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Autore: Ucha    29/10/2013    9 recensioni
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[Altro][Le cinque leggende][Altro][Altro]L'inverno non era mai piaciuto a Merida.
Jack lo aveva sempre amato, come aveva imparato ad amare l'estate. Perché l'estate era Merida.
{Jack Frost/Merida}
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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-Angolo dell'autrice-


Salve a tutti! Questa è la prima volta che scrivo qualcosa su Jack Frost e su Merida. Li adoro! Sono diventata una fan sfegatata dei Big Four (Jack Frost, Merida, Rapunzel, Hiccup) ma soprattutto di questi due!
Essendo la prima volta che ci scrivo su, spero di non essere andata troppo OOC. Come vedrete ci sono piccoli riferimenti ai film originali, che ho voluto ri-utilizzare o ri-strutturare per questa One-shot.
In compenso, spero che la storia vi piaccia, buona lettura!



Ucha.

Ps. "Jackson Overland" era il nome di Jack Frost da umano. 
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L’inverno non era mai piaciuto a Merida. In quel periodo le uscite a cavallo erano sempre meno frequenti, gli allenamenti con l’arco pure e ciò non poteva che rendere più felice sua madre.
Esatto, quando la neve cominciava a fioccare sulle valli scozzesi sotto il dominio del clan Dunbroch, la regina Elinor ne approfittava immediatamente per dare le sue privatissime e “utilissime” lezioni di portamento e buona educazione alla frizzante figlia riccioluta, che piuttosto avrebbe preferito di gran lunga rinchiudersi in camera sua.
Quella mattina, quando il sole era in una posizione incerta e i raggi non servivano nemmeno ad inumidire le coltri di ghiaccio e neve, Merida si alzò dal suo letto regale a baldacchino, abbandonando a malincuore le coltri che l’avevano tenuta al calduccio.
Come poggiò i piedi nudi sulla pietra fredda del pavimento un brivido violento le attraversò la spina dorsale, ma la ragazza non ci diede troppo peso, perché si alzò strofinandosi le braccia affusolate  e dirigendosi verso la finestra della sua camera che si affacciava sull’immenso panorama anglosassone.
Era tutto così… bianco, e bello. Le sarebbe piaciuto sellare Angus e partire alla volta del bosco a mirare i suoi paletti strategicamente messi in giro.
Sbuffò. Non sarebbe stato così. Si preparò psicologicamente all’idea di scendere nella sala grande, consumare la colazione con i genitori e i suoi tre scalmanati gemellini, per poi intraprendere una noiosissima lezione di comportamento e poi di cucito.
Si afflosciò sconsolata sul parapetto della finestrella rocciosa, la guancia premuta contro la gelida pietra coperta da uno strato di neve. Assaporò, se così si può dire, quei piccoli attimi di intimità, dove in quella piccola stanza era sola con sé stessa, senza sentire la voce di sua madre che le ripeteva  “Merida, dritta con la schiena, una principessa non è mai ingobbita!”, “Merida, l’ago non va così, ma in questo modo!” “Merida!” “Merida!” “Merida!”..
-Merida!- squillò una voce che la riscosse dai suoi pensieri. Era una voce giovane e fresca, come la neve, e non di certo quella autoritaria della regina. Una voce da fanciullo che si avviava all’età adulta.
 
