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Autore: Desperate Housewriter    01/11/2013    4 recensioni
«Oh, Bluette, perchè continui a voler dipingere un quadro che hai finito senza invece fare un passo indietro per poter finalmente vedere l'opera che hai creato con le tue stesse mani?»
[Questa storia si è classificata prima a parimerito al contest "La ragazza e... una maledizione" indetto da darllenwr].
Se non ti potessi vedere, ti sapresti disegnare?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questa storia ha l'onore di partecipare al contest "La ragazza e... la maledizione".
Nick su forum- Nessuno, Beverly Rose mi ha iscritto
Nick su EFP- Desperate Housewriter
Titolo- Trompe- L'œil
Genere- Generale, Fantasy
Rating- Verde
Note- Nessuna


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno la pazienza di leggere la storia fino alla fine.


A tutti coloro che amano farsi cullare dalle piacevoli fantasie,
ecco per voi una dolce ninna nanna che aiuterà a farvi addormentare.






Trompe-L'œil


*Il trompe-l'œil (dal francese "tromper": ingannare & "l'oeil": l'occhio), è una tecnica pittorica naturalistica che riproduce la realtà in modo tale da sembrare agli occhi dello spettatore illusione del reale.


« Mamma, io sono bella? » Chiese la bimba quasi come se si fosse dimenticata di quante volte gliel'avesse già chiesto ogni sera prima di andare a dormire e quante volte la mamma avesse risposto: « sì, tesoro, tu sei più bella del sole in pieno inverno. »
« Come sono, come sono? » Le richiedeva eccitata Bluette volendo qualcosa di più. Sapeva già a memoria ogni singola parola che sua madre le avrebbe sussurrato, ma alla bambina non importava. Ormai a Bluette non servivano più dolci ninna nanne o fiabe a lieto fine per farla addormentare serenamente, le bastava la calda voce di sua madre che le soffiava appena sull'orecchio. E allora la madre, rimboccandole le coperte e sbