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Autore: Serephiem    24/10/2013    3 recensioni
Gli uomini cercano per tutta la vita un "senso" alla propria esistenza.
Il Capitano Damien Drahas crede di averlo trovato nel suo lavoro:
potranno uno sfuggente individuo, una donna abbandonata e il destino,
dimostrargli che sbaglia?
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Ruota del Samsara


 

Quando Gralon udì gli applausi capì che era il suo momento di entrare in scena: prese il vassoio, mise in equilibrio i boccali schiumanti di birra, lasciò il bancone e si destreggiò nella sua specialità, l'aggiramento di tavoli traballanti e sedie malmesse.
Solo un tavolo era occupato quella sera, un pubblico esiguo, ma vario e ben pagante: per cui li servì con sorrisi e cortesie.
-Dopo tutto questo cantare ballate e battere le mani, ecco a voi le vostre ordinazioni: birra scura al doppio malto per Ser Klaus e Ser Rosbergh, vinello speziato per Lady Enias di Città Sacra, sidro di mele per padre Elia e infine idromele per il nostro Cantore. Tutta produzione propria!-
-Vorrei vedere, con quello che costa.- bofonchiò Elia.
-Le offerte al clero vanno male, se posso permettermi?- chiese Klaus.
-Offerte? Il dio mercante esorta al guadagno con il sudore, mercanteggiando e praticando l'alchimia.-
-Ma certo, ma certo,- si affrettò ad aggiungere Gralon, recuperando i boccali vuoti del giro precedente -che ci benedica tutti allora!-
-Perdonate, Cantore, cantate ancora per noi, ve ne prego.- il battito delle ciglia catturò l'attenzione del locandiere e dei due Ser che scortavano la fanciulla.
Il Cantore sorrise, prese il calice e lo sollevò all'altezza del viso di lei.
-Questo idromele è come voi, mia signora: non dolce, ma zuccherino. Perché il dolce può disgustare, repellere, ma il gusto zuccherino lo si apprezza in molte prelibatezze. A buon intenditor, Lady Enias.-
Notando il rossore, e il modo in cui la lady si toccò le labbra, Gralon capì che era un complimento: sperò di averlo memorizzato bene, per rivenderselo.
-Cantare, no, questa volta voglio raccontarvi una storia. E sono certo che nessuno di voi resterà deluso. Nemmeno voi, Gralon.-
Il locandiere, che si stava allontanando, si fermò. Si volse e notò che l'uomo sorrideva affabile. Un po' a disagio, in mezzo alla stanza, sotto lo sguardo di tutti, decise di prendersi una pausa: poggiò il vassoio su un tavolo, afferrò una sedia, e si sedette vicino al prete.
-Di cosa si tratta?-
-Oh, di una leggenda, una storia fuori dal reale in cui ci sono tutti gli ingredienti giusti: combattimenti spietati per gli amabili cavalieri, rari saperi per il sacerdote della mercanzia, e un amore oltre il tempo, mia signora.-
-E io che c’entro?-
-Oh, mio buon locandiere, pazientate. Dovete sapere che tutto ebbe inizio molto tempo fa, a Lindblom...-

