Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: Fiby_Elle    27/10/2013    6 recensioni
"Giochi o non giochi?"
Sebastian e Blaine hanno otto anni la prima volta che si incontrano e tra loro nasce subito un fortissimo, quanto particolarissimo legame. I due bambini, infatti, inventano un gioco alquanto semplice, per cui si affrontano ogni giorno in sfide sempre più difficili, alla conquista di una preziosa scatola colorata. Il gioco però, continua anche una volta cresciuti e diventa sempre più pericoloso... soprattutto quando i sentimenti cominciano a farne parte...
[Trasposizione Seblaine del film Amami se hai coraggio]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa fanfiction partecipa all'iniziativa domeniche a tema organizzata dal gruppo Seblaine Events .



Prompt: Scommessa.
Avvertenze: la fan fiction è una trasposizione in chiave Seblaine del celebre film “Amami se hai coraggio”, da esso sono riprese frasi e eventi, ma il finale e alcune scene sono state modificate per adattarle a Sebastian e Blaine!
Buona lettura!
 
 


Amami se hai coraggio
 
 
La prima volta in cui Sebastian incontra Blaine hanno sette anni.
Sono le otto del mattino, il pulmino per portarlo a scuola arriverà a momenti e il medico sta parlando con mamma e papà, pronunciando una parola brutta, molto difficile: metastasi.
Sebastian non ha la più pallida idea di cosa significhi, ma capisce che non deve trattarsi di una cosa bella perché trova sua madre piangere silenziosamente sul letto e quando prova a chiederle spiegazioni, lei lo guarda un secondo, poi lo stringe forte.
“Che hai, mamma?”
“Vieni qui, amore mio, devo darti una cosa.” dice, mentre si asciuga le lacrime e si allunga verso il cassetto del comodino. Ne estrae una scatola di latta coloratissima, la più bella che Sebastian abbia mai visto e la poggia tra le sue mani congiunte, sorridendo della sua espressione meravigliata “Questa scatola è l’unico ricordo che mi rimane di mio padre. Voglio che la custodisca tu.”
“No mamma, è troppo preziosa! Ho paura di romperla! Non posso davvero!” protesta Sebastian, anche se quella scatola gli piace tanto: le sue fantasie riproducono una giostra con i cavalli, di quelle che lui vede sempre nei film per bambini, ma che nella piccola Lima proprio non esistono.
La mamma allora gli scompiglia i capelli, gli posa un bacio sopra la fronte e “Sei tu il tesoro più prezioso, piccolo mio…” mormora con la voce un po’ rotta, mentre il signor Smythe entra nella stanza e intima a Sebastian di muoversi, perché il pulmino lo aspetta in strada ed è ora di andare a scuola.
Il bambino obbedisce e mette la cartella, anche se a malincuore: dietro le sue spalle sente sua madre tornare a piangere e lui vorrebbe soltanto rimanere lì con lei,  per farla smettere.
Fuori dalla porta c’è la solita confusione e Sebastian non ha bisogno di vedere coi proprio occhi per sapere cosa sta succedendo: come ogni mattina i suoi compagni di classe stanno prendendo di mira Blaine Anderson, un bambino piccolo piccolo, coi capelli ricci, vestito sempre in modo stravagante e con dei papillon davvero assurdi. Sebastian non capisce che gusto ci trovino a prenderlo in giro, né tanto meno cosa Blaine abbia fatto di male; a lui sinceramente sembra un tipo a posto, anzi, lo trova perfino carino con quegli occhi grandi e le mani paffute.
Quella mattina poi, i compagni hanno davvero esagerato: gli hanno rotto la cartella e buttato nelle pozzanghere tutti i quaderni, gli hanno addirittura strappato il papillon a pois verdi e adesso lo prendono in giro, coi nasi schiacciati contro il vetro dell’autobus.
Dei grossi lacrimoni rigano le guance di Blaine, inginocchiato a terra nel tentativo di recuperare qualcosa del suo occorrente scolastico, e Sebastian pensa che la giornata è appena cominciata, è sveglio da sì e no un paio d’ore e già ha visto troppe persone piangere, anche se non se lo meritavano, così guarda la bellissima scatola che ha ancora tra le mani e in un gesto spontaneo la porge a Blaine.
Il bambino alza gli occhi verso di lui, guardingo, tirando su col naso.
“Vuoi darmela in testa, per caso?” chiede, un po’ brusco, ma sinceramente preoccupato.
Sebastian sorride e scuote il capo.
“No, te la regalo… ma prometti che me la presterai qualche volta?”
Blaine accenna un sorriso e prende la scatola, rigirandosela tra le mani per ammirarla.
“Tu dai e poi riprendi…” dice alzandosi, con le guance un po’ più asciutte e un’espressione quasi curiosa sul volto “…se ci tieni dimostralo, giochi o non giochi?”
Comincia tutto così.
Con Sebastian che ci pensa un attimo, un attimo solo, poi urla “Gioco!” ed entra nel pulmino, toglie il freno a mano, così che il veicolo pieno di bambini spaventati, ruzzoli giù per la strada leggermente in discesa, mentre l’autista che era andato a prendersi un caffè, corre a perdifiato per recuperarlo, perde il capello, grida aiuto.
Con Blaine che ride verso il cielo e guarda Sebastian dritto negli occhi e gli dice grazie, anche se non parla.
Con loro che si prendono per mano e vanno a piedi a scuola.

