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Autore: Kitsune Blake    28/10/2013    3 recensioni
Se c’era una cosa che non si doveva fare con Adrian Veidt, era chiedere spiegazioni. Non perché lui non fosse in grado di darne, ma perché le riteneva superflue a chiunque fosse estraneo alla sua stessa persona. La voce morbida e gentile non nascondeva la sicurezza che albergava nella mente del miliardario, e l’ammirazione che riusciva a suscitare nell’animo delle persone era sempre sincera. Egli non era saccente, ma sapiente. Non presuntuoso, ma saggio, tanto che nessuno gli avrebbe dato l’età che effettivamente aveva.
Ciò che serve per essere davvero un re.
[ Questa storia si è classificata terza al contest "I do what I want!" ]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrian Veidt/Ozymandias, Altri
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia si è classificata terza al concorso “I Do What I Want!”, indetto da vannagio.

 

Autore: Kitsune Blake
Titolo: Here Comes the King (ispirato a “Here Comes the King”, di X-Ray Dog)
Villain scelto: Adrian Veidt/Ozymandias (Watchmen)

 




 

 

 

 

 

 

 

Here Comes the King

 

 

 

 

 

 

 

Se c’era una cosa che non si doveva fare con Adrian Veidt, era chiedere spiegazioni. Non perché lui non fosse in grado di darne, ma perché le riteneva superflue a chiunque fosse estraneo alla sua stessa persona. La voce morbida e gentile non nascondeva la sicurezza che albergava nella mente del miliardario, e l’ammirazione che riusciva a suscitare nell’animo delle persone era sempre sincera. Egli non era saccente, ma sapiente. Non presuntuoso, ma saggio, tanto che nessuno gli avrebbe dato l’età che effettivamente aveva.
Perciò Khalid, dopo tanti anni di fedele servizio come direttore di laboratorio, aveva smesso di pretendere spiegazioni, nonostante la natura curiosa di scienziato fosse pronta ad affiorare in ogni istante. Ma aveva sempre funzionato, perché mai il signor Veidt sbagliava i propri calcoli, né mancava i propri obiettivi.
Tuttavia, quando Khalid si era trovato dinanzi a quella stramba sfida, la sicurezza acquisita dopo tutti quegli anni aveva iniziato a vacillare. Certo, non era la prima volta che il signor Veidt gli proponeva esperimenti al limite dell’assurdo, ma in questo caso si trattava di sfidare le leggi che la natura stessa aveva stabilito, e di sconfiggere il disegno che il destino aveva prescritto. Ciò andava contro ogni insegnamento che, da quando lui era bambino, era stato la base della sua vita.
“Dottor Miller, la prego, mandi a chiamare il signor Veidt” disse, con un cenno quasi distratto, perché la parte più delicata dell’esperimento stava per iniziare, e di lì a poco si sarebbe saputo l’esito. All’idea di un successo, le mani di Khalid minacciarono di tremare. Che fosse paura o aspettativa, nemmeno lui lo sapeva, ma questo era il brivido inconfondibile che aveva provato ad ogni nuova scoperta, e gli piaceva. Gli piaceva al punto che aveva sacrificato una vita normale per il proprio lavoro, e non ne era pentito. Proprio con il signor Veidt, fra l’altro, aveva raggiunto la maggior parte dei propri obiettivi.
Preso da queste riflessioni, Khalid non si era nemmeno accorto che, nel frattempo, Miller era già sparito. Il signor Veidt sarebbe arrivato entro al massimo una ventina di minuti.

“Sono arrivati i giornali di oggi, signore” disse l’assistente, porgendogli un pacchetto rilegato con cura. Marla era una gran lavoratrice, professionista e professionale, un’aiutante che chiunque vorrebbe al proprio fianco nel gestire un impero quale lui possedeva. Era una donna bella e austera, un’ombra che non gli si allontanava mai, se non per compiere i propri doveri. La pagava profumatamente, più di quanto una dipendente comune potesse sperare, ma dopotutto lei si guadagnava ogni singolo centesimo.
Peccato che avesse già visto troppo.
“Grazie, Marla” rispose Adrian, prendendo il pacco con l’accenno di un sorriso.
Le notizie del giorno non lo stupirono, ma gli lasciarono comunque l’amaro in bocca. Nixon infine era stato eletto: prevedibile, sì, ma catastrofico. Era stato quello che più di tutti si era opposto alla politica pacifica del giovane Kennedy, che mai avrebbe sguinzagliato il Dottor Manhattan contro i propri nemici. Adrian non aveva dubbi che Nixon, invece, alla prima occasione avrebbe inviato Jon sul campo di battaglia. Una volta avvenuto questo, molti Paesi si sarebbero sentiti in diritto di utilizzare armi di distruzione di massa, e la possibilità di una guerra nucleare sarebbe diventata più che mai reale.
L’elezione di Nixon stringeva i tempi, non solo dell’umanità, ma anche del proprio piano.
Senza perdere la propria maschera di compostezza, Adrian posò i giornali sulla scrivania, quindi si rivolse all’assistente, che nel frattempo era rimasta in piedi, al suo fianco, senza muoversi di un passo.
“Qualche novità da riferirmi, da parte dei nostri ricercatori?”
Marla, per qualche istante, sembrò irrigidirsi ulteriormente.
“No, signore, nessuna notizia, ma…”
Si interruppe, evidentemente conscia del fatto che stava superando una linea oltre la quale fare domande sarebbe stato inutile. Tuttavia, Adrian era sempre lieto di ascoltare i propri dipendenti, qualora avessero qualcosa da dire, quindi le rivolse un sorriso.
“Ti prego, continua.”
“Se posso permettermi, signore” riprese lei, dopo essersi ricomposta “credo che l’esperimento che si sta svolgendo ora sia totalmente estraneo ai nostri propositi.”
Intelligente, Marla. Dopotutto, era una sua dipendente, ed era la migliore. Il re dei re, prima di tutto, deve essere circondato da consiglieri acuti e sinceri.
Prima di risponderle, Adrian si alzò, le mani in tasca, e fece qualche lento passo intorno alla scrivania.
“E’ vero, il nostro proposito è creare energia pulita e rinnovabile. La nostra azienda lavora per migliorare la vita di tutti. Ritengo però che il potere del Dottor Manhattan possa essere utilizzato anche per altri scopi, e questo esperimento non è che il primo passo verso una nuova era.”
Marla l’aveva ascoltato con vivo interesse, rigida nel tailleur firmato che lui stesso le aveva regalato al suo ultimo compleanno.
“Certo, comprendo” disse infine lei, dolce e sincera anche senza aprirsi in un sorriso.
Il suono di qualcuno che si schiariva la voce attirò poi la loro attenzione. Il dottor Miller era entrato discretamente nell’ufficio.
“Signor Veidt, il dottor Madani mi manda a chiamarla. L’esperimento è quasi concluso.”
“Grazie, dottor Miller. Marla, resta qui e chiama la sede a New York, credo che rimanderò il mio ritorno di qualche giorno.”
Dal modo in cui il dottor Miller gli si era rivolto, era chiaro che ci fossero ottime probabiIità di riuscita, motivo più che sufficiente per prolungare il soggiorno a Karnak. Se quell’esperimento fosse riuscito, però, non avrebbe proseguito la ricerca. Il potere di Manhattan sarebbe stato utilizzato per un unico scopo, molto diverso da quello che Marla immaginava. L’esperimento di quel giorno sarebbe stata la prima e ultima deviazione dal piano originale.

“La ringrazio per il gentile invito.”
La direttrice dello zoo si chiamava Mavis, ed era una donna molto semplice, bassa e tarchiata. L’aveva incontrata molte volte, e non l’aveva mai vista vestita in modo elegante, semplicemente perché dedicava talmente tante ore alle sue creature che di conseguenza non aveva molto tempo da dedicare a sé stessa. Ciò non la rendeva una persona sgradita, anzi, era decisamente più vera dei giornalisti che li aspettavano fuori, pronti a ricevere la lieta notizia.
“Era il minimo, signor Veidt, se non fosse per lei questo posto sarebbe ancora un cantiere.”
Investire in uno zoo, in effetti, non era stata una mossa economicamente produttiva: i tempi in cui la gente si accalcava per vedere degli animali esotici erano finiti, ed i guadagni faticavano a coprire le spese. Ma investire in imprese come questa era soltanto un bene per l’immagine pubblica, e lui non si era tirato indietro.
L’arrivo di una cucciolata, appunto, era una di quelle notizie che piacevano sempre al pubblico, indipendentemente dall’interesse verso lo zoo. Pareva quasi un simbolo di speranza per il futuro. Ma difficilmente la speranza è tinta solo dei colori della gioia.