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Jack aveva sempre adorato l’inverno. Andare in giro con la sua sorellina, giocare a palle di neve, pattinare sul ghiaccio, inseguire Merida…. Merida! Una delle poche persone alle quali riusciva a mostrare il suo lato più tenero, una delle quali che si sentiva di amare davvero.
La loro amicizia era nata per caso, quando erano più piccoli. Merida, persa nel bosco alla ricerca di una freccia scagliata da lei stessa, si era imbattuta in un lupo che il piccolo Jack aveva scacciato con una fiaccola, prima del sopraggiungere di re Fergus attirato dalle urla della bambina.
Erano passati sei anni da allora. La loro amicizia si era consolidata ed era diventata sempre più forte, nonostante la divergenza sociale che li separava.
Perché se lei era la principessa della Scozia, lui era un umile ragazzo di campagna che sopravviveva tagliando legna e vendendola al mercato.
Quella mattina si era alzato presto, come al solito, per andare a raccogliere la legna e poi dividerla in ceppi più piccoli. L’unica cosa a proteggerlo dal freddo era un logoro mantello marrone e le sue calzature, pelli di animali diversi cucite in modo da coprirgli i piedi. Ma non erano mai serviti, in fondo. Ogni volta i piedi gli si gonfiavano per il gelo e le mani callose diventavano livide e insensibili. D’inverno lavorare era pericoloso, ma era il miglior periodo per vendere legna. A lui comunque piaceva da matti.
Il rischio di ammalarsi era alto e non poteva permetterselo, e forse per questo poteva dar ragione alla sua rossa amica che l’estate era una stagione perfetta per svolgere ogni tipo di lavoro. Aveva imparato ad apprezzare il caldo umido che quella stagione infuocata offriva loro. Per i lunghi bagni nel lago, per le corse a piedi nudi giù per le valli, ma soprattutto perché l’estate gli ricordava Merida, così energica, infuocata, gioviale. Merida era il calore del sole a mezzogiorno e le tempeste che ogni tanto imperversavano e sconvolgevano la valle. Era una persona libera e sognatrice, esattamente come lui. E prenderla in giro era il massimo.
“Prima o poi finirà, Jack” gli aveva ripetuto più volte sua madre. “Merida è una principessa, e andrà in sposa a qualcun altro. I tempi dei giochi e delle vostre avventure finiranno.”
Ma Jack non le aveva mai dato veramente ascolto. Perché lui e Merida sarebbero fuggiti per davvero, come spesso avevano fantasticato per anni, all’insegna di avventure ancora più fantastiche e grandi. Avrebbero conquistato il mondo.
Quella stessa mattina, dopo aver finito il suo lavoro, prese i pattini che suo padre aveva fatto per lui e per sua sorella, un anno prima di morire in una rissa di paese, e si avviò velocemente verso il castello di re Fergus, quel re bonaccione che ogni volta che lo vedeva lo obbligava a prendere qualcosa dalla cucina per lui e la sua famiglia. Cosa che, ovviamente, Jack faceva, approfittando in grande della cortesia, ricevendosi dei sorrisetti divertiti dall’amica.
Sapeva che bastava chiedere al sovrano di avere in prestito sua figlia, ma quella mattina non ce ne fu bisogno. Trovò Merida in camicia da notte poggiata sul balcone, la faccia sul parapetto e tutti i riccioli rossi che si srotolavano per un pezzo della torre
La chiamò forte una sola volta, perché la ragazza si riscosse. Un sorriso giocoso gli si dipinse sulle labbra sottili, per poi urlare nuovamente.
-Quella non è una postura da principessa, eh!-
Fu allora che Merida riacquistò tutta la sua essenza. Si sporse maggiormente dalla torre e urlò a pieni polmoni.
-Non ti ci mettere anche tu, Overland!-
-Ohhh, guardate che urlare è ancora più volgare, Principessa!-
-Overland! Se vengo giù giuro che…-
-…vieni con me  a pattinare!-
I muscoli di Merida si rilassarono delusi. Lanciò un’occhiata ai pattini di legno al lato della stanza e ripensò alle lezioni che sua madre doveva personalmente darle.
Guardò nuovamente Jack e si convinse. Al diavolo il portamento, l’arpa o il latino, era una giornata perfetta per andare con il suo caro amico a pattinare! Per questo corse subito a indossare il suo abito blu di velluto, una sciarpa con i motivi del clan e i guanti, per poi afferrare arco e faretra e i pattini.
Guardandosi attentamente dal farsi notare, uscì dai sotterranei, sfuggendo alla maldestra cuoca e al resto della servitù che potevano bloccarla in qualsiasi momento.
Jack l’aspettava ancora sotto la torre. Prima di raggiungerlo lo spiò qualche istante rimanendo nascosta nella piccola stalla di Angus. Lui osservava ancora la finestrella della torre, mangiando una mela che aveva rubato con disinvoltura ad uno dei servitori della corte. Ammirò i suoi capelli scuri, i suoi occhi grandi ed espressivi, caldi come il colore delle nocciole d’autunno. Osservò le sue labbra sottili e pallide in movimento, sempre con quell’angolazione che conferiva al suo volto una nota di furbizia.
Sorrise involontariamente e approfittando della sua distrazione, decise di rivendicarsi di uno dei tanti scherzi subiti nella loro infanzia ed adolescenza insieme.
-Bene, amico mio…- sussurrò al cavallo dandogli una lieve pacca sul sedere. – È momento di contrattaccar…-
Ma il cavallo le sbattè, con un moto istintivo, la coda in faccia e la principessa andò a sbattere contro il palo, lanciando un urletto di sorpresa e disapprovazione.
Jack si girò, per poi allargare il suo sorriso deturpato dalla mela che stava mangiando e raggiunse l’amica, che nel frattempo si massaggiava la testa.
-Credevi di farmela, eh? Grazie Angus, vecchio mio!- esclamò sornione dando anche lui una pacca allo stallone nero.
-Questa è stata solo fortuna, Jackson Overland, vedrai cosa ti combinerò quando meno te lo aspetterai!-
 