Damien si accostò contro la parete e alzò di scatto la celata dell'elmo: era senza fiato, il peso dell'armatura di piastre iniziava a farsi sentire e la spada bastarda era divenuta sempre più gravosa ad ogni colpo. Mentre i suoi compagni correvano verso di lui, guardò la lama: il metallo gli restituì l'immagine di un volto giovane e armonioso ma stanco, con qualche ciuffo nero che ricadeva sulla fronte da sotto l'elmo, le labbra contratte per lo sforzo e le narici dilatate. I suoi stessi occhi azzurri lo studiavano, opachi e socchiusi, dandogli un'aria tra il saggio e l'uomo malinconico, vittima di una mancanza storica non conosciuta nemmeno da lui. Il viso si rigò improvvisamente di rosso, riscuotendolo: inclinando la spada, il sangue era scivolato nel colasangue, arrivando quasi fino alla guardia crociata. 
-Capitano Drahas, tutto bene? Quando quel colpo vi ha sfiorato l'elmo, abbiamo temuto.-
-Sto bene, Cladis, è degli ostaggi che dobbiamo preoccuparci, non della mia vita.-
-Certo signore. Behor e Stone aspettano il segnale.-
-E allora dallo, vado avanti io. Ci si vede dall'altra parte. -
-Buona fortuna signore.-
Con un colpo secco riabbassò la celata, chiuse gli occhi, e attese: mentalmente prese a contare. Uno, due, Tre! Lo schianto della porta fu secco e Damien non perse tempo, afferrò l'elsa a due mani, si staccò dal muro e si gettò oltre la soglia, irrompendo nel magazzino.
Qualcosa lo colpì in volo alla spalla destra, ma lo spallaccio resse.
Mulinò la spada sopra la testa, puntando al sicario che si trovò di fronte, e avanzando la calò dandogli un'improvvisa traiettoria obliqua: il filo della lama squarciò il fianco sinistro dello sventurato, che si accasciò urlando orribilmente.
Damien lo superò senza voltarsi indietro: i suoi compagni erano lì e lui si fidava di loro, come loro di lui.
"Attento, a sinistra!"
Con prontezza eseguì una giravolta verso destra, schivando un tondo di spada. Riassunta la guardia media si trovò a fronteggiare un uomo in armatura di cuoio nero e maglia di ferro, con tanto di cosciali, gambali e schinieri, un lungo pugnale nella mancina e una spada corta nell'altra.
-Sei veloce, cane.-
-Arrenditi!- lo esortò Damien -Fai deporre le armi ai tuoi, Drojishka, e avrai salva la vita.-
-Fammi pensare.- un sorriso ambiguo si disegnò sul volto coperto di cicatrici -Meglio ucciderti!-
La spada corta affondò di punta, costringendo l'uomo a deviarla a sinistra con la sua lama, indietreggiando di fronte all'assalto. Come una serpe il pugnale scattò verso il suo fianco destro scoperto, costringendo Damien ad arretrare di lunghezza. Ogni passo indietro dava terreno a Drojishka, che riaccorciava le distanze, costringendo Damien a nuove schivate o deviazioni per difendersi dai colpi incalzanti di punta e di taglio.
Sollevò la spada intercettando un fendente diretto alla sua testa, e fu allora che il malvivente colpì: il pugnale scattò dopo la parata affondando nell'avambraccio destro.
L'urlo rimbombò nell'elmo, ma non sentì l'acciaio trafiggere la carne. Con furore avanzò mentre Drojishka indietreggiava e, poggiando il piede, distese le braccia librando un’ampia falciata orizzontale: la lunghezza della bastarda tagliò la ritirata del criminale, colpendolo con violenza al fianco sinistro, facendolo cadere sul destro. Il cuoio si era lacerato, la maglia no, ma in fondo era quello che Damien voleva: quando l'altro provò a ritirarsi su, sputacchiando sangue, il capitano gli fu sopra; caricò la lama, incurante del terrore negli occhi dell'altro, e lo colpì di piatto alla tempia, facendolo ricadere al suolo, immobile.
Respirando pesantemente si controllò la presunta ferita: era indolenzito, la piastra si era forata, ma gli anelli di ferro l'avevano protetto.
"E non solo loro," rifletté "anche quell'avvertimento mi ha salvato. Ma di chi era quella voce?"

