessuno di te?” Sospirai e mi passai una mano fra i capelli. “E ti sono ricresciuti i capelli!”
Sorrisi. “Eh, già. Possiamo… parlare da un’altra parte?”
“Certo, andiamo a prendere un caffè.” Mentre percorrevamo il breve tratto dall’arena al bar, nessuna delle due parlò. Ci limitammo a guardarci e a ridere.
“Allora? Come mai da queste parti?”
“Ci vivo.” Lei sgranò gli occhi e mi guardò come se fossi impazzita.
“Ti sei trasferita qui?”
“Da quasi sei anni, cara.”
“Come… ma… pensavo che…”
“Capisco che tu sia scioccata.”
“E Jimmy?” Risi.
“Non te lo ha detto che ci siamo lasciati?” Lei si lasciò cadere sullo schienale della sedia.
“Ha accennato a qualcosa del genere, ma pensavo fosse una cosa passeggera… cavolo, voi dovevate sposarvi.” Rispose scioccata.
“Hai un po’ di tempo per me?”
“Quanto vuoi. Spiegami, sono sconvolta.” Si chinò sul tavolo interessata.
“Beh, per cominciare, non potevo seguire Jimmy in tour. Avevo appena superato l’intervento, con i controlli e le medicine non sarei riuscita a starvi dietro. Poi abbiamo cominciato a litigare… insomma, lui era in tour, circondato da ragazze bellissime e che valevano tre volte me, non ci sarebbe voluto molto prima che mi tradisse o che so io. Discutevamo ogni sera al telefono, ci vedevamo una settimana ogni sei mesi, mi sentivo come se lo stessi frenando. Ci siamo lasciati pacificamente, per così dire.” Risi nel dire l’ultima frase.
“Quanto tempo fa?”
“Più o meno cinque anni fa.”
“Cavolo, sono cinque anni che non ci vediamo… e pensare che prima ci vedevamo ogni giorno.” Fece con amarezza. Sorrisi e guardai il mio caffè.
“Già…”
“Perché non vieni con noi? I ragazzi sarebbero felicissimi di riaverti in famiglia.”
“Mi piacerebbe, ma non penso che gradirebbero tutti.”
Rimase in silenzio per un po’, poi parlò. “Potresti sempre parlarci e chiarire.” Scossi la testa con un sorriso amaro.
“Con quale coraggio potrei tornare da lui?”
“Ma tu non hai fatto nulla di male!”
“Me ne sono andata, Elle. Avevo promesso che lo avrei aspettato e che lo avrei sposato. Adesso… penso che mi odi.”
“No, non ti odia.”
“Come fai a saperlo? Gli ho letteralmente spezzato il cuore. Lui c’è stato per me, mi ha aiutata a sopravvivere, mi ha salvata. Io non l’ho fatto. L’ho deluso.”
“Perché gli manchi. Me lo dice ogni giorno. ‘Mi manca Taylor’ ‘Va’ da lei’ ‘No, non posso’. Ogni sera che Dio ha messo sul calendario facciamo questa conversazione. Gli manchi. Va’ da lui.” Imitava dannatamente bene la sua voce nasale e strascicata.
“No. Non posso.” Improvvisamente capii quello che intendeva Jimmy con quella frase.
“Non fare Jimmy della situazione. Ti ricordi quello che mi hai detto quando ti sei operata?” Aggrottai le sopracciglia.
“Ehm… no.”
“Mi hai detto di parlare con Brian e risolvere la situazione. Ti ricordi? Ci eravamo lasciati.”
“Oh, già.”
“Ecco.”
“Va bene. Ci parlerò, ma non ora.”
“E quando, scusa? Domani ripartiremo!”
Deglutii a fatica. “Lo chiamerò.” Mi nascosi dietro la tazza.
“Sì.” Replicò lei seccata. Uscimmo dalla caffetteria e lei dovette tornare all’arena. A quanto pare, il nostro incontro era durato più del previsto.
