Serie TV > Doctor Who
Segui la storia  |       
Autore: dreamlikeview    22/10/2013    2 recensioni
Il Dottore, una ragazza, due cantanti, due studenti, un medico, un 'consulting detective', due agenti del Torchwood, un principe, un servitore mago, due maghi, un supereroe e una comune minaccia. Cosa spingerà questi personaggi ad incontrarsi? Come fermeranno la minaccia imminente? Riuscirà il Dottore a salvare la situazione?
[Crossover: Doctor Who, One Direction, Merlin, Torchwood, Glee, Sherlock, Harry Potter, Smallville]
[Larry, Merthur, Janto, Johnlock, Klaine]
Genere: Avventura, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Doctor - 10, Jack Harkness, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu  per il banner.
 
Avviso: Contiene fangirling ECCESSIVO nel finale.
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta. (es. le deduzioni brillanti di Sherlock e il finale sugli angeli, lo so che quando spediscono qualcuno indietro nel tempo, si nutrono dell'energia temporale e creano punti fissi nel tempo, lo so.)
Allons-y!



 
Atterrarono quando era già giorno.
La foresta pareva tranquilla. Gli angeli rimasti si erano allontanati e i cinque che li avevano accerchiati erano fermi l’uno di fronte all’altro, e sarebbero rimasti lì per sempre, a fissarsi per l’eternità. Finalmente toccavano la terra, finalmente erano sulla terra ferma e non sospesi nello spazio.
Sherlock si guardò intorno, pensieroso. Doveva ossigenare il cervello e svuotarlo dal pensiero ‘John’ per un po’, doveva ritornare alle sue facoltà normali. Ma appena capì quale fosse la soluzione, si diede dello stupido per non averlo capito subito. Decisamente l’amore rallentava le sue capacità, doveva tornare cinico e distaccato come prima.
“Ma certo!” – esclamò – “come ho fatto ad essere così stupido?”
La soluzione era lì, vicina. Era sempre stata lì davanti ai suoi occhi, e lui non c’era arrivato prima.
“Cos’hai, Sherlock? Non ti senti bene?” – chiese premuroso John, vedendolo più strano di come lo fosse stato fino a quel momento. Il Consulting detective sembrava euforico, come se finalmente tutto quello che era successo avesse un senso, non del tutto, certo, ma aveva capito un paio di cose che sarebbero state utili ai fini del ritorno a casa. Perché sì, si era abituato, con John era stato meraviglioso, ma doveva tornare a casa, e doveva anche trovare una spiegazione plausibile. Non era possibile che le persone sparissero per colpa della statua a forma di angelo, era assurdo, ancora non ci credeva, eppure se ripensava al parco, trovava cosa non andasse. Accanto alla statua di Peter Pan non c’era mai stato un angelo, eppure quella mattina c’era. Perché non se n’era accorto prima?
“Ho trovato la soluzione, John!” – esclamò.
“Sì, una bellissima idea come quella degli specchi?” – fece acido Malfoy, stranamente spalleggiato da Potter, che per una volta era d’accordo con lui. Non potevano rischiare un altro fiasco a causa di quel genio da quattro soldi – solo secondo loro, ovviamente - che pretendeva di spadroneggiare e dare lui le soluzioni a tutto.
“Conoscete un metodo migliore di quello che non ho ancora espresso, stupidi ragazzini con dei bastoncini?”  - chiese alzando un sopracciglio, mentre i due maghi storcevano il naso. Potter strinse la sua bacchetta, estraendola dai pantaloni, disse che ci avrebbe pensato lui. Perché lui era il Prescelto, colui che era sopravvissuto, quindi non poteva fallire contro delle innocue statue di marmo.
Nessuno di loro rivolgeva gli occhi alla caverna dove si erano accampati la prima notte nel bosco, tutti le davano le spalle, e inesorabilmente con una velocità da far spavento, gli angeli iniziarono ad uscire da lì e ad avvicinarsi a loro. Clark se ne rese conto con il suo superudito e: “Attenti, arrivano!” – urlò. Tutti immediatamente si voltarono verso la caverna alle loro spalle, e tutti restarono con gli occhi spalancati.
Fortunatamente se n’era accorto lui, altrimenti sarebbe stata la fine per tutti.
“Pff. Ci penso io” – fece Malfoy, strappando la bacchetta dalle mani di Potter, puntandola contro uno degli angeli – “STUPEFICIUM!” – urlò, ma la bacchetta non era sua, non la controllava. L’incantesimo si riversò su di lui, che volò all’indietro per diversi metri, perdendo la bacchetta tra le frasche del bosco.
“Sei un idiota, Malfoy!” – rispose con un urlo Potter, andando a recuperare la bacchetta. Magari un altro incantesimo avrebbe funzionato, era solo marmo alla fine. Fortunatamente la bacchetta era intatta, per questo la recuperò dal terreno e corse verso gli altri, e la puntò su altre statue – “REDUCTO!” – urlò, ma l’incantesimo venne deviato. Non si sapeva bene da cosa. L’incantesimo volteggiò, e poi precipitò velocemente e pericolosamente verso Louis. Clark intercettò fulmineamente il movimento del fascio di luce, e correndo velocemente spostò il ragazzo di diversi metri, prima che egli venisse colpito da quella magia. Louis era totalmente terrorizzato, se non fosse stato così spaventato, avrebbe urlato felice, dopo aver corso a quella velocità con Clark.
Clark Kent gli aveva appena salvato la vita, e lui non riusciva a trovare la cosa fantastica. Ricordava quel lampo, l’aveva visto vicino, troppo vicino. E se  Harry fosse stato colpito?
“M-Mi hai salvato…” – disse sottovoce al kryptoniano, avvolgendo le braccia intorno al suo collo, e affondando il viso nell’incavo del suo collo – “mi hai salvato la vita.” - l’altro ricambiò l’abbraccio, intuendo che avesse bisogno di essere tranquillizzato. – “voglio Harry…” – mormorò – “dov’è Harry?” – chiese ancora tremante.
“Ti riporto da lui, sta’ tranquillo, va tutto bene.” – lo rassicurò. Louis annuì e lasciò che Clark lo riportasse da Harry. Non riusciva a sentirsi al sicuro, non senza Harry. Non appena li vide riavvicinarsi, il riccio corse verso di loro. Non era arrabbiato, geloso o altro, era solo preoccupato per il suo ragazzo. Non aveva visto subito Clark allontanarlo, si era sentito solo spingere per terra e quando aveva aperto gli occhi, aveva scorto solo un pezzo di terra bruciacchiata. Aveva temuto il peggio per Louis, e stava per picchiare quell’occhialuto stupido che non aveva ascoltato Sherlock, ma per fortuna Louis stava bene e per quanto lui non sopportasse il campagnolo, l’aveva salvato e doveva essergli riconoscente.
“Haz…” – mormorò il ragazzo vedendolo, fiondandosi tra le sue braccia. Harry lo afferrò subito e lo abbracciò fortissimo, stringendolo forte a sé, tranquillizzandolo. Era successo tutto così in fretta che non se n’erano accorti.
“Grazie, Clark, grazie per averlo salvato.” – lo ringraziò con un cenno della testa, facendo sorridere l’altro, che si riunì immediatamente agli altri, aiutandoli a fissare gli angeli.
“Biondino e occhialuto, siete inutili. Quindi non fate nulla, non muovetevi e posate quei bastoncini.” – li richiamò Sherlock, riprendendo l’attenzione degli altri su di sé. Non era possibile che fossero così stupidi.
“Sherlock, cos’hai in mente?” – chiese John, guardandolo leggermente preoccupato.
“Allora, dobbiamo disporci in cerchio.” – disse semplicemente – “e chiudere tutti gli occhi. Quando chiudiamo gli occhi, dobbiamo abbassarci velocemente. Gli angeli si disporranno a cerchio intorno a noi, e nel momento in cui ci abbasseremo, si guarderanno, e non si muoveranno più.” – spiegò velocemente.
“Signor Holmes, lei è un genio!” – esclamò il Dottore. Come aveva fatto a non pensarci lui? L’unica arma contro gli angeli, erano gli angeli stessi. Dovevano agire, immediatamente. Dovevano riuscire a fare come aveva detto Sherlock.
Potevano farcela, collaborando tutti insieme.
Non appena Louis si fu ripreso, e sia lui che Harry si furono uniti agli altri, tutti si disposero in cerchio, tenendo ancora lo sguardo sulle statue, non dovevano perderle di vista, non dovevano spostare lo sguardo per nessuno motivo, non ancora. Dovevano essere veloci, sincronizzati e istantanei. Dovevano farcela, era l’ultima spiaggia.
“Al tre, siete pronti?” – chiese il Dottore – “prendiamoci tutti per mano, così saremo precisi nell’abbassarci.”