 
Il gioco si è messo in moto da solo.
Se Blaine aveva la scatola, poteva propormi qualunque sfida, la accettavo e riconquistavo la scatola. A quel punto toccava a me lanciare una sfida.
Facile e molto divertente, no?
Un gioco da scemi?
Può darsi!
Però era il nostro gioco!
 

“Che brutto il vestito!”
“Che brutta la sposa!”
Blaine ride tenendosi la pancia, mentre Sebastian abbassa il lembo della tovaglia sotto la quale hanno sbirciato la coppietta felice. Sono al matrimonio del fratello di Blaine, Cooper e anche se suo padre gli aveva proibito categoricamente di partecipare, Sebastian ha finto di andare a lezione di violino, per poi sgattaiolare di soppiatto al ricevimento. Il problema è che al signor Smythe, come d’altronde a tutti gli adulti, non piace affatto l’amicizia di Sebastian e Blaine, soprattutto perché il loro gioco li mette in guai molto seri –come quella volta in cui Sebastian lo aveva sfidato a fare pipì nell’ufficio del preside e per vendetta Blaine lo aveva costretto a dire parolacce all’insegnante per tutta la lezione di matematica- e a un certo punto, perfino gli insegnanti sono stati concordi sul metterli in classi diverse, il più lontano possibile l’uno dall’altro.
Ma dividere Sebastian e Blaine è impossibile, sono amici da due anni e avrebbero sempre trovato il modo di rincontrarsi.
Adesso, per esempio, si sono rifugiati sotto uno degli ampi tavoli del buffet e ridono e commentano tutto quello che riescono a scorgere da sotto la pesante tovaglia che li copre, mentre la preziosa scatola svetta in mezzo a loro.
“Io non mi sposerò mai!” prorompe Sebastian, con una buffa smorfia di disgusto che lo accompagna da quando ha visto, durante il brindisi, il fratello di Blaine baciare la sua ragazza bionda.
“Che ne sai che non trovi l’amore della tua vita!” ribatte Blaine, sistemandosi un ricciolo ribelle.
“Lo so perché sei tu l’amore della mia vita ed io non ti voglio sposare! Stiamo bene così!” risponde l’altro bambino, facendo arrossire l’amico.
“Allora se mai ti sbaglierai e sposerai un'altra persona, dirai di no al prete! Giochi o non giochi?”
“Gioco!” afferma subito Sebastian, poi prende la scatola tra le mani, la osserva un po’ e rivolge a Blaine un sorrisetto furbissimo “E tu? Per l’altra sfida, invece? Giochi o non giochi, killer?”
Le guance di Blaine diventano color pomodoro, si morde forte le labbra e sembra quasi sul punto di prendere fuoco, quando sbuffa, arrendendosi di fronte allo sguardo di sfida di Sebastian e sospira un “Gioco…” molto poco convinto. A quel punto si solleva in ginocchio, si avvicina all’altro bambino e gli stampa un bacio sulla bocca, lungo e morbido.
Rimangono fermi a guardarsi da quella vicinanza imbarazzante, i loro cuori battono talmente forte che sembra di sentirli nonostante la musica nella sala e alla fine ridono, perché entrambi pensano di non essere mai stati così felici nella loro vita.
“Tira la tovaglia, giochi o non giochi?” lo sfida Blaine e Sebastian non ha bisogno neanche di rispondere, che si aggrappa alla stoffa, rovesciando piatti e bicchieri. “Tirala tu adesso, ancora più forte!” incalza e Blaine ubbidisce, rovesciando l’intera torta nuziale sul pavimento.
Da qualche parte, i parenti di Blaine e il povero Cooper li stanno inseguendo e urlano i loro nomi.
Blaine e Sebastian sono già lontani.
 