Il resto dei furfanti si era arreso subito dopo che Drojishka era stato tramortito. Tutto sommato era soddisfatto: la banda del Giglio Nero era stata sgominata, nessuno dei suoi era rimasto ferito troppo gravemente, e non c'erano stati sprechi inutili di vite. Era stato un sollievo recuperare gli ostaggi, riportando personalmente un bambino nelle braccia del padre.
"Grazie di aver salvato il mio Gran."
"Se avessi fallito non mi sarei dato pace. Amatelo e vogliategli sempre bene."
Vedere una famiglia assieme gli aveva pure fatto dimenticare il dolore: sia quello fisico, che quello di aver ucciso anche oggi delle persone. Anche se necessario non era mai piacevole.
La refurtiva recuperata era varia, ma ciò che più l'aveva impressionato era stato rinvenire il simbolo sacro della dea Delwyn, Madre di tutte le madri e Luce che guarisce, sparito giorni prima dall'ospedale S.Igerna.
Ora era lì, nel modesto giardino dell'edificio adornato da siepi e cipressi, di fronte alla grande facciata in pietra: il portone aveva entrambi i battenti spalancati e un nutrito gruppo di guardie era di presidio, pronte a mantenere l'ordine. C'era un gran andirivieni di persone, molte delle quali entravano con espressioni di speranza e preoccupazione, altre uscivano in lacrime o stravolte. Da qualche parte, una donna urlò.
Damien si fece avanti verso l'ingresso, e le guardie nel riconoscerlo non fecero domande: gli cedettero il passo, esortando i cittadini a non spingere.
Una volta dentro andò a destra, cercando di non guardare le persone adagiate nei corridoi: tossivano spesso, si lamentavano, e certe erano talmente immobili da sembrare già morte.
-Sto morendo, lo so.-
-Ugh, i miei polmoni, bruciano.-
I volti delle infermiere non avevano speranza per tutti, né vane promesse. Infine giunse ad una porta in fondo al corridoio, la aprì, e scivolò dentro richiudendosela alle spalle.
-Capitano Drahas, che piacere vedervi.-
-Salute, padre Amon.- disse rivolto al vecchio uomo, vestito di una semplice tunica bianca, seduto dietro una scrivania coperta di carte, registri, calamai vuoti e pennini di tutti i generi. La cella era l'essenziale: un tavolo con una sedia, e una finestra che dava sul giardino.
-Che triste tempismo, tra poco dovrebbe arrivare un nuovo carro carico di malati, e sarà tutto più complicato. Lo è ogni giorno di più. E le mie preghiere vengono ignorate.-
-Padre, ho ritrovato il simbolo che vi era stato sottratto, tenete.- poggiò sul tavolo la sacca che lo conteneva -Spero che possa tornarvi utile per essere in armonia con Madre Delwyn.-
-Lo spero, Capitano, il Morbo della Lingua Nera non era mai stato così aggressivo e noi avevamo molte risorse per curare e guarire. Ma da quando la dea non ci concede più il suo favore, siamo inermi. Sta divenendo un'epidemia. Siamo costretti a bruciare i corpi in una fossa qui dietro l'ospedale.-
Il Capitano si fermò vicino alla finestra e restò a guardare la fila di persone. Un lamento di donna.
-E' vero padre quello che si mormora? Si dice che Delwyn sia scomparsa, o peggio, che sia morta. Dicono che è questo il motivo per cui non c'è più il dominio della guarigione nel nostro mondo.-
-Figliolo,- sospirò il prete -possiamo solo pregare. Cosa dice il vostro cuore?-
-Il mio cuore vuole sperare. Voglio avere fede.-
-Siete un bravo ragazzo, ora andate. Non dovete ammalarvi.-