Harry afferrò la mano di Louis, che a sua volta prese la mano di Kurt, che afferrò la mano di Blaine, il quale prese la mano di Clark, che a sua volta prese la mano di Sherlock, il quale fu felice di prendere la mano di John, meno contento fu John a prendere la mano di Potter, che inorridito prese la mano di Malfoy, accanto al quale c’era Merlin, al quale dovette prendere la mano, poi Merlin intimidito intrecciò le dita a quelle di Arthur, che a sua volta prese la mano di Charlotte accanto al Dottore, al quale strinse la mano, poi lui prese quella di Jack, che a sua volta intrecciò la sua con quella di Ianto, il quale concluse il cerchio, prendendo la mano di Harry.
Il cerchio era unito, dovevano prima chiudere gli occhi e lasciarli avvicinare.
“Uno!” – esclamò ancora il Dottore, tutti si irrigidirono.
“Due!” – urlò. Se avessero sbagliato qualcosa, sarebbe finita per tutti, non ci sarebbe stata più alcuna possibilità, tutto sarebbe finito, il TARDIS perso, e nessuno in grado di aiutarli.
“Tre!” – finì. Tutti contemporaneamente chiusero gli occhi. Clark teneva sottocontrollo il movimento degli angeli con l’udito, li avrebbe avvisati tutti nel momento in cui quelli fossero stati troppo vicini.
Erano veloci, velocissimi. Si avvicinavano ad una velocità incredibile.
Ancora poco, pochissimo.
Erano quasi in posizione, mancavano poche frazioni di secondo.
Ancora un po’… ancora un po’…
“Adesso, aprite gli occhi!” – esclamò il ragazzo di Smallville, e tutti spalancarono gli occhi. Erano letteralmente circondati dagli angeli. Potevano osservarli, nella loro vera forma. Senza mani sul viso.
Li avevano già visti, ma in quel momento sembravano ancora più crudeli che mai.
Tutti tremavano, erano spaventati.
L’ansia saliva sempre di più.
“Devono avvicinarsi di più.” – disse il Dottore – “così finirà come con gli specchi.”
Tutti i presenti deglutirono ancora. Ancora qualche minuto di ansia, ancora un po’, poi sarebbero stati salvi, ce l’avrebbero fatta, non avrebbero più avuto il problema chiamato Weeping Angels.
Richiusero gli occhi. Stavolta si mossero più veloci di prima.
Ormai erano vicini. Vicinissimi, Clark poteva sentirli, quasi minacciosi vicini a loro.
“Adesso, aprite gli occhi ora!” – urlò. Quando tutti aprirono gli occhi, gli angeli erano davvero vicini. Troppo vicini. Non potevano muoversi, se l’avessero fatto sarebbero morti, non potevano chiudere gli occhi, dovevano solo aspettare il segnale, e poi andare via da quel cerchio mortale.
“Dobbiamo abbassarci” – disse Sherlock – “veloci, abbassatevi e chiudete gli occhi!” – diede il via muovendo il braccio verso il basso e tutti lo seguirono immediatamente. Quando tutti toccarono terra, chiusero immediatamente gli occhi.
C’era altra ansia, in quel momento.
Era stato un fallimento come la soluzione precedente?
Aveva funzionato?
Era tutto assurdo, strano, tutto… irreale, ma forse ce l’avevano fatta. Forse avevano vinto loro, avevano sconfitto gli angeli piangenti. Riaprirono gli occhi, ed erano ancora lì. Erano vivi, ce l’avevano fatta, forse.
Cautamente, in fila indiana uscirono dal cerchio gattonando sul terreno. Non appena furono tutti fuori, uno dopo l’altro, si guardarono intorno. Gli angeli sembravano essere tutti lì, il cerchio più piccolo creatosi la notte prima intorno al TARDIS e quello che avevano appena creato era immobile.
Erano lì, fermi per l’eternità.
Ce l’avevano fatta, davvero?
“Ce l’abbiamo fatta!” – urlò Charlotte, incredula. Erano riusciti davvero ad annientare, per modo di dire, quelle statue infernali? – “ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!” – trillò emozionata saltando al collo del Dottore, abbracciandolo. Tutti esplosero in un urlo di giubilo. Ci erano riusciti, avevano salvato tutti, ed erano salvi loro stessi. Sherlock incredulo aveva abbracciato John esultando. Non sapeva come, ma la sua soluzione era quella giusta. Nessuno poteva credere a quanto fosse accaduto. Era tutto così pazzesco; Kurt e Blaine si abbracciavano felici, potevano tornare a casa; Harry e Louis poco più distanti si baciavano perdendosi l’uno nell’altro.
Jack aveva baciato la fronte a Ianto, quello era il massimo che sapesse esprimere in pubblico, mentre Arthur traeva a sé Merlin baciandolo sulle labbra. Non si capiva niente, persino Potter e Malfoy si erano stretti la mano e sorridevano tra di loro, la cosa pareva davvero strana, visto che non si sopportavano per niente.
“Ce l’hai fatta, Dottore!” – aveva esclamato Charlotte, aggrappandosi al suo braccio, gioendo con lui, che le sorrideva annuendo soddisfatto.
“Ce l’abbiamo fatta, non li avrei fermati senza il vostro aiuto.” – le sorrise – “soprattutto senza quello di Sherlock e le sue brillanti deduzioni.”
“Lo so, sono un genio, non c’è bisogno che lei lo dica, Dottore.” – si complimentò con se stesso il Consulting detective, affiancato da John. Quei due già erano inseparabili, dopo tutta la storia nel TARDIS… chi l’avrebbe staccati più?
Era tutto finito, davvero. Avevano sconfitto gli angeli, e quindi quello era il momento orribile del ritorno a casa?
Charlotte da un lato sperava non accadesse mai quel momento, chi avrebbe voluto tornare a casa dopo aver vissuto quell’esperienza? Come avevano fatto tutti a lasciare il Dottore e tornare alla normalità? Era una cosa inconcepibile.
“Voi siete tutti invitati al mio castello per domani!” – urlò Arthur – “darò un ballo in onore di tutti voi, che avete salvato Camelot, e avete trovato l’amore, come me!” – sorrise stringendo la mano di Merlin, che arrossì sentendo le parole del principe.
Tutti accettarono l’invito, anche Sherlock che era sempre il più restio a queste cose.
Forse non era ancora tutto finito, no?
Si recarono tutti al palazzo dei Pendragon, la città era sgombra, tutti gli angeli erano nel bosco, bloccati lì per l’eternità. Nessuno avrebbe dovuto mai addentrarsi in quelle zone, ma non c’era pericolo, era un luogo troppo lontano dal borgo perché qualcuno vi andasse. Era davvero impossibile.
I nostri eroi tornavano vincitori, dopo aver sconfitto la minaccia.
Arthur disse al padre di aver distrutto tutte le statue, e lo convinse a partire per un po’, prima di ospitare tutti gli altri lì a Camelot, poi insieme a Merlin e Gaius iniziò i preparativi per il ballo.
Due giorni dopo, tutti i preparativi erano finiti. Il salone dei ricevimenti era addobbato al meglio, e il principe si premurò di riservare quella festa a pochi eletti, tutti i presenti nel TARDIS, Gaius, i suoi cavalieri più fidati e qualche dama di corte per i pochi della ‘squadra’ che non avevano un partner, non era stata richiesta nemmeno la presenza di Gwen, e straordinariamente, per l’evento, Merlin non avrebbe dovuto essere un servitore, ma un ospite, per ordine di Arthur. Il principe diede ad ognuno di loro una camera, e fornì loro gli abiti adatti alle feste. All’unica ragazza tra di loro, aveva regalato un abito rosato, prezioso, lungo, tipico da nobildonna, elegante, raffinato; mentre gli uomini aveva regalato dei classici abiti da cerimonia, composti di pantaloni scuri e camicia di cotone bianca.
Tutto era pronto per la festa di corte, tutti erano pronti e tutti avevano un cavaliere o una dama. Harry aveva Louis, Kurt aveva Blaine, John aveva Sherlock, Jack aveva Ianto, Arthur aveva Merlin, Clark, Potter e Malfoy avevano scelto ognuno di loro una dama della corte per trascorrere la serata. Il Dottore e Charlotte erano ancora indecisi, lei non voleva uno dei cavalieri di Camelot, anche se le avrebbe fatto davvero piacere, e il Dottore non era esattamente il tipo da feste, non come quelle almeno. Lui era un tipo d’azione, e i festeggiamenti non facevano per lui, non si fermava mai, né si guardava indietro, lui era l’uomo che continuava a correre, fermarsi non era il suo genere di cose.
La festa era iniziata da poco, Arthur faceva gli onori di casa, nuovamente, mentre tutti gli altri si guardavano intorno, stupefatti da quanto potesse essere bello un castello medievale dal vivo. Non ne avevano mai visti sul serio.
“Ora che è tutto risolto” – esordì il Dottore – “ti va di dirmi la verità?”
“Quale verità?” – chiese la ragazza, sudando freddo – “non nascondo niente, io.”
“Ti sei irrigidita, torturi le mani e ti mordi il labbro” – spiegò Sherlock comparendo al suo fianco. John era attratto dal castello, mentre lui da altro. Aveva capito fin da subito che quella ragazza nascondesse qualcosa, ma non si era soffermato molto sull’argomento. La ragazza sembrava in difficoltà. Non poteva ammetterlo, non davanti al Dottore, l’avrebbe deluso, e no, l’aveva appena conosciuto, non poteva deluderlo già.