Gli amici sono come gli occhiali,
danno un’aria intelligente,
ma si rigano facilmente e poi sono faticosi.
Per fortuna, a volte, si trovano degli occhiali veramente forti.
Io avevo Sebastian.
 

La madre di Sebastian muore qualche settimana dopo, su un letto d’ospedale, senza che Sebastian sia riuscito a salutarla davvero. Con la scatola in mano, in quella stanza asettica, giocava a saltare le mattonelle colorate, sfidando il destino a saltarne sempre di più in modo da salvare la mamma. Quando ha scommesso di ritornare a casa con lei quella sera stessa per cinque quadratoni, però, ha finito per scivolare col sedere a terra e proprio in quel momento le macchine accanto al letto hanno cominciato a suonare come impazzite e i medici lo hanno portato via.
Di quel giorno Sebastian ricorda soltanto di aver urlato forte, di averla chiamata tanto, ma di non essere riuscito a svegliarla.
È così triste che non pensa seriamente di poter tornare felice, neanche fra una dozzina di anni, allora guarda Blaine negli occhi e gli lancia una delle sfide più difficili della storia.
“Fammi sorridere, giochi o non giochi?”
Blaine ci mette due giorni a capire come diavolo uscire fuori da questo pasticcio, poi però gli viene un’idea grandiosa. Durante il funerale, mentre il prete sta recitando la sua omelia e l’unico suono presente è quello del dolore di chi voleva bene alla signora Smythe, Blaine si arrampica su una tomba imponente e in barba a qualsiasi rimprovero, comincia ad intonare un motivetto. Dal basso, stretto al cappotto di suo padre, Sebastian scuote la testa e finalmente sorride.
La sera dormono insieme e Blaine non smette un solo secondo di tenergli stretta la mano.
 

Blaine ed io abbiamo dormito dieci anni quella notte.
E al mattino, il gioco è diventato serio.
 

“Cazzo!”
Blaine si precipita fuori dal letto con un balzo talmente energico che per poco Sebastian, che ha la testa ancora affondata sotto al cuscino, non viene scaraventato sul pavimento. Dopo qualche secondo di intontimento, il ragazzo emerge finalmente dalle coperte e osserva il suo migliore amico muoversi attraverso la stanza, raccattando libri e vestiti con la stessa velocità distruttiva del diavolo della Tasmania.
“Ma che diavolo ti prende? È prestissimo!”
“Sono in ritardo per l’esame di letteratura, Seb! È questa mattina!” urla Blaine, mentre butta nella sua borsa di cuoio tutti gli appunti. È così nervoso che non riesce nemmeno a tener ferme le dita per abbottonarsi la camicia. “Dove sono i pantaloni?”
Sebastian non ha neanche bisogno di guardarsi intorno, li recupera da sotto al letto dove ricorda di averli lanciati la sera prima -durante una delle loro sbronze più colossali- e li fa vorticare sulla propria testa.
“Eccoli! Anche se, stai molto meglio senza, sai…” dice, ammiccando nella direzione dell’amico.
Blaine sorride, scuotendo la testa “Ti prego, Bas, non oggi! Me la sto già facendo sotto, non ti ci mettere anche tu!” lo prega, ma sa già che è tutto inutile, che il gioco sta cominciando come sempre.
E infatti, “Gioca o non gioca, signor Anderson?” lo sfida Sebastian, facendogli un occhiolino assolutamente illegale.
Fu così che Blaine ottenne una nota disciplinare per essersi presentato al suo esame di letteratura con solo un paio di boxer addosso.
 
