Serie TV > I Cesaroni
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Autore: ChiaraMad    27/10/2013    5 recensioni
E' una storia diversa. Parte dalla scena in cui Eva, seduta sul suo letto in camera sua, messa alle strette dalla madre, decide di confessarle di Parigi, e del motivo del suo in'aspettato ma atteso ritorno. Con una differenza però, per quanto riguarda la spiegazione data alla madre. Vi dico solo che qui, Eva, non è l' egoista che hanno dipinto in questa quinta serie. Ed è un'ipotetica sesta serie..
In'utile dire che chi è per Marco e Maya, qui non ha nulla da cercare.
Buona lettura -spero D: - a tutti voi! Recensioni e critiche, sempre ben accette. (:
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice Cudicini, Eva Cudicini, Marco Cesaroni, Nuovo personaggio, Rodolfo Cesaroni
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La tv di sottofondo, la stanza lievemente illuminata dallo schermo acceso. Seduta sul divano, col pc sulle gambe intenta a finire un articolo, e la figlia addormentata accanto a lei, distesa. Distolse lo sguardo da quello schermo, posandolo al suo fianco. Sorrise dolcemente, guardando la piccola addormentata. L'accarezzò lievemente, stando attenta a non svegliarla. 
Richiuse il pc, sbadigliando stanca. I capelli raccolti da un mollettone, ed il pigiama caldo ad avvolgerla in quella notte di metà Dicembre.
Si alzò da quel divano, e la sua attenzione venne catturata da quella foto che stava lì, a pochi passi da lei, posta su quel tavolino in fondo al soggiorno, rilegata in una cornice argentata. Era stata scattata il giorno del matrimonio dei suoi due migliori amici, e ritraeva lei assieme a lui, sorridendi e vicini. Aggrappata al suo braccio, sotto a quel grande albero che stava sul retro di quel ristorante, dove dietro si poteva intravedere un laghetto e qualche panchina. 
"Dai dai, ora una foto ai testimoni!" Carlotta aveva insistito, ammiccando verso l'amica che, sorridente e un po' imbarazzata, aveva preso posto assieme a lui sotto quell'albero.
Erano passati cinque mesi, da quel giorno. 

Flash-back

Qualche giorno dopo al matrimonio, una tranquilla serata assieme all'amica in un locale del centro. Un paio di drink e la musica di sottofondo.
"Carlotta, io ho preso una decisione." Sospirò. "Ed è importante." Chiarì all'amica che la guardava in attesa.
"Ho deciso di.." Si bloccò, portandosi quel bicchiere alle labbra. "Di dirgli la verità." 
L'amica spalancò gli occhi mostrando un sorriso a trentadue denti, battendo le mani entusiasta.
"Oddio non ci credo! Ti prego dimmi che è vero!" Esclamò allibita ma contenta.
"Si, si, si e ancora si! Non ce la faccio più a mentirgli." Fece una breve pausa. "Ci siamo riavvicinati così tanto in questo periodo, che non posso fare a meno di sentirlo accanto a me, ogni sera. Non ce la faccio più a guardarlo e stargli lontana, ma sopratutto non voglio che lui abbia la possibilità di trovare ancora una volta qualcun altra. E poi Marta, merita un padre che sia sempre presente. Che le canti le canzoni prima di addormentarsi, che l'abbracci la notte dopo un incubo." Sorrise. "Non voglio più nascondermi, non voglio più privarmi di quella sensazione meravigliosa che mi travolge ogni volta, quando mi sta accanto." Concluse, chiudendo gli occhi.
"Sono davvero felice tesoro, era ora che tu decidessi di dire la verità a quell'idiota, e che ricominciassi a vivere, riprendendo da dove avevi lasciato." Allungò una mano, stringendo quella dell'amica. "E' la cosa giusta da fare, per te, per lui che merita di sapere la verità, e per la piccola, vostra figlia." Sorrise. 
"Grazie Carlotta, davvero." Ricambiò la stretta. Carlotta si alzò in piedi, trascinandola, lasciando due banconote sul tavolo in legno.
"Coraggio, andiamo allora!" Esclamò afferrando l'amica e trascinandola fuori da quel locale.
"Ma cos'è tutta sta fretta?" Chiese confusa, continuando a camminare.
"Non vorrei che tu cambiassi idea, tutto qui!" Fece l'occhiolino Carlotta, salendo in macchina assieme a lei che, capendo le intenzioni dell'amica, sorrise divertita. 
"No, stavolta, non cambierò idea." Confermò decisa, allacciandosi la cintura. 
Carlotta guidò per le strade di Roma, quasi sfrecciando sull'asfalto. 
"Vuoi rallentare?" La richiamò l'amica, preoccupata.
"Non ti darò il tempo di cambiare idea!" Sorrise, svoltando a destra. Eva scosse la testa, rassegnata. 
Guardò fuori dal finestrino, spalancando gli occhi incredula. Era lui. 
Stava uscendo da una birreria del centro, solo. 
"Eccolo!" Esclamò sorridente, lanciando uno sguardo all'amica che si fermò poco più distante da quell'uscita, dall'altra parte della strada. 
"Sei ancora qui? Vai!" La incoraggiò l'amica, invitandola a scendere dalla macchina e raggiungerlo. Eva sorrise, afferrando la maniglia per aprire la portiera. Ma si bloccò, nell'esatto momento in cui vide una ragazza con un vesito corto, dai lunghi capelli castani e mossi raggiungerlo, correndo sui tacchi. La vide appoggiargli le mani sulle spalle, voltandolo. Trattenne il respiro, spalancando gli occhi, incredula. 
La ragazza lo baciò, aggrappandosi a lui, che ricambiò appoggiandole le mani sulla vita. 
E sentì la terra sotto ai piedi mancare, gli occhi che piano cominciavano a pizzicare. E le lacrime che scendevano lungo le gote, arrivando a toccare le labbra.
E si era sbagliata. Il cuore un'altra volta spezzato, il respiro irregolare e caldo. Delusione, schifo, rabbia. Guardò ancora per qualche attimo quella scena davanti ai suoi occhi, attraverso il vetro di quel finestrino. 
"Eva? Stai bene?" Carlotta che, vista la scena, cercò di richiamarla, preoccupata. Si risvegliò, asciugando col palmo della mano quelle lacrime, deglutendo.
"Riparti." La voce rotta dal pianto, lo sguardo duro e serio. L'amica annuì semplicemente, triste, ingranando la marcia per ripartire. 

