Dedico questa storia a Mary e a Fla, perché se lo meritano.
Fla perché aspettava la storia di Heaven da secoli,
anche se alla fine non l'ho mai finita o postata;
a Mary perché l'ha letta in anteprima e, be', c'è Zabini!
Note:
- (*) Heaven è cresciuta con una madre Strega e il marito Babbano. Il Babbano non era suo padre biologico, sebbene lei lo consideri tale e mantenga sempre il suo cognome.
- (**) Ottery St. Catchpole è il paese vicino/in cui abitano le famiglie Weasley, Lovegood e Diggory - e nella mia storia anche i Froggs. Quest’informazione proviene da Potterpedia (www.potterpedia.it).
- Come è evidente a questo punto, io sono dell’idea che la famiglia Zabini abbia origini francesi. Facendo delle ricerche su Blaise Zabini, ho trovato diverse ipotesi sull’origine del cognome: secondo alcuni viene dall'italiano ‘zabaione’ – ma non ne trovo il senso-, secondo altri è un cognome africano. Riflettendo sulla quantità di persone di colore di provenienza africana in Francia e sulla vicinanza della Francia all’Inghilterra, è mia opinione che la famiglia Zabini possa appartenere a questa categoria.
- La citazione iniziale è presa da “Non so dirtelo” (o “L’ultima settimana”) di Marracash, l’unica sua canzone che mi piaccia sul serio.
Chiacchiere in
francese
al tè delle cinque
Perché penso per due
ché ho sempre pensato per uno
Il barbagianni picchiettò col
becco sul vetro della finestra, per palesare la propria presenza.
Dalla camera da letto, non vi
furono segni di aver recepito il messaggio. Nessun grugnito, nessuno
sbuffo, nessuno che si rigirasse sotto le coperte infastidito.
Gratien arruffò le penne e
picchiettò più forte, tubando indispettito. Sarebbe rimasto lì a
picchiare sul vetro tutta la mattina se fosse stato necessario; la
sua padrona era stata chiara: il ragazzo doveva leggere quel
biglietto.
Osborn, dalla cima dell’armadio,
drizzò le orecchie udendo quel suono fastidioso. Sgranò gli occhi
verdi e individuò all'istante il barbagianni che turbava la quiete
di quel mercoledì mattina estivo. Agitò la coda e si accucciò,
pronta a balzare al momento opportuno.
Ci vollero quasi cinque minuti
prima che il padroncino alzasse la testa, strizzando gli occhi,
riconoscesse il rumore ripetitivo e sbuffasse sonoramente.
Gratien smise di beccare il
vetro, soddisfatto di essere stato visto. Nel giro di poco lui gli
avrebbe aperto la finestra, lo sapeva.
La ragazza bionda coricata nello
stesso letto del padroncino, si stiracchiò sotto le coperte. «Cosa
succede?» domandò nel dormiveglia, accortasi dello sbuffo del
compagno.
Blaise grugnì in tutta risposta
e si voltò poi per abbracciarla. «Buongiorno – la salutò con un
bacio sulla tempia. – C’è il gufo di mia madre» spiegò poi a
mo’ di scusa.
Heaven agitò i piedi sotto le
coperte, accompagnando quel gesto con un lamento soffocato. «Nooo»
mormorò, sconsolata.
I gufi di Margaux Zabini non
portavano mai nulla di buono, non per lei. Cosa aveva in mente quel
giorno? Una riunione di soli Purosangue in cui si discuteva
dell’insignificanza dei Babbani e della loro inutile vita priva di
magia? Un convegno a proposito dell’inferiorità degli Elfi
Domestici? O magari un incontro sull'incoerenza dei Purosangue
babbanofili.
Blaise rise per la reazione
della ragazza e si trascinò a fatica fuori dal letto. Aprì la
finestra, lasciò entrare il barbagianni e prese la lettera. Gratien
svolazzò fino a raggiungere la scrivania, dove si fermò a fissare
Heaven con aria ostile. Lei sospirò, accorgendosene, e ficcò la
testa sotto il cuscino con un sospiro. Anche quello stupido piccione
la odiava!
Proprio in quel momento, Osborn,
la gatta, decise di intervenire in difesa della padrona. Si tuffò
giù dall’armadio dritto dritto sul barbagianni, che, terrorizzato,
spiccò il volo giusto in tempo per non essere travolto.
Rumoreggiando, furioso, prese a vorticare nella stanza attorno al
lampadario.
«Oh, Osborn!» esclamò
costernata Heaven, riemergendo da sotto il cuscino, attirata dal
rumore provocato dall’attentato. Lo sguardo soddisfatto del gatto
la diceva lunga sull’accaduto, anche se lei non era riuscita a
vederlo con i propri occhi.
Blaise ridacchiò e fece
l’occhiolino alla ragazza; quell’uccellaccio del malaugurio si
meritava più di qualche piccolo scherzetto della gatta. «Grazie,
Gratien. Ora puoi andare» lo intimò, prima che decidesse di
vendicarsi in qualche modo.
Il gufo arruffò di nuovo le
penne, offeso, poi virò e volò, lesto, fuori dalla finestra.
Blaise lo guardò allontanarsi,
poi richiuse i vetri e si sedette ai piedi del letto per leggere il
messaggio di sua madre. Osborn saltò sulle coperte a sua volta,
facendo le fusa. Si strusciò contro il suo fianco, poi andò ad
accocolarsi in braccio alla padrona.
