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Autore: WarHamster    25/10/2013    4 recensioni
Poi lo vide, proprio di fronte a lui, piccolo e ovale: uno specchio. Fu una visione fugace, come un flash prima che distogliesse lo sguardo, ma aveva fatto in tempo a vederla di nuovo, la sua faccia, la sintesi di una perfetta sconfitta.
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Questa storia partecipa al contest "Qual è la miglior Edita che abbiate mai scritto?" di PhoenixQuill
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Avery, Evan Rosier, Mangiamorte, Mulciber, Walden Macnair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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NdA: Ho scelto di parlare di due personaggi molto secondari che rientrano in quello stuolo di individui di cui la Rowling ci ha detto poco o nulla. Avery e Rosier sono due Mangiamorte amici dai tempi di Hogwarts (facevano parte dello stesso gruppo di Piton, Mulciber, Lestrange e Bellatrix), ciò che ho fatto è stata un lavoro puramente ipotetico, non li considero una coppia crack poiché non è escludibile che avessero una relazione (la Rowling non ha mai detto se fossero sposati e comunque si conoscevano molto bene) però è comunque vero che di loro si sa davvero poco. Ho ricostruito un periodo di tempo che va dal 1981 al 1999 (circa) e ho strutturato la storia su una serie di salti temporali in diversi momenti della vita di Avery (lo si vedrà chiamato soltanto per cognome perché ho voluto rispettare il fatto che la Rowling non ne abbia rivelato il nome) dove Evan Rosier più che un personaggio vero e proprio è una sorta di fantasma.
Tutti gli avvenimenti sono quelli effettivi dei libro, dove non venivano trattati in maniera approfondita, a cui ho aggiunto solo dei dettagli.

Disclaimer: tutti i personaggi, gli eventi e le ambientazioni appartengono a J. K. Rowling se fossero stati miei Lupin non sarebbe morto in maniera tanto cacina.
 

 
Synthesis of a perfect defeat
•last act of a fallen•
 
Nocturne Alley, 1982

«“Nessuno se l’è meritato più di Rosier”?» Avery abbatté il pungo sul tavolaccio di legno, quel cane di Karkaroff avrebbe fatto meglio a tenere a freno quella sua lingua buona soltanto a leccar scarpe. Pestò ancora una volta i piedi sul pavimento lurido e cigolante «Gran bel piano Evan… davvero un gran bel piano. Ora Mulciber è ad Azkaban, io a nascondermi come un ratto, e tu… davvero un bel piano, Evan». Aprì con violenza la porta, la maniglia divelta e arrugginita penzolava come un osso rotto; tutto il Msaw Ætare cadeva a pezzi e avrebbe fatto tanto meglio ad andarsene alla svelta. Karkaroff non aveva fatto il suo nome – fosse sbranato dai topi, il maledetto – ma non era sicuro restare a Nocturne Alley, non quando il ministero aveva sguinzagliato ogni suo segugio alla ricerca dei Mangiamorte.

Avery si sarebbe affogato nel whisky incendiario, se solo gliene fosse rimasto; il fatto era che quando aveva la mente annebbiata dall’alcol era un po’ meno arrabbiato. Era così che si sentiva da quasi un anno: terribilmente rabbioso, e poco c’entrava la caduta del Signore Oscuro. Era stato un suo sostenitore, benché avesse negato – Era questo che dovevo fare, non è vero, Evan? – e come tanti altri si era sentito perso con la caduta del loro leader, ma poco gli importava del Signore Oscuro, non era per lui che avrebbe tanto desiderato poter tornare indietro nel tempo.

 
*
 
Rosier Manor, 1981

«È da pazzi pensare che possa funzionare, Evan. Voldemort è caduto, te lo ripeto ancora una volta nel caso ti sia sfuggito, caduto» Avery aveva sempre avuto una qual certa vena catastrofica mista al suo sadismo spiccato.
«Non chiamarlo così» ribattè lui gelido. «È scomparso! Te ne rendi conto? Non importa più che sia il Signore Oscuro, potrei chiamarlo anche Riddle o zio Tom, a chi importerebbe? Il mago oscuro più potente di sempre si è eclissato e noi siamo condannati a nasconderci come ratti nelle fogne, nessun tribunale crederebbe mai alle nostre scuse» sbottò Avery con foga scattando in piedi.
Rosier gli poggiò le mani sulle spalle «Andrà tutto bene, la tua testimonianza vale quanto quella di chiunque altro» aveva quegli occhi di un verde incredibilmente pallido, che avrebbero costretto chiunque a guardarli, Avery non tentava nemmeno più di opporsi al magnetismo di quello sguardo.
Mulciber si schiarì la voce «Come piano ha del ridicolo, ma mi trovo d’accordo con Evan» l’aveva sempre infastidito quello strano modo con cui Rosier sapeva calamitare su di sé l‘attenzione, per questo non faceva altro che tentare di irritarlo «Dichiararsi vittime di una Maledizione Senza Perdono, noi che le abbiamo usate più di una volta, è quanto meno esilarante. Ma fingendoci sotto Imperius se non altro eviteremo Azkaban» concluse allontanandosi con le mani affondate nel cappotto nero.