“Quando ci rivedremo?” Mi chiese davanti al backstage. Sospirai e mi passai una mano fra i capelli.
“Non lo so. Spero presto.”
“Anche io.” Mi abbracciò di nuovo. “E chiama Jimmy.” Mi intimò prima di sparire nel backstage. Risi.
“Lo farò.” La salutai con la mano e mi allontanai da quel posto più in fretta possibile.
Jimmy.
Mi buttai sul divanetto con in mano una birra, sudato e stanco come non mai.
“Elle, dov’eri finita?” Fece Brian alla sua morosa, che si sedette sul bracciolo della poltrona dove c’era lui.
“Ero andata a fare un giro. Oh, Jimmy, appena hai un attimo vorrei parlarti.” Alzai gli occhi apaticamente dalla birra e squadrai Elle: mi stava fissando intensamente. Mugugnai un cenno di assenso e mi alzai dal divanetto, seguendola in una stanza del backstage, molto più lontano da dove si trovavano gli altri.
“Allora?” Feci bevendo un sorso di birra.
“Ho visto Taylor.” La birra mi scivolò dalle mani e si rovesciò a terra senza rompersi, il petto iniziò a farmi male per quanto batteva velocemente il cuore.
Taylor.
Il suo nome mi fece rivenire in mente i suoi occhioni verde smeraldo, le labbra carnose, il sorriso contagioso, quel senso dell’umorismo talmente contorto che capiva solo lei… le terapie, le litigate, le incomprensioni, le lacrime, le risate, l’intervento, l’amore che Dio solo sa provavo per lei…
Taylor. La mia Taylor.
“Ah.”
“Ho rivisto Taylor dopo cinque anni e tutto quello che sai dirmi è ‘ah’?”
“Che dovrei dire, scusa?” Feci scetticamente.
“Non so, chiedere che ci siamo dette?”
“Ci stavo arrivando.” Bofonchiai raccogliendo la bottiglia da terra e buttandola nel secchio.
“Ha detto che le manchi.” Deglutii a fatica.
Ah, il petto.
“Solo questo?”
“Ha detto anche che ti ha deluso e che pensa che ti abbia spezzato il cuore.”
“In effetti è così.” Risposi piccato. Mi beccai un’occhiataccia. “Ok, scusa. Va’ avanti.”
“E ha detto anche che ti chiamerà.”
Aggrottai le sopracciglia. “Ho cambiato numero.”
“Chiamerà me e poi le darò il tuo numero. Non puoi scappare.”
Mi innervosii a quelle parole. “Non sono io che sto scappando. È lei che se n’è andata chissà dove.”
“È tornata a vivere qui.”
“Oh.”
“A casa sua, credo.”
“Capisco.”
“In realtà mi ha chiesto di non dirti nulla, ma volevo che lo sapessi. Tutto qua.”
“Ok.” Mi sorpassò e uscì dalla stanza. “Elle?”
Lei si fermò sulla porta e si voltò. “Sì?”
Deglutii faticosamente. Era come se mi fosse stata piantata una lama in gola. “Come… come sta? È cambiata?”
Il suo viso si illuminò con un sorriso che difficilmente avevo visto. “È bellissima come sempre. E le sono ricresciuti i capelli.” Annuii e rimasi solo a pensare all’ultima volta che ci eravamo parlati.
“Che vuol dire che non ti fidi di me?” Sbottai camminando avanti e indietro per il tour bus deserto.
“Jimmy, sei circondato da ragazze bellissime e da fans arrapate.”
“Sì, ma io non le amo.”
“Cavolo, Jim…”
“Taylor, che ti succede?”
“Io… non ce la faccio più.”
“Vieni da me.” Risposi in tono quasi supplichevole.
“Non posso, Jimmy, lo sai. Se avessi potuto non ti avrei mai lasciato.”
“E allora perché mi stai dicendo questo?”
“È brutto Jim. Non voglio non fidarmi di te.”