Heaven si tirò su a sedere e
attese paziente. «Cosa dice?» domandò, incerta, quando lui
incrociò il suo sguardo.
«Mi vuole là per il tè delle
cinque» spiegò Blaise con fin troppa semplicità. La cosa gli
puzzava. Il tè delle cinque? Da quando i francesi – sua madre! –
seguivano le tipiche tradizioni inglesi? «Carl è al lavoro e
vorrebbe che andassi là per farle compagnia. Avrà ospiti»
completò.
Per l’ennesima volta da quando
l’aveva conosciuta, Margaux aveva invitato il figlio a casa propria
senza di proposito estendere l’invito a Heaven. Non che lei si
entusiasmasse all’idea di poter rivedere la signora Zabini, ma
veniva continuamente scoraggiata dai tentativi della donna di
allontanare Blaise da lei.
«Ah. – mormorò. – Ci
andrai?» domandò poi, cercando di suonare tranquilla. Sapeva, ne
era certa, che qualunque tentativo di separarli sarebbe stato vano;
avevano già superato qualche momento di crisi, si erano lasciati e
rimessi insieme due o tre volte, aveva fiducia in Blaise; ma
l’ostinazione di quella donna la preoccupava. Heaven sapeva di non
averle fatto una bella impressione, accigliandosi visibilmente quando
la signora Zabini le aveva chiesto se fosse Purosangue. Aveva forse
peggiorato la propria situazione quando, nel periodo in cui aveva
abitato alla villa, si era fatta trovare in cucina ad armeggiare con
i fornelli, nonostante ci fossero ben tre Elfi Domestici in casa.
Eppure era certa di non aver mai fatto nulla di male, niente che
potesse aver portato la padrona di casa ad odiarla al punto di
doversene tornare alla vuota abitazione materna di Ottery St.
Catchpole, litigando con Blaise e causando la loro seconda
separazione.
Blaise la osservò qualche
istante, cercando nel suo sguardo qualche nota di risentimento, di
incertezza. Trovò il solito timore di avere a che fare con qualcuno
a cui non piaceva, lo stesso timore che ogni volta lo faceva
discutere con sua madre. Si passò una mano sui cortissimi capelli
ruffi. «È ora di tagliarli...» buttò lì, come se quel commento
c’entrasse con sua madre.
Heaven rise. «Stai bene anche
così» rettificò.
Lui le sorrise, osservando la
ragazza che accarezzava assorta il gatto, decidendo probabilmente
cosa fare quel pomeriggio mentre lui era da sua madre.
Blaise non capiva. Non capiva
come sua madre potesse essere così severa con lei. Era minuscola,
indifesa, gentile con tutti, anche con chi non lo meritava. Heaven
non era perfetta, ma erano proprio i suoi difetti ad averlo fatto
innamorare. Era timida ai limiti dell’asocialità, tanto per
cominciare. Era stato quel suo starsene sempre in disparte, da sola,
ad aver attirato la sua attenzione. Era anche gelosa e, una volta
presa confidenza, estremamente dispettosa. Niente – o quasi – lo
gratificava quanto vederla arrossire di rabbia e sputare commenti
acidi sottovoce, quando qualche ragazza lo avvicinava. Blaise non era
un tipo particolarmente socievole o popolare, non lo era mai stato,
ma il suo carattere riservato e schivo, come aveva appurato nel
tempo, stimolava l’immaginazione altrui rendendolo misterioso e
affascinante agli occhi della gente. Non era quindi difficile per lui
attirare l’attenzione, quando voleva. Fortunatamente, per i nervi
di Heaven, la sua riservatezza il più delle volte superava il suo
lato sadico.
Era d’accordo sul fatto che
lui e lei fossero molto diversi, per molti aspetti. Lui era
fin troppo sicuro di sé, lei troppo poco. Lui evitava
la gente perché la riteneva stolta, lei aveva paura di essere
ritenuta tale. Lui era nero, alto e robusto e lei era
bianca, minuta e gracile. Lui era stato Serpeverde, lei
Grifondoro. Lui non sapeva nemmeno cosa fosse un telefono, lei
era cresciuta tra i Babbani. (*) Tutto ciò non poteva però
giustificare la repulsione di Margaux Zabini per la giovane Heaven
come l’aveva conosciuta: una giovane, educata, Strega Purosangue,
perdutamente innamorata del suo compagno. Blaise sorrise pensando
quelle parole. Perdutamente innamorata. Le avrebbe ripetute –
mentalmente e non – all’infinito, se solo questo non lo facesse
sentire un tantino ebete.
«Perché quella faccia?»
domandò lei, divertita.
Blaise le sorrise. «Perché ti
amo» rispose con semplicità, guardandola negli occhi.
Heaven abbassò lo sguardo,
imbarazzata, e arrossì violentemente.
Ecco un’altra scena che Blaise
sarebbe rimasto a guardare tutto il santo giorno: le sua Heaven che
arrossiva e sorrideva impacciata.
Si lasciò cadere di schiena sul
materasso, ridacchiando, e la trascinò al suo livello, tirandola per
i fianchi. «Perché arrossisci, biondina?» la prese in giro, mentre
la prendeva tra le braccia. Le soffiò tra i capelli e la ascoltò
ridere.
«Subdolo prepotente» lo
rimbeccò.
Lui sogghignò. «Cosa farai
oggi?» le chiese.
Lei alzò la testa e lo guardò.
«Quando?»