Erano ormai da giorni rinchiusi nel maniero dei Rosier, le notizie degli arresti e delle retate degli Auror non facevano altro che far salire l’agitazione fra quelle antiche mura di pietra.
Avery aggrottò le sopracciglia, ancora non era convinto «Ci hanno visti torturare e uccidere, ci sarà di certo qualcuno pronto a vendere la nostra testa pur di sfuggire ai Dissennatori». A quelle parole Rosier s’incupì «Nessuno potrebbe tradire così. Siamo compagni». Avery scoppiò in una risata amara «Credi davvero che qualcuno si lancerebbe in pasto ai Dissennatori per salvare uno qualsiasi di noi?». Si passò una mano sul volto teso e preoccupato «Quello di Severus, quello sì che è un buon piano, con un garante come Silente nessuno oserebbe torcergli un capello» il suo viso parve rilassarsi «Non che qualcuno avesse osato toccarli anche prima, i suoi capelli unti» anche Rosier si ammorbidì, se poteva scherzare allora non c’era poi così tanto di cui preoccuparsi.

Avery si lasciò ricadere pesantemente su quello che un tempo doveva essere stato un divano elegante; una volta tutto di quella casa era diverso, ne aveva qualche vaga reminiscenza ripensando agli anni di Hogwarts. Si lasciò sfuggire un’altra risata amara, aveva solo vent’anni e già la sua adolescenza gli sembrava tremendamente arcaica “Forse perché faccio parte di una generazione che si è ritrovata a crescere fin troppo in fretta” pensò e prese istintivamente a piantarsi le unghie nel marchio nero, gli era sembrata una scelta tanto logica…
«Evan» sospirò, capitava che sentisse un peso all’altezza del diaframma, come un nodo di “se” che si fosse fermato a bloccargli il respiro: se avesse dato più peso alle sue scelte, se avesse avuto amicizie differenti, se non fosse stato ciò che invece inevitabilmente era. Suo padre prima di lui era stato un Mangiamorte, il marchio nero era quasi qualcosa di scontato per Avery, eppure ogni tanto c’era quella domanda scomoda che gli pesava dentro: e se avessi detto no?
E ogni volta, ogni maledetta volta che quel punto interrogativo cominciava a dargli la nausea, arrivava Evan, con quel suo sorriso affabile e gli occhi tondi e un po’ folli; non era un salvatore, non gli aveva mai detto che le sue scelte fossero quelle giuste, ma ogni volta gli ricordava che il passato era ormai distante e che c’erano tante altre decisioni da prendere nel presente.

Come tutte le volte che emetteva quel sospiro, lo vide chinarsi verso di lui, e non c’era anestetico migliore che affondare il viso nel suo collo e lasciare che i suoi capelli biondi lo ricoprissero; odoravano di polvere, come la dimora caduta dei Rosier, e Evan aveva ormai preso quell’odore, quello delle cose che se ne vanno, che restano indietro e non tornano più se non nei ricordi.
Lo strinse più forte, tanto da farselo quasi crollare addosso, e Rosier nemmeno capiva il perché di tanta foga, ma non avrebbe comunque fatto nulla per fermarlo, non l’aveva mai fatto.
Avery lo baciava sempre come se avesse voluto essere divorato, affondava in lui come se avesse potuto diventare il suo nascondiglio. Perché era debole, debole, debole e con Evan poteva smettere di fingere.
Muciber emise un gemito disgustato e girò i tacchi, non avevano mai capito se fosse geloso o genuinamente schifato, e nessuno interessava chiarire la questione