Damien si congedò e uscì, tra i deliri dei malati, mormorando una preghiera per ognuno di loro. Giunto quasi in fondo, si fermò di scatto: a sbarrargli la strada, proprio sulla soglia che portava all'ingresso, c'era un uomo vestito di nero e rosso, con un largo cappello a visiera tonda, sormontato da una piuma. Lo teneva calcato, tant'è che riusciva a vedergli solo il naso dritto e le labbra. Lo vide sorridere, portandosi l'indice sulla bocca, con fare eloquente.
-Aspetta!-
Il giovane scattò in avanti ma l'altro si fiondò nel corridoio, uscendo dal suo campo visivo. Quando Damien varcò la soglia, mano sull'elsa dell'arma, dello sconosciuto non c'era traccia. Non si perse d'animo e uscì all'esterno, superando il picchetto di guardia. Si fermò a dare un'occhiata alla gente in fila: nessuna piuma in vista.
Nuovamente sentì una donna urlare, questa volta con più forza, ma nessuno si mosse.
Con cautela il Capitano aggirò la folla e si avviò a passi lenti tra i pochi alberi, verso uno dei muri di cinta del giardino. Un respiro ansimante: si fermò e si voltò, trovandosi davanti una siepe. Si avvicinò quatto, sguainando parzialmente la spada, facendo capolino dall'arbusto. Rimase a bocca aperta, lasciò l'elsa, e si tirò su completamente. Contro il muro era seduta una ragazza, vestita di un lungo abito verde consunto, con gli orli della gonna macchiati di fango che appena le coprivano i piedi scalzi: l'occhio di Damien cadde per prima cosa sul suo ventre, incredibilmente gonfio da costringerla a non usare la cintura.
-Voi siete incinta!-
-E voi un uomo arguto.-
I loro sguardi si incrociarono: due penetranti occhi verdi, arrossati dalle lacrime, lo stavano studiando, mentre le sue labbra carnose erano contratte in una smorfia di palese fastidio e dolore. Tirava su dal nasino, con la punta lievemente all'insù, mentre la brezza le scompigliava i lunghi capelli mossi, color del fuoco. Non era del tutto umana, le orecchie leggermente appuntite la qualificavano come una sangue misto. Damien si riscosse e le si avvicinò, accucciandosi.
L'erba vicino alle sue gambe sembrava inumidita, ma non c'era odore di urina.
-Siete venuto a sbattermi dentro? Ve l'ha chiesto lui?-
-Perché dovrei arrestarvi, non so nemmeno chi siete. E chi è lui?-
-Il prete ovviamente, quello sputa preghiere, nobile fuori e marcio dentro, figlio di...-
-Padre Amon!?-
-E chi altri? Ah si, anche le guardie cittadine. Comunque piacere, Ceridwen.-
-Damien Drahas, Capitano della fottuta guardia cittadina.-
-Oh.-
-No, nessun problema. Non siamo tutti uguali.- si affrettò ad aggiungere -Ceridwen, cosa sta succedendo?-
-Avevo dolori da giorni, e oggi si sono rotte le acque. Il piccoletto vuole nascere. Ma fa un male cane.-
-Dov'è il vostro uomo?-
Da come scosse la testa e arricciò il naso, si pentì della domanda.
-Sono senza soldi, vengo da un'altra città, e sono sola. E qui all'ospedale non mi vogliono, dicono che non c'è tempo per una come me, che sono una ragazzina, che devo cavarmela come tutte le madri. Che fate!?-
Mentre parlava Damien l'aveva presa con decisione e delicatezza, un braccio dietro la schiena e uno sotto le ginocchia, sollevandola: gli era scappato un lamento, il colpo di Drojishka doleva a seconda dei movimenti, ma cercò di farsi forza.
-Allora se la vedranno con me.-
Si avviò sorreggendola come un marito porta una sposa, studiando i suoi respiri affannosi e i mugolii che cercava di reprimere. Riattraversò il giardino, superò le siepi, fino a tornare dal picchetto: la gente mormorava, si scambiava occhiate, lo additava riconoscendolo.
-Capitano, cosa succede?-
-E lo chiedete a me? Questa donna sta male, io sono da poco qui, ma chissà da quanto va avanti così! Com'è possibile che non avete sentito nulla? Mi meraviglio di tutti voi presenti.- disse gelido verso la folla -E ora fatemi entrare.-
-Desolato signore.- i militari incrociarono le picche -Lei non può stare qui. Ci sono i malati, e c'è l'ordine di dare la precedenza assoluta a loro.-
-Contrordine, soldato.-
-Sono ordini del Comandante.-
-Che vada al diavolo!-
-Damien, basta.- mormorò la ragazza -Lasciate stare.-
-No, non lascio perdere. Vi aiuterò, e non mi dissuaderete.- senza curarsi degli sguardi si avviò verso l'uscita, e lì lo vide ancora. Fu solo un attimo, ma l'uomo col cappello era appoggiato alla cancellata. Com'era apparso, si dileguò.