Fine flash-back

Da quella notte, poche parole con lui. Cercava di evitarlo il più possibile, senza però togliere alla figlia la possibilità di vedere il padre e la famiglia. 
Quella delusione bruciava ancora. Era pronta a ricominciare, ad ammettere i suoi errori, a dirgli la verità che aveva tenuto nascosta per mesi. 
Si sentiva finalmente pronta. E invece l'aveva trovato appiccicato alle labbra di una sciacquetta qualunque, all'uscita di quella birreria.
Aveva deciso allora di andare avanti, definitivamente, e di metterci una pietra sopra. Voleva solo dimenticarlo. 
E allora un pomeriggio di metà Settembre aveva deciso di accettare l'invito a cena di Matteo, il suo collega. Un ristorante in centro, un drink in un pub, per poi farsi riaccompagnare a casa dopo una serata tranquilla. 
"Grazie per la bella serata, Matteo." Sorrise, scendendo dalla macchina, seguita da lui. 
E allora davanti a quel cancello, senza dire niente, afferrò la sua vita e la baciò, così, alla sprovvista. 
Rimase colpita da quel gesto, ma non si tirò indietro. Ricambiò quel bacio, appoggiandosi a lui. 
Quale modo migliore, per andare avanti?
Sospirò, prendendo la figlia in braccio, per poi portarla piano nel suo lettino. Spense la luce, lasciandole un bacio sulla fronte, per poi andare nella sua stanza e infilarsi sotto a quel piumone rosso e caldo.

Scese dalla macchina assonnato, richiudendola. Attraversò la strada per arrivare al cancello di quella piccola palazzina situata appena fuori dal centro, infilando le chiavi per aprire. 
Non si accorse di due ragazzi alle sue spalle, che l'avevano seguito in macchina. 
"Eccolo sto pezzo di merda!" Quasi urlò il primo, scaraventandosi su di lui con una mazza in ferro.
"Oh ma che cazzo volete?!" Marco cercò di liberarsi dalla presa del secondo, alle sue spalle, che lo teneva bloccato. 
"Muoviti cazzo, dai!" Incitò l'amico davanti a lui, che lo guardava soddisfatto. Lo colpì più volte, atterrandolo. 
Marco si ritrovò a terra, dolorante, incapace di difendersi, ulrando per il dolore all'addome e alle spalle.
"Così impari a baciare le ragazze degli altri, stronzo!" Esclamò il ragazzo con la mazza, continuando a colpirlo. Uno, due, tre, infiniti colpi che era costretto ad incassare, incapace di muoversi. 
"Che cosa.." Provò a dire, prima di esser rialzato e preso a pugni sul volto. 
"Eh? Fa male vero?" Continuò a colpirlo, per poi lasciarlo atterra e scappare via assieme all'amico. 
Disteso sull'asfalto, sanguinante, senza forze e incapace di rialzarsi. Tossì più volte, sputando. 
Cercò di respirare, prendendo aria nei polmoni, ricordando poi improvvisamente di quella ragazza che all'uscita di quel locale, qualche mese prima, l'aveva baciato per riaccendere l'interesse del suo ragazzo nei suoi confronti. Le aveva fatto un favore, niente di più. 
Non riusciva ad alzarsi. Cercò allora di prendere il telefono nella tasca dei jeans, schiacciando il pulsante dell'ultima chiamata effettuata: Walter.