 
*
 
Azkaban, 1996

«Tenti di fare conversazione? Davvero divertente, MacNair, e dimmi, vorresti per caso istituire anche un club di ricamo con crine di unicorno? Pare che il Signore Oscuro avesse un debole per quelle bestiole». Walden MacNair emise una risata simile ad un ringhio, era forse l’unico, insieme ad Avery, che ancora osasse aprir bocca; Azkaban l’aveva infiacchito, le spalle possenti si erano incurvate e la folta barba nera cresceva disordinata sulle guance scavate. Eppure, nonostante fosse rimasto ben poco del MacNair vigoroso che tutti ricordavano, il suo attaccamento alla vita e la sua ferocia sembravano impossibili da spegnere del tutto.
Per Avery non si poteva dire lo stesso, talvolta riusciva persino a scherzare, nonostante apparisse evidentemente provato, ma nemmeno i Dissennatori sembravano avere molta presa su di lui. Restava tutto il giorno appeso alle sbarre, ciondolante come una pezza sporca, i capelli sudici e lunghi che gli si incollavano al volto e negli occhi una quantità di odio verso se stesso che avrebbe spaventato qualsiasi altro prigioniero.
Non c’era più gioia, né speranza, né bei ricordi, nulla che gli potesse essere strappato, solo odio, disperazione e quella rabbia sorda che accompagnava il suo colossale fallimento.

Restava sempre appeso alle sbarre, aveva finito anche per dormire lì, a terra, perché aveva il terrore di quella cella umida, delle pozze nere su cui si rifletteva la scarsa luce. Soltanto una volta il suo sguardo era caduto su uno di quegli specchi e quello che aveva visto l’aveva fatto esplodere per l’ira, l’aveva fatto urlare come un folle o una bestia ferita.
Guardare in quelle pozze, osservare il suo riflesso, era come avere di fronte la sintesi di una perfetta sconfitta, la maschera di un essere che ha perso ogni battaglia, e non poteva sopportarlo, per questo se ne stava sempre di fronte alle sbarre a guardare i ratti scorrazzare e a sentire MacNair che gli diceva con leggerezza “Si potrebbe fare due chiacchere ogni tanto, per passare il tempo”.

«C’è una cosa che voglio chiederti da tempo» Walden non si era mai curato troppo di cosa dicessero o pensassero gli altri «Perché sei tornato?». Se lo chiedeva anche lui, perché? Ma questa volta aveva una risposta a fugare ogni suo dubbio.
«Ti ho osservato quella notte, la disperazione con cui ti sei prostrato a Lord Voldemort, hai sopportato la maledizione Cruciatus pur di tornare fra i suoi ranghi. Cosa ti ha spinto a farlo? Se l’avessi temuto così tanto saresti semplicemente fuggito nascondendoti come un qualsiasi codardo, se invece gli fossi stato estremamente leale non l’avresti abbandonato sin dal principio. Perché ti sei fatto torturare, Avery?».
Tornò ad appoggiare la fronte alle sbarre, se lo ricordava bene come si era contorto sull’erba bagnata, come aveva sentito la testa comprimersi e ogni muscolo torcersi come se ogni sua fibra fosse stata ritorta e strappata. Eppure aveva resistito, aveva un motivo per farlo.
*
Da qualche parte in Scozia, 1981

Rosier era diventato più guardingo, teneva la bacchetta costantemente in mano e non parlava quasi più; non faceva altro che guardarsi intorno come se potesse essere aggredito da un momento all’altro.
Era passata una settimana dalla partenza di Mulciber. Avery si ostinava a chiamarla così: “partenza”, come se il suo migliore amico potesse tornare di lì a poco. Evan invece non la chiamava proprio, restava zitto, e al suo compagno sembrava di impazzire in tutto quel silenzio.
Le cose non avevano fatto altro che peggiorare da quando avevano abbandonato la casa dei Rosier, il dover riformulare gli incantesimi di protezione dopo ogni spostamento li aveva resi ancora più scorbutici e irritabili e l’unica, magra, consolazione arrivava nella notte, quando dormivano stretti l’uno all’altro e il silenzio non era più un peso.

Avery non si era mai illuso che potesse andare avanti così per sempre, solo evitava di pensarci, se non ci si concentrava il futuro cominciava a sembrare abbastanza lontano da non fare paura, e nonostante sapessero di essere braccati tutto sembrava sospeso in una sorta di limbo.
La cattura di Mulciber era stata un durissimo colpo, ma dopo una settimana sembrava quasi che i sentimenti avessero perso i loro contorni, che non fossero altro che sfumature di nebbia nei boschi scozzesi.