Il laboratorio di Karnak era situato nei sotterranei, a cinque minuti dall’ufficio. Lì Adrian trovò il capo dei ricercatori, il dottor Madani, chino sul tavolo da lavoro, e non disse una parola mentre il dottor Miller affiancava il collega, per controllare il procedimento. L’attesa sarebbe sembrata estenuante a chiunque non si trattasse di Ozymandias. I secondi divennero minuti interminabili, le figure chine sull’esperimento non muovevano un muscolo, mentre si assicuravano che tutto andasse bene. I sintomi vitali erano deboli, ma c’erano ancora e finché c’erano significava che tutto stava procedendo per il meglio.
Adrian si mosse solo per girare intorno al tavolo, i passi leggeri e silenziosi, ridondanti nel silenzio che avvolgeva la stanza. Sotto gli occhi dei due scienziati brillava una fievole luce azzurra, chiaro segno che il potere di Manhattan era stato innestato e che stava facendo il suo lavoro. A quel punto, era solo questione di aspettare.

Era in procinto di salire sul palco, quando una giovane ragazza in camice bianco si avvicinò alla direttrice, con l’aria mesta di chi portava con sé soltanto pessime notizie.
“Signora, temo che non ce la farà.”
Dopo un primo istante di sbigottimento, Mavis fece un profondo sospiro, passandosi una mano fra i capelli. Ad Adrian parve che fosse sul punto di piangere, così si avvicinò alle due donne, il sorriso affettuoso tramutato in una maschera di compostezza.
“C’è qualcosa che la turba, Mavis?”
“No… voglio dire, sì, mi scusi” rispose lei, estraendo un fazzoletto dalla tasca e asciugandosi gli occhi lucidi, “uno dei cinque cuccioli è nato malato. Una femmina. Sono stata accanto a lei e alla madre tutta la notte, sembrava che stesse per riprendersi ma…”
A quel punto non resse all’emozione, e soffocò un singhiozzo nel fazzoletto.
“Sono certo che abbia fatto del proprio meglio” disse Adrian, nel tono più affettuoso che conoscesse.
La direttrice alzò gli occhi su di lui e un lieve rossore, certamente diverso da quello del pianto, si diffuse sulle guance morbide.
“La ringrazio, signor Veidt” mormorò, asciugandosi nuovamente le lacrime.
“Potrebbe essere così gentile da accompagnarmi all’ambulatorio?” disse poi Adrian, rivolgendosi alla ragazza, che chiaramente era una veterinaria. Voleva vedere l’esemplare malato. Voleva essere certo che non si potesse far proprio nulla per salvarlo. Dopotutto, era già stato annunciato che i cuccioli nati erano cinque, la morte di uno di loro avrebbe gettato un’ombra sulla lieta notizia.
Alla sua domanda, la ragazza lo guardò con fare interrogativo. Lui si aprì semplicemente in un sorriso.
“La stampa può aspettare.”

Non sapeva quanti minuti fossero passati, ormai, ma avrebbe atteso tutto il tempo necessario. Era stato proprio lui a chiedere di essere presente nell’ultima fase dell’esperimento, e certo era quello che voleva. Aveva usato una parte del potere che aveva replicato per questo tentativo, e ci sarebbero voluti mesi prima di poterne creare altrettanto, ma ne sarebbe valsa la pena, ne era sicuro.
E il suono dell’elettrocardiogramma seguitava nella sua monotonia, scandendo i battiti, lento sì, ma più regolare che mai.

Ce l’avrebbe fatta.

L’ambulatorio in cui entrarono era grande e attrezzato. Era chiaro che, se la veterinaria aveva detto che non ci sarebbe stato nulla da fare, non poteva che essere la verità. Adrian non vide animali lì dentro, men che meno cucciolate, ma quando nel silenzio sentì un respiro rapido e affaticato, notò subito la presenza del piccolo che doveva essere malato. Stesa sul lettino, la piccola lince non dava segni di muoversi, gli occhi fissi nel vuoto di chi è ormai ad un passo dalla fine. Occhi del colore del miele.
Senza più far caso alle due donne, Adrian si avvicinò. Tutto avrebbe pensato, ma mai avrebbe immaginato di trovare quella creatura assolutamente, incomparabilmente
bella, e poco gli importava della malattia che le stava divorando il corpo.
“La prendo io” disse, dopo quelli che forse erano diventati minuti. Sfiorò delicatamente il corpo del piccolo felino, che ebbe un fremito.
C’era ancora speranza.

