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Autore: Hikary    24/10/2013    5 recensioni
{Hook/teen!Baelfire - missingmoment}
[...]una miriade di altri dettagli, piccole e logoranti responsabilità [...] stavano via via facendo realizzare a Killian Jones come, semplicemente, non avesse più l’età per certe cose.
Ad esempio, ogni qual volta Bae decideva di scalare l’albero maestro della nave per “ arrivare un po’ più in alto”, l’uomo perdeva minimo dieci anni di vita solo nell’assistere all’impresa.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baelfire, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo mi perplime.
Ad ogni modo, questa fic tratta della relazione amorosa tra un pirata adulto (!) e un ragazzino di cui al momento non ricordo l’età, ma facciamo sui quindici/sedici anni… ciao cronologia di Once, ti ho persa di vista al trentottesimo flashback su Snow che cavalca nei boschi XD Dicevo, se la cosa vi turba avrete saltato qualche puntata di Once, non c’è altra spiegazione potete fare rotta altrove. Ma c’è molto poco di cui turbarsi in quanto segue, la ABC darebbe *quasi* l’ok.
 
A quanto pare il fandom italiano non impazzire per questa adorabile coppia che al momento mi da feels pari solo alle citazioni del Signore delle Mosche, ma su tumblr potete cercare la tag #hookfire e morire felici.
 
Falling slowly è la canzone più bella del mondo e fa parte della colonna sonora originale del film – ora anche musical ♥ – Once. Si parla anche di barche metaforiche, ma mi paeva troppo imbarazzate citarle in questo contesto v_v
 
(Sono sempre convinta che la colpa sia di Aika but still.. )
 
Falling (but slowly)
 
Il peso degli ultimi anni trascorsi a vagare con un ritmo sempre più frenetico iniziava a farsi sentire. Quello, insieme a una miriade di altri dettagli, piccole e logoranti responsabilità che stavano via via facendo realizzare a Killian Jones come, semplicemente, non avesse più l’età per certe cose.
Ad esempio, ogni qual volta Bae decideva di scalare l’albero maestro della nave per “ arrivare un po’ più in alto”, l’uomo perdeva minimo dieci anni di vita solo nell’assistere all’impresa. Non c’era verso di convincere Bae a trovarsi un passatempo meno mortale, no: quel ragazzino cocciuto doveva ad ogni costo riempirsi i palmi di schegge, raffreddarsi con tutto il vento che c’era lassù e – una piccolezza, davvero – rischiare di rompersi l’osso del collo.
Purtroppo i suoi argomenti non suonavano affatto convincenti alle orecchie di Bae, perciò si era deciso ad ignorarlo – o almeno così fingeva di fare, senza mai perdere di vista quella sagoma minuta che ciondolava goffamente da un pennone all’altro - fino al giorno in cui era successo quello che, presto o tardi, doveva succedere: un sibilo, seguito da un grido appena abbozzato, di sorpresa, e infine un tonfo sordo. Gli occhi del capitano si erano mossi rapidamente dal punto in cui aveva visto Baelfire l’ultima volta a dove era, presumibilmente, appena atterrato. Il ragazzo si contorceva in un ammasso di cime, gemendo di tanto in tanto; ma si muoveva, stava emettendo suoni, non poteva essere che una buona notizia. Hook si precipitò giù dalle scale che portavano dalla prora al ponte, già pronto ad inveire contro quel piccolo incosciente – magari anche a dargliene qualcuna, se fosse risultato illeso. E invece, proprio un attimo prima che aprisse bocca, il ragazzo lo scorse a pochi passi da lui e lo chiamò per nome – “ Killian…” – con un tono così disperato, così indifeso, che tutta la rabbia dell’uomo si sciolse in un attimo.
Quel marmocchio.
Hook si chinò sul ferito con un sospiro rassegnato. Bae non se l’era cavata troppo male, tuttavia non oppose alcuna resistenza quando il pirata lo prese tra le braccia e lo sollevò; al contrario, si lasciò scappare un singhiozzo e si rannicchiò contro il suo petto. Forse il danno più grande lo aveva causato lo spavento, pensò Hook con immenso sollievo mentre si dirigeva verso la propria cabina.
 