 
“Vaffanculo, Sebastian! Sul serio!” inveisce il ragazzo riccio, arrabbiatissimo. Si è rivestito appena in tempo per non essere denunciato dal rettore per atti osceni in luogo pubblico e adesso tiene il broncio a Sebastian, camminandogli a distanza e rifiutandosi di parlare con lui, se non per lanciargli qualche insulto.
“Andiamo Blaine! È stato epico! La faccia di quella vecchia, poi! Secondo me, se ti presentavi così nel suo studio, altro che bocciatura! Ti saltava addosso e poi ti consegnava la laurea in mano!”
Blaine si volta. Guarda Sebastian dritto negli occhi, sempre furente e si pianta davanti a lui a braccia incrociate.
“Ah! Allora hai avuto il tempo di notare qualcos’altro oltre quella puttana di Eli!” sbotta, in tono più che accusatorio. Sebastian sa perfettamente a cosa si riferisce il suo amico; in effetti, mentre lui era in aula, si era messo a flirtare con un altro studente in attesa nel corridoio, una cosa innocente, che si era conclusa con una sveltina nel bagno del primo piano, ma non pensava che Blaine ci avesse nemmeno fatto caso.
“Era per ingannare l’attesa!” si giustifica, un po’ stranito dal tono risentito dell’altro “Sbaglio o ti sei scopato il mio professore di economia politica, l’ultima volta che hai messo piede nella mia facoltà!”
Blaine scuote la testa, sorride amaramente.
“Sei proprio uno stronzo.” dice, poi gli strappa la scatola dalle mani e attraversa la strada.
Sebastian però non si dà per vinto, raggiunge Blaine e tirandolo per un braccio, gli ruba di nuovo l’oggetto, così da costringere l’amico a fermarsi. Lo alza sopra la propria testa in modo che l’altro non riesca a prenderla e quando nel tentativo di provarci, quello gli arriva a un soffio dalle labbra, gli morde la bocca a tradimento.
Dietro di loro, una macchina si ferma e suona il clacson per farli spostare dal centro esatto della strada, ma entrambi fanno finta di non sentire e rimangono l’uno di fronte all’altro, con un sorriso ebete sui loro visi vicini, almeno finché Blaine non coglie Sebastian in contropiede e gli ruba di nuovo la scatola.
“Baciami, giochi o non giochi?” sussurra.
Sebastian ride e gli sfiora giocosamente le labbra, ma Blaine non ci sta a quella presa in giro, così lo spinge via, si arrampica fino al tettuccio della macchina e “Ho detto baciami!” ripete in tono di sfida. L’uomo al volante dell’autovettura scende, comincia ad apostrofarli in malo modo, ma a Sebastian sinceramente non interessa, mentre raggiunge Blaine sul tettuccio e lo bacia lentamente, ad occhi chiusi, stringendolo forte.
“Piccoli mentecatti drogati! Io chiamo la polizia!” sbraita ancora il povero malcapitato sotto di loro “Deficienti! Scendete da lì che vi spacco la faccia!”
Non hanno bisogno neanche di parlare. Semplicemente si guardano negli occhi, per un solo secondo e poi via, a correre a perdifiato per le vie di Lima, inseguiti dal fiatone dell’uomo e dal suono delle loro stesse risate che si perde nell’aria.
Corrono e corrono e corrono, appena si accorgono di averlo seminato, però, Sebastian tira Blaine con sé, all’ombra di un portone e dopo averlo incastrato tra sé e il muro freddo, riprende da dove aveva interrotto, baciando le sue labbra morbide.
I sospiri di Blaine sono di quanto più bello, Sebastian abbia mai sentito.
 

“Stringimi… Amami...”
“Gioco.”
“È un gioco per te?”
“È una sfida. Tu l’hai lanciata.”
“Beh se l’ho lanciata tu non l’hai presa al volo. Mi dispiace, Sebastian, hai perso l’autobus.”
 