“I-Io…” – balbettò. Non ci riusciva, non poteva, era troppo difficile.
“Forza, Charlotte Ellis, dì a noi chi sei davvero” – la incoraggiò il Dottore, senza l’ombra di nervosismo nella voce. Voleva tranquillizzarla, ma voleva che si sentisse a suo agio.
“Sherlock l’avrà già capito, fallo dire a lui.” – disse abbassando lo sguardo. Il Dottore rivolse lo sguardo al Consulting detective, incitandolo a dire cos’avesse dedotto solo guardando la ragazza.
“E’ una ragazza che scappa, è sola, maledettamente sola, questo spiega la borsa piena di roba, e piena di cose anche trascurabili, come delle forbici. Sei abituata a fare tutto da sola, e… non vai più a scuola. Sei troppo intelligente per studiare ancora, sebbene tu abbia diciotto anni.” – spiegò velocemente, accompagnando tutta la spiegazione con i gesti della mano. Non sembrava così brutto detto da lui, ma lei si vergognava da morire, di tutto.
“E’ vero, tutto.” – confessò, abbassando la testa.
“Ehi, ehi, e perché non l’hai detto subito?” – chiese il Dottore, alzandole il viso con un dito.
“Non mi avresti mai scelta, sono solo una fallita.”
“Che conosce le stelle, e tutta la mia vita.”
“Scusa, non volevo mentirti.” – sospirò – “ma me ne vergogno, troppo.”
Lui si intenerì guardandola e l’abbracciò delicatamente. Aveva visto bene, era solo una ragazza sola, che sognava di viaggiare, e in un certo senso gli ricordò Astrid, l’aliena conosciuta qualche anno prima sul Titanic.
“Anche io ho mentito” – confessò il Dottore – “ho novecentosei anni.”
Charlotte scoppiò a ridere, stringendolo forte. Era vero, lui era davvero speciale. Non ne avrebbe conosciuti di migliori di lui, da nessuna parte. Lo ringraziò silenziosamente, stringendolo forte, e fu allora che lui volle fare qualcosa di carino verso qualcuno. Una delle rare volte in cui si comportava in modo gentile con gli estranei, a parte quando doveva salvarli da qualche catastrofe.
“Ti va di farmi da dama per stasera?” – le sussurrò all’orecchio, e lei annuì energicamente, arrossendo e sorridendo imbarazzata. Dannazione, certo che lo voleva.
In quel momento, tutto sembrava andare bene, ma bene davvero.
 
Improvvisamente la situazione era mutata. Tutti avevano qualcuno, nessuno era solo, si prospettava la serata perfetta, per tutti, ma dopo quella sera sarebbe finito tutto, niente sarebbe stato lo stesso.
Tra chi aveva scoperto l’amore, chi l’aveva consolidato e chi aveva preso delle scelte, c’era qualcuno, il cui destino era già stato scritto, a cui non sarebbero state date altre possibilità.
Qualcuno doveva restare, ma il Dottore non lo disse subito, non voleva distruggere quel momento così bello e romantico a tutti i presenti, non poteva.  
La festa era iniziata alla grande, tra cibo, chiacchiere, risate e amore, la serata stava trascorrendo benissimo per gli eroi della serata. L’ingrediente fondamentale di quella serata era l’amore, il dolce, semplice e puro amore, quello scoppiato o consolidato durante quell’avventura, l’amore che regnava sovrano quella notte.
Charlotte era felicissima, il Dottore si era offerto di farle da cavaliere durante la festa, e non poteva esserne più felice, inoltre aveva fatto amicizia con tutti, nonostante fosse timidissima, era riuscita ad instaurare un minimo di dialogo con quelli che erano i suoi eroi, alcuni ringraziandoli, altri parlandoci tranquillamente, altri aiutandoli, altri… detestandoli come mai in vita sua. Tutto sembrava tranquillo, gli angeli erano stati fermati, Uther era fuori città, e non poteva uccidere nessuno di loro, e tutti loro erano immersi nell’amore più puro e semplice che potesse esserci. Lei era un po’ meno innamorata degli altri, ma si trovava in compagnia del Dottore, meglio di quello non avrebbe potuto chiedere niente, e non vedeva l’ora di osservare attentamente le coppiette ballare. Sicuramente la scena sarebbe stata emozionante come quando avevano ballato nel TARDIS, se non di più.
Quando finalmente il principe si avvicinò a Merlin, tutti intesero cosa stesse per accadere.
Arthur fece un inchino e porse la mano al suo… non poteva più definirlo servitore, come doveva definirlo? Amico? No, era più di un amico. Compagno? No, non poteva. Il suo… Merlin. Era semplicemente il suo Merlin.
“Mi concedi questo ballo?”- gli chiese con il tono della voce piegato alla dolcezza, alla tenerezza, all’affetto (o all’amore?), facendo arrossire il mago che, stranamente, senza parole accettò la sua mano, intersecando delicatamente le sue dita a quelle del principe, tastandone la consistenza e la reale presenza di esse. Poteva essere un sogno, in fondo, no?
“Sì, accetto” – confermò il servo. Il principe lo tirò in piedi, e lo trascinò contro di sé, stringendolo forte. E loro furono i primi ad aprire le danze, seguiti immediatamente da tutti gli altri, che invitarono rispettivamente i propri partner, chi solo per la serata, chi per tutta la vita. Erano tutti emozionati, era la prima volta che partecipavano ad un ballo di corte. Mentre tutti prendevano familiarità con il luogo, Merlin aveva un groppo alla gola. Sì, era felice che lui avesse accettato quel sentimento nascente dentro di loro, ed era felice di trovarsi tra le sue braccia in quel momento, perché poteva essere, per esempio, morto, senza testa, dopo quello che aveva rivelato al principe. Invece era andato tutto bene, però… c’era una domanda che ronzava nella sua testa, una domanda che premeva per uscire, una domanda che per lui avrebbe cambiato tutto, avrebbe riscritto tutto ciò che credeva.
“Arthur…” – sussurrò, imbarazzato. Da quando si sentiva in quel modo davanti al principe?
“Dimmi, Merlin.” – gli sorrise l’altro, durante il ballo. Oh, nonostante Merlin non fosse tanto pratico con le danze, e fosse molto goffo e maldestro, guardarlo in quel momento gli faceva spuntare un tenero sorriso sulle labbra.
“Ma ora… io e te. Insomma, cosa siamo?” – chiese tutto d’un fiato – “e Gwen? Che fine farà? La…” – deglutì – “lascerai?” – chiese infine, liberando finalmente tutti i dubbi, quel dubbio che dal momento in cui Arthur l’aveva baciato, era sorto nella sua mente. Che ne sarebbe stato di lui, una volta che il principe sarebbe tornato da lei?
Arthur restò un attimo senza parole. Non credeva che quella domanda sarebbe arrivata tanto presto, cosa rispondergli? Era una cosa talmente strana quella che c’era con lui, ma anche così bella… e dolce, ed emozionante. Da quanto tempo non provava qualcosa del genere verso la bella serva di sua sorella?
“Io…” – iniziò il principe fermandosi subito dopo, non sapendo cosa rispondere. Non se la sentiva di dire una falsa verità al servo, facendolo soffrire in futuro, ma non voleva nemmeno ferirlo in quel momento. Cosa doveva fare?
“Non devi dirmelo subito, tranquillo.” – sospirò il servo, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe, c’era una macchiolina per terra molto interessante e decisamente carina da guardare, di certo meglio che subire le occhiate di pietà del principe. Sapeva di non essere importante per lui, se non come amico, ma Arthur l’aveva illuso per bene in quei giorni precedenti. Il principe si accorse del suo cambiamento d’umore, e gli sollevò il viso, baciandolo delicatamente sulle labbra. Forse la risposta l’aveva trovata, ma aveva paura di dirlo, forse era solo un codardo in quelle occasioni, ma non voleva affatto far soffrire Merlin, non poteva. Era la cosa più preziosa che possedeva, se n’era appena accorto, la corona, il denaro, il castello, tutto ciò che aveva, non valevano nemmeno la metà di quanto valesse Merlin per lui. Era come una gemma preziosa, una gemma rara nelle profondità della terra, era introvabile, era colui che l’aveva conquistato totalmente e aveva mandato in pappa il suo cervello e il suo cuore.
Era lui.
“Credo che…” – tossì schiarendosi la voce, una volta staccatosi da lui – “noi potremmo essere una coppia meravigliosa.” – confessò, sorridendo e arrossendo impercettibilmente.
“Il mago intelligente e l’asino regale?” – annuì lentamente – “non credo funzionerà, insomma, un asino…”
“Merlin?”
“Sto zitto, lo so.”
Si guardarono per un attimo, e poi scoppiarono a ridere, insieme, prima che Arthur catturasse nuovamente le labbra di Merlin con le sue, danzando ancora con il servo, che ora sorrideva rilassato.
