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Autore: nals    29/10/2013    1 recensioni
Hai provato a disfarti della proiezione d'ombra di quelle ciglia sugli zigomi, rinchiudendola nel cartone delle cianfrusaglie che tieni sotto al letto.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Mè.

 




Hai provato a disfarti della proiezione d'ombra di quelle ciglia sugli zigomi, rinchiudendola nel cartone delle cianfrusaglie che tieni sotto al letto. 
Tentativo valido quanto quello di metterti a studiare ad un orario che ti consenta di non finire addormentata, con la testa tra il capitolo due e tre del libro di matematica.
E' facile, in situazioni del genere, chiedersi perché diamine il cervello continui a focalizzarsi su dettagli tanto futili, come le ciglia, o la curva d'un naso, l'anastomizzazione verde/blu delle vene oltre il sottile strato d'epitelio. Poi pensi che sei tu. E niente.


"Non ci sto capendo un cazzo".
Risata.


E' iniziato tutto così o col grigio. Che non era nemmeno grigio; era già Andrea.
Tu hai boccheggiato incredula, dopo aver voltato di scatto la testa nella sua direzione, ma non ti sei neanche sforzata di sussurrargli qualcosa; c'era la fossetta scura sulla guancia destra a tenergli su il sorriso e ciglia nere - lunghe lunghe lunghe - tese a sfiorargli gli zigomi appuntiti.
"Lascia stare. Gli appunti te li recupero io."
E il professore continuava a sgambettare a destra e a manca, inchiodando il filo, sconnesso e poco concreto, delle sue conoscenze tra i caratteri tremuli segnati alla lavagna.
Non hai detto "grazie", non hai detto nulla, hai incassato il collo nella sciarpa, sperando che la distanza fra di voi decuplicasse, ripresentandosi incolmabile, incoraggiante, ariosa e che la presenza al tuo fianco si riducesse alla sua stessa definizione. 

La retta d'equazione x = c è asintoto verticale alla curva rappresentativa della funzione y = f(x).

Pensavi: "avvicinarsi indefinitivamente" e scribacchiavi dimostrazioni astratte, cercando di rimpinzarle d'ordine e senso, su quadernetti stropicciati invasi della tua grafia stretta e calibrata.
Pensavi "soffoco" e lui ti guardava.



Hai provato a disfarti della proiezione d'ombra di quelle ciglia sugli zigomi, sputandola nel lavandino assieme a saliva e dentifricio.
Nulla. Il grumo visivo è rimasto ben piantato in testa, s'è poi infilato tra le dita e ha preso posto sulla scrivania in camera tua, tra la lampada rossa e il porta-penne rovinato. 
Gli appunti, Andrea G., te li ha recuperati sul serio, alla fine. Tu "grazie" non l'hai detto comunque, perché lui è filato via in fretta, pedalando sulla sua bicicletta nera dopo aver soffiato un "devo andare" poco più giù del tuo orecchio destro, a qualche centimetro dalla linea della mascella irrigidita. 
Hai sentito lo stomaco gorgoliare e contrarsi; poi il pressante desiderio di prenderlo a calci. Una volta o due.



Miriana ti ha soffiato il fumo in faccia, ridendo."Ricordami perché diamine ho deciso di iscrivermi a questo schifo, Fra'. Ricordamelo, per favore!"
Tu hai sorriso, fregandole la sigaretta da sotto il naso. Hai inspirato e buttato fuori, ciccando nel lavandino. 
"Sono felice," ha borbottato, fissando il soffitto. Ma tu lo hai trovato subito, l'abbozzo d'un sorriso, infilato nell'arcata dei suoi denti piccoli e stretti. 
"Sono felice, Fra'. E tu?"
Io?
"Pure"
Cè Andrea che ti guarda sempre. Ma forse sei tu che non vedi bene, e lui... lui è il dodicesimo decimo che ti manca.
Andrea che ti fissa come a volerti demolire i contorni, smussarti gli angoli, scucendone gli orli.Tirarti fuori intera, afferrandoti per le ossa.
Tu invece vorresti urlargli che non si può; non si può. C'è troppa pelle. Troppa coria. 
Non è così che funziona, Andrea.
Stammi lontano, Andrea. 
Andrea. Andrea. Andrea.

E Miriana sorride.



"Che fai?" 
"Ho voglia del caffè che mi devi. Adiamo al bar." 
Eh?
EH?

"Senti..."
Senti? Senti? Senti che?
C'erano le sue dita sottili strette alle tue dita. 
"Senza zucchero, vero? L'ho notato due mattine fa."
Eh?
C'erano le sue dita sottili strette alle tue dita.
Lui l'ha notato due mattine fa



Hai provato a disfarti della proiezione d'ombra di quelle ciglia sugli zigomi appuntiti, ficcandola nel cassonetto della caritas assieme ai maglioncini bucati che tua madre non sopportava più di vederti addosso.
T'è costato tanto, ma non è servito a un cazzo. Qualla curva innaturale e bellissima t'è rimasta impressa come il contorsionismo demoniaco di Emily Rose.
Intanto il tempo invecchia senza inciderti le mani e tu pensi d'esser diventata scema. 
Andrea. Andrea. Andrea.
Andrea che ti sfiora il ginocchio con il dorso della mano e tu  vorresti solamente alzarti e correre, correre, correre.
Raggomitolarti in un angolo, schiena contro al muro, culo sul pavimento.
Terra sotto i piedi.
E vomitare tutti gli pterodattili annidatisi nello stomaco; infilarti due dita in gola e tirarli via - uno ad uno - su per l'esofago.
Hai il terrore di non riuscire più a riafferrarlo, il filo dei tuoi pensieri. Hai scordato com'è che si trovino le coordinate dei due punti limite nel giro di due mesi, tre giorni e due minuti.


Hai provato a disfarti della proiezione d'ombra di quelle ciglia sugli zigomi appuntiti... oh, al diavolo.
Andrea ti ha abbracciata.



Andrea ti ha abbracciata, sì.
Avevi le sue mani sulle scapole, le braccia forti strette tutt'attorno - lui e il suo fiato calmo sul collo -  e faceva caldo. Caldissimo.
Tu gli gonfiavi la stoffa del giubbino di respiri frettolosi, pregando che l'aria bastasse o che qualcuno te ne donasse qualche grammo in più.
"Sei così piccola"
Troppo, Andrea?
Troppo piccola per le tue mani grandi e la barba scura che t'affila il volto?

"No"
Tu dicevi "no", e gli arrivavi a mala pena alle spalle.
Dicevi "no", ascoltando la sua adorabile risata rimbombare tra le coste della gabbia toracica.



Andrea ti guarda sempre, fissa i suoi occhi nei tuoi occhi e, e... non si fa. Non si fa, dannazione.
Fissa i suoi occhi nei tuoi occhi e... poi tira su l'angolo destro della bocca, nascondendo l'iride dietro le ciglia.
Merda. Merda. Merda.



Hai provato a disfarti della proiezione d'ombra di quelle ciglia sugli zigomi appuntiti, mandandola giù in pancia assieme al sorso di birra tracannato troppo in fetta.
Ti sei strozzata. E c'era la mano di Andrea a scorrerti schiena -  leggera, leggera - e il suo fiato caldo, dolce come le parole divertite che ti soffiava all'orecchio.
Non che tu abbia capito una, che sia una, di quelle sillabe. C'era Andrea ad una spanna, vicino, vicino, vicino e le labbra premute sulla pelle accaldata della tua guancia sinistra.
Dio.
Perché la barba non punge? Perchè? 

Pensavi: "Perché la sua barba non punge?" e lui giocherellava con le tue dita, raccontandoti spezzoni d'una vita leggera e bella come un sogno.


Miriana non abbraccia; Miriana stritola, polverizzandoti le ossa. Mattia le ha regalato tredici rose blu.
"Sono felice, Fra'. Sono felice, e tu?"
Io?
Andrea mi sussurra l'amore di Donny Hathaway sfiorandomi la mascella con le labbra; mi monopolizza le mani. Di appunti non ne prendo più.
"Pure."




"Stai bene?"
Sì. No. Sì.
Hai la vita intera d'Andrea stipata in una stanzetta di pochi metri quadri e il cuore impazzito a pulsarti in gola,  a rimbombare nello stomaco.
Hai la vita intera d'Andrea davanti agli occhi ed è imbottita e straripante e colorata come i cuscini rattoppati ai lati del divanetto blu. 
Senti le sue braccia stringerti i fianchi e respirare diventa complicato, increscioso.
"Questo sono io. Tutto cio' che conta. Amy l'hai conosciuta già"
Amy, la bici che vi trasporta in due senza sforzo da settimane intere .
Stringi le  sue dita tra le tue, emozionata.
"Sei bellissimo."

Descrivere in dettaglio la risata di Andrea sarebbe cercare di ridurre l'idea d'infinito alla lemniscata abbozzata in piccolo all'angolo d'un foglio.
Egoistica presunzione. Fobia dell'indefinibile.
"Sei bellissimo"



Lasci fluire l'infezione che Miriana chiama già amore, sperando ti stronchi addormentata. Andrea ti scrive "sogni d'oro" e "ti penso" tutte le sere.
Tu non riesci proprio a soffocarti i ventricoli col cuscino; hai quel grigio infilato nella crepa microscopica sulla parete poco più a destra del comodino.
E scrivi "ho sonno",  ricevendo un "anch'io" per risposta, che è tutto tranne quello che sembra.
Lo sapete entrambi che non è sonno; non lo è. 

Gli ultimi istanti del sole infuocato prima d'inabissarsi tra l'arenile e il mare.



Fuori piove e hai le sue labbra sulle tue labbra, le sue dita sottili a scorrerti sul collo.
Il tuo naso incontra il suo all'improvviso e scatti indietro imbarazzata; uno "scusa" mortificato ad inumidirti gli occhi.
"Torna qua."

Funziona così con Andrea.
Tu scappi, corri e lui ti riacciuffa schiudendoti le dita con le sue, come se non ci fosse spazio per altro al mondo. Le tue dita tra le sue; le sue tra le tue dita.
E tu lo stringi pregando che ti spolpi delle tue paure, cucendosene qualcuna addosso per poi restituirtele un po' meno contaminate e impregnate del suo odore, di lui. 
Niente panico, niente panico.
Mangia tutto quello che mi tiene alla larga, Andrea; prendi le mie interiora viscide, calde, vive e tienile per te. Ti regalo tutto, tu regalami te.
Io ti stringo, tu mi ami. Io ti amo anche se non lo dico perché non so com'è che si dica, perché non so com'è che si ami.


Lascio che la tua anima occupi la totalità dello spazio che le è accordato, Andrea. Il mio.





















Ho scritto una storia in cui del "vissero felici e contenti" non è messo in discussione nulla. Sii fiera di me.
E niente. E' tutta tua. Piena dei sorrisi che mi regali ogni volta.

Ti voglio bene. <3
   
 
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