"Mi ha chiamato un'ora fa, c'aveva la voce rotta, non parlava, m'ha solo detto de venì davanti casa sua, e poi me sa che è svenuto." Spiegò Walter a Giulio e Lucia, che l'avevano raggiunto in ospedale, preoccupati.
"Ma che è successo?!" Gesticolò Giulio, assieme a Lucia, accanto a lui.
"E non lo so! Sono arrivato li, e l'ho trovato disteso davanti al cancello, l'hanno riempito di botte." Sputò tra i denti l'amico, portandosi le mani sul viso. 
"E che ha detto il dottore?" Domandò Lucia.
"Ha un braccio rotto, e qualche frattura al bacino per i colpi. Ha detto poi che non è gravissimo, ma dobbiamo aspettare che si svegli per vedere se non c'ha qualcosa pure alla testa. L'ho trovato in un pozza di sangue."
"Oh cielo!" Esclamò Lucia, portandosi una mano sulla bocca, sconvolta. Si strinse a Giulio, cercando di tranquillizzarlo.
Le due in punto, e Marco ancora non s'era svegliato. 
"Tesoro?" Lucia porse un caffè a suo marito, preso alla macchinetta nel corridoio affianco. La ringraziò, portandosi il bicchierino alle labbra.
Walter sospirò, amareggiato. Che cosa poteva essere successo? Perchè non era potuto esser li, a dare una mano all'amico?
"Walter, tu vai pure a casa da Carlotta. Ci stiamo noi qui." Lucia si avvicinò a lui, seduto sulla sedia, rassicurandolo con un sorriso e una carezza sul viso.
"Eh? E' che non mi va di lasciarlo." Soffiò lui, dispiaciuto.
"Tranquillo, se sappiamo qualcosa, ti chiamiamo. E' inutile che tu stia qui, poi a casa hai tua moglie incinta che sicuramente ha bisogno di te." Lo rassicurò lei, assieme a Giulio.
"Dai Walter, vai pure a casa, con Marco ci stiamo noi." Sorrise lui. "E grazie per averci chiamato." 
"Figurati." Sorrise, alzandosi dalla sedia e dirigendosi alla grande porta a vetri del corridoio, aprendola.

Avevano passato la notte in ospedale. Si erano addormentati all'alba, su quelle panche in legno nella sala d'aspetto. 
Le nove in punto. Lucia aprì gli occhi, appoggiata al petto di Giulio, stiracchiandosi leggermente. Sentì il telefono squillare nella borsa, estraendolo.
"Pronto tesoro?" Rispose.
"Mamma, ciao! Ti ho svegliata?" Chiese Eva dall'altra parte del telefono.
"No, tranquilla amore, come stai?" Sbadigliò.
"Bene, nonna è appena passata a prendere Marta, sono uscite ora. E tu invece?"
Sospirò. "Non bene tesoro. Io e Giulio abbiamo passato la notte in ospedale."
"E perchè? E' successo qualcosa?" Si allarmò, drizzandosi sulla sedia.
"Ieri notte Walter ha trovato Marco disteso per terra, sanguinante e privo di sensi, davanti casa sua. Pare che qualcuno l'abbia picchiato violentemente, tesoro." 
Eva smise di respirare per qualche attimo, chiudendo gli occhi. Sentì il sangu gelare nelle vene, in un attimo. Non avevano più parlato, loro. Si erano allontanati, dopo la sera in cui l'aveva visto con quella ragazza, all'uscita di quel locale. 
"Co.. Come? Che è successo?" Ritrovò la voce, alzandosi da quella sedia. 
"Non lo sappiamo, stiamo aspettando che si risvegli." Spiegò Lucia, lanciando uno sguardo a Giulio che si era appena svegliato accanto a lei.
"Va beh senti, dieci minuti e sono li, okay?" Aprì l'armadio, gettando sul letto un paio di jeans e un maglioncino bianco.
"Va bene tesoro, al quarto piano, ciao!"
"Ciao mamma!" Richiuse velocemente il telefono, vestendosi. 