Non aveva più dubbi su di loro, nessuno.
Poco più in là, anche John aveva chiesto a Sherlock di ballare, ma il Consulting detective era piuttosto restio, si era opposto dicendo che uno come lui non si lasciava coinvolgere in ‘certe cose’, ma poi gli occhi dolci di John avevano fatto breccia nel suo cuore ancora, facendolo cedere nuovamente ad una ‘tentazione’ istigata dal medico.
Perché finiva sempre per essere così debole davanti a lui? Era assurdo.
Che potere aveva quel dannato John su di lui?
“Sono tremendamente idiota in questo momento, John, non so ballare!”- esclamò Sherlock, lasciandosi guidare dall’altro. Stava rivivendo il momento orribile già vissuto nella cabina blu, e per fare un’altra figuraccia. Lui e i suoi piedi maledettamente scoordinati. Aveva pestato i piedi al medico circa una decina di volte, qualche notte prima, e non… insomma, non voleva. Lui non si comportava mai da sciocco, erano gli altri ad esserlo, non lui.
“Non importa, tu segui me.” – disse John con il sorriso sulle labbra.
“Ma ti pesterò i piedi, di nuovo.” – si lamentò il Consulting detective, guardando l’altro quasi disperato.
“Non lo farai, e poi chi se ne frega? Rilassati, tanto dopo stanotte torneremo a casa” – sospirò. Ecco, tornare a casa lo spaventava a morte. Non aveva idea di cosa sarebbe successo una volta tornati, non aveva idea di nulla, era totalmente assente dalla prospettiva di dover tornare come prima, e… la cosa un po’ lo terrorizzava. Comico, no? Un ex soldato terrorizzato dal poter essere rifiutato da un Consulting detective a caso, ma davvero non poteva fare altrimenti, era ansioso e terrorizzato, doveva solo essere  più rilassato, no? Stava andando tutto bene.
“Già, a casa” – sospirò il bruno, guardandolo negli occhi – “cosa faremo a casa?”
“In che… ouch!” – si lamentò per il piede di Sherlock finito pesantemente sul proprio – “senso?”  - chiese, fingendo di non capire, quasi dimenticando chi avesse davanti.
“Oh scusa” – borbottò il Consulting detective, guardandolo – “beh, comunque non fare lo stupido, sai benissimo a cosa mi riferisco.” – riprese, guardandolo. In effetti, John doveva capirlo che Sherlock non era uno da prendere in giro.
“Lo so, lo so.” – borbottò – “volevo sentirtelo dire” – comunicò, facendo spuntare un sorriso sulle labbra dell’altro, un sorriso furbo, che la diceva lunga.
“Quindi?” – insisté, petulantemente.
“Quindi… cosa?” – quel farsi domande a vicenda, stava diventando fastidioso. Perché nessuno dei due si decideva a dare una risposta normale? Perché non potevano semplicemente dirsi tutto normalmente, senza tutti quei giri di parole? Ah, perché dovevano essere entrambi così maledettamente stupidi? Non potevano venirsi incontro, per una volta?
“Quindi stiamo insieme o no?” – esplose Sherlock, pestandogli di nuovo accidentalmente il piede, facendo nascere un lamento di dolore nella bocca dell’altro, che però sorrise annuendo. Aveva avuto la risposta che voleva, stavano insieme, cosa poteva esserci di meglio?
“Il tuo silenzio non è un enigma per me, lo sai, vero?” – fece il detective guardandolo – “hai sorriso, sei felice, quindi ne deduco che per te, è un sì. E quindi…” – John non gli diede il tempo di finire la sua lunghissima deduzione, che gli diede ragione baciandolo velocemente sulle labbra, zittendolo.
E no, non poteva continuare così, Sherlock prima o poi si sarebbe opposto, non poteva zittirlo sempre. Con quei dannatissimi baci, le cose dovevano essere seriamente riviste, ma in quel momento si godeva quella specie di danza improvvisata con John, poteva dire di essere stato incredibilmente fortunato? Forse sì.
Jack intanto cercava di capire perché Ianto avesse di nuovo il lampo di gelosia nello sguardo. Non era possibile che fosse sempre e costantemente così geloso. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, avrebbe voluto rassicurarlo, ma stavolta proprio non capiva cosa avesse fatto, stavano bene insieme fino a poco prima… oh forse aveva capito, forse non era geloso, ma solo spaventato. Da cosa non lo sapeva, ma era spaventato, forse i loro discorsi sul tempo, sul dirsi addio un giorno, su Jack che poteva vivere in eterno e lui no, su ciò che erano, l’avevano turbato.
Per questo si limitò a stringerlo senza troppe parole, senza troppe cerimonie e a danzare con lui. Sapeva di essere incredibilmente fortunato ad averlo trovato, e se non si fosse trovato nel tempo giusto, nel momento giusto, e se non avessero sfidato insieme quello pterodattilo, non sarebbero lì, in quel momento. Sarebbero solo due sconosciuti, non si sarebbero mai incontrati. Lui lo amava, sì, che lo amava,  ma poteva dirglielo? Si sentiva pronto a fare quel passo a dire quelle parole? Non l’aveva mai fatto prima di quel momento, non avrebbe mai potuto farlo,  lui non era un tipo dai sentimentalismi, ma… sentiva che il loro tempo poteva essere agli sgoccioli, che avrebbero affrontato la grande separazione prima del previsto, sebbene Jack sperasse di non viverlo mai, o il più tardi possibile.
Si fermò, e gli prende il viso tra le mani, baciandolo immediatamente con trasporto, non lasciandogli il tempo di dire nulla, senza lasciargli il tempo di respirare. Semplicemente premette le sue labbra con le sue e lo incitò a socchiudere le labbra, approfondendo il bacio, oh quanto avrebbe voluto farlo suo in quel momento, e forse quella tentazione aveva avuto la meglio su di lui, quando senza farsi notare dagli altri, spinse Ianto a ritornare nelle stanze, chiudendosi dentro, lontano da occhi curiosi.
“Jack, ma cosa…?” – mormorò il moro, cercando di staccare le sue labbra da quelle di Jack, che gli morse il labbro in risposta, facendogli intendere quanto lo volesse in quel momento. Non poteva più aspettare, era da tanto che non si possedevano in quel senso, e gli mancava da morire.
“Mi manchi” – mormorò contro le sue labbra, facendolo distendere sul letto dalle lenzuola bianche, ponendosi sopra di lui a cavalcioni. Riprese a baciarlo intensamente sulle labbra, sul collo, sul mento… qualsiasi punto raggiungibile dalle labbra, e poi lo spogliò, privando anche se stesso dei vestiti, e poi due parole, prima di unirsi a lui e fare l’amore scivolarono via dalle sue labbra, così leggere, semplici e pure come dovevano essere, fecero battere due cuori all’unisono, rendendo due persone felici, come non mai.
“Ti amo”
E poi fecero l’amore tutta la notte, mentre di sotto la festa continuava, e tutti erano ignari di cosa capitasse al piano superiore del castello.
Proprio al piano di sotto, altre due coppie danzavano tranquillamente tra di loro, tra loro c’erano Kurt e Blaine che si stringevano l’un l’altro, promettendosi silenziosamente di non mollarsi mai, di essere sempre insieme, come potevano non esserlo? Blaine si era trasferito nella scuola di Kurt pur di stare con lui, se non era una dimostrazione d’amore quella, quale poteva essere? Essi si perdevano tra le braccia del compagno, sperando che quel momento non finisse mai. Quella situazione risvegliava in loro troppi ricordi, belli, brutti, dolorosi, felici… ne avevano così tanti che avrebbero potuto scriverci una storia sopra, di tutto quello che era successo tra di loro, dal quel giorno in cui si erano conosciuti, e ne avevano ancora tanta di strada da fare, ma veramente tanta.
“Blaine, ti ricordi la prima volta che abbiamo ballato insieme?” – chiese Kurt con le labbra sul suo collo, sorridendo contro di esso.
“Certo che lo ricordo. Sono stato così fiero di te, quando non ti sei tirato indietro…” – sorrise stringendolo maggiormente per i fianchi – “… nonostante ti avessero umiliato pubblicamente, io non ce l’avrei fatta.”
Kurt sorrise dolcemente stringendo le braccia che aveva attorno al suo collo.
“Oh io ricordo tutto, davvero.” – sussurrò quasi come se quello che stava dicendo fosse un segreto sconosciuto a molti, e conosciuto solo da loro, come se quello che si stavano dicendo fosse solo un segreto tra di loro, una silenziosa promessa, detta con i ricordi, una promessa d’amore, di speranza e futura felicità. Una promessa suggellata poi da un bacio scambiato al centro della sala, con scrosci d’applausi, e risate sommesse, e poi si sorrisero genuinamente, guardandosi l’un l’altro.
“Sai Kurt?” – sorrise guardandolo – “credo che una volta tornati a casa… dormirò tantissimo.” – ridacchiò mentre Kurt si stringeva a lui, continuando a danzare.
“Io credo che farò un bagno.”
