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Autore: Ehybastaldo_    30/10/2013    14 recensioni
Così pensai di dirti un po' della mia vita, quella che si nascondeva dietro ad una telecamera, quella che ultimamente, grazie a te, usciva sempre più spesso.
La storia della mia vita.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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STORY OF MY LIFE.
 
 
 
Scusami.
Scusami se quel giorno ti ho notato tra la gente che ingombrava l'hotel in cui avevi deciso di alloggiare per la tua vacanza, trovandoti a farti spazio tra i corridoi a via di gomitate e lamentele. Ti sei ritrovata nella più totale confusione con la tua migliore amica, senza capire il perchè di tutto quel trambusto improvviso, quando il giorno prima non c'era nemmeno un'anima viva a percorrere quei corridoi lunghi e rossi.
Rossi; proprio come il tuo colore preferito. Il rosso della fragola impregnato sulle labbra che luccicarono dalla mia parte, attirando così la mia attenzione e facendomi bloccare per un attimo. E le fans mi hanno assalito; sia me, che te, a pochi metri di distanza dall'ascensore che entrambi cercavamo di prendere senza altri intoppi, ostacoli.
Scusami se poi, in ascensore, c'era anche più confusione del previsto e dovevamo stare stretti stretti in modo che tutti potessimo entrarci. E il tuo profumo che invadeva il piccolo spazio che ci rinchiudeva così vicini ma tanto lontani. Divisi da Louis, che accidentalmente ti urtò con il braccio quando Niall, dietro di lui, starnutì tanto forte da farti ridere.
E non ti importava se uno sconosciuto -allora per te- ti era arrivato addosso. Hai sorriso, e non c'era cosa più bella che i miei occhi avessero visto e le mie orecchie udito.
Un sorriso sereno e tranquillo, a contrasto con tutto quello che ti era appena successo nel giro di dieci minuti; un sorriso vero, uno di quelli che ti regalano i bambini piccoli quando giocano, quando ricevono un regalo o una caramella. Un sorriso che non riuscii a dimenticare subito.
Scusami se al ristorante mi sono avvicinato a te e ti ho chiesto la cosa più banale solo per attaccare bottone.
'Pizza o pasta?'
Mi hai guardato male, fermandoti a fissarmi e studiare i caratteri del mio viso. Me l'hai confessato dopo, quando ormai potevi sfiorarmi e urlare al mondo che io ero tuo. Verdi accecanti, incatenatori e allusivi, avevi detto; un verde mai visto, a parere tuo.
E i tuoi, terribilmente chiari, mi avevano mozzato il fiato e nemmeno ero riuscito a sentire quello che mi avevi consigliato, sorridendomi innocente e sparendo dietro il buffet con l'altra ragazza, che inizialmente odiai con tutto me stesso per averti allontanato senza preavviso, senza permettermi di memorizzarti a fondo e riempirmi i polmoni del tuo buon odore di pesca e mango che emanavi quando, timidamente, abbassavi il capo e riflettevi.
Scusami se ho deciso di seguirti nel corridoio quando la tua voce era arrivata ovattata alle mie orecchie. Avevo aperto la porta di scatto, pensando fossero le solite quattro fans riuscite a sfuggire alle guardie. Ma poi ho visto te, mano nella mano con la stessa ragazza che il giorno prima ti aveva portato via e ho sorriso. Un sorriso vero, un sorriso intrigante che mi aveva portato a seguirti, senza un motivo preciso e che mi aveva fatto scoprire una parte dell'hotel che nemmeno pensavo esistesse.
Fiori e piante coprivano l'intera terrazza illuminata da quei quattro lampioni messi a disposizione proprio per quello; una panchina al fondo della terrazza e il muretto alto quanto bastava per non cadere di sotto. E mi hai rivisto, mi hai sorriso e hai farfugliato qualcosa sottovoce con la tua amica, che un attimo dopo ci lasciò completamente soli con una scusa che nemmeno Liam, il re delle scuse, era riuscito ad inventarsi fino a quel momento.
Scusami se ho preso coraggio e mi sono avvicinato a te, ho teso la mano e mi sono presentato, rimanendo di sasso quando tu mi sei scoppiata a ridere in faccia dicendomi la verità: tu già sapevi chi ero io, ma non viceversa.
Ci accomodammo sulla panchina e cominciammo a parlare del più e del meno, ridendo e imbarazzandoci come due adolescenti alle prese con la prima cotta.
Ho capito quant'eri bella, sia dentro che fuori. Con te, non c'era bisogno della vista; si percepiva la tua bontà dalle semplici frasi che usavi per descrivere te e la tua vita: il fratello contorto che voleva fuggire con te, a Londra, per non rimanere a casa a subirsi da solo i vostri altezzosi genitori, la scuola che avevi appena finito da qualche settimana con esito positivo, il lavoro che avevi deciso di intraprendere una volta rimesso piede nel tuo piccolo paesino, che risuonò nuovo, come nome, alle mie orecchie.
Scusami se ho trovato la tua vita talmente particolare ed interessante che ho lasciato parlare solo te per tutta la sera, troppo incantato a sentirti ripensare qualche stupido ricordo che, però, ti faceva ridere e, di conseguenza, faceva sorridere me.
Perchè era bello vederti felice e sorridente, senza il bisogno di ricorrere al solletico, cosa che scoprii qualche giorno dopo quando ti invitai ad uscire con me. E inaspettatamente avevi accettato senza troppi giri di parole.
Eri chiusa in un tubino bianco, lungo fino le ginocchia, e dei tacchi non molto alti. Le tue gambe chilometriche ti avevano risparmiato dolori, me lo ripetevi sempre. Ti ho aperto lo sportello dell'auto come un gentiluomo e tu hai sorriso, baciandomi appena la guancia prima di accomodarti al posto passeggero. Presi, così, velocemente posto al tuo fianco, mettendo in moto e tenendoti all'oscuro di tutto: del posto in cui saremmo andati, con cosa avremmo cenato, cosa avremmo fatto dopo.
Mi hai dato del pazzo, maniaco, assassino e perfino stalker. Ma sapevi che da quel momento la nostra vita sarebbe cambiata; la mia, la tua, la nostra insieme.
Scusami se ho permesso alla cameriera di accendere quella candela sul tavolo, di averti fatto arrossire quando avevo ordinato al tuo posto le pietanze che più adoravi, seguite da una lattina di sprite, di cui non ti stancavi mai di ingerire, nonostante ti facesse gonfiare la pancia e sentire male, delle volte.
E ridevi. Ridevi perchè non sapevi come dovevi comportarti con una star -come mi avevi definito quella stessa sera- come me. Non sapevi più di cosa parlare perche, praticamente, mi avevi già detto tutto di te. Così pensai di dirti un po' della mia vita, quella che si nascondeva dietro ad una telecamera, quella che ultimamente, grazie a te, usciva sempre più spesso.
La storia della mia vita.
Fui felice di vederti così attenta ad ogni minimo dettaglio, chiedendomi sempre di più, curiosa. La cena finì, ma non la nostra serata.
Scusami se mi sono permesso di prenderti per mano e guidarti sul porticciolo del ristorante, che quella sera era completamente vuoto. Ancora oggi mi viene da ridere: tu che pensavi di ritrovarti invasa da fans o paparazzi, ed io, che in fondo sapevo la verità, stavo tranquillo dopo aver ordinato alle guardie di non far entrare nessuno che non facesse parte del ristorante, dopo che avevo prenotato il locale solo per noi, per tutta la sera, con tutti i vizi che ti potevo offrire.
Camminammo lungo il porticciolo di legno che portava segretamente su un piccolo laghetto artificiale del locale; avevi lasciato la mia mano per strofinare la pelle delle tue braccia bianche, ora fredde.
Scusami se ho sfilato la giacca e te l'ho appoggiata sulle spalle, sorridendoti e perdendomi a fissare il tuo sorriso che un attimo dopo si spense; le labbra, ora erano accupate a far altro.
Ti avevo sentita sobbalzare, ma diedi la colpa al gufetto che sopra le nostre teste, appollaiato su un ramo, bubulava forse felice per me, per noi. Per me che avevo trovato la forza, ti avevo afferrata per i fianchi e dopo aver appoggiato la fronte sulla tua, ti avevo baciato.
Scusami se avevo provato a trattenermi per tutta la serata, ma, alla fine, non ce l'avevo fatta. Mi avevano richiamato per tutta la durata della cena, le tue labbra, ma avevo preferito torturarmi le mani, il tovagliolo, pur di non saltarti addosso e mandare all'aria il mio piano preparato con cura per gli ultimi tre giorni passati in camera col povero Zayn, pronto a subirsi le mie lamentele. Non c'era perfezione in tutto quello, se non tu.
Scusami se ho approfittato della tua timidezza, ti ho presa per mano e riaccompagnata dentro, solo dopo aver osservato per chissà quanto tempo i tuoi occhi al posto delle stelle. Ma sapevi, certo che lo sapevi, che quello ormai erano la mia ancora di salvezza, il mio punto di forza. Nel loro riflesso ci ho sempre visto me; io, Harry Styles che leggevo per la prima volta negli occhi di qualcuno. La stessa persona che prima di rincasare mi aveva stampato di propria volontà un ultimo bacio casto, per poi sparire dietro la porta di quello stupidissimo hotel che ci avrebbe ospitato per l'ultima notte.
La vacanza stava finendo per entrambi. O no?
Scusami se il mattino dopo ho cacciato a tua insaputa Megan dalla vostra camera, promettendole un biglietto per il nostro prossimo concerto in America, con tanto di viaggio e alloggio pagato. Era stata un'idea di Niall, quando quella sera mi aveva rivisto entrare in camera con uno strano volto, segno di rassegnazione. Chi voleva perderti?
Mi sono avvicinato in punta di piedi al tuo letto, sperando di vederti ancora dormire tra le candide coperte colorate offerte dall'hotel; e fu così: avevi lo strano vizio di dormire a pancia in giù, la mano sotto il cuscino e la testa rivolta verso la finestra, da dove filtrava una bellissima giornata stranamente soleggiata. Oltre noi, c'era qualcuno che volesse prometterci del bene.
Appoggiai il vassoio che poco prima avevo riempito di cornetti, biscotti, thè e un caffè macchiato, il tuo preferito, sul comodino. Te l'avevo detto che ero una persona che dimenticava difficilmente le cose.
Scusami se mi sono permesso di togliermi le scarpe e scivolare sotto le coperte, al tuo fianco. Ti eri mossa tranquilla, cambiando posizione e abbracciandomi involontariamente.
Sorrisi, accarezzandoti i capelli e perdendomi a fissare il tetto chiaro della stanza. Come poteva essere? Era questo l'amore che tutti i libri descrivevano come una cosa bella quanto brutta? Di brutto vedevo solo la nostra separazione da lì a qualche ora. Nulla di più grave.
Scusami se all'improvviso ho starnutito e ti sei svegliata di soprassalto, sei scivolata dal letto e mi hai guardato con sguardo assassino. Mi hai minacciato come una pazza imbufalita: il sonno, per te, era sacro!