Aprì quelle porte di vetro, entrando nel reparto. Vide subito Giulio e Lucia balzare in piedi, nella sala d'aspetto. 
"Allora?" Chiese subito. "Ci sono novità?"
"No." Rispose Giulio, scotendo la testa. "Non s'è ancora svegliato." 
"Ma voi non dovreste esser in bottiglieria e libreria?" Corrucciò la fronte, guardandoli."
"In effetti si, ma.." Fece spallucce lui.
"Sentite, qua ci sto io, non vi preoccupate. Voi andate pure, se c'è qualcosa, vi chiamo, okay? Poi siete stati qui tutta la notte, andate a riposarvi." Li invitò lei, rassicurandoli.
"Eva, sicura? Guarda che noi.." 
"Mamma, andate, sul serio." Provò a sorridere. "Se ci sono novità, vi chiamo subito." 
Giulio e Lucia si guardarono, annuendo poco convinti.
"E.. Va bene, noi andiamo. Però torniamo dopo pranzo tesoro." Puntualizzò Giulio, assieme a Lucia. 
"Va bene, allora ci vediamo dopo." Li salutò lei, dirigendosi verso il dottore che era appena uscito da una stanza li vicino.
Lo chiamò, vedendolo voltarsi.
"Mi scusi, la stanza di Marco Cesaroni?" Chiese lei, con la voce sommessa dall'agitazione.
"L'ultima sulla destra, in fondo al corridoio signorina." Le indicò la stanza, congedandosi.
Avanzò a lunghe falcate quel corridoio, arrivando davanti a quella stanza. La porta grigia chiusa. Sospirò, portandosi indietro i capelli con una mano, nervosa, e sistemandosi quella borsa sulla spalla. Appoggiò la mano sulla maniglia, spingendo la porta, entrando piano in quella stanza. La richiuse alle sue spalle, per poi voltarsi verso l'immagine di lui, disteso e addormentato, in quel letto d'ospedale. L'addome fasciato da delle bende bianche, e il braccio destro ingessato. Un cerotto sul naso, dei tagli sul viso e il labbro ferito. 
Si avvicinò piano, guardando attentamente l'ampio petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente. Prese posto su quella poltrona accanto al letto, sospirando. 

"Sembrava una giornata tranquilla, questa. E poi scopro che sei in ospedale, che la notte prima ti hanno probabilmente preso a botte davanti casa, e non ne so il motivo. Probabilmente è perchè in questi mesi, io e te, non abbiamo poi parlato più di tanto. Non come facevamo prima, raccontandoci tutto magari davanti ad una tazza di caffè in cucina, a casa dei nostri genitori. Ci siamo allontanati, o almeno, io mi sono volutamente allontanata da te, ancora. E' stupido, lo so, ma credimi quando ti dico che l'averti visto un'altra volta attraccato alle labbra di un'altra donna che non ero io, mi ha distrutta, mi ha messa al tappeto, perchè un gesto così da parte tua, non me l'aspettavo. Il fatto è che una parte di me, in quei mesi, si era un'altra volta convinta che tu provassi qualcosa per me, che ancora magari un po' di me ti importasse, e che quei mesi venuti prima, dopo Parigi, avessero magicamente perso importanza, che il male che ci siamo fatti fosse passato in secondo piano lasciando spazio ancora una volta a quello che l'una provava per l'altro. E ho preso coraggio, volevo dirtelo, volevo urlarti che ero stata capace di mentirti per proteggerti, per far si che i tuoi sforzi e i tuoi sacrifici non siano stati vani, per non farti abbandonare la musica e mandare all'aria il tuo futuro. Volevo dirtelo, Marco. Volevo liberarmi di quel peso estenuante, ma non me ne hai dato il tempo. E' vero, tu non hai fatto niente di sbagliato. Non stavamo assieme, non avevo nessun diritto su di te, non potevo chiederti niente, e avevi tutto il diritto di vedere un'altra persona. 
Ma non ce l'ho fatta a starti accanto ancora come amica, dopo quella notte. 
E allora ho preferito allontanarti, perchè anche io come te avevo il diritto di ricostruirmi una vita, che quella volta, non t'avrebbe compreso al suo interno. 
Un'altra persona, un altro ragazzo che con te non ha niente a che fare. Matteo.
Eppure non ce la faccio, ancora no. E' come se una parte di me si sentisse ancora in colpa per tutto quello che c'è stato prima tra noi. E' come se Matteo non fosse abbastanza per cancellarti dalla mia testa e dal mio cuore, come se tu passando avessi lasciato un altro segno indelebile. 
E' ormai qualche settimana che esco con lui, ma è come se tu fossi sempre li, a guardarmi da lontano con lo sguardo misto a rimprovero e delusione, perchè sei tu a non permettermi di andare avanti e dimenticarti. 
Ma l'ironia della sorte non conosce limiti, e vuole che io sia qui con te in questa stanza d'ospedale. La mia mano stretta alla tua, appoggiata sul petto nudo e caldo. 
Ti accarezzo la testa, lievemente, e vedo che la muovi piano sospirando. Mugugni piano qualcosa, ed è lì che sento il mio cuore cominciare a battere forte nel petto. Non riesco a capire cosa hai detto, ma decido ugualmente di tenerti stretta la mano, aspettando di vederti riaprire gli occhi