«Quando andrò da mia madre.
Non voglio lasciarti a casa da sola».
Scosse il capo e sorrise per
rassicurarlo. «Non preoccuparti. Oggi è mercoledì, giusto? Andrò
con Katie al fare il bucato a Londra».
«Nella... – come si chiamava?
- nel negozio?»
«Nella lavanderia a gettoni –
confermò. – È divertente, prima o poi dovresti venire con noi».
Blaise rise, allargando le
braccia. «Io non faccio cose da Elfi Domestici, biondina».
Lei gli diede un pizzico su un
fianco. «Sei arrogante, signor Zabini!» lo apostrofò, divertita.
Saltò giù dal letto e uscì dalla stanza, comunicando che se voleva
far colazione avrebbe dovuto alzarsi, perché nessun Elfo Domestico
gliela avrebbe portata in camera.
Lui era abituato a
pensare solo a se stesso, lei a prestare attenzione sempre e
solo ai bisogni altrui.
Si alzò dal letto e si avviò
verso il piano inferiore, sorridendo tra sé. Da quando Heaven era
entrata nella sua vita, Blaise aveva iniziato a pensare più a lei
che a chiunque altro, se stesso incluso.
«Ti porto con me!»
«Cosa?»
«Oggi ti porto con me. Non mi
importa se mia madre avrà ospiti: se vuole me, deve accettare anche
a te. Siamo un pacchetto unico».
«Oh, ho capito: questa mattina
niente zucchero nel caffè per te, ne hai già troppo in circolo».
La villa di Margaux Zabini era
discretamente grande e ben curata. Circondata da una siepe alta e
protetta magicamente affinché ai Babbani non venisse in mente di
suonare il campanello, si trovava appena fuori Greenwich, in una zona
tranquilla e poco trafficata.
Per quanto quella casa fosse
magnifica, sia all’interno che all’esterno, a Heaven quel luogo
aveva sempre messo un po’ d’ansia. Non perché ci fossero teste
di vecchi Elfi Domestici attaccate alle pareti – Blaise le aveva
raccontato che uno degli ex mariti di sua madre aveva questa macabra
usanza–, ma la prospettiva di essere al cospetto della madre di
Blaise l’aveva sempre messa a disagio. All’inizio perché non
sapeva come comportarsi, non sapeva se sarebbe piaciuta o meno; in
seguito aveva capito di non piacere affatto alla padrona di casa e
che sarebbe dovuta stare sulle spine tutto il tempo cercando di non
fare gaffe.
«Casa dolce casa» commentò
Blaise, suonando il campanello.
Heaven sospirò e lui la prese
per mano per infonderle coraggio. Margaux non era uno stinco di
santo, lui ne era più che consapevole, ma non aveva mai fatto del
male a nessuno, checché ne dicessero le malelingue; sua madre non
aveva mai ucciso né fatto uccidere alcuno dei suoi ex mariti. Non
era rimasta troppo tempo a piangere nessuno di essi, quello era vero,
ma questo non faceva di lei un’assassina. Era una brava madre; non
forse una moglie altrettanto brava, né una persona particolarmente
dolce e sensibile, ma nemmeno una collezionista di eredità, non ne
aveva bisogno.
Bastarono pochi istanti perché
un Elfo Domestico dall’aria pomposa comparisse con un sonoro crack
dall’altra parte del cancello, proprio di fronte a loro. «Buon
pomeriggio, signorino, la signora la stava aspettando» proclamò,
con il naso lungo e sottile a puntare verso il cielo.
«Bene» rispose Blaise con
noncuranza, mentre quello apriva il cancello. «Dov’è?»
«Nella sala da tè, signore».
Il ragazzo annuì e si incamminò
attraverso il giardino.
«Grazie!» esclamò Heaven,
mentre lui la trascinava via. In tutta risposta l’Elfo le rivolse
un’occhiata truce e diffidente, che provocò il suo secondo sospiro
da quando erano giunti alla villa. «Sospetterà che io stia cercando
di portare via il suo posto in cucina» commentò sconsolata.
Blaise rise. «Non credo sia lui
quello che sta in cucina. Non ce l’ha con te, Heaven: non è
abituato ad essere ringraziato».
«Lo dici come se fosse una cosa
normale» lo rimproverò.
«Lo è, per gli Elfi Domestici»
tagliò corto lui.
«Anche i domestici vanno
ringraziati, non vedo perché con gli Elfi dovrebbe essere
diverso...» insistette lei, mentre camminavano.
Il ragazzo le rivolse
un’occhiata di sottecchi, chiedendosi se parlasse sul serio. Una
volta compreso che, sì, era così, si fermò di colpo e girò sui
tacchi. «Ehi, tu!» gridò, rivolgendosi all’Elfo.
Questi sussultò appena
sentendosi chiamare con tanto impeto, poi trotterellò rapido in
direzione del padroncino. «Sì, signore?»
«Ti ringrazio» completò
lui, forzando la parola in modo eloquente.
«Tu? Lo chiami ‘tu’? Non
sai nemmeno il suo nome?» chiese Heaven incredula, seppur in parte
divertita dall’obbedienza del ragazzo.
Blaise le rivolse un’occhiata
esasperata, per poi chiedere all’Elfo come si chiamasse.
La creatura, già paralizzata
per la sorpresa dalla battuta precedente, sgranò tanto gli occhi che
sembravano dover schizzargli fuori dalle orbite da un momento
all’altro. Ci volle qualche istante perché si riscuotesse dalla
trance in cui era caduto e balbettasse un «Ni-Nixon, signore», con
l’aria di qualcuno che teme per la propria vita.