Da quella conversazione passano due settimane, le due settimane più lunghe della loro esistenza perché per la prima volta decidono di non vedersi, di non farsi neanche una telefonata.
Non è mai capitata una cosa del genere, non è mai capitato che Sebastian dormisse nel letto da solo per più di una notte, né tanto meno che Blaine ordinasse un solo cappuccino per tre pomeriggi di fila. E sembra sbagliato, terribilmente, dolorosamente sbagliato, ma alla fine questo significa crescere, no?
Capire che certe cose prima o poi cambiano e non torneranno mai come prima.
Lo dice la paura di Blaine, la sua voglia di dire “Ti amo” a Sebastian, ma il timore che lui lo prenda come il solito gioco. Lo dice il signor Smythe, la sera in cui ordina al figlio di stare lontano da Blaine, di superare il concorso di avvocato e di scegliere tra lui e il suo migliore amico.
Lo dice il fatto che passano altri due mesi, prima che Blaine trovi la forza di perdonarlo.
Si rivedono in biblioteca, Sebastian è chino sui libri, mentre Blaine ha indosso una camicia celeste bellissima, che gli mette in risalto gli occhi. Si avvicina al tavolo dove è seduto Sebastian e poggia sotto al suo naso la loro scatola colorata, così da attirare la sua attenzione e costringerlo ad alzare la testa. Sebastian però lo fissa negli occhi un secondo, solo ed esclusivamente un secondo, prima di ritornare alle sue pagine.
“Ciao…” comincia Blaine, deluso dalla freddezza dell’amico e perdendo tutto il coraggio che lo aveva condotto fino a lì “Io sono venuto per… io…”
“Non adesso Blaine.”
“Se non adesso, quando? Domani?”
Sebastian solleva appena la penna dal foglio e “Tra un anno.” afferma desolato, senza avere la forza di affrontare la reazione dell’altro.
“Così…stai per diventare un avvocato…” trova la forza di dire Blaine, ma solo per ignorare il dolore che sente al centro del petto, come una stiletta. Il signor Smythe ha vinto, Sebastian alla fine ha scelto di diventare quello che il padre vuole che diventi, di smettere con i loro giochi e accettare la vita triste che il mondo riserva a tutti gli uomini. Ha scelto di crescere, di abbandonarlo, di lasciarlo indietro.
“Mi dispiace, Blaine…”
“Risparmiami i mi dispiace…”
Sebastian fa appena in tempo ad alzare lo sguardo per vedere Blaine dargli le spalle e avviarsi verso l’uscita a passo di marcia. “Cazzo, Blaine! Aspetta!” urla, mentre gli corre dietro, incurante delle proteste degli altri studenti della biblioteca, disturbati dal loro battibecco. Riesce a raggiungerlo per un pelo e tirandogli un braccio, sbatte la sua schiena contro le scaffalature, intrappolandolo tra le sue braccia tese in modo che non possa scappare. Blaine lo osserva, ma i suoi occhi sono diversi rispetto a prima, sono più severi, quasi cattivi.
“Hai detto che dobbiamo vederci tra un anno, no? Allora supera il tuo concorso da avvocato senza avermi tra i piedi, giochi o non giochi?”
“Resta Blaine!”
“Anche io ho da studiare Sebastian! Studio gli uomini, anche se in questo sei sempre stato più bravo tu…”
“Hai scelto sociologia?”
Blaine solleva solo un angolo della bocca e osservando Sebastian cinicamente, preme il palmo della mano sul suo inguine coperto dai jeans.
“Non ho detto gli animi umani, ho detto gli uomini… i maschi… capisci cosa intendo?”
Sebastian gli afferra il polso e in un impeto di rabbia, lo spinge forte contro le mensole piene di libri, tenendogli il mento con l’altra mano così che l’altro sia costretto a guardarlo dritto negli occhi. Il solo pensiero di Blaine, il suo Blaine, toccato da mani diverse dalle sue, divorato da una bocca che non sia la propria, gli manda il sangue al cervello.
“Vuoi farmi male, Sebastian? Scommetto che non ci riesci… giochi o non giochi?” sussurra Blaine ed ha ragione, perché Sebastian molla la presa su di lui e lo lascia andare via, anche se il suo sguardo diventa liquido, si riempie di lacrime e di preghiere silenziose.
Ma Blaine sa che deve lasciarlo andare, sa che è meglio così e sebbene il suo cuore protesti, battendo all’impazzata, abbassa la testa e scappa fuori.
L’ultima parola che riesce a sentire somiglia tanto ad un “Aspettami…”
 

Ma guardatelo l'imbecille sopra la panchina, che nasconde il suo dolore dietro il fiatone.
Tutta finzione. Non sarebbe stato più facile stringerlo fra le braccia come “La vie en rose” e dirgli parole d'amore, parole di tutti i giorni...
che quando lo vedi senti il cuore che batte.
 