Quella notte erano in viaggio verso un piccolo centro abitato, evitavano di volare e avevano finito per spostarsi soltanto con il buio, non è che avessero un piano o una meta precisa, semplicemente a entrambi era sembrata una buona idea spostarsi in continuazione.
Evan era stato il primo ad accorgersi che qualcosa non andava
 forse perché rasentava il paranoico  e quella volta non si trattava di uno scherzo della sua mente provata.
Non fecero in tempo a pensare di nascondersi che una pattuglia di Auror schizzò fuori dalle tenebre caricandoli.
Evan pensava terribilmente in fretta e si mosse con altrettanta rapidità spingendo un manico di scopa fra le mani di un Avery attonito e un po’ stordito.
“Scappa” sillabarono le sue labbra e, per la prima volta in vita sua, Avery eseguì senza contestare.

Ciò che accadde dopo ebbe per molti mesi, nella mente di Avery, la consistenza dei brutti sogni, quella grana grossa e un po’ formicolante che rende tutto poco chiaro e molto irreale.
Forse era per i lampi degli incantesimi, forse perché si rifiutava così tanto di crederci da alterare i suoi stessi ricordi.
Eppure era vero, ne aveva la prova tangibile ogni mattina, quando si svegliava solo come un cane.
Si era alzato in aria, puntava verso l’alto verso la protezione del buio, ma quando si era voltato Evan non c’era.
Non aveva preso la sua scopa, non ci aveva nemmeno provato. Non voleva scappare, non era stato nelle sue intenzioni sin da subito, voleva soltanto che lui avesse il tempo di fuggire, e mentre Avery si metteva in salvo lui era lì a farsi massacrare.
Non era riuscito a fare altro se non restare immobile – Sono debole, debole, debole, Evan – l’aveva visto scagliare incantesimi come se sapesse perfettamente che quelli erano i suoi ultimi istanti e avesse voluto farli valere.
Colpì in pieno volto l’uomo alla testa degli Auror, Alastor Moody; Avery l’aveva riconosciuto subito, era il più efficace segugio del ministero, scovare i Mangiamorte sembra essere il suo unico scopo nella vita. Eppure, poco prima che l’incantesimo lo raggiungesse l’Auror aveva fatto in tempo ad attaccare a sua volta.

Avery vide Rosier colpito alla gola, sussultò, i capelli biondi ondeggiarono in aria come spighe di grano scosse dal vento, gli occhi verdi più spalancati che mai.
Erano entrambi a terra, lordi di sangue, Moody con il volto sfregiato ridotto ad una massa scarlatta ed Evan bianco come il latte, la gola squarciata come se l’avesse morsa un cane.
Li aveva visti assieparsi attorno all’Auror caduto, e avrebbe potuto lanciarsi a terra e vender cara la pelle e fare qualcosa di tremendamente stupido che gli avrebbe evitato di soffrire e odiarsi per aver lasciato che lo ammazzassero così.
Avrebbe dovuto farlo, e invece si era allontanato, come un codardo, un traditore.

 
*
Londra, 1982

Si poteva dire che li stesse aspettando, l’avevano trovato al Paiolo Magico, davanti a del firewhisky, non aveva opposto resistenza, non aveva nemmeno tentato di fuggire, era come se non gli importasse più di nulla.
Era entrato in aula docile come un agnellino, la sedia incatenante aveva persino esitato prima di imprigionarlo, aveva tutta l’intenzione di lasciarsi condannare, in fondo che cosa gli restava? Per cosa avrebbe dovuto combattere? Cosa aveva ancora che i Dissennatori potessero strappargli?

Poi l’aveva visto, i capelli rossicci erano più radi, gli mancava un pezzo di naso e un grosso bulbo oculare azzurro si muoveva febbrile al posto del suo occhio sinistro, ma quello era senza ombra di dubbio Alastor Moody.
E improvvisamente tutto aveva un altro colore.

«Lei dichiara di avere subito la maledizione Imperius?».
Avery appariva impassibile «Sì» rispose secco «Non ero in me quando ho seguito colui-che-non-deve-essere-nominato».

Fu tragicomico quando scoprì che Evan aveva ragione, che sarebbe bastato così poco a tirarsi fuori dai guai – anche se per Mulciber non aveva funzionato.
Ma non aveva tempo di gioire, tutto passava in secondo piano dal momento che Alastor Moody era vivo, finalmente la sua vita aveva un senso, e Moody avrebbe pagato.