Libero dalla corazza, ma non del cinturone con la spada, Damien aprì la porta della stanza, portando dentro un secchio di acqua calda. All'interno, sul suo letto, era distesa Cerdiwen, con il viso madido di sudore: vedendolo sorrise.
-Avete proprio una bella casa, Capitano.-
-Sì, quando non la uso come ospedale.- le disse in tono gentile.
-Vi ringrazio molto, mi avete portata fino a qui, mi avete accolta, sebbene fossi un'estranea. Grazie.-
-Non potevo lasciarvi lì. La mia vita è aiutare gli altri: è la mia vocazione, la mia missione. Vi aiuterò a partorire.-
-Vi insegnano pure questo in caserma?-
-Solo il giovedì.-
Le sfuggì un forte lamento, mentre lui sistemava un asciugamano.
-Si chiama Drake, il padre. Uno sciagurato, sono stata una stupida a concedermi a lui: sembrava diverso, mi aveva fatto tante promesse e io gli ho creduto. Quando sono rimasta incinta era cambiato. Ieri mi ha abbandonato in questa città, dove mi aveva portato con una scusa. Senza niente.-
-Non c'era bisogno che me lo diceste.- si sedette vicino a lei, sul letto -Avrei rispettato il vostro silenzio.-
-Ho voluto dirvelo perché siete buono, non solo a parole. Voi siete diverso.-
Improvvisamente il respiro di Ceridwen si fece affannoso e rapido, facendo scattare Damien in piedi. Lei gli prese la mano e lui la strinse.
 -Ascoltami, Ceridwen, andrà tutto bene. Cerca di respirare in modo profondo, quando non hai la contrazione. Rilassata.- l'aiutò a mettersi seduta, con la schiena contro il muro -Quando invece la senti, non trattenerti, ma spingi. Va bene?-
Lei annuì, serrando le labbra e aggrottando la fronte.
-E non avere paura di urlare, quando spingi urla con quanto fiato hai in gola!-
L'urlo che ne seguì diede forza a Damien, che le stette vicino per parte del tempo, fino a che non si mise sul materasso per controllare la fuoriuscita. Quando in seguito, in un lasso indefinibile di tempo scandito da urli e frasi senza senso, Damien vide emergere la testa, si sentì smarrito: l'istinto lo invitò a dirle di spingere, che andava benissimo, che si vedeva la testa. Mano a mano che usciva usò le mani per sostenere la testolina, senza aiutarlo, lasciando che la natura facesse il suo corso. Pregò:


 
"Madre di madri, Delwyn la partoriente, a te che creasti la vita per vincere la morte, alzo questa preghiera:
il tuo amore è armatura, la tua benedizione è spada. Discendi su questa madre, e su questo nascituro, legandoli nel più indissolubile dei legami,
quello tra creatrice e creatura, in modo che morte mai possa separarli, né in questo mondo né altrove.
Così prega il figlio, verso sua Madre.
"

 

Passate le spalle il bambino fuoriuscì con relativa facilità, lasciando Ceridwen senza fiato. Damien lo prese, lo avvolse nell'asciugamano, e lo sentì piangere con vigore e voglia di vivere.
-Benvenuta piccola.-  sospirò in modo liberatorio mentre si accostava alla ragazza: aveva ripreso a sorridere. Lei alzò le mani, e lui gliela porse: le loro dita si sfiorarono.
Una serie di immagini gli passarono sotto gli occhi: due uomini si scambiavano una promessa, da ubriachi; una creatura scagliosa e serpentiforme volava su nel cielo, e gli stessi uomini si ergevano dove tutti fuggivano; battaglie e volti, uomini e donne, ricordi e dolori, e due costanti sempre presenti.
Quando Damien tornò in sé la bambina aveva smesso di piangere, e ora a farlo era Ceridwen, ma non di dolore. Una lacrima gli colò sulla guancia: piangeva pure lui. Era piacevole. Era un pianto che non svuotava, ma riempiva.
-Perché, Damien, mi sembra di conoscerti da una vita?-
-Vale pure per me, mia fata dalla pelle di neve e dai capelli di fuoco.-
Si piegò verso di lei, mentre lei alzò il viso. E con delicatezza e dolcezza, si baciarono.