«Bene, Ninixon, piacere
di conoscerti – tagliò corto Blaise, voltandosi poi verso la
ragazza. – Soddisfatta? O vuoi forse che lo inviti ad uscire con
me?»
Heaven rise e gli stampò un
bacio a fior di labbra. «Sei quasi simpatico, a volte» osservò.
Lui sogghignò, giusto un
istante prima di stringerla a sé e baciarla come Merlino comandava,
perché Blaise Zabini non si accontenta di un bacio a stampo.
«Oh, Morgana, Merlino e tutti i
grandi del passato! – esclamò una voce costernata e
sorprendentemente indisponente, dopo poco. – Cosa sono questi
pubblici scambi di effusioni? Blaise, tesoro, mi sorprendi! Non ti ho
forse insegnato le buone maniere?»
Il Blaise-tesoro in questione
interruppe svogliatamente il bacio con uno sbuffo soffocato. «Si
prospetta un gran pomeriggio» assicurò alla ragazza, che era
arrossita fino alla punta delle orecchie. Si voltò lentamente verso
la donna appena arrivata con l’espressione leggermente scocciata
che Heaven gli aveva visto in volto ogni santissimo giorno a
Hogwarts. «Buongiorno, mamma. Credo che all’Elfo nasone sia venuto
un colpo, è un problema?» domandò, accennando al povero Nixon,
ancora paralizzato dalla sorpresa.
«Oh, Blaise! Si può sapere
cosa gli hai fatto?» domandò la donna, severa, vedendo l’Elfo in
stato apparentemente vegetativo.
«Nulla, l’ho ringraziato e
gli chiesto il nome».
La donna sospirò teatralmente,
rivolgendo un’occhiata diffidente a Heaven. «È stata un’idea
tua, cara, non è vero? Gli Elfi Domestici non sanno gestire le
attenzioni, ecco perché nessuno li ringrazia mai».
Heaven sorrise con cortesia e
annuì impazientemente, pensando che in realtà fosse esattamente il
contrario: gli Elfi Domestici non sapevano gestire le attenzioni
proprio perché nessuno gliene rivolgeva mai. «Mi spiace, non lo
sapevo».
«Bene, ora lo sai. Tu, Elfo,
va’ a preparate il tè, presto arriveranno gli ospiti. Siete in
ritardo, Blaise. Avete trovato traffico? Perché immagino siate
giunti per mezzo di uno di quei trabiccoli Babbani...» cominciò
Margaux, precedendo i due verso casa.
«No, ci siamo Smaterializzati,
in realtà» puntualizzò Blaise.
Heaven sedeva a gambe incrociate
sulla stessa lussuosa poltroncina imbottita da un’ora e mezza,
nella stessa identica posizione, con lo stesso sorriso di cortesia
stampato in volto.
La padrona di casa intratteneva
degli ospiti d’eccezione: i signori Delacour e la loro figlia più
piccola, Gabrielle.
Come Blaise le aveva spiegato
ormai anni prima, la famiglia Zabini era originaria della Francia. I
Delacour e gli Zabini erano famiglie amiche da generazioni e, quel
giorno, i primi erano giunti in Inghilterra per far visita alla
figlia maggiore, approfittandone così per passare dalla villetta di
Greenwich a salutare la vecchia amica e il figlioletto. Era quindi
indispensabile che anche il ‘piccolo’ Blaise si recasse alla casa
materna.
Lo era decisamente meno che lui
si portasse Heaven, visto che, come gli piaceva sottolineare per fare
arrabbiare la sua ragazza, i Delacour speravano da sempre che tra lui
e Gabrielle nascesse del tenero. “Peccato che a me non piacciano le
bionde” aggiungeva lui ogni volta. Dopodiché lei lo guardava male,
lui rideva; allora la ragazza si indispettiva e sbottava un usuale
“Maledizione a Harrison!”, riferendosi al migliore amico di
Zabini, grazie al quale erano usciti insieme la prima volta.
Heaven era abituata a non far
conversazione in presenza di estranei – la sua timidezza era una
catastrofe naturale, riemergeva sempre nei momenti peggiori e non
sarebbe mai riuscita a combatterla del tutto. Questa volta però il
problema era un altro. Un problema linguistico.
All’arrivo dei Delacour,
Margaux Zabini aveva accolto i nuovi arrivati in francese.
«Benvenuti, miei cari! Ma che sorpresa vedervi! E questo
splendore è la piccola Gabrielle? Sei incantevole, tesoro,
lasciatelo dire. Vi ricordate di mio figlio Blaise? È venuto qui per
potervi vedere dopo tanto tempo».
Blaise si era fatto avanti
tenendo Heaven per mano, per evitare che i nuovi arrivati venissero
totalmente ammaliati dall’esuberanza di sua madre e si
dimenticassero di lei. O, peggio ancora, che lei si sentisse
abbandonata da lui.
Gabrielle aveva leggermente
sgranato gli occhi. Vedendola si era ricordata di aver visto quella
piccola ragazza bionda al matrimonio di sua sorella. Non si sarebbe
mai aspettata, tuttavia, di trovarla in casa della severa e
tradizionalista Margaux Zabini, mano nella mano con suo figlio.