 
*
Azkaban, 1997

Aveva dimenticato il colore del cielo, le sfumature delle nuvole illuminate dalla luna, inspirò a fondo e la sorpresa del non sentire più il puzzo di Azkaban lo colpì come uno schiaffo. MacNair e Mulciber ridevano sguaiatamente, come se non avessero mai desiderato altro nella vita, anche Avery era felice di essere uscito, ma non era la libertà ciò che più gli mancava; lì, lontano dalle sbarre e dalle catene, la vendetta sembrava incredibilmente vicina.

Mulciber lo attirò a sé in un abbraccio fraterno «Questa volta saremo vittoriosi, amico mio, non dovremo più nasconderci e fuggire, regneremo, capisci?» sembrava eccitato, i suoi occhi brillavano tanto l’idea lo riempiva di gioia. Avery sorrise lievemente, per lui Voldemort poteva anche cadere e non rialzarsi mai più, non avrebbe fatto alcuna differenza, se mai fosse tornato ad Azkaban sarebbe stato per l’omicidio di Alastor Moody.
*
Nei dintorni di Hogwarts, 1998

Doveva ammettere che l’agitazione aveva contagiato anche lui, l’adrenalina fluiva ininterrotta fra i ranghi dall’istante stesso in cui Lord Voldemort aveva annunciato l’attacco a Hogwarts. Sarebbe stato un attacco senza precedenti, la più grande battaglia che avessero mai affrontato, la più pericolosa, quella decisiva.
MacNair affilava con cura maniacale la sua ascia, un sorriso inquietante gli solcava il volto squadrato «Non mi è mai importato molto del sangue puro e di tutta quella roba, lo sai perché sto da questa parte? Perché non ci fingiamo buoni. Non ci nascondiamo dietro una stupida facciata di perfezione, se c’è da fare del male lo si fa, se c’è da uccidere non ci si ferma. Sto da questa parte perché non mi fermo, perché quando vedo il sangue su questa lama sto bene» Avery scosse le spalle «Non mi importa di versare il sangue di qualche bambino, c’è un solo uomo là dentro di cui voglio trascinare il cadavere: Alastor Moody».
Rabastan Lestrange scoppiò in una fragorosa risata alle sue spalle «Moody? Malocchio Moody? Arrivi tardi, Avery, è morto da mesi, il Signore Oscuro in persona l’ha abbattuto mentre trasferivano Potter. Il suo occhio incantato era diventato un gran bell’oggetto d’arredo prima che il moccioso lo portasse via» rise di nuovo, accompagnato da Walden.
«E ora che farai?» chiese il boia, gli occhi azzurri ancora illuminati da una scintilla ilare.

*
Rosier Manor, 1998

Non rimpiangeva di essersene andato, in fondo non era la sua battaglia, non c’era nulla per cui valesse la pena combattere.
Moody morto, probabilmente avrebbe riso, se solo gli fosse rimasto un po’ di senso dell’umorismo. Gli era stata data l’incredibile possibilità di rammendare il suo sbaglio, di far perdonare la sua codardia, ed era riuscito a gettarla alle ortiche. Avrebbe dato tutto perché Evan fosse con lui, per affondare di nuovo il viso nei suoi capelli e lasciarsi abbindolare dai suoi occhi, per sentirsi di nuovo come se la speranza potesse non morire mai.

Si lasciò crollare sullo stesso divano di anni e anni prima, nella villa dei Rosier. Si avvicinava all’essere un quarantenne ma si sentiva vecchio e stanco come se avesse vissuto per millenni. Poi lo vide, proprio di fronte a lui, piccolo e ovale: uno specchio. Fu una visione fugace, come un flash prima che distogliesse lo sguardo, ma aveva fatto in tempo a vederla di nuovo, la sua faccia, la sintesi di una perfetta sconfitta.
Si alzò di scatto, il sangue che gli saliva alla testa oscurandogli per un istante la vista, e senza pensarci troppo lo sfondò con un pugno, incurante del dolore bruciante alla mano, aveva provato di peggio.
E lo vide di nuovo, riflesso in decine di frammenti, amplificato sul pavimento di legno marcio, quel volto che aveva preso ad odiare ferocemente. Fu in quel momento che crollò, in tanti anni aveva imparato cos’era l’apatia, la rabbia, l’abbandono e mai una volta si era lasciato semplicemente andare in pezzi come quello specchio davanti a lui. Per la prima volta si rese conto di essere arrivato all’ultimo atto, e non c’era nessun finale epico, nessun lieto fine, nessun eroe valoroso.

Solo il riflesso di un’infima caduta.
   
 
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