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Autore: udeis    22/10/2013    1 recensioni
< chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia, ma non sa quello che trova. E se la strada semplicemente svanisse?>
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia, ma non sa quello che trova.”
E se la strada semplicemente sparisse? Cinque minuti fa ero sul sentiero che conduceva in paese, adesso invece, mi ritrovo a saltare da masso in masso sulle sponde di un fiume, scavalcando alberi caduti e all’occorrenza passandoci sopra come se fossero un ponte, per superare tratti in cui la strada semplicemente non esiste. Oppure affondare nel fango e nelle foglie arrancando a fatica, trascinandomi dietro il mio zaino di venti chili.
 
Gino guarda la cartina con un misto di disperazione e rabbia: il sentiero è lì, segnato chiaramente sulla mappa, ma è misteriosamente scomparso da sotto i nostri piedi.
Se Gino fosse un uomo anche solo un pochino meno razionale, potrebbe pensare che sono stati i folletti a farlo svanire e che basterebbe offrire loro del latte perché si plachino e lo facciano ricomparire, ma il nostro superiore riesce a mala pena a credere all’esistenza di Dio, figuriamoci se spreca tempo con dei folletti; che poi, di latte, nemmeno ne abbiamo.
Ci fermiamo quindi, e lui, spinto dall’energia nervosa inizia a scalare il declivio in verticale: la terra è umida, la pendenza proibitiva, ma lui va su, spedito muovendosi a quattro zampe, senza apparentemente sentire il caldo né la stanchezza.
D’altronde non si diventa alpini senza ragione.
Qualche sasso rotola fino a noi che aspettiamo in piedi, più sotto, vicino al fiume: qualcuno beve un sorso d’acqua, alcuni riprendono fiato, io scambio un paio di battute con Balla e Caldero. Il primo muore di freddo e avrebbe preferito non fermarsi, il secondo si sta squagliando e non vedeva l’ora di fare una pausa. Nessuno si siede né pensa di mollare gli zaini: più che la disciplina militare a suggerircelo è l’esperienza che ci viene da innumerevoli giornate passate in montagna, a marciare.
 
L’idea questa volta era semplice, una cosa quasi di routine: uno zaino, pochi viveri e qualche altro genere di prima necessità, una settimana di tempo per percorrere un tratto di strada abbastanza lungo. Detto così sembra abbastanza facile o poco militaresco, ma vi assicuro che non è stata una scampagnata: diciamo che, simulare combattimenti e azioni a duemila metri per il possesso del rifugio contro un’altra batteria, perderle e restare a dormire fuori, non è stato affatto divertente, soprattutto per me, che ho dimenticato le sigarette in quello che era diventato l’avamposto nemico.
 
 
Ora una settimana è passata e dovremmo riunirci agli altri in questo paese di cui ho dimenticato il nome, ma ci siamo persi nel bosco.
Proprio così: ci siamo persi nel bosco! Ho sempre pensato che fosse possibile solo nelle favole.
Se almeno ci fossimo ricordati di seminare delle briciole riusciremmo a ritrovare la via di casa.
 
Gino ci raggiunge di corsa rischiando ad ogni passo di scivolare e travolgerci uccidendoci tutti, ma più che questo, ciò che mi preoccupa è lo sguardo folle di sfida nei suoi occhi.
Ha deciso che guaderemo il fiume e cammineremo fino alla meta senza fare deviazioni: il sentiero fa ancora alcune curve, ma il villaggio è dritto in linea d’aria davanti a noi.
Lo raggiungeremo.
E lo faremo prima dello scadere del tempo massimo.
Questo non solo per evitare la punizione che, come nelle migliori tradizioni militari, spetta alle squadre arrivate fuori tempo, ma anche, e soprattutto, perché non vuole assolutamente sentire i commenti di quel bastardo del tenente, che lo sappiamo tutti, ci vuole fuori dai piedi solo per fare più facilmente i suoi comodi: nello specifico trombarsi qualche bella figliola in tutta tranquillità.
Anche perché quell’uomo non si limiterà a commentare, ma ci assegnerà la punizione peggiore possibile dal momento che lui e Gino si detestano cordialmente.
Penso che all’origine di quest’odio ci sia una storia che coinvolge in qualche modo una ragazza, dei pomodori, un colonnello e un cane, ma, per fortuna, non ho mai capito come e in che ordine.
 