“Mmh, magari possiamo farlo insieme” – sussurrò Blaine, strofinando le labbra contro quelle del suo ragazzo, che mormorò qualcosa contro di esse, facendo intendere al moro che fosse molto consenziente alla cosa.
I loro sguardi vagavano per la sala, in attesa che qualcosa cambiasse, in attesa che quel Dottore dicesse loro che fosse arrivata l’ora di andare a casa, che qualsiasi cosa fosse accaduta durante quell’avventura fosse finita, che tutto fosse tornato alla normalità, che loro finalmente avessero la pace che meritavano, loro e tutti gli altri.
Certo, quel ballo era l’ideale per dimenticare quanto vissuto, ma non vedevano l’ora di ritornare a casa loro, nel loro mondo, con le loro comodità. Non erano affatto abituati a quello stile di vita.
“Sono assolutamente d’accordo.” – ridacchiò il castano, stringendolo forte a sé, continuando quella danza e lo scorrere incessante dei loro pensieri, che come un orologio andava avanti senza fermarsi mai.
Qualche metro più in là, Harry sbuffava peggio di una ciminiera. Non era possibile che si trovasse lì nel salone delle feste di un castello medievale, con tante coppiette intorno a lui, senza il suo ragazzo con una dama a caso del regno.
No, non lo accettava, e perché? Non aveva resistito agli occhi dolci di Louis che: ‘Ho chiesto a Clark di ballare con me, sai per ringraziarlo per avermi salvato prima nel bosco!’ e lui come un povero idiota aveva anche detto di sì, perché se quella mattina avrebbe voluto ucciderlo, non poteva, perché aveva salvato il suo ragazzo da un incantesimo all’apparenza pericoloso. E sì, lo aveva ringraziato, ma che questo ora gli togliesse il suo posto accanto a Louis, no. Era ingiusto, non poteva soffiargli così il ragazzo. Non era nemmeno tanto sicuro che quel Clark fosse etero, insomma, erano tutti gay lì, e lui era davvero troppo geloso per ragionare normalmente. Sapeva che l’unica cosa da fare fosse avvicinarsi a quello, e tirargli un sonoro pugno, ma l’aveva già fatto, e la sua mano era guarita da poco, quindi non era fattibile, eppure… lanciò uno sguardo di fuoco verso Louis, che gli sorrise innocente, e allora Harry capì. Era solo un modo per farlo ingelosire ancora, come se non avesse fatto abbastanza durante quei giorni di stranezze.
Quando finalmente Louis si degnò di staccarsi da lui, gli si avvicinò sorridente e scostò delicatamente la ragazza, invitandola ad andare dall’altro ragazzo, mentre lui avvolgeva le braccia attorno al collo di Harry, sorridendogli.
“Amo vederti geloso, lo sai?” – sussurrò, appoggiando la testa sulla spalla del riccio, che se un minuto prima ribolliva di gelosia e risentimento, in quel momento era l’essere più tranquillo e pacato del mondo, solo perché lo riaveva finalmente tra le braccia. Forse era il momento giusto, era giunto il momento di dirgli tutto.
“Io odio vederti con quello lì, mi sa tanto di… depravato che ti salterà addosso da un momento all’altro.” – annuì il riccio, chiudendo gli occhi e sospirando. La gelosia era davvero una bruttissima bestia.
“Sì… e magari mi legherà al letto e…” – Harry inorridì e senza dargli il tempo di finire di parlare, lo baciò velocemente, con irruenza, ma anche con dolcezza, come solo lui sapeva fare. Un mix di emozioni e sensazioni, che li facevano volare, e poi atterrare velocemente, come se non esistesse altro, arrivarono al cuore dei due ragazzi. In fondo, a loro questo bastava, a loro erano piaciuti fin troppo i due giorni di libertà, il non sentirsi obbligati a fare qualsiasi cosa per nascondersi, uscire con chi non volevano, passare il tempo insieme… baciarsi quando volevano. Anche se avevano litigato diverse volte a causa della gelosia di Harry, non era un poi così grande problema visto dov’erano ora e com’erano più uniti in tutti i senti. Louis se ne accorgeva dal modo in cui Harry lo stringeva, fremeva per dirgli qualcosa, e non poteva più tenerlo dentro, lo capiva anche dal bacio, un po’ più teso delle altre volte, leggermente più preoccupato per la risposta del castano. Il linguaggio del corpo era il loro modo normale per comunicare, era normale che si capissero, ma cos’aveva Harry?
Cosa doveva chiedergli?
Una proposta di matrimonio?
No, troppo presto, allora cos’era?
“Haz” – sussurrò staccandosi da lui, tenendo le braccia sulle sue spalle, per evitare di allontanarlo troppo da sé e di cadere, un po’ gli tremavano le gambe, ansioso per ciò che il riccio gli avrebbe chiesto – “devi dirmi qualcosa, vero?”
“Beh, in certo senso…” – iniziò Harry, con la voce leggermente tremante per ciò che stava per dire, un po’ era ansioso, era una cosa totalmente senza senso, una cosa talmente strana, ma per loro poteva significare tutto. Era un po’ imbarazzate doverlo chiedere, era qualcosa che li avrebbe liberati dalle costrizioni, dal nascondersi.
“Facciamo coming out appena torniamo nel nostro mondo?” – e allora, Louis lo baciò, rispondendo positivamente alla sua domanda.
Quando la luna fu alta in cielo, tutte le stelle in esso comparse, e la notte calata, la festa terminò.
L’avventura terminò.
Sarebbe tornato tutto alla normalità?
 
Una nuova alba era sorta per tutti.
Non appena era sorto il sole, tutti, dopo aver recuperato i vestiti normali della loro epoca, si erano diretti nella radura dov’era rimasto il TARDIS, il principe e il servo gli avevano fatto da guida in quei boschi, per evitare che loro si perdessero in quelli, visto che non li conoscevano, non bene come loro che vivevano da quelle parti.
Finalmente quell’avventura giungeva al termine, e il Dottore avrebbe riaccompagnato tutti a casa. La minaccia degli angeli era stata sventata a Camelot, ma negli altri secoli? Come avrebbero fatto?
Ormai conoscevano il piano, non avrebbero impiegato molto ad eliminare la minaccia anche lì. Insomma, se c’erano riusciti a Camelot, non potevano farcela nel loro tempo? Certo che potevano, era semplice, in fondo.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero” – disse il Dottore affranto, aprendo la porta del TARDIS all’alba di quella mattina – “non è ancora finita” – comunicò con un sospiro – “dobbiamo neutralizzare gli angeli rimasti nelle vostre epoche.”
Beh, non era una novità, insomma, alla fine era ovvio, visto che sei di loro si erano ritrovati in quel luogo per colpa di quelle dannatissime statue. Tutti erano certi che non avrebbero mai più perso di vista una qualsiasi statua, che fosse a forma d’angelo o altro. In ognuna di quelle, avrebbero potuto trovare un Weeping Angel e no, non volevano assolutamente che una situazione del genere ricapitasse, sì, erano decisamente molto traumatizzati.
“Sì, quindi? Qualcuno deve rimanere qui?” – chiese sconvolto Sherlock, solitamente non era uno che si faceva prendere dal panico, ma detto in termini poveri, avrebbe preferito di gran lunga ritrovarsi in quella piscina con Moriarty che minacciava di uccidere John, che di nuovo faccia a faccia con quelle maledette statue infernali.
“No, non dobbiamo, ma dobbiamo fare in fretta, riportare tutti nei propri mondi e… fermarli come abbiamo fatto qui.” – spiegò il Dottore, guardandoli tutti, dispiaciuto di sottoporli ad altro stress fisico e mentale, magari gli avrebbe cancellato la memoria una volta finito tutto davvero.
“Io posso darvi ancora una mano, se è necessario” – intervenne Clark, sorridendo. Se non c’era della kryptonite di mezzo, lui poteva fare davvero tutto.
“Oh sì!” – esultò Louis – “sarebbe meraviglioso se tu ci aiutassi!” – e Harry scherzosamente lo colpì sul braccio. Ormai non aveva nulla da temere, ma la gelosia era sempre il suo punto debole.
Clark sorrise nella direzione del ragazzo dagli occhi azzurri, e ammiccò, il riccio intercettò il suo sguardo e attrasse a sé il castano, baciandogli la guancia, sentendolo sorridere. Si divertiva a stuzzicarlo.
Arthur e Merlin si avvicinarono a loro, leggermente intristiti, e li salutarono uno ad uno, tutti, ringraziandoli per quanto fatto per il regno e per loro, insomma, avevano salvato tutti da quella minaccia, e inoltre avevano fatto sì che loro si unissero ancor di più, anche come coppia, non potevano non essere riconoscenti.
“Oh ci mancherete da morire” – mormorò Charlotte abbracciando Merlin.
“E’ stato un piacere averti qui, Lady Charlotte” – ridacchiò il mago, ricordando la piccola bugia detta dal Dottore a favore della ragazza.