Figlio che, secondo i piani e le speranze di tutta la famiglia
Delacour, sarebbe dovuto diventare suo marito. Le sorrise quindi e le
porse la mano, dopo aver educatamente salutato Blaise. «Sei Heaven,
giusto? Eri al matrimonio di mia sorella» le aveva domandato in
inglese, non senza quell’accento tipicamente francese che sfuggiva
anche a Margaux quando perdeva la calma – e quando si trattava di
Heaven, accadeva spesso.
Heaven aveva annuito e l’aveva
educatamente salutata, senza riuscire ad evitare di arrossire. «Sì,
abito anche io a Ottery St. Catchpole (**) e Arthur Weasley conosceva
mia madre» aveva risposto timidamente, giustificando la sua presenza
alle nozze.
Quelle parole avevano attirato
l’attenzione di Margaux, che aveva ostentato un sorriso intenerito
e aveva messo una mano sulla spalla del figlio. Si era dunque vista
costretta ad introdurre anche la ragazza filobabbana. «Miei cari,
come vi avevo accennato in una lettera, il mio caro figlio si è
fidanzato e ha lasciato la casa materna» aveva comunicato con tutta
l’aria di una madre nostalgica del figlio.
«Oh, tu devi essere la
fidanzata, allora!» aveva esclamato la signora Delacour, provocando
il rosso sul volto della ragazza.
«Sono Heaven. Molto piacere,
signora» aveva risposto con un sorriso cortese ma imbarazzato,
stringendo la mano ad entrambi i coniugi Delacour, uno dopo l’altro.
«Il piacere è tutto mio, mia
cara. È proprio una ragazza graziosa, complimonti Blaise!
Siete così carini! E, ditemi, a quando le nozze?»
Il rossore era letteralmente
esploso sulle guance di Heaven, che aveva guardato Blaise in cerca
d’aiuto. Non c’erano proprio nozze in programma, come riuscì a
spiegare lui, dopo un breve attacco di risate nervose. «Mia madre
esagera sempre con le parole» aveva aggiunto, riservando alla donna
un’occhiata eloquente.
Dopo quel primo momento di
interesse, la conversazione si era spostata sui successi della
giovane Gabrielle alla scuola di Beauxbatons, e la compagnia si era
accomodata nel salotto della casa, dove era rimasto durante l’ora e
mezza trascorsa. Ben presto, notando le difficoltà dei signori
Delacour nell’interloquire in inglese, Margaux aveva cominciato a
discorrere nella propria lingua madre. Inizialmente i Delacour
avevano cercato di parlare in una lingua che potesse essere compresa
da tutti i presenti, ma dopo qualche manciata di minuti
dell’insistente francese della padrona di casa si erano rassegnati.
Blaise non aveva problemi a
parlare francese, come Heaven ben sapeva. Non poche volte, durante le
sue visite a villa Zabini, erano scoppiati battibecchi in lingua tra
madre e figlio. Sapeva che molto spesso l'oggetto di quelle
discussione era lei, motivo per cui ogni volta ringraziava il cielo
di non capire nulla di francese al di fuori di ‘oui’, ‘bonjour’
e ‘bonsoir’.
Le amabili chiacchiere
intraprese con Gabrielle, inoltre, rendevano la destrezza di Blaise
particolarmente evidente, viste le continue e allegre risate della
ragazza.
Ogni volta che Gabrielle rideva,
Heaven sorrideva appena, e faceva lo stesso quando Blaise la guardava
come per chiederle se andasse tutto bene. Non le sarebbe sembrato
educato lamentarsi, ma il fatto che tutti si fossero messi a parlare
in francese la infastidiva. Non avrebbe comunque partecipato alle
aristocratiche conversazioni di Margaux e dei Delacour, ma se non
altro, in inglese, avrebbe potuto ascoltare e passare quelle ore
annoiandosi un po’ meno.
Blaise continuava a lanciare
occhiate a Heaven, consapevole del fatto che lei si sentisse a
disagio e quel cambio di lingua non faceva che peggiorare la
situazione.
Eppure era più forte di lui.
Era cresciuto parlando inglese a
casa, a scuola e con gli amici. Aveva però ricevuto lezioni da sua
madre e si era immancabilmente affezionato a quella lingua. Margaux
Zabini era stata l’unica costante nella vita di Blaise, che non
aveva mai avuto un vero padre, una figura maschile fissa a cui far
riferimento. Il francese per lui aveva un sapore di famiglia, sapeva
di sicurezza, sapeva di buono. Quando iniziava a parlarlo non
riusciva più a fermarsi.
Conoscere il francese lo faceva
sentire anche un po’ superiore, non poteva nasconderlo. Conosceva
una lingua in più della maggior parte delle persone che conosceva e
potersi destreggiare in quella disciplina davanti ad altri –
davanti a Heaven – lo riempiva di orgoglio.
Era un linguaggio suadente, che
lo attraeva in una maniera che non sarebbe riuscito a spiegare. Era
come se anche la sua anima parlasse quella lingua, come se non
potesse resistere al suo richiamo. Avrebbe solo voluto che quel
richiamo potesse essere udito anche da Heaven, per poter condividere
con lei anche quella gioia.
Per caso, tra una battuta e
l’altra scambiata con Gabrielle, Blaise aveva poi afferrato uno
stralcio della conversazione sostenuta da sua madre e non aveva
potuto che fermarsi ad ascoltare.
«Non tutto è perduto,
signori miei. Il richiamo della Francia è forte e lui è nato per
amare una donna francese!» stava dicendo Margaux con una punta
di orgoglio nella voce.