Passano un anno e due settimane esatte.
Blaine è entrato in una prestigiosa scuola di musica, conta di diventare un insegnante di pianoforte e nel tempo libero cerca di arrotondare le spese, servendo i tavoli a un bar.
È proprio qui che, un anno e due settimane esatte dopo, entra un ragazzo in giacca e cravatta, con due occhi verdi dannatamente penetranti. Blaine lo guarda appena di traverso e il nuovo avventore sorride raggiante.
“Ciao killer!” dice Sebastian, inconfondibile, accompagnando il suo tono suadente con un occhiolino.
Blaine scuote la testa e continua a pulire il bancone.
“Posso fare qualcosa per lei, signore?” risponde, in modo formale.
Sente l’altro ragazzo ridere, ma non alza la testa.
“Un anno e due settimane, Blaine… io e te abbiamo un discorso in sospeso…”
“Mi dispiace, signore, ma non posso parlare. Il suo completo elegante mi distrae…”
“Dai, Blaine! Sul serio?”
“Temo di sì, signore. La sua cravatta è davvero tremenda.” insiste Blaine, mal celando un sorrisetto sghembo, mentre si gira a preparare dei caffè alla macchinetta.
In quel breve lasso di tempo, non sente altre battute da parte di Sebastian, tanto da arrivare a credere che l’uomo se ne sia andato, ma non appena si gira quasi gli cadono le tazzine di mano: Sebastian è di fronte a lui, al centro del locale, vestito solo con un paio di boxer e dei calzini neri.
“Adesso riesce a concentrarsi meglio, signor barista…” ammicca, senza alcuna vergogna.
Blaine diventa color pomodoro e guardandosi intorno, tra lo sbigottimento degli altri clienti, comincia a spingere Sebastian fuori dalla porta.
“Cazzo, Bas! Il signor Shue mi licenzia, vattene via!” gli dice, puntando i piedi contro la sua schiena.
“Stasera vieni a cena con me!”
“Non esiste!”
“Stasera vieni a cena con me o mi tolgo anche le mutande!”
Blaine si arrende all’idea di buttarlo fuori con la forza e alza gli occhi al cielo.
“Va bene, ci vediamo qui fuori alla nove!”
 
Come si aspettava, il locale dove lo porta Sebastian è il posto più caro in cui abbia messo piede da quando è nato, giusto per fargli pesare tutte le volte in cui l’ha preso in giro in quella mezz’ora sul fatto che sia riuscito a diventare un avvocato.
Ci sono tante cose di cui parlare ad un anno di distanza, tante avventure, tanti volti, ma soprattutto tanti sentimenti, che dopo mesi di rimuginare, adesso sembrano più chiari.
È Sebastian il primo a cominciare; prende la mano di Blaine attraverso il tavolo e lo guarda negli occhi, con tutto l’affetto e la nostalgia che li aveva logorati in quei trecentosessantacinque giorni.
“Ho pensato tanto a noi durante quest’anno, Blaine e… non hai idea di quanto tu mi sia mancato…” afferma con un sorriso quasi timido “È stato terribile non averti accanto, mi sono sentito perso… mancante. Blaine, la verità è che perdere te è stato come perdere un braccio, una parte importante della mia vita e non permetterò mai più che una cosa del genere accada. Mai più…” si interrompe per recuperare qualcosa dalla tasca anteriore della giacca, una scatolina di velluto blu che poi viene posata davanti agli occhi emozionati di Blaine.
Non poteva credere che tutto quello stesse succedendo davvero, pensava di essere stato invitato lì per una riappacificazione, invece quel pazzo di Sebastian stava per chiedergli di sposarlo. “Se non te lo chiedo adesso, penso che non troverò più il coraggio, perciò… Blaine Anderson, accetti di tenere in custodia questo anello, simbolo del mio cuore, del mio amore?” dice Sebastian, alzandosi in piedi e attirando l’attenzione di tutta la sala.
Blaine apre la scatolina, rivelando un anello meraviglioso, e scuote la testa imbarazzato. Porta le mani alla bocca, per non mettersi a piangere, poi con quel poco di forza che trova, annuisce, sorridendo radioso.
“Ha detto sì!” urla Sebastian alla loro platea improvvisata “Ha detto sì! Sarà il mio testimone di nozze!”
A Blaine sembra di sfracellarsi in un burrone.
Il sorriso sul suo volto si spegne all’istante, guarda Sebastian cercando lo scherzo nei suoi occhi, ma tutto quello che ci trova è una vena di cinismo, la stessa freddezza con cui lo aveva salutato quella volta di troppo tempo fa in biblioteca.
“Non puoi dire sul serio…” chiede, anzi, quasi lo prega.
Sebastian sorride crudele e posa accanto all’anello la loro scatola colorata.
“Si chiama Hunter Clarington, è nell’esercito, l’ho conosciuto in un pub. Gli ho comprato la stessa camicia che avevi un anno fa in biblioteca, il giorno in cui mi hai voltato le spalle. Ci sposiamo tra una settimana, spero tu sia contento per me…”
Blaine si alza di scatto dalla sedia, con le lacrime agli occhi, buttandogli l’anello in faccia.
“Sei un pezzo di merda…”
“Avevi scommesso che non sarei riuscito a farti del male, Blaine. Te lo ricordi?”
“E tu hai promesso di dire no al prete, se non fossi stato io lo sposo! Questo te lo ricordi?”
Sebastian non risponde, rimane semplicemente lì, colpito da quel ricordo, mentre una voragine si forma al centro del suo petto. Non ha mai dimenticato quella promessa, non ha mai dimenticato l’amore sincero che provava, mentre la pronunciava a Blaine con la scatola colorata in mezzo a loro e una torta nuziale sopra la testa, ma dopo tutto il male che si sono fatti l’un l’altro, dopo tutto questo enorme gioco che alla fine è diventato un pugnale e li ha feriti, cosa è vero, cosa non lo è? Chi gli dice che Blaine non stia giocando?
Chi dice a Blaine che, invece, non stia giocando lui?
E anche quella volta, la paura del dolore prende il sopravvento…
“Sei il mio testimone di nozze, Blaine… ci vediamo in chiesa…”
Blaine afferra la scatola e corre via.
 