“Già, avrei dovuto farvi uccidere solo per avermi mentito in quel modo.” – intervenne Arthur, contrariato, non preservava rancore per quella bugia, era stata detta a fin di bene, come quella di Merlin, in fondo. Ora conosceva tutto di lui, e sapeva di potersi fidare del tutto del suo servo, che lui e la sua magia non avrebbero nociuto né a lui né al regno, e l’avrebbe ovviamente aiutato contro suo padre, e l’avrebbe nascosto preservandolo da ogni male.
Il mago scoppiò a ridere dandogli un’amichevole pacca sul braccio, facendo sorridere di conseguenza il principe, che finalmente si mostrava più rilassato e meno preoccupato. Il regno era di nuovo al sicuro, grazie a quelle persone che nonostante non lo conoscessero, non fossero di quel luogo, li avevano aiutati in tutti i modi possibili, e avevano salvato il regno.
“Merlin, noi…” – iniziò il moretto con gli occhiali rotondi, guardando tremando quello che per lui e tutti quelli del suo tempo il mago più grande di tutti i tempi, che sorrideva agli altri salutandoli. Okay, forse non aveva il coraggio di parlargli di nuovo, dopo tutte le figuracce che avevano fatto lui e Malfoy in quei giorni davanti a lui, ed era comprensibile, perfettamente comprensibile.
“Oh Potter, sei totalmente inutile!” – sbottò, appunto, Malfoy, scostandolo. Arthur si voltò contrariato verso il biondino, forse Merlin l’aveva cambiato troppo visto che non sopportava l’arroganza.
“Dovresti essere più gentile con il tuo amico” – in realtà non gli era andato giù il fatto che avessero mancato di rispetto al suo Merlin in quella caverna. No, non lo accettava.
“Dimmi pure!” – esclamò il mago voltandosi sorridendo, ignorando il discorso tra Arthur e Malfoy, due arroganti come loro dovevano vedersela tra di loro, senza mettere altri in mezzo.
“Mi chiedevo se potevi riparare la bacchetta di Malfoy.” – chiese leggermente in imbarazzo, non sapeva perché volesse aiutarlo, ma sapeva che non era giusto che lui perdesse la bacchetta, in fondo, c’erano cose che né il tempo né lo spazio avrebbero mai potuto cambiare, tra queste l’ingenuità e la bontà di Potter.
“Posso provarci, hai i pezzi?”
“Sì!” – esclamò il maghetto, voltandosi verso Charlotte, e chiedendole i pezzi della bacchetta che le aveva consegnato la prima notte, nella cella. Lei velocemente passò i pezzi della bacchetta al ragazzo, che a sua volta si voltò verso Merlin, sotto gli occhi perplessi e stupiti di Malfoy, che non credeva ai suoi occhi.
Il mago osservò i pezzi, e forse conosceva qualche incantesimo in grado di riparare quella bacchetta, chiuse gli occhi, aprendo i palmi delle mani su di essi e pronunciò sotto voce delle parole in lingua antica. Poi spalancò gli occhi, che si tinsero di rosso e la magia fu fatta. Lentamente i pezzi della bacchetta si unirono, ricostruendola completamente.
Tutti erano allibiti, nessuno poteva crederci, eppure… 
“Fantastico, grazie!” – esclamò il moro, sorridendo al mago, che gli riconsegnò la bacchetta.
“E’ stato un piacere.”  
Malfoy non disse nulla, stranamente, nonostante Potter fosse totalmente inutile a volte, quella volta doveva riconoscere che avesse avuto un’ottima idea. Forse qualcuno gliel’aveva suggerito.
Qualcuno di più intelligente di lui, come quello Sherlock, che sapeva sempre tutto.
Una volta ultimati i saluti, tutti entrarono nel TARDIS. Alcuni di loro ancora non si capacitavano di quanto fosse immenso al suo interno. Quella cabina era davvero sorprendente.
Il Dottore aveva il compito di riportare tutti a casa nel minor tempo possibile, e rendere nuovamente inoffensive quelle statue, che avrebbero potuto nuocere a molte persone, se non l’avevano già fatto mentre tutti loro erano bloccati a Camelot, fortunatamente appena giunsero nel luogo della sparizione di John e Sherlock, tutto sembrava ancora a posto, come l’avevano lasciato.
“Lo sapevo!” – esclamò Sherlock – “ricordavo ci fosse qualcosa di strano qui, non c’è mai stato quell’angelo davanti la statua di Peter Pan!” – esclamò indicando quello che era rimasto lì, e sfortunatamente era uno solo. O forse loro credevano fosse uno solo.
“Sherlock, ce n’erano due.” – intervenne John, correggendolo.
“Cosa?”
“Ce n’erano due quando siamo spariti, lo ricordo!” – esclamò John, ecco, ora c’era un bel grosso problema, dov’era finito l’altro? Dovevano stare attenti, poteva essere ovunque.
“Ah, uomini, si perdono in un bicchiere d’acqua” – brontolò Charlotte, aprendo nuovamente il suo zaino ed estraendo da esso un piccolo specchietto circolare, all’esterno arancione. Con esso controllò alle sue spalle, percorrendo tutto il perimetro del TARDIS, era sicuro che gran quantitativo di energia della macchina, li avrebbe attratti tutti, era questione di tempo.
“Hai uno specchio nella borsa?” – chiese John, perplesso.
“Elementare, Watson” – disse lei, controllando ancora – “ho sempre voluto dirlo!” – esclamò imitando il Dottore quando diceva quella frase, il quale spalancò gli occhi ridendo.
“Oh no, Dottore, l’hai contagiata talmente tanto che ora parla come te!” – esclamò Jack, ridendo anche lui.
Jack, Sherlock, il Dottore, John, Clark e Charlotte erano fuori dal TARDIS, mentre Ianto era rimasto dentro a tenere d’occhio gli altri, avrebbero potuto farsi male, insomma.
Sembrava tutto tranquillo, Sherlock e John tenevano sotto controllo l’angelo posizionato sotto la statua innocua, mentre il Dottore e Charlotte controllavano che non si avvicinasse nessun angelo alle spalle, e contemporaneamente Jack e Clark sorvegliavano il perimetro del TARDIS.
Poi improvvisamente, tutti furono all’erta.
Qualcosa era in avvicinamento, ed era sicuro che fossero altri angeli, che cercavano di avvicinarsi al TARDIS.
“Tutti dentro!” – urlò il Dottore, quando si accorse che fossero circondati. Se gli angeli si fossero disposti intorno alla cabina, tutti loro sarebbero partiti, sparendo, e le statue si sarebbero fermate per sempre. Poteva funzionare, l’aveva già fatto una volta, non lui personalmente, una ragazza aveva agito per lui, ed aveva funzionato perfettamente.
Tutti obbedirono, e velocemente, anche grazie a Clark che diede man forte con la velocità, entrarono nella cabina, chiudendosi la porta alle spalle. Il Dottore corse ai comandi, mentre gli angeli fuori muovevano la cabina, cercando di entrare, o di distruggerla in qualche modo per potersi nutrire della sua energia, ma il Time Lord mise in moto il TARDIS, sparendo da quel punto, e gli angeli si ritrovano a fissarsi l’un altro, diventando così statue di marmo e basta.
La nave spazio/temporale, atterrò a pochi metri da dov’era sparito, e finalmente Sherlock e John furono liberi di andare via, non appena la porta si aprì nuovamente il detective uscì respirando finalmente tranquillo l’aria noiosa di Londra, che gli era mancata da morire. John fu il secondo ad uscire, e prima di andare via, ringraziò con una stretta di mano e il saluto militare il Dottore.
“No, no, il saluto no!” – si lamentò.
Sherlock si affacciò alla porta del TARDIS e si lasciò scappare un sorriso.
“Arrivederci, e grazie” – disse afferrando la mano di John e tirandolo fuori – “non mi mancherà per niente quell’anormalità.” – disse ancora, dopo aver salutato. Tutti risero, non avrebbero immaginato altre parole da Sherlock, anzi a momenti avrebbero fatto scommesse sul fatto che prima o poi lo dicesse.
“Ciao Sherlock, ciao John!” – esclamò Charlotte – “mi raccomando fatevi vedere sempre insieme e negate la vostra palese relazione” – urlò ridendo.
“Perché?” – chiese John, perplesso.
“Perché è divertente!”  - entrambi risero, e dopo un rapido cenno con la mano, entrambi sparirono all’orizzonte, tenendosi per mano. Quanto sarebbero durati insieme?
La ragazza tornò nel TARDIS, sorridendo.
Utilizzarono lo stesso metodo, quando riportarono a casa Kurt e Blaine, che dopo un paio di abbracci con poche parole corsero via da lì, tenendosi per mano, così come avevano fatto la prima volta che si erano incontrati. Velocemente il Dottore con il suo TARDIS riaccompagnò anche Malfoy e Potter, giungendo al binario tra il nove e il dieci.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero, ma non posso proseguire” – disse il Dottore, dispiaciuto di non poterli riaccompagnare fino al famoso castello, ma le misure di sicurezza per chi non era un mago, erano davvero… efficienti.
“Ovvio, siete babbani” – replicò acidamente Malfoy.