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Grazie and Angus arrivarono al lago a metà mattinata. Il paesaggio sembrava coperto da piccoli cristalli lucenti, così tanto da abbagliare la vista ai due amici.
Merida ammirava incantata con un lieve sorrisino sul viso delicato, mentre Jack indossava in fretta e furia i pattini intagliati nel legno. Quanto poteva essere bella la sua terra? L’acqua era una teca di diamante, le montagne gloriosi gioielli del cielo.
 
Il ragazzo si precipitò come il vento sull’immenso lago ghiacciato, sfrecciando sui pattini e ridendo di gusto. Assaporava il vento, Jack, assaporava il vento e la superficie che cigolava appena sotto il suo peso. Era bellissimo. Gli sembrava di volare tenendo i piedi per terra. Solo quando pattinava sul ghiaccio Jack si sentiva davvero libero. Sentiva che poteva fare di tutto.
Lui era Jackson Overland!

Una brezza di vento più forte e più palpabile lo travolse.
Merida gli prese le mani per poi cominciare a girare sul ghiaccio. Era bellissimo. Entrambi lo sapevano, entrambi potevano percepirsi toccandosi solo le mani. Era come essere uniti spiritualmente, in mille altre modi che nessuno avrebbe mai potuto scoprire. Erano soli, nel loro affetto sincero.
Jack rideva guardando Merida e Merida rideva di gusto a occhi chiusi. Fino a quando, Jack a tradimento, non la lasciò andare facendosi partire una risata sonora e maliziosa. Era sempre il solito! Anche nel villaggio dove abitava prima, lui era “Jackson Overland” il buffone che faceva ridere i bambini, il monello dalla bugia sempre pronta, lo stupido.