Ma poi hai abbassato lo sguardo, hai notato che non ti stavo ascoltando dal momento in cui avevo trovato più interessante il buffo pigiamino con tanto di stampa di un tenero orsacchiotto che indossavi e ti sei bloccata.
Scusami se non ti ho lasciato coprire con il lenzuolo del letto, che tenevo saldamente tra le mani solo per vedere le tue guance colorarsi ancora di più, se si poteva, di rosso. Un pomodoro, al tuo fianco, avrebbe fatto cattiva figura.
Mi hai lanciato un cuscino e hai preferito rinchiuderti nel bagno.
Scusami se ti ho aspettato seduto sul letto, intento a sistemare il vassoio con un girasole in mezzo. Sapevi che il fioraio non faceva consegne prima delle otto del mattino?
Beh, io non lo sapevo e avevo costretto Liam ad andarci o le fans mi avrebbero assalito e sarei arrivato tardi al tuo risveglio. Cosa più bella non avevo ancora visto.
E poi sei uscita con un paio di shorts e una canotta bianca, seguite da un paio di converse bianche leggermente sgualcite e tutte scritte con strane faccine. Ti sei seduta al mio fianco e abbiamo cominciato a mangiare, e come sempre, anche a parlare tanto.
Ma la verità era che amavo sentire la tua voce, così mi limitavo ad annuire e sorridere quando ce ne voleva. Il resto non esisteva più.
Scusami se quel giorno stesso ti ho dovuto dire addio. Ma non era un 'Addio, a mai più'. Era più ad un 'Addio, ma non per sempre'. E sapevamo entrambi che era così.
Il mese dopo mi avevi chiamato, dopo interminabili settimane, giorni, minuti e ore che non mi cercavi, se non di rado, e che, a malincuore, avevo smesso anche io di farlo, solo per paura di disturbarti, di sembrare troppo invadente.
Il mio cuore aveva cominciato a battere ad uno strano ritmo e poi ho risposto, udendo quelle poche parole che mi rallegrarono per il resto del giorno.
'Harry, sono di nuovo a Londra. Ti va di vederci?'
Che domanda stupida. Certo che ti volevo vedere! E abbracciare! E baciare! Ma questo non te lo dissi subito.
Obbligai Louis, Niall, Zayn e Liam a seguirmi per destare sospetti, ma soprattutto per evitarmi la calca di fans che trovai appostata sotto l'hotel in cui avremmo aggiornato.
Lo stesso del mese prima; lo stesso che ci aveva permesso di conoscerci.
Scusami se mi sono permesso di chiedere di te alla reception, dove la ragazza mi guardò confusa e felice allo stesso tempo. Che avesse capito qualcosa di noi?
Mi disse immediatamente il tuo numero di camera e, come non avevo mai fatto, corsi su per le scale, evitando le guardie e pure le fans. Avevo preso le scale solo perchè non volevo rimanere bloccato in quello stupido postaccio senza te.
Ho bussato come un pazzo, ritrovandoti con lo stesso sorriso di cui mi ero innamorato la prima volta che l'avevo visto. Mi ero abbassato e ti avevo baciata, ma tu hai prontamente posato una mano sul mio petto e mi hai respinto.
Mi era mancato il respiro; ero confuso e stupefatto.
Hai indietreggiato e mi hai permesso di entrare in camera tua, dove, sul letto, un ragazzo che stranamente ti somigliava molto mi squadrò da capo a piedi.
Me l'hai presentato come tuo fratello e io non sapevo più come scusarmi, sia con te che con lui, Max. Anche lui, come te, era una persona solare, e dopo il primo momento abbastanza imbarazzante, il ghiaccio si era rotto e mi stava anche abbastanza simpatico.
Scusami se per quella sera ti ho rapita dalle grinfie di tuo fratello, cocciuto sull'avere una visita della città prima di andare via e tornare alla vita di sempre. Ma non l'avevo ascoltato; un mese lontano da te mi aveva spiazzato.
Sei salita sull'auto, accostata nel garage dell'hotel e ti avevo chiesto il gentile favore di abbassarti una volta fuori. Avevi accettato senza troppe pretese e ti eri rialzata una volta ormai lontani dal traffico.
'Dove andiamo? Dai, sai che odio le sorprese!'
Avevi provato a protestare, incrociando le braccia sotto il petto e imbronciando le tue labbra con fare teatrale. Le stesse labbra che baciai quando il semaforo mi obbligò a fermarmi. Ti sei sciolta e hai assecondato il bacio, facendomi ridere. Poi il clacson dell'autista del povero malcapitato dietro noi mi fece sobbalzare. Ritornai alla guida e parcheggiai l'auto davanti ad una villa, a tuo parere, infinita.
Scusami se ti ho bendata e ti ho detto di fidarti di me. Ho posato le mie mani sui tuoi fianchi e ti ho guidato alla cieca dentro l'edificio tutto in mattoni.
Mi avevi sempre detto che ti piacevano le tipiche casette inglesi: mura bianche, tapparelle verdi, giardino ben curato, mobili tradizionali. Quella casa era l'apice del tuo sogno, ricordi?
Accesi la luce e richiusi la porta d'ingresso con un calcio; tanto fu forte, che ti eri tappata le orecchie con entrambe le mani e mi avevi chiesto se tutto era apposto.
Ti avevo baciata, ero troppo tentato per non farlo, e ti avevo guidato in cucina, dove la luce del camino e il suo calore rendeva tutto più accogliente e perfetto per la nostra serata.
Ma tu non potevi vederlo. A meno che...
'Harry, ti prego. Toglimi questa cosa.'
Ti eri lamentata, togliendoti poi definitivamente la mia sciarpa, che ancora oggi custodisci gelosamente e raramente la usi, per non far svaporare il mio profumo impregnato sopra, sottolinei sempre.
Avevi occhi e bocca spalancati, non sapevi cosa dire, o in realtà, non c'era proprio nulla da dire.