“Io non sono un babbano, sono un Time Lord, vengo da Gallifrey…”
“… costellazione di Kasterborous, hai novecentosei anni e sei colui che salverà la vita a tutta la popolazione terrestre, lo sappiamo” – scimmiottò Charlotte, mentre il Dottore, indignato, si voltava verso di lei e la guardava di traverso, forse cercando di rimproverarla, senza però farlo davvero.
“E’ inquietante essere anticipato.” – scosse la testa – “e poi stavo per dire che sono l’ultimo dei Time Lords.”
“Siamo lì, su.” – ridacchiò – “era la mia seconda scelta.”
Il Dottore diede indicazioni ai due maghi su cosa fare per evitare gli angeli, e poi sia lui che Charlotte ritornarono nella cabina blu, andando via anche da lì. Dovevano essere riaccompagnati solamente Clark, Louis, Harry, Jack, Ianto e infine Charlotte.
“Come mai il TARDIS non può andare ad Hogwarts? Credevo potesse andare ovunque nel tempo e nello spazio.”- disse la ragazza, una volta entrata. – “e gli angeli come diavolo facevano a trovarsi lì? Hogwarts è impenetrabile, la maggior parte delle volte.”
“Infatti, ma non volevo rischiare collisioni attraversando quella barriera” – spiegò il Dottore – “e gli angeli sono statue quando vengono osservati, quindi saranno stati trasportati da statue all’interno della scuola.” – concluse. Era un po’ confusionaria come spiegazione, ma aveva un senso. Il gruppo, comunque, stava pian piano sciamando, diventando sempre più piccolo e circoscritto, giunsero a Smallville, dove ringraziarono mille e mille volte Clark per l’aiuto reso loro e…
“Charlotte, mi scatti una foto con Clark?” – chiese Louis, facendo – stavolta – ridere Harry, che se prima era stato solo lentamente geloso, ora lo era a tutti gli effetti, ma celava tutto dietro la risata. Prima o poi a casa sarebbero tornati – “posso, vero, Clark?” – chiese con gli occhioni luccicanti, ai quali nessuno poteva resistere.
“Certo, vieni!” – esclamò Clark aprendo le braccia, e Louis ci si tuffò dentro, un po’ perché quando gli sarebbe ricapitato nella vita? Un po’ per far innervosire Harry, insomma, era così carino e adorabile da geloso. E poi, dopo ciò che gli aveva risposto durante il ballo a Camelot, poteva permettersi di prenderlo un po’ in giro.
Charlotte scattò la foto ad entrambi, e subito dopo, Louis si fece firmare un autografo da lui, l’avrebbe messo nella sua collezione accanto alla futura statua di dimensioni naturali che gli avrebbe regalato Harry.
Dopo aver salutato Clark, il resto della squadra viaggiò fino a Cardiff insieme al Dottore, e lì lasciarono Jack e Ianto.
“E’ sempre un piacere lavorare con te, Jack, a presto!” – esclamò il Dottore, salutando il vecchio amico.
“Ci rivedremo davvero, non riesco a starti lontano.” – ridacchiò il capitano, facendogli il classico saluto militare. Il Dottore rispose con un cenno, scuotendo la testa.
“Signorina, è stato un onore conoscerla” – salutò poi Charlotte, facendole un inchino, mentre lei arrossiva e gli stringeva la mano, imbarazzata, mentre Ianto colpiva non molto amichevolmente Jack sul braccio, invitandolo a non flirtare con qualsiasi cosa respirasse, almeno non davanti a lui.
Ecco, l’avventura era finita e lei ritornava ad intimidirsi. Intanto Ianto andava da Harry per salutarlo, sotto l’occhio geloso di Louis, che non accettava che qualcuno si avvicinasse al suo ragazzo quando c’era lui.
“Ianto, fammi indovinare, sei geloso?” – chiese il riccio, ripetendo quello che pochi giorni gli aveva detto il moro.
“Da morire. Te l’avevo detto che ti capivo benissimo.” – replicò quello, lanciando un’occhiataccia a Jack, che continuava a flirtare. Dannazione, ma c’era stato qualcosa tra lui e il Dottore in passato? Non lo sapeva, ignorava quel lato di Jack, sapeva avesse avuto dei flirt in passato, ma non sapeva con chi, Jack non gliel’aveva mai detto, cavolo.
“Su, amico, non preoccuparti, li sta solo salutando.” - fece Harry, battendogli una mano sulla spalla e poi abbracciandolo. Lui era uno che dispensava abbracci a tutti, non si stava affatto vendicando con Louis per quello che aveva fatto, no, per nulla.
“Harry…” – tossì Louis – “guarda che il tuo amico dovrebbe andare”
Harry ridacchiò, staccandosi da Ianto, e salutandolo con un sorriso dolce. Louis continuava a fulminarlo con lo sguardo, e sperava con tutto il cuore che quel ragazzo mettesse via le sue mani da Harry, lo pretendeva, quasi.
Ianto riservò un saluto anche al castano, e poi tornò da Jack e il Dottore, che salutò entrambi, scortandoli fuori dal TARDIS. C’era una piccola cosa da chiarire, ma il Dottore l’avrebbe fatto dopo molto tempo.
Louis abbracciò subito Harry, non appena quel ‘tipo’ fu andato via, e il riccio ridacchiò, constatando che la sua piccola vendetta aveva avuto l’effetto desiderato, ora sapeva che Louis non avrebbe mai più fatto lo scemo con altri. O forse l’avrebbe fatto, chi poteva saperlo?
Quando il Dottore rientrò nel TARDIS, Charlotte gli si avvicinò sorridendo, lo prese per mano e lo avvicinò ai due giovani cantanti, abbracciando tutti e tre contemporaneamente.
“Ten, e i Larry contemporaneamente, cosa posso volere di più dalla vita?” – sorrise ridendo – “per non parlare dei Klaine, Johnlock, Janto e Merthur!” – esclamò felice come non  mai – “i miei feels impazziscono e ho un casino di foto!”
“Oh, non… badate a lei, parla in modo più strano di me, a volte.” – disse il Dottore, scuotendo la testa.
“I Larry siamo noi, vero?” – chiese Louis.
“Sì, sì lo so, ‘the biggest load of bullshit I have heard’ non c’è bisogno che ti giustifichi, Tomlinson, so tutto.” – disse la ragazza annuendo – “ e sappi che hai ucciso i feels di tutti, ma sappiamo tutti che non eri tu, sei perdonato”
“Noi abbiamo fatto pace dopo quello, tranquilla” – disse Harry trattenendo una risata.
“Tu non parlare, mister ‘I’m in love with Lou and his little things’ ti ha sentito mezzo mondo, e non solo hai fatto impazzire di feels tutto il fandom, dopo hanno fatto uscire troppe foto Elenour, o come diavolo si dice.” – disse piccata, scuotendo la testa, assumendo un’espressione disgustata.
“Mi sono perso, lo ammetto.” – ammise Louis, trattenendo le risate.
“La cosa importante è che voi due siete una coppia meravigliosa” – fece lei abbracciandoli, sorridendo – “mi fate un autografo, vero?”
“Vuoi farci firmare qualche attestato di matrimonio?” – chiese Harry, ridendo, mentre insieme a Louis firmava un pezzo di carta porto loro dalla ragazza, che felice impazziva per avere le firme di Harry Styles e Louis Tomlinson.
“Ho abbastanza foto che farebbero impazzire Tumblr.” – disse ridacchiando – “ma potete stare tranquilli, non le metterò da nessuna parte.” – li rassicurò.
I due ragazzi non sembravano più turbati dal fatto che tutti potessero scoprire la loro relazione, ma non dissero nulla, e il Dottore rimise in moto il TARDIS accompagnando i due ragazzi ad Holmes Chapel, il paese natale di Harry, intimando loro di stare attenti, perché gli angeli potevano essere sempre nei paraggi.
“Staremo attenti, grazie di tutto.” – sorrisero i due ragazzi, dopo aver abbracciato la ragazza e aver stretto la mano al Dottore, lasciarono finalmente la cabina blu e si diressero verso la casa di Harry, quando il castano ricordò una cosa, e si voltò verso Charlotte, e sorrise.
“Tieni le orecchie aperte nei prossimi giorni, quando ci saremo ripresi da tutto questo…” – fece una pausa guardando Harry mordendosi le labbra – “ci sarà una bella sorpresa.”
Il riccio si voltò verso di lui, e sorrise annuendo.
“Una meravigliosa notizia.” – puntualizzò, prima di mandare un ultimo saluto ai due, e trascinando per mano il suo ragazzo in casa, chiuse la porta alle loro spalle, baciandolo subito.
“E’ un coming out?” – chiese, senza ottenere risposta – “ehi, voi due non potete annunciare un coming out e andarvene come se nulla fosse!” – sbuffò ridendo – “oh siate felici, lo meritate” – mormorò tra sé e sé, prima di rientrare nel TARDIS.
Finalmente loro erano liberi, finalmente tutto era finito, ed erano tornati a casa loro, sani e salvi.