Ma la risata di entrambi morì quando sotto i piedi ormai fermi di Merida si sentì un sinistro crack.
La ragazza spalancò gli occhi e guardò giù, scoprendo le crepe che si ramificavano sulla superficie perfetta del lago ghiacciato. Un brivido la avvolse completamente, ma non era il freddo, era la paura. Guardò disperatamente l’amico che era come pietrificato, guardando la sua amica sul filo che la divideva fra la salvezza e la morte.
-Jack…- mugolò Merida, respirando affannosamente  alla ricerca di una via d’uscita. L’arco non serviva a niente senza una fune e le rocce su cui aggrapparsi erano lontane. E chi lo diceva che il ghiaccio avrebbe retto lo sforzo di un salto? Una goccia di sudore contornò il viso arrossato.
-Merida, tranquilla. O-ora troviamo una soluzione, non ti preoccupare.- balbettò confuso il ragazzo guardandosi intorno.  A pochi passi da lui, un bastone che terminava in una forma somigliante ad un uncino era pigramente lasciato lì fino a quando le acque sciolte dalla primavera non lo avrebbero inghiottito.
Era perfetto. Mosse un passo verso di esso, ma anche il ghiaccio sotto il suo piede prese ad incrinarsi. Merida lo guardava sempre più angosciata, ma Jack per lei aveva in riserbo solo un sorriso fiducioso.
-Tranquilla, calmati, fra poco saremo tutti e due al sicuro, fidati di me. Dico mai bugie?-
-Sempre…!-
-È vero, ma questa volta no. A-ascoltami… Ti ricordi quando eravamo piccoli, che giocavamo sempre a campana? Ecco, Principessa, facciamo lo stesso… Uno…- e si mosse di un passo. Il ghiaccio resse e Jack sorrise. –Due… E tre!- al tre riuscì a prendere il bastone e lo tese verso la ragazza. –Ora fai lo stesso tu! Uno… Due e tre!-
Merida eseguì non troppo fiduciosa le istruzioni di Jack e al tre saltò nella sua direzione. Il moro riuscì a cingerle i fianchi con il bastone e tirarla via su una zona sicura del lago, dove Merida cadde sul sedere, mentre lui venne catapultato nella zona opposta, vicina a quella dove la principessa era tremante qualche istante prima. I due si guardarono ansimanti, per poi cominciare a ridere gradualmente, ancora nervosi. I muscoli del ragazzo si sciolsero mentre riacquistava una posizione eretta, ma non fece in tempo a dire niente che il ghiaccio cedette e lo ingoiò fra i flutti del lago.
La valle fu scossa da un grido di dolore. La principessa guardava sconvolta il buco nel ghiaccio, boccheggiando. Dalle labbra secche uscì un vago mugolio di disperazione mentre un braccio era teso verso quella maledettissima direzione.
Sentì una fitta lacerarle il cuore. Le membra erano rigide e tese, i polmoni faticavano a prendere l’aria. Calde lacrime cominciarono a solcarle le guance fredde, mentre l’idea di Jack che precipitava nel lago si faceva vivida e ripetitiva nella testa.
-No… Non è vero… No… Jack! JACK! NOOOOOO!- gridò Merida, gattonando vicino alla crepa, facendo attenzione. Si specchiò  tremante nell’acqua scura, ma del suo amico non v’era traccia.
Il suo desiderio fu quello di gettarsi nel lago, tanto era disperata. Ma no. Non poteva farlo.
Non doveva rendere il sacrificio di Jack inutile. Prese a singhiozzare, china sul lago, tenendosi convulsamente le mani fra i capelli e scuotendo la testa, come se avesse perso il controllo.
Tutto le faceva male, non poteva essere vero. Non voleva crederci!
Arrivò a fatica sul bordo del lago, trascinandosi come se non avesse più forze in corpo e montò su Angus.
Piangeva, la giovane Merida, piangeva mentre il fido destriero galoppava alla volta del palazzo. Aveva provato tante cose fino a quel momento.
Era stata delusa, felice, arrabbiata, nervosa, eccitata, era stata innamorata.
Quel suo amore era durato dieci lunghi anni. Era stato una dolce primavera, fatta di spensieratezza e di giochi. Era diventata estate, piena di batticuori e di forti emozioni, palesi ma discreti come l’autunno, che aveva costituito il conto alla rovescia. E infine, era precipitato come l’inverno, freddo e irreversibile come il corpo di Jack in fondo al lago.
L’inverno non era mai piaciuto a Merida.
 
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La regina venne agghindata al meglio quella mattina. Era il suo compleanno e la servitù più il popolo ormai consideravano questa una data come una festa nazionale. Eppure per lei quello non era altro che una ruga in più, le forze in meno, stanchezza costante. Erano ormai vent’anni che sedeva sul trono di Scozia come erede del clan Dunbroch.
Era una regina saggia e giusta e per tutti quegli anni era riuscita a mantenere la pace nel suo regno e in caso di guerre contro conquistatori esterni era sempre stata la prima a intraprendere decisioni con gli altri clan, senza mai (con suo disappunto) scendere in battaglia.
Lo aveva fatto suo marito, cadendo glorioso sette anni prima. E così, era rimasta sola.
Congedò la serva e si osservò davanti allo specchio.
I riccioli rossi ormai erano sfumati da ciocche che andavano via via imbiancandosi, la pelle diafana e liscia cominciava a corrugarsi. Le mani perdevano la loro perfezione, così come la sua bellezza guerriera.
Ma Merida aveva smesso di pensare a queste frivolezze. Non pretendeva di rimanere una sedicenne per sempre, si curava solo per i suoi sudditi, per dare loro l’immagine concreta di una regina sempre in forze.
 
Improvvisamente una brezza fredda entrò dalla finestra che fece raggelare la regina, facendo accadere qualcosa di strano. La superficie dello specchio cominciò ad appannarsi per il freddo, mentre una scritta, come se qualcuno la stesse facendo con un dito, apparve gradualmente.
 
Buon compleanno, Principessa.”
   
 
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