“Tu… non ti fidi di me?” Mi fermai al centro del bus.
“No, certo che mi fido di te. È degli altri che non mi fido.”
“Che intendi?”
“Jimmy, forse è meglio finirla qui…” La sua voce era appena udibile.
“Vuoi… mi stai lasciando?”
“Ti prego, capiscimi…”
“Come posso capirti, Taylor? Non vedo un fottuto motivo per il quale dovremmo lasciarci!” Urlai fuori di me.
“Perché ho dei fottuti problemi di fiducia, ok?! Non mi fido di me stessa, ecco. Ho bisogno di pensare, Jimmy.” La sua voce perse vigore man mano che parlava. Presi un respiro profondo e mi passai una mano fra i capelli.
“Perché mi dici questo?” Chiesi di nuovo, con meno rabbia e sempre meno accettazione. Tutto ciò che ricevetti in risposta fu un lungo sospiro. “Come vuoi. Prendiamoci sta pausa.” Dissi alla fine per mettere fine a quel silenzio straziante che andava avanti da fin troppo tempo.
“Sì…”
“Taylor, voglio farti una domanda.”
La sentii singhiozzare. “Dimmi.”
“Hai paura di sposarmi?”
“No.” Rispose con voce tremante. Riprese fiato e continuò. “Non l’ho mai avuta.”
Mi morsi un labbro. “Va bene.”
“Allora… ci si vede.”
“Sì.”
“Ciao Jimmy.”
“Ciao Taylor.”
Taylor.
28 dicembre 2009, 9.58 PM
Cinque mesi dopo, non avevo mantenuto la mia promessa, come al solito. Chiamavo Elle, sì, ma non mi sono mai fatta dare il numero di Jimmy e, appena provava a dirmelo, facevo finta che fosse caduta la linea. Avevo decine di sms in cui c’era scritto il suo numero, ma non lo avevo mai chiamato.
Aprii la porta di casa e la trovai deserta, come al solito. Mi buttai sul divano e accesi la tv su MTV. La canzone che c’era in quel momento era dei Sevenfold. Spensi la tv e mi diressi in camera da letto. Non avevo nessuna intenzione di sentire una canzone che parlava dell’aldilà. Mentre mi mettevo il pigiama, mi squillò il cellulare. Rovesciai la borsa sul letto - cercare il telefono là dentro sarebbe stata un impresa - e lo presi. Pensate, era dentro un pacchetto di biscotti. Lo scossi per togliere le briciole e guardai il numero. Non lo avevo salvato. Aggrottai le sopracciglia e risposi.
“Pronto?”
“Taylor?” Un vocione profondo e terribilmente familiare disse il mio nome. Per poco non scoppiai a piangere.
“Matt! Oh Dio, come stai?” Urlai fuori di me dall’euforia.
“Io bene, e tu?”
“Mah, si va avanti.” Sorrisi; ero troppo felice di risentire quel bestione. “Come mai questa chiamata?” Chiesi con entusiasmo.
“Riguarda Jimmy…” La sua voce era spenta, diversa da come ero abituata a sentirla. Il sorriso sparì immediatamente dalle labbra.
“Che succede?”
“È in ospedale, ed è in coma.”
***
*In sottofondo si sente il cantare dei grilli
Dai, non odiatemi. *schiva un piatto* So che mi amate! *fugge da dardi infiammati e forconi appuntiti*
Non volevo, lo giuro, non so perché la mia vena sadica abbia preso così il sopravvento! *schiva una piantagione di pomodori e un allevamento di polli con uova annesse*
Ok, innanzitutto, mi dispiaaace avervi fatto aspettare così tanto per questo capitolo, ma ho avuto da fare con scuola, e sono pure andata in Puglia quattro giorni per il festival della filosofia, e mi sono dimenticata (sono seria!) di aggiornare.
Mi dispiace anche di avervi fatto soffrire, con questo capitolo merdoso çç
Mi farò perdonare <3
A presto!
Ilaria.