Finalmente avrebbero fatto coming out, e chi se ne fregava della fama e del resto. Avevano appena rischiato la vita in una cabina blu che li aveva portati a Camelot, indietro di chi sapeva quanti secoli.
Non potevano più aspettare, e non volevano più aspettare.
Ormai era da troppo che si nascondevano, troppo che fingevano, troppo che… troppo e basta, dovevano farlo, e l’avrebbero fatto non appena ripresi dal viaggio sconvolgente nel tempo, in quel momento preferivano baciarsi e consumare il loro amore tra le pareti della casa di Harry per due lunghe settimane, del resto il Dottore aveva suggerito tanto riposo per chi non fosse abituato a viaggiare nel tempo.
Charlotte era rientrata nel TARDIS con il sorriso sulle labbra, guardando il Dottore.
“Ora mi spieghi perché non li abbiamo riaccompagnati a Cardiff dove li abbiamo trovati?” – chiese curiosa.
“Avevano bisogno di riposo” – disse solamente.
“Conosco quello sguardo, dimmelo, cos’era successo?” – insisté ancora, guardandolo. Non avrebbe smesso di chiedere finché lui non le avesse dato una spiegazione plausibile. Non aveva senso perché riaccompagnarli se potevano prendere un treno fino ad Holmes Chapel? Il Dottore le lanciò un’occhiata eloquente, invitandola a tentare di rispondere lei, prima che lui le desse la risposta, ci pensò un po’ e poi… - “Ah.”
“Già” – fece serio lui.
“Tu stai dicendo che…”
“Hai capito bene.”
“Ora ho capito!” – esclamò, mentre il Dottore ridacchiava sommessamente – “e tu non ridere! Come ho fatto a non pensarci io? Erano nel tempo sbagliato, quindi…”
“A Cardiff del 2013 ci sono altri angeli, andiamo?” – chiese il Dottore, sorridendo.
Charlotte annuì allegra, non era ancora finita, sarebbe rimasta ancora un po’ con lui e non l’avrebbe riaccompagnata ancora a casa, non subito, almeno.
Harry e Louis non avrebbero mai saputo cosa fosse accaduto, non avrebbero mai saputo che si erano trovati nel TARDIS perché erano stati attaccati anche loro dagli angeli, che li avevano spostati indietro negli anni solo di qualche anno, era meglio così, ecco perché il Dottore aveva preferito accompagnarli per ultimi.
Insieme, il Dottore e la ragazza si diressero a Cardiff, dove trovarono gli altri angeli pronti a dar fastidio ancora alla popolazione. Qualcosa non andava, erano troppo sparpagliati nelle epoche, era troppo strano che fossero ovunque. Con lo stesso stratagemma, riuscirono a fermare anche quelli di Cardiff e parve che la pace fosse stata ristabilita e l’ordine restituito alle varie epoche. Nonostante la cosa fosse strana, decisamente strana poteva dirsi che il suo lavoro fosse finito, e poteva viaggiare almeno una volta, senza tutti quei problemi.
Inoltre era indeciso su cosa fare di Charlotte, sì, poteva portarla con sé ancora un po’, non c’era problema non era passata nemmeno una settimana da quando si era separato da Donna.
Rimise in moto il TARDIS, e la ragazza iniziò a rimettere le sue cose nella borsa, stava tornando a casa, non poteva farci nulla, ormai tutto era finito, lui le aveva promesso un viaggio, uno e uno solo, ed era giunto al termine.
Poteva esserne felice, però. Aveva riscoperto se stessa, aveva conosciuto tutte quelle fantastiche coppie, visto il loro amore sbocciare e consolidarsi, peccato che sapeva come sarebbe andata a finire per molti di loro.
“Ora che ci penso, anche tu sei del 2013, o sbaglio?” – chiese il Dottore, guardandola.
“Lo ammetto, ma tu ti trovavi esattamente qui.” – sorrise – “forse hai fatto tu qualche errore.”
“Cosa?” – chiese stupito – “Ho lasciato Donna da sola in un tempo che non conosce?! Sono uno stupido.” – sospirò tenendosi la testa tra le mani disperato.
“Vuoi una mano a cercarla?” – chiese speranzosa, guardandola con gli occhi luminosi, supplichevoli. Lui acconsentì fermando il TARDIS prima che ripartisse, e velocemente uscirono. La ricerca della donna durò parecchio tempo, durante il quale i due poterono approfondire la loro conoscenza e Charlotte riuscì persino a scattarsi una foto con lui.
“Dottore?” – chiese improvvisamente.
“Sì?”
“Sarai sempre tu il mio Dottore.” – confessò imporporando di rosso le sue guance, sorridendo appena, doveva dirglielo, voleva dirglielo fin dall’inizio.
“Che vuoi dire?” – chiese lui perplesso, senza capire.
“Non posso dire nulla, sarebbe spoiler.”
“Anche tu con gli spoiler?”
Lei alzò le spalle sorridendo appena, prima di vedere il Dottore sovrastato da qualcosa che gli era saltato addosso.
“Donna!” – esclamò  riconoscendo la sua lunga capigliatura rossiccia, la abbracciò, stringendola notando che tremasse. – “ehi, va tutto bene.” – la rassicurò, staccandosi da lei.
“E’ orribile! Ma dove siamo?”  - chiese lei con il tono di voce alto, com’era solita fare.
“Nel 2013, scusa, devo aver impostato male qualcosa.” – ridacchiò – “ti presento Charlotte, una mia nuova amica.”
“Oh mio dio, Donna Noble!” – esclamò sorridendo e abbracciandola immediatamente.
“Piacere?” – chiese Donna, ricambiando l’abbraccio.
“Sono Charlotte Ellis!” – esclamò staccandosi e stringendole la mano – “è un onore conoscerti, dannazione, io ti adoro, sei fantastica!”
La rossa rise annuendo, capendo fosse una delle tante cose strane che capitavano solo con il Dottore, e l’assecondò. Il Dottore le spiegò brevemente cosa fosse accaduto, degli angeli, delle varie dimensioni unite,  Donna capì poco, ma fu felice di ritrovarsi dentro al TARDIS, con lui. Charlotte era un po’ meno felice. L’avevano trovata praticamente subito e non poteva più trovare altre cose stravaganti da fare, niente di niente. Sospirò chiudendo definitivamente il suo zaino e lo mise in spalla. Il Dottore non le disse niente, ma scambiò un’occhiata d’intesa con Donna, prima di fermare il TARDIS in un punto ignoto della galassia.
Charlotte aprì la porta, convinta di trovarsi di nuovo in Irlanda e guardò fuori, spalancando gli occhi.
No, non poteva essere… c’era lo spazio infinto davanti a lei.
“Cosa significa?” – chiese guardandolo, senza capire, o forse non riusciva a realizzarlo pienamente.
“Beh… ti va di accompagnarci?” – chiese il Dottore, affiancandola mentre lei non parlava, ammutolita e stupita. Non l’avrebbe mai creduto possibile. Non erano cose che capitavano ad una come lei.
“Dai, per qualche viaggetto, così non ti annoi!” – esclamò Donna, sorridendo affiancandola a sua volta. Il Dottore le aveva spiegato velocemente anche la storia della ragazza, e sì era d’accordo anche lei che dovesse seguirlo.
“Io… sì, sì!” – sorrise emozionata – “dannazione sì!” – esclamò abbracciando sia il Dottore che Donna, urlando felice come non mai. Non lo credeva possibile. Era… fantastico.
Il Dottore richiuse la porta del Tardis, e le due donne gli andarono vicino sorridendo, mentre lui rimetteva in modo.
“Pronte?” – chiese, ricevendo in risposta un cenno affermativo con la testa – “allons-y!”



 
Don't blink, 
Don't even blink,
Blink and you are dead.
Don't turn your back
Don't look away
And don't blink.
Good luck.



The end.


 
____________________________________________________________________________________


Ehi everybody, rieccomi con l'ultimo appassionante episodio della lunghissima OS, diventata poi una fanfiction. 
Sul finale c'è il delirio puro, credo di averlo scritto di notte, quindi... ehm, okay. 
Siamo arrivati alla fine della storia, siamo arrivati alla conclusione. Charlotte rimane con il Dottore, ma poi ritornerà a casa, e io forse scriverò un nuovo crossover. Non lo so, ma forse ho ancora un po' di delirio da qualche parte, e università permettendo...
Devo ultimare delle OS, ma non importa.
Questo finisce qui, e mi mancherà tanto, da morire. L'ho amato, e spero che l'abbiate amato anche voi. 
E non so cosa dire, forse è banale, o boh.
Ditemi voi cosa ne pensate, se volete, altrimenti.. boh, non fatelo lol
Odio gli addii, e come il Dottore non mi piacciono i finali, ma ahimè "every song must end".
Quindi, dolcezze, per l'ultima volta, vi saluto.

Con una bella gif di Ten, che a me manca tanto. 

Byebye, <3
P.s quanto può essere figo, Tennant? Damn.  (e sì, giusto per rimanere in tema, è presa da 'Blink' lol) 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: dreamlikeview