Scusami se ti ho preso per mano e ti ho mostrato tutta la casa, confessandoti che da quella sera era mia, nostra se lo volevi. Mi hai guardato confusa, hai sorriso e mi sei saltata con le braccia al collo. Mi ero perso ad accarezzare la spina dorsale che fuoriusciva dalla tua pelle, troppo magra per i miei gusti.
Te lo feci notare e con un nota triste mi avevi confessato che ultimamente avevi perso la fame. Ma non quella sera, non davanti alla cenetta con i fiocchi che insieme avevamo preparato senza incendiare stranamente nulla.
I piatti da lavare erano infiniti, nemmeno se quella sera avesse mangiato un intero esercito. Però, rimaneva ancora il dolce.
Scusami se quello l'avevo ordinato. Ci avevo fatto scrivere il tuo nome sopra e la richiesta di condividere la casa con me. La risposta non era tardata ad arrivare. Un altro bacio accompagnò il mio primo boccone dello squisito dolce al cioccolato.
Scusami se mi sono permesso di spegnere la luce e accompagnarti al divano, ho acceso la tv e ci ho coperto con un plaid che ci aveva riscaldato per tutta la notte. E la mattina dopo, il tuo cellulare ci aveva svegliato e non voleva smettere più di suonare.
Alzai gli occhi al cielo quando mi hai avvisato che era ora di ritornare in hotel, che tuo fratello era molto arrabbiato per non averlo considerato e nemmeno averlo avvisato. Ma la verità era che, in quella posizione, tra baci e coccole, ci eravamo addormentati teneramente. Non era stato mica programmato. E si sa che le cose fuori programma sono sempre le migliori!
Scusami se quel giorno stesso, mentre tu eri in giro con tuo fratello e io con i ragazzi, ti continuavo a tartassare di messaggi. Ricordi:
'Vestiti male, truccati come una poco di buono e fà finta di aver bevuto, anche se sono ancora le due del pomeriggio. Ma soprattutto, non sorridere mai, per nessuna ragione.'
'Perchè dovrei fare tutte queste cose?'
'Perchè ho paura che qualcuno possa innamorarsi del tuo sorriso.'
'Ti voglio bene.'
Avevo letto quel messaggio e avevo smesso di sorridere, facendo perfino preoccupare i miei amici, che continuavano a torturarmi con la richiesta di raccontare cosa era successo il giorno prima. Non era successo nulla di particolare, per loro. Ma per me era stata la migliore serata della mia vita.
Mi avevano chiesto cosa c'era che non andava, se mi avevi detto qualcosa di cui non ero felice e subito avevo sviato i loro discorsi, chiudendomi a chiave nel bagno. Sedendomi sul water avevo scritto 'Anche io.'
Scusami se al posto di quello stupidissimo messaggio non avevo risposto con 'E io invece ti amo.'
Perchè ti amavo, e ti amo ancora. E so che ti amerò per sempre, se tu me lo permetterai.
Non te ne sei mai accorta, ma sei entrata nella mia vita come un raggio di sole che riesce a filtrare dai buchi della tapparella chiusa malamente. Sei entrata nella mia vita come se Cupido avesse scalfito la freccia e accidentalmente avesse colpito entrambi, nello stesso momento. E per una volta non aveva fatto male il suo lavoro.
Passarono giorni, tre per l'esattezza, e ogni volta dovevo subirmi le lamentele di tuo fratello per il semplice fatto che ti strappavo dalle sue grinfie. Ma eri mia, no? Gelosone, lui!
Scusami se avevo organizzato una mangiata a tua insaputa, invitando anche quell'allocco di tuo fratello che divenne simpatico agli occhi dei miei amici. Ed era difficile piacere a loro.
Entrai in cucina con la scusa di aver dimenticato il vino bianco e tu mi avevi seguito, dicendomi solo che volevi aiutarmi a trovarlo. Ne approfittammo per staccare un pò la spina, per stare da soli e dedicarci ad un leggero bacio.
La tua mano aveva trovato posto sulla mia coscia per tutta la sera, e, come tantissime volte, avevo dovuto sapermi trattenere per non saltarti addosso. Avremmo avuto il nostro momento, quando non c'era nessuno e quando ci toccava.
Alzai le tue braccia, avvitandole al mio collo e ti presi in braccio, appoggiandoti alla penisola della cucina. E continuammo a baciarci con sottofondo le risatine dei ragazzi che, nell'altra stanza, ridevano tranquilli tra loro. Avevo convinto anche Perrie, Eleanor e Sophia a venire. Anche Niall aveva trovato la sua compagnia: Max.
Ok, ti avrei dovuto confessare sin da subito che avevo incaricato il povero irlandese a trattenerlo mentre, con fare da ladro, salivamo al piano di sopra e ci rinchiudevano in una delle tante camere da letto per rimanere un pò di più da soli.
Scusami se ho cominciato a spogliarti e toccarti da tutte le parti. E se non ho saputo resistere e ho approfittato di te, del tuo corpo per tutta la sera.
Tanta era l'emozione che sembravo anche alle prime armi. Ma poi hai passato una mano tra i miei ricci e mi hai sorriso; e la paura era scomparsa.
Ci eravamo uniti in una sola cosa, un'anima libera, pronta ad amare. Perchè io ti amavo e non avevo aspettato oltre a confessartelo.
Mi avevi stretto di più e avevi urlato il mio nome. Sorridendo e a malincuore, perchè mi era piaciuto davvero, avevo dovuto tapparti la bocca e ti avevo dato l'ultima spinta definitiva, dove mi univa a te ancora di più.
Scusami, scusami perchè non doveva finire la nostra favola. Non doveva andare così.
Non dovevo partire e lasciarti sola per chissà quanti mesi, immaginandoti rinchiusa in casa nostra a vagare come tuo solito fare con solo i calzini -bianchi- ai piedi, intenta a bere il tuo caffè macchiato e reggere una nuova rivista dove raffigurava me e i miei possibili flirt.
 