Lei sospirò un'altra volta, umettandosi le labbra. Lo vide poi muovere piano la testa, e strizzare leggermente gli occhi ancora chiusi. 
"Marco?" Soffiò lei accanto al suo viso, speranzosa. "Marco?" Ripetè sempre a bassa voce, per evitargli un brusco risveglio. 
Lui strizzò ancora gli occhi, dolorante, per poi aprirli piano. Ci mise qualche secondo prima di mettere a fuoco l'immagine di Eva, accanto a lui. Spalancò leggermente gli occhi, socchiudendo la bocca, guardandola sorpreso di trovarla al suo fianco.
"Eva.." Soffiò lui, spostando poi istintivamente lo sguardo sulle loro mani unite sul letto. 
"Come ti senti?" Cominciò lei, guardandolo.
"Eh?" La fissò lui, ancora in uno stato di dormiveglia. "Ah, sto bene, direi.." Cercò poi di appoggiare la schiena al cuscino. "Ah!" Esclamò dolorante, notando il braccio destro ingessato. 
"Non direi poi tanto bene.." Sorrise leggermente lei, indicando il braccio. "Ma che è successo?" Chiese lei con un cenno del capo, vedendolo fare una smorfia contrariato.
"Ieri sera sono tornato a casa, e davanti al cancello c'erano due tipi con una mazza ad aspettarmi." Concluse quasi sarcastico, accennando un sorriso. 
"Questo l'ho capito, ma perchè?" Lo riprese lei, seria.
Marco la guardò, in silenzio per qualche attimo. Non poteva di certo dirle della ragazza.
"Eh? Ah non lo so, non ne ho idea.. Ma da quant'è che sei qui?" Cercò di cambiare discorso, guardandola curioso.
"Non molto, sono arrivata questa mattima. I nostri genitori sono stati con te tutta la notte, invece. Li ho mandati a casa perchè erano stanchi, tornano nel pomeriggio." Spiegò Eva, alzandosi in piedi difronte a lui. 
"Grazie. " Sorrise lui, inclinando leggermente la testa di lato. Non si aspettava di trovarla li al suo risveglio.
"Di niente." Ricambiò. "Aspetta, vado a chiamare mamma e Giulio. Ho promesso che li avrei chiamati non appena ti fossi svegliato." 
Marco annuì. "Va bene, e Marta?" Chiese lui.
"E' con nonna, è venuta a prenderla stamattina. Riposa, vado a prenderti qualcosa al bar di sotto." Uscì dalla stanza lanciandogli un ultimo sorriso, richiudendosi la porta alle spalle. 
Sospirò, rimanendo solo nella stanza. Si toccò piano il naso. "Ahia!" Spostò lo sguardo sulle bende sull'addome, corrucciando al fronte. Scosse poi la testa, sbuffando. Le aveva prese. Ma una cosa positiva in tutto quello che gli era successo, c'era: Lei, era li con lui. Del resto, non gli importava. 

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Hoplà! :D Eccomi di nuovo tra voi, con un capitolo che non è che mi soddisfi più di tanto, ma va beh. -.-"
Vi avevo lasciato con quel capitolo corto, e molti di voi hanno cominciato a detestare la mia povera Eva. Qui, ci sono le spiegazioni al suo gesto. ;)
Marco le prende! Ahahaha Piccola vendetta personale! >:D
Si staranno riavvicinando? Mah, non lo so manco io. D:
Detto questo, vi ringrazio per il tempo che perdete per leggere sta roba - Me sepre commossa :') -
Dedico questo capitolo alla mia Eliessa che - anche tu mi sei mancata! D: - aspettava la continuazione di sta cosa. :D
Grazie, grazie a tutti. 
Al prossimo capitolo, questa settimana probabilmente! :')
Un bacio grande, 

Chiara. <3


 
  
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