Da bambini si crede ingenuamente che la crescita sia una cosa lenta.
Sì, un corno. È una sola sferzata. Vlan.
Come un ramo quando qualcuno passa davanti a te in una foresta.
 

La chiesa che hanno scelto è molto elegante, una delle più antiche e imponenti della piccola Lima.
Le navate sono state decorate con fiori freschi, la luce del sole filtra attraverso le ampie vetrate tutte intorno e l’altare svetta innanzi a loro, pieno di drappi bianchi, tra le cui pieghe i piccoli paggetti continuano ad inciampare.
Hunter non ha badato a spese per questo matrimonio, o meglio… non ha badato a spese per accontentare tutti i capricci di Sebastian.
E Sebastian gli è grato, davvero, mentre lo guarda di traverso e il parroco pronuncia le loro promesse; Hunter è un bell’uomo, un ottimo partito e ha fatto la scelta giusta a sposarlo, come gli ricordano sempre suo padre –che a sentire il cognome Clarington si è quasi messo a piangere- oppure i suoi ex compagni di corso, che adesso siedono lì, dietro di lui, fieri e tristissimi con le loro vite banali.
Anche Sebastian ne era convinto, quando aveva accettato l’anello non ne aveva alcun dubbio.
Poi era andato a cercare Blaine.
Si volta verso il fondo della chiesa, vuoto e silenzioso.
Sinceramente, Sebastian non sa se vorrebbe averlo lì o meno: ci ha pensato tanto durante quella settimana e si è immaginato la scena di Blaine seduto tra le panche di legno anche in momenti davvero poco opportuni, tuttavia, ciò che non è mai riuscito a figurare nella sua mente è tutto quello che viene dopo, la scelta che sarebbe stato costretto a compiere secondo la piega degli eventi.
Ma è inutile pensarci ormai… Hunter ha appena pronunciato il suo “sì” e adesso lo guarda raggiante, il parroco gli sta rivolgendo la stessa, fatidica domanda, suo padre è dietro che piange, a lui viene soltanto da vomitare, Blaine non verrà e… all’improvviso, nel silenzio, si avverte un tenue rumore di latta.
La voce del parroco sfuma nell’aria e l’attenzione di tutti i presenti di catalizza, in attesa, su Sebastian, il quale però si incanta ad osservare una scatola colorata – la loro scatola colorata!- che rotola lentamente sul pavimento fino ad urtare i suoi piedi.
Allora solleva lo sguardo e sorride, perché Blaine è accanto ad una colonna laterale che lo fissa con tutto l’amore del mondo e in mano ha un papillon a pois verde, strappato in un punto come dodici anni prima.
Hunter gli scrolla un po’ il braccio, senza capire cosa stia succedendo, gli invitati mormorano e il parroco si schiarisce rumorosamente la voce, non vedendo però alcun segno dallo sposo, riformula la domanda in forma breve, con una buona dose di imbarazzo: “Sebastian, vuoi, tu, prendere Hunter come tuo legittimo sposo?”
E Sebastian sa che dovrebbe dire sì. Lo sa perché Hunter è bellissimo e lo ama tanto da passar sopra a tutte le sue stranezze. Lo sa perché hanno speso capitali per questo matrimonio e suo padre non vede l’ora di vantare coi suoi colleghi il binomio Smythe/Clarington. Lo sa perché così taglierebbe tutti i legami esistenti con Blaine, metterebbe fine al loro gioco una volta per sempre, dicendogli addio come la ragione e l’istinto di autoconservazione gli suggeriscono di fare.