«Eppure sembra davvero
innamorato, Margaux, io non sottovaluterei i sentimenti di quel
ragazzo» obiettò il signor Delacour con un sorriso conciliante.
La padrona di casa rise e scosse
il capo, sicura di ciò che diceva. «Certo che è preso, ma è
una cotta passeggera, vedrai. Non vedi come ha smentito la domanda di
Camille a proposito delle nozze? L’idea non gli è nemmeno passata
per la mente. È un bravo ragazzo, sa che non può spingersi oltre
certi limiti».
«Fleur ci ha parlato bene
anche della ragazza, Margaux. Non siamo nel medioevo, non esistono
più cose come i contratti matrimoniali. I nostri figli sono liberi
di scegliere con chi passare la propria vita» continuò la
signora Delacour con diplomazia.
«Blaise? Mi stai
ascoltando?» domandò in quel momento Gabrielle.
Lui le rivolse un’occhiata
infastidita e le fece cenno di aspettare, assorto nella concitata
conversazione dei genitori.
Persino Heaven a quel punto, si
era accorta che qualcosa non andava, pur non capendo di cosa stessero
parlando. Lanciava continue occhiate a Blaise, Margaux e i signori
Delacour, a disagio. Si sentiva paranoica a pensare che l’argomento
fosse ancora una volta lei, per cui si disse che forse stavano
discutendo di qualche questione aristocratica e cercò di mettersi il
cuore in pace.
La donna scosse il capo con
ostinazione. «Fidati di me, Camille, quei due sono fatti l’uno
per l’altra. Quella ragazza è totalmente inadatta a Blaise, prima
o poi se ne renderà conto.
Ha vissuto con noi per un
po’, dopo la guerra. Aveva dei problemi e l’abbiamo ospitata.
Pensa che l’abbiamo sorpresa a cercare di cucinare, gli Elfi erano
increduli: non esiste che qualcuno prenda il loro posto. Non avevano
capito che la ragazza non era una cuoca.
Senza contare che usa un
nome falso, non lo sapete? Si vergogna di far parte della
famiglia...»
«Mamma! Non ti sembra di
esagerare?» la interruppe inaspettatamente Blaise, guardandola
con durezza.
Margaux sorrise con aria
colpevole. «Stavo solo raccontando qualche aneddoto. Mi sono
forse lasciata un po’ andare?»
«Decisamente – rispose
lui, serio. – Stavi superando il limite della scortesia».
La madre si esibì in una risata
per sdrammatizzare. «Chiedo perdono, in tal caso. Sono una
vecchia chiacchierona, a volte mi faccio prendere un po’ la mano!»
«Oh, mia cara, non sei
affatto vecchia! Sei ancora una ragazzina e mantieni la tua bellezza
di sempre!» la corresse la signora Delacour, sempre pronta a
inneggiare l’estetica e a rassicurare sulla propria magnificenza
chi ne aveva da vendere. Sembrava non aver capito che la padrona di
casa era perfettamente consapevole del suo incantevole aspetto
esteriore, nonostante gli anni iniziassero a pesare sulle torte di
compleanno; quella frase era stata buttata lì per sviare l’argomento
che tanto indispettiva suo figlio. Peccato che a Blaise non bastasse
così poco per tranquillizzarsi: era abituato ai giochetti della
madre e, avendo il suo stesso carattere altero, non sopportava che
lei pensasse di averlo liquidato così facilmente. Era stato tuttavia
educato a non sembrare troppo scortese in pubblico, motivo per cui
decise semplicemente di andarsene. Si alzò in piedi e fece un cenno
del capo a Heaven, accompagnato da un mezzo sorriso piuttosto
eloquente. Quando anche lei scattò in posizione eretta, tutti gli
sguardi si posarono su di loro.
«Cosa succede?» gli
chiese Margaux.
Blaise la guardò, impassibile,
sapendo che sua madre aveva un’idea ben precisa e plausibile delle
proprie colpe. «Noi dobbiamo proprio andare ora» rispose, nel suo
perfetto inglese. Questo cambiamento di linguaggio, colpì i signori
Delacour come uno schiaffo, mentre si rendevano conto di aver tenuto
un comportamento altamente maleducato nei confronti di quella ragazza
inglese. La costernazione per tanta scortesia si dipinse sui loro
volti contemporaneamente e, accorgendosene, Heaven trovò le loro
espressioni quasi comiche. Si trattenne tuttavia dal ridere, intuendo
la serietà della decisione di Blaise.
La padrona di casa sgranò
leggermente gli occhi, sorpresa e si alzò a sua volta, pronta a
sciorinare un miliardo di motivi per cui i due sarebbero dovuti
rimanere ancora un po’. Cominciò con un «Almeno finite di
prendere il tè, miei cari», ma non ebbe modo di continuare, vista
la risolutezza del figlio. «No, mi spiace, mamma, ma è proprio ora
che ce ne andiamo» tagliò corto, frettolosamente.
«E, sentiamo, cosa hanno da
fare di così importante due giovani disoccupati? Voglio dire,
sicuramente non dovete correre in ufficio» replicò allora, con una
punta di cattiveria, mascherata da un sorriso amichevole, che aumentò
l’irritazione del figlio.