 
La faccia di Bae era un pasticcio di sangue e graffi. Le ossa, però, erano tutte al loro posto. Il ragazzo, seduto a gambe incrociate sul letto del capitano, era già abbastanza in forze da potersi lamentare ad ogni tentativo di ripulire le ferite.
 
« Insomma Bae, cosa devo fare con te? Non ti basta aver fatto il tuffo della morte dall’albero maestro? Ora dobbiamo anche mettere su una tragedia per qualche graffio? »
« Non sono io quello che sta mettendo su una tragedia. » puntualizzo l’altro, arricciando il naso.
 
Con quell’espressione beffarda, i capelli arruffati e una strisciata di sangue lungo la guancia, a Hook ricordava uno dei Bambini Sperduti di Pan. Al solo pensiero avvertì un brivido correre giù per la schiena; ma no, Bae era al sicuro sulla sua nave, nessun Pan lo avrebbe portato via. Quella che doveva essere una medicazione, si stava lentamente trasformando in una carezza e si ritrovò a sfiorare la guancia di Bae, con una dolcezza estrema, quasi malinconica. Bae sgranò gli occhi, sorpreso, per poi abbassarli in fretta, arrossendo.
 
« Scusa se ti ho fatto preoccupare. »
 
L’uomo scosse il capo e guardò altrove, come per metter fine alla questione. Il fatto che Baelfire fosse arrossito bastava a convincerlo della sua sincerità; di norma, in una situazione del genere, avrebbe approfittato di ogni spiraglio, ogni opportunità per peggiorare quella cosa che c’era tra loro, renderla più pericolosa, più reale.
Forse, tuttavia, Hook stava davvero perdendo colpi, perché, non appena fu certo di aver ottenuto il suo perdono, Bae gli regalò uno dei suoi sorrisetti innocenti e posò la propria mano sopra quella dell’uomo, premendosela con più forza contro la guancia.
 
« Mi fa male dappertutto. Posso restare a dormire? »
 
Hook sbuffò e divincolò la mano dalla presa. Gli occhi di Bae lo fulminarono, indignati, quasi; seguirono per un attimo il movimento della mano e, con uno scatto imprevedibile, Bae gli morsicò la punta dell’indice. La reazione di Hook fu piuttosto pacata, come di chi è abituato a farsi azzannare da un adolescente con una certa regolarità. Piuttosto, si prese un attimo per valutare lo stato di Bae: quanto fosse ancora scosso, quanto arrabbiato, quanto avesse davvero bisogno di lui.
C’erano giorni sereni, in cui quella cosa si riduceva ad occhiate, sorrisi furtivi, parole scherzose mormorate con tono sfacciato, di sfida. Altri, al contrario, erano gravosi, pieni di incertezza:  Bae lo scrutava con apprensione, qualche volta strillava o aveva gli occhi lucidi per la rabbia. Quei giorni erano i più importanti, Hook lo sapeva. In quei giorni, Bae aveva bisogno di sentirsi dire che non era pazzo, che non era il solo, almeno, ad aver bisogno di risposte. Le risposte che Hook poteva dargli none erano certe quelle che voleva – non ancora – ma erano abbastanza. Una sera spesa ad imparare nuove costellazioni, ad esempio. Addormentarsi con la testa contro la sua spalla, ascoltando i racconti degli altri membri dell’equipaggio. Farsi curare e coccolare dopo un epico volo dall’albero maestro.
Ora Bae era furioso, non c’era alcun dubbio. Hook gli posò una mano sul capo e lo guardò dritto negli occhi.
 
« Se ti rivedo lassù, non scomodarti a scendere. »
 
L’espressione di Bae si ammorbidì. Con un unico movimento aggraziato, si sporse in avanti e premette le labbra contro le sue. Il bacio fu troppo breve per essere definito in un qualche modo, ma era il solito Bae – le solite labbra, il solito sapore, come ogni volta in cui lo coglieva impreparato.
 
La caduta dall’albero maestro, alla fine, si era rivelata poco più di un capitombolo. Ma Killian Jones, che era un uomo scrupoloso, non se la sentì di lasciare Bae da solo; e Baelfire, che dopotutto era un ragazzino ubbidiente, si accoccolò tra le braccia del pirata e lì rimase fino al mattino.
  
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