Ripensando alle facce stupite di Mavis e della veterinaria, le sue labbra ebbero un guizzo. Non aveva dubbi che le due donne avessero fatto del loro meglio per salvare il cucciolo, ma a quel punto l’unico che avrebbe potuto fare qualcosa era lui. Non era stato necessario imporre la propria decisione: in qualità di finanziatore dello zoo, il suo potere decisionale era pressoché illimitato. Nemmeno la stampa era più importante: l’annuncio della morte di uno dei cuccioli aveva inquinato la notizia, sì, ma era nulla in confronto alla possibilità di salvare quella creatura.
Così, dopo la conferenza stampa, in brevissimo tempo si era trovato in volo in direzione di Karnak, dove i suoi scienziati stavano già allestendo un laboratorio apposito per l’operazione.
Era stata una corsa contro il tempo, ma la piccola lince aveva retto benissimo, dimostrando di avere la tempra adatta per continuare a vivere. Lo meritava, così come meritava un posto al suo fianco.
“Signor Veidt, abbiamo finito” disse all’improvviso una voce, che lo riscosse dai pensieri. Era stato il dottor Madani a parlare e, prima di incrociare il suo sguardo, Adrian aveva già capito com’era andata.
“Ce l'abbiamo fatta” disse infatti lo scienziato, aprendosi in un sorriso raggiante e facendogli spazio per mostrargli il risultato.
Se c’era qualcosa di adatto a descrivere la perfezione, Adrian non aveva dubbi, era quello. Osservò con attenzione la piccola lince che, ora sveglia, si stava mettendo a sedere, goffa nel suo corpo mutato. I caratteri tipici della specie erano cambiati: le orecchie e la coda si erano allungate, le macchie erano divenute striature e il pelo aveva assunto delle curiose sfumature azzurre, segno che il potere di Manhattan aveva agito alla perfezione: aveva distrutto le cellule malate dell’animale e le aveva ricostruite, rendendole più forti e resistenti.
Senza più trattenersi, lentamente Adrian allungò la mano per sfiorare la testa della lince. Le dita scivolarono sul pelo morbido, e per tutta risposta il felino si inarcò contro la sua mano, per fargli capire che apprezzava il gesto. Non passò molto prima che iniziasse a fare le fusa e lui si divertì a pensare che, forse, quello era il suo modo per ringraziarlo.
Non aveva alcun rimpianto per il potere utilizzato. Quella lince era splendida, era più di quanto lui stesso potesse immaginare. Ora capiva cosa doveva aver provato Alessandro dinanzi a Bucefalo: la creatura che gli stava dinanzi era la sintesi perfetta di una dea e di un compagno degno di un re.

Lui era un re.
Si rese conto che la conferma del proprio destino gli stava dinanzi, e che fino a quel momento non se n’era nemmeno accorto. Presto quel miagolio sarebbe diventato un ruggito. A quel pensiero, le sue labbra si piegarono in un sorriso.
“Bubastis.”

 

 

 

 

 

Note dell’Autrice
Salve a tutti! Se state leggendo qui, vuol dire che siete ancora vivi. Ne sono felice! Non sono solita lasciare le note alla fine dei capitoli, ma in questo caso vorrei chiarire alcune cose che ho inserito nella storia.
-Khalid Madani è il nome che ho dato allo scienziato che compare nel film davanti a tutti gli altri, nel momento del brindisi con Adrian. Mi piace pensare che fosse musulmano. Dovete sapere che, secondo l’Islam, il destino di ogni creatura vivente è nelle mani di Dio: così il destino di morte non può essere cambiato. Per questo la possibile riuscita dell’esperimento sconvolge tanto Khalid: guarire un essere da una malattia che l’avrebbe sicuramente ucciso va contro il destino prescritto da Dio.
-Marla è la segretaria che compare anche in “Before Watchmen: Ozymandias”.
Finite anche le note! Come ultima cosa, ma non meno importante, ringrazio bluemary, per il sostegno che mi dà anche quando l’ispirazione sembra avermi voltato completamente le spalle. Ringrazio tantissimo anche PZZ20, che per le recensioni che mi lascia sempre, anche se non lo merito. Infine ringrazio vannagio, per avere indetto un contest così interessante! Grazie. A questo punto non mi resta che sperare che la storia vi sia piaciuta, vi ringrazio infinitamente per averla letta.

   
 
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