Ci sarà un giorno, quindi, in cui ci sorbiremo la boria del tenente, un giorno in cui ci vomiterà addosso il suo disprezzo, ma non è questo il giorno.
Oggi, dobbiamo solo sopportare le urla d’incitamento del nostro comandante.
 
Io non protesto: le sue idee sono potenzialmente suicide, dettate più dall’esasperazione che da un’attenta riflessione, ma sono giorni che non tocco una sigaretta e non vedo l’ora di fumarmene una in santa pace. Per me non è proprio il momento di perdere tempo in quisquilie: il fumo è un brutto vizio e non fa sconti, qualche ora di troppo di astinenza e rischierei di uccidere qualcuno. Purtroppo, essendo un soldato, lo farei anche fin troppo bene.
I miei commilitoni, invece, non sono molto entusiasti e i loro commenti sono gonfi di sarcasmo: bagnarsi in un fiume, per quanto sia bassa l’altitudine, non è mai piacevole e neanche risalire il crinale di una montagna salendo dritti lo è.
 
Purtroppo ho la cattiva idea di schierarmi apertamente dalla parte del nostro superiore e me ne fanno pentire: quando attraversiamo il fiume, infatti, tocca a me trasportare Balla e il suo zaino. Il poveretto aveva gradito ancora meno di me la notte all’addiaccio: si era preso la febbre e stava poco bene. Poteva camminare, ma era meglio se non si bagnava.
 
Dal canto suo Balla non si rassegna facilmente: considera tutto ciò umiliante, perciò protesta per un bel po’, ma sta davvero male e gli ordini sono ordini e il comandante non vuole sentir ragioni, così alla fine si convince e cede.
 
Comunque il suo onore è salvo: il favore me lo restituirà appena torneremo in un posto civile comprandomi delle sigarette. Un pacchetto, no, due, o forse è meglio dieci? Sì, dieci è il numero ideale e se a lui si unisce anche Gino, fanno venti pacchetti di sigarette per un totale di… duecento sigarette? Il paradiso in terra!
D’altronde è poca cosa per quello che ho fatto: a Balla ho salvato la vita impedendogli di morire di orgoglio e polmonite, Gino, invece, l’ho sostenuto incondizionatamente in un momento critico in cui la sua autorità era a rischio.
Inoltre non è da tutti non lasciarsi scappare nemmeno un commento maligno mentre si scala un versante terribilmente ripido, in crisi di astinenza, con uno zaino di venti chili, senza seguire il sentiero, ma seguendo invece un uomo che, malgrado la stanchezza, tiene un passo più che sostenuto e borbotta insulti come un disco rotto, cercando nel contempo di evitare l’ammutinamento di una squadra a cui il fiato non manca mai, se bisogna lamentarsi.
 
 
Arriviamo infangati e stanchi con un’ora di ritardo, scavalcando un muro di cinta.
Il tenente scintilla di pericolosa cattiveria: siamo arrivati ultimi, siamo la vergogna dell’esercito, come lui aveva sempre sostenuto. Assaporando già il trionfo apre la bocca per assegnarci la più feroce e stupida punizione della storia militare.
Al confronto il sergente Hartman ci sembrerà un angelo sceso dal cielo, già lo so.
In ritardo di un’ora e dieci, visibilmente esausta, un’altra squadra arranca dietro di noi sul sentiero giusto e si mette sull’attenti.
 
Lo sguardo infuriato del sergente non ha prezzo.
A volte, sulla strada nuova, trovi un sacco di soddisfazioni. 
 
 
 
 
 
 
 
Questa storia partecipa al contest "la torre di Babele".
  
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