Poi però incontra gli occhi di Blaine –quegli occhi belli, cangianti, che gli sono sempre piaciuti- ed è come se si svegliasse e ricordasse il suo vero nome dopo un lungo sonno.
Lui si chiama Sebastian, Sebastian Smythe, e non vuole un matrimonio pomposo, perché lui i matrimoni li odia e se proprio deve sposarsi, vorrebbe farlo con Blaine, soli su una spiaggia.
Lui si chiama Sebastian Smythe e non vuole diventare come suo padre, non gli piace studiare legge, soprattutto quando ha passato tutta la vita a non rispettare le regole.
Lui si chiama Sebastian Smythe e ama Blaine Anderson per gioco, per davvero, da quando avevano otto anni, per il resto dei suoi giorni.
“Allora ragazzo?” chiede ancora il parroco, allentandosi il colletto della tonaca.
Sebastian si volta verso di lui, lo guarda fisso negli occhi, poi scrolla le spalle e “Gioco…” dice, rendendo tutti gli invitati molto perplessi.
“Scusa ragazzo, potresti ripetere?” domanda l’uomo.
“Sebastian, ma che sta succedendo?” prorompe Hunter.
“Sebastian! Non ti azzardare…” tuona il signor Smythe dalle panche di legno, ma ormai non c’è più speranza.
Sebastian scoppia a ridere, a ridere forte e indietreggiando un passo alla volta, davanti allo stupore dei presenti, esclama “No!” e ripete “No!” e tutta la vita “No!”
Blaine lo raggiunge, gli stringe la mano e scappano da quella chiesa e da quel destino più velocemente possibile.
 

Grande Blaine, il gioco era ripreso a tutto gas.
Felicità allo stato puro, bruta, primitiva, vulcanica. Magnifico. Il meglio del meglio; meglio della droga, dell'eroina, meglio delle canne, coca, crack, fix, joint, shit, shoots, sniff, pet, marijuana, cannabis, peyote, colla, acido, LSD, ecstasy, meglio del sesso, meglio del pompino, il 69, le orge, masturbazione, tantrismo, kamasutra, massaggio thailandese, meglio della cioccolata, il mont blanc, la banana split, meglio di tutte le trilogie di George Lucas, delle puntate del Muppet Show, meglio dell'ancheggiare di Emma Peel, Marilyn, la puffetta, Lara Croft, Naomi Campbell, i nei di Cindy Crawford, meglio della facciata B di Abbey Road, gli assolo di Hendrix, meglio dei passetti di Armstrong sulla luna, le montagne russe, i festoni natalizi, la fortuna di Bill Gates, le trance del Dalai Lama, la resurrezione di Lazzaro, tutte le pere di testosterone di Schwartz, il collagene nelle labbra di Pamela Anderson, meglio di Woodstock e dei rave party più trasgressivi, meglio dei trip di Sade, Rimbaud, Morrison e Castaneda, meglio della libertà... meglio della vita!
 

“Cosa succede adesso?”
“Scegli un punto sulla mappa, Blaine, ci andiamo a vivere…”
“Non è un gioco, Bas.”
“E chi ha detto che la vita intera non sia un grande gioco?”
Ridono. Si baciano.
“Noi no di certo. Ti amo Sebastian.”
“Ti amo anche io.”
 
 
 
 
 
 
Fiby_elle
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Fiby_Elle