Ma grazie.
Grazie perchè mi sei rimasta al fianco, seppur così tanto lontani, nonostante i vari rumors che perfino a me alle volte sembravano veri.
Grazie perchè mi hai continuato a chiamare, a chiedermi come stavo e se fossi stanco, mascherando la tristezza dietro una risata che a me, ormai, risultava un pò troppo forzata. Pensai perfino che volessi finirla, lasciare il tuo lavoro da bibliotecaria e uscire definitivamente dalla mia vita. Ma non era così.
Eri rimasta a casa nostra, ad occupare per entrambi il letto che io lasciavo disordinato quando mi alzavo la mattina e che trovavo sistemato la sera, con tanto di svolta sotto i cuscini; eri a casa nostra, intenta a consumare le pentole che insieme avevamo comprato da una stupida pubblicità alla televisione dove regalavano anche un fornetto a microonde che era andato, poi, a fuoco in seguito alla prima prova; eri a casa nostra e la curavi come meglio potevi, profumandola e arricchendo perfino il giardino di fiori colorati e piante che non ne conoscevo nemmeno l'esistenza; eri a casa nostra e preparavi una tazza di caffè macchiato per te e una tazza di thè per me, anche quando non c'ero.
Grazie perchè mi hai sempre aspettato quando tornavo da un lungo viaggio, pur sapendo che sarei crollato come un palazzo vecchio una volta sdraiato nel nostro letto, che ormai poco usavo. E non ti ostinavi solo a prepararmi la colazione, il pranzo e la cena. Ma ti divertivi anche a farmi il bucato; certo, dopo avermi colorato una maglia rosa e ristretto un pantalone. Non ti bastava fregarmi un quarto del vestiario? Volevi che andassi in giro nudo, ammetilo!
Grazie perchè sapevo che su te potevo sempre contare. Sei sempre stata il mio punto di riferimento, la mia ragazza e allo stesso tempo la mia migliore amica, la mia confidente che, però, potevo anche baciare e toccare senza farmi troppi problemi.
Grazie perchè hai sopportato le mie crisi, i miei scleri, il mio nervosismo alle stelle. Non ti sei mai fatta intimorire, mai, nemmeno quando ho alzato la voce prendendomela con te, inutilmente.
Grazie, grazie perchè mi hai sempre abbracciato nel momento giusto, mi hai baciato quando ne avevo più bisogno, mi hai accarezzato una guancia un attimo prima di chiudere gli occhi e sognare la più bella vita che potessi mai avere.
E adesso, sai davvero tutto di me.
La storia della mia vita, della mia vita con te.
 