Damien osservò il cielo stellato. Era confuso. Madre e bambina ora dormivano dentro casa, ma lui non si sentiva più se stesso. Qualcosa era cambiato, e il senso di mancanza storica era sparito dal suo sguardo.
-Salve!-
Il giovane si voltò di scatto, sguainando la spada, puntandola in direzione della voce. L'uomo col cappello alzò le mani, e questo bastò a fargli abbassare l'arma. Lo sconosciuto sorrise, affiancandosi al Capitano. Con due dita sollevò il cappello, osservandolo con occhi castano scuro.
-Salute a te.- rinfoderò la spada -Finalmente non scappi più.-
-Ora non ne ho motivo. So che non vuoi farmi del male.-
-E come lo sai?-
-Perché sono la tua costante.-
Entrambi si staccarono dal muro e si strinsero in un caloroso abbraccio.
- È un piacere ritrovarti, amico mio.-
-Sono confuso. So di conoscerti, so che ho in testa ricordi non miei, di altre persone, e la stessa cosa è successa a Ceridwen: ci conoscevamo.-
-L'anima è un concetto straordinario, e va oltre le leggi del tempo e dello spazio. L'anima non muore con il corpo, semplicemente va in un posto migliore: ma per te, non è stato così. Tu sei speciale e Ceridwen con te. Ora tu sei Damien, hai questo aspetto e questa vita, ma sei stato tanti altri: e ognuno di loro, a un certo punto, ha ricordato, ed è andato alla ricerca della sua mancanza, la sua Cerdiwen, che ha condiviso i suoi medesimi destini. Sempre vi siete ricongiunti, non importa quale carattere o status sociale avevate. E io sono sempre stato con voi, a guidarvi da lontano, forzando qualche evento, per aiutarvi a ricordare, e passare con voi il tempo che vi veniva dato in quelle reincarnazioni.-
-Tu sei la voce che mi ha avvertito e salvato la vita!-
-No, è stata lei, la seconda costante.-
Damien osservò la sua spada: una semplice bastarda come altre, ricevuta come regalo di inizio addestramento. Affidabile e resistente, ma solo una spada.
-Ogni volta che muori io la do a qualcuno, e seguo il suo passaggio di mano, che può durare anche decenni, ma in un modo o nell'altro torna sempre a te. Ti suggerisce come ricordare, ma questa volta non è servito. E la nostra storia ricomincia, arricchendo la tua leggenda, perché questa è la Ruota del Samsara.-
-Grazie di tutto. E adesso?-
-Adesso godiamoci questa vita, no? Io non invecchio da quella sera in cui feci quella promessa da ubriacone, ma tu si.  Mano a mano ricorderai tutto, e finiremo in qualche guaio, come ai bei tempi.-
Si sorrisero. Damien, il Samsara, decise di rincasare, desideroso di starle vicino ora che erano nuovamente assieme, riprendendo il loro amore nel punto in cui non si erano detti addio, ma solo arrivederci.

Quando finì di narrare tutti tacquero: Elia aveva riempito rotoli di appunti, Ser Klaus e Ser Rosbergh erano rapiti, mentre lady Enias aveva pianto dalla commozione.
-Il loro amore durò per sempre?-
-Per citare padre Amon, cosa dice il vostro cuore?-
Lei annuì con decisione, sorridendo, e alla sua domanda seguirono quelle di tutti gli altri, ognuno con le sue curiosità da saziare. Gralon taceva, tarlato da un dubbio.

-Andate già via Cantore?-
-Si, Gralon, era tutto ottimo, ma devo cavalcare anche di notte per arrivare in tempo. Mi aspettano per un anniversario. Volevate chiedermi qualcosa?-
-Gran era mio padre, e da piccolo subì la sorte che avete raccontato.-
-Vi ho detto che la storia vi avrebbe interessato, ora sapete che è parzialmente vera: potrete decidere se la seconda parte è verità o fantasia.-
-E voi, cosa credete?-
-Io racconto e basta, lascio i giudizi al pubblico. Ci si vede, amico mio!-
Detto questo montò in sella, si calò sul capo un largo cappello con una vistosa piuma, e cavalcando scomparve.

 

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Angolo dell'autore:Salve a tutti e tutte ^^
Come vi avevo accennato nell'angolo de "Il Pianto Rosso del Calzolaio" (se non l'avete letta, basta cliccare sul mio nickname e la trovate), ecco a voi "La Ruota del Samsara, anch'essa scritta agli inizi di Maggio e secondo racconto con cui ho partecipato alla XIX edizione del Trofeo RiLL, un concorso che riguarda racconti brevi di genere fantastico: per questa ragione, ogni racconto partecipante per regola non doveva eccedere le 21 600 battute (non parole, ma battute con spazi compresi) e questo ha determinato la lunghezza, la semplificazione e il ritmo della storia, sebbene non come nell'altra storia sopra citata.
Anche questo racconto fa parte di un progetto più grande, che guarda più da vicino le vicende che il cantore deve vivere stando a contatto con il Samsara, nel bene o nel male. La vicenda che vi ho raccontato potreste vederla un po' come un estratto, presa da una delle tante incarnazioni; con miglior dovizia di dettagli, e spiegazioni, nelle pubblicazioni future sarà tutto più chiaro.

In attesa della prossima storia, che sarà sicuramente una "Long" un saluto a tutti e buona scrittura :)

 
-Serephiem/Eugenio-


 
  
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