Blaise le lanciò
un’occhiataccia, poi si guardò intorno per calmarsi: qualunque
cosa gli avrebbe trasmesso più tranquillità di sua madre, in quel
momento. Si diede quindi un contegno posando lo sguardo sulla teiera
di ceramica sul tavolino. «È mercoledì, oggi si va con Katie a
fare il bucato in una lavanderia pubblica di Londra».
Heaven lo guardò, meravigliata
e divertita al tempo stesso, mentre il volto di Margaux si
trasfigurava in una smorfia grottesca nel tentativo di rimanere
impassibile a quella notizia sconvolgente. «E da quando fai dei
lavori da Elfo Domestico?» si informò, sforzandosi di mantenere un
certo contegno.
Lui fece una smorfia e sfidò la
madre pronunciando la frase successiva, che smentiva ciò che lei
stessa aveva detto poco prima: «Da quando Heaven è l’unica a
portare a casa uno stipendio» rispose con un sorriso provocatorio.
«Lavori, cara? Anche tu al
ministero? Mi sembra di ricordare che tua madre lavorasse con Arthur
Weasley, sbaglio?»
La ragazza annuì. «Sì, mia
madre era una segretaria. Io invece do ripetizioni agli studenti di
Hogwarts. Non è nulla di particolarmente redditizio, ma, in mancanza
di altro, non è niente male».
«Vero – confermò Blaise,
prendendola per mano. – Ora dobbiamo andare, Katie ci aspetta»
annunciò, sorridendo cortese ai signori Delacour e Gabrielle.
«Chi è Katie, Blaise?»
domandò Margaux, che proprio non riusciva a tollerare di non essere
a conoscenza di tutti i dettagli della vita di suo figlio. Perché
nessuno le aveva detto che Blaise si faceva mantenere da quella
ragazzina babbanofila? Chi era questa Katie, ora, spuntata dal nulla?
Una nuova ragazzina insolente decisa a portarle via il suo figliolo?
O l’aiutante di quella...?
«Un’amica. – rispose,
brusco. Poi improvvisamente si illuminò e intuì il miglior modo per
dare il colpo di grazia a sua madre, che quel giorno stava davvero
superando ogni limite: - È molto simpatica, dovrei proprio
presentartela: gioca a Quidditch e sta facendo un provino dopo
l’altro per entrare in una squadra professionale. Ha talento. E,
indovina un po’, suo padre è un Babbano!» snocciolò con un
sorriso sornione che la diceva lunga a proposito delle sue
intenzioni. Questo però non impedì alla signora Zabini di annaspare
come se si fosse dimenticata il modo corretto di respirare.
«Questo non è un problema,
vero mamma?» infierì ulteriormente lui, rabbuiandosi leggermente.
Lo era eccome, lo sapeva. Anche la prima volta che lui e Heaven si
erano lasciati, era stata colpa di Margaux e della sua scarsissima
considerazioni per i Babbani, i Nati Babbani e i loro figli. Gli era
sempre sembrato naturale ritenerli inferiori, grazie alla
tradizionalista educazione materna, ma poi aveva notato una biondina
minuscola e introversa al tavolo dei Grifondoro, la quale col tempo
era stata in grado di insegnargli un sacco di cose, cose che la
maggior parte dei suoi coetanei già sapevano e di cui lei non aveva
idea di essergli stata maestra – il rispetto, l’amicizia,
l’amore, l'uguaglianza, il coraggio.
La donna prese un respiro
profondo e scosse lentamente il capo. «No, nessun problema, caro»
rispose, celando magistralmente lo stupore e l’irritazione causata
dal modo in cui il figlio cercava di umiliarla. Era tutta colpa di
quella ragazza: lo stava cambiando! Il suo Blaise non si sarebbe mai
permesso di farle una cosa simile, prima di incontrarla.
«Bene. Allora noi andiamo.
Arrivederci, signori Delacour, è stato un piacere rivedervi. Ciao,
Gabrielle!».
«Arrivederci a tutti e due.
Buona fortuna con la convivenza!» li salutò Camille Delacour con un
sorriso bonario e il suo marcatissimo accento francese.
«Arrivederci» la imitarono il
marito e la figlia.
Heaven sorrise educatamente e
salutò a sua volta, mentre Margaux chiamava l’Elfo Nixon affinché
li accompagnasse all’uscita. Blaise avrebbe voluto sottolineare che
non ce n’era bisogno, era cresciuto in quella casa e conosceva la
strada anche da solo, ma pensò di non calcare troppo la mano, quel
giorno era stato già abbastanza irrispettoso. Inoltre, aveva gatte
più grosse da pelare. Odiava quando sua madre gli metteva –
volontariamente o meno – pulci nelle orecchie.
Il viaggio di ritorno fu
piuttosto silenzioso. Optarono per prendere il Nottetempo, anziché
Smaterializzarsi, visto che non avevano alcuna fretta di arrivare
presto a casa e Heaven amava tanto sfruttare i mezzi di Trasporto
Magico (manici di scopa esclusi).
Come la ragazza aveva notato fin
da quando erano usciti da villa Zabini, Blaise sembrava essere
davvero di cattivo umore. Era una persona riservata e in quanto tale
non amava che gli si facessero molte domande, specie quando aveva
qualche pensiero di troppo in mente, decise quindi di non disturbarlo
e lasciare che seguisse il corso delle sue riflessioni senza
interruzioni.
Fu solo quando scesero dal
Nottetempo, che Blaise la prese per mano, la voltò verso di sé e la
guardò dritto negli occhi, ignorando l’improvviso rossore e la
sorpresa sul viso della ragazza. «Io non voglio sposarti» le disse,
risoluto.
Heaven sgranò ancora di più
gli occhi e si morse il labbro inferiore, confusa. Sembrava serio,
convinto di ciò che diceva. Non capiva. Perché le stava dicendo
ciò? Non aveva mai preso in considerazione l’idea delle nozze,
erano ancora troppo giovani, ma sentirsi dire una frase come quella
faceva comunque male. Deglutì a fatica, cercò di non farsi prendere
dalle sue solite paranoie, stava cercando di superare il proprio
pessimismo, eppure... eppure era impossibile non farsi prendere dal
panico quando un ragazzo diceva una cosa simile alla sua compagna.
«Ah» mormorò infine, distogliendo lo sguardo. Non riusciva a
sostenerlo, non se contemporaneamente doveva sforzarsi di mantenere
la calma.
«No, aspetta, guardami – le
prese il mento con una mano, delicatamente e fece in modo che i loro
sguardi si incontrassero di nuovo. – Io non ho intenzione di
sposarti» sottolineò, con un sorriso spento.
Anche la pazienza di Heaven
Froggs aveva un limite e in quel momento lo aveva raggiunto. «Sì,
Blaise, il concetto è chiaro» replicò con amarezza, infervorandosi
leggermente. Si divincolò dalla sua presa e si incamminò lentamente
verso casa, guardandosi attorno per mettere in ordine le idee. Dove
diavolo voleva arrivare? Come poteva calmarsi se nemmeno riusciva a
capire cosa cavolo volesse comunicarle?
Lui ridacchiò, comprendendo il
fraintendimento della ragazza, e scosse il capo. La raggiunse e la
prese di nuovo per mano, fermandola. «Non sto dicendo che non ti
amo, sto dicendo che non ti sposo».
«Be’, grazie tante
dell’informazione» rispose nuovamente lei, senza sapere cosa
pensare. Doveva mandarlo al diavolo o che altro?
Lui sospirò, si guardò attorno
alla ricerca delle parole giuste e tornò a fissare lo sguardo in
quello della ragazza. «Mia madre... mia madre ha frainteso. Quando
ho detto che non abbiamo intenzione di sposarci, ha creduto che non
volessi impegnarmi. Non è così. È proprio perché voglio
impegnarmi, che non ho intenzione di sposarti».
Heaven lo fissò in silenzio per
dei lunghi istanti, senza capire. Il discorso stava prendendo una
piega leggermente più comprensibile, ma sapeva che, per indovinarne
il significato, le mancava ancora qualche tassello.
«Mia madre si è sposata sette
volte» buttò lì allora Blaise e in quel momento lei capì. Capì
che il suo compagno non credeva nel matrimonio. Come sarebbe potuto
essere diverso, quando uno dopo l’altro aveva visto passare da casa
sua ben sette uomini, che magari si erano presentati come il suo
nuovo papà, per poi sparire in qualche modo. Per non parlare di
quelli che non avevano nemmeno pensato di sposare Margaux,
limitandosi a qualche serata in sua compagnia, per poi fuggire a
gambe levate una volta che scoprivano avesse un figlio.
Gli sorrise timidamente,
comunicandogli che, sì, ora aveva capito. Si alzò in punta di piedi
per scoccargli un bacio a fior di labbra e poi tornò alla sua solita
altezza. «Forza, andiamo a casa» disse solo.
L’occhiata che lui le rivolse
fu un segno eloquente di ciò che stava pensando: Blaise Zabini non
si accontenta di un bacio a stampo. «Non così in fretta, biondina!»
Prima che lei potesse obiettare o ridere, lui l’aveva già stretta
a sé e la stava baciando come Merlino comandava.
Non avevano bisogno di qualcuno
che testimoniasse la loro implicita promessa di rispettarsi e
onorarsi per sempre. Non avevano bisogno che qualcuno assicurasse
loro che non avrebbero mai smesso di amarsi. Lui aveva lei e lei
aveva lui. Tutto ciò di cui avevano bisogno era stare insieme.
Bastavano loro due.
So cosa state pensando: “Selfinsertion! Selfinsertion! Selfinsertion!”
Se devo essere sincera, è così. (No, un attimo, fatemi spiegare, non estraete torce e forconi!)
È nata come una selfinsertion, quando ho cominciato a scrivere la long fiction a cui questa one shot si riferisce (che è ancora in fase di progettazione e scrittura, quindi non la trovate da nessuna parte in rete e probabilmente non la troverete mai). Poi la storia si è evoluta, la protagonista è cambiata e anche la coppia su cui la storia si basa. Quella ragazza non sono più io da un sacco di tempo.
Non so cosa dire, esattamente, a parte questo. Prendetela com'è: un missing moment dalla vita di Blaise Zabini e della sua compagna. So che questo Blaise può non essere particolarmente Serpeverde, ma nessuno ha detto che essere Smistati in quella Casa faccia di una persona una carogna a vita, né che tutti i Serpeverde siano carogne. Questo Blaise è comunque vanitoso, egoista e un po’ subdolo, ma anche estremamente innamorato, cosa che rende il tutto – schifosamente – fluffoso.
Perdonatemi le smancerie, se a qualcuno si sono cariati i denti leggendo, pago io le cure dal dentista – e magari non è poi così fluffoso, ma io non abituata a scrivere romanticume.
Basta sto scrivendo troppo. Grazie a chi di voi è arrivato fino a quaggiù. :3