Tuo, Harry.
 
 
 

 
"Zoe! Zoe!" alzai la testa di scatto, notando Megan correre come una pazza, evitando di far cadere qualcuno o di inciampare in qualche valigia.
Alzai una mano, facendomi notare seduta su una di quelle stupidissime sedie nere che l'aeroporto definiva confortevoli. Ma non era vero, ve l'assicuro. Non c'era posto più scomodo di quello.
Ma forse era colpa di Harry; tra le sue braccia stavo bene, sulle sue gambe mi trovavo comoda, anche sulle sue spalle stavo divinamente. Mi aveva viziato, quel ricciolino.
La mia amica posò le mani sulle ginocchia, piegandosi appena per riprendere un po' di fiato prima di parlare.
Si mise dritta con la schiena e appoggiò una mano sul petto, sospirando infine pesantemente e fulminandomi con lo sguardo. Non l'avevo mai vista così arrabbiata con me. Cosa le avevo fatto?
La squadrai dal basso, mentre ancora riscaldavo la sedia scomoda dell'aeroporto.
"Dove pensavi di andare senza avvisarmi?" mi rimproverò subito dopo; la voce ancora mozzata dalla corsa e tremante appena per la paura della risposta che avrei dato.
Ma io ero del tutto tranquilla. L'avrei avvisata, ovvio; ma l'avrei fatto solo una volta atterrata nella Terra che non vedevo l'ora di toccare.
Così, le sorrisi innocente e "A riprendere ciò che è mio." dissi con nonchalance.
Meg si accomodò al mio fianco, guardandomi ancora più confusa, se si poteva.
"Cioè?" che profonda questa ragazza!
"A riprendermi Harry." dissi sicura di me, mostrando un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
Megan mi guardò perplessa; come darle torto: lei era l'unica che si subiva i miei pianti, le mie crisi e le mie giornate isteriche quando sentivo la mancanza di Harry. Pur di non mostrargli questo mio lato, preferivo sfogarmi sulla mia migliore amica che, come da copione, veniva anche durante la notte a consolarmi e farmi smettere di piangere.
Ma poi era arrivata quella lettera, e puff! I miei piani erano saltati! Il mio cuore aveva fatto una capriola e nel mio stomaco avevo sentito un'esplosione di farfalle che non avevano smesso di svolazzare nemmeno per un istante. Ancora ora ero scossa, anche se non lo davo a vedere. Harry, oltre ad una bellissima persona, era altrettanto intelligente.
La voce metalicca che avvisava dell'imbarco del mio volo previsto a meno di cinque minuti attirò la nostra attenzione. Mi alzai di scatto e Meg fece lo stesso, abbracciandomi come solo una migliore amica sa fare.
Approfittai di quell'abbraccio un'ultima volta prima di subire undici ore di volo, qualche crisi isterica e magari un vicino scaccolatore, esploratore di nasi. Poi ci allontanammo.
"Auguri." mi augurò semplicemente, ammiccando.
La ringraziai e cominciai ad avviarmi al mio volo. Mi voltai un attimo prima di passare attraverso la porta che mi avrebbe divisa per chissà quanto tempo dalla mia amata Londra, ormai la mia città a tutti gli effetti, e notai Meg con una faccia rattristita, osservarmi.
La salutai un'ultima volta e seguii la fila per salire sull'aereo. Ero pronta a rivivere la storia della mia vita in un nuovo continente, ma pur sempre con Harry.
 
 
Inutile dire le lacrime che mi impedirono di parlare quando trovai Harry in camera di un albergo dormire come un bambino; inutile dire che gli saltai addosso e che lui rise, invece di insultarmi, quando mi vide. E non smise più di baciarmi.


 


 
Ehm, salve(?)

Ok, non chiedetemi cos'è questa... cosa! Non troverei
una spiegazione diversa dal 'Il mio ragazzo mi ispira molto'.
Ed è così: stanotte l'ho scritta in meno di due ore,
poi, questa mattina, l'ho sistemata tutte e PUFF! 
Sofia ha scritto una nuova os di cui non è felice cc

Scusatemi se siete arrivati fin qui e non vi è piaciuta.
Ci ho messo anima e cuore e tutto questo perchè
lunedì lui, il mio LUI, andrà di nuovo via per lavoro...
Beh, l'unica cosa positiva è che gli ho promesso
di andarlo a trovare al più presto possibile. Questo
spiega il finale che tutti si aspettavano e non 
il finale catastrofico che inizialmente avevo scritto :)

E poi, beh, ringrazio quei cinque coglioni che hanno
scritto/cantato una perfezione di canzone! Non sarebbe
stata nulla senza quelle semplici parole :3

Peace & Love e non uccidetemi <3

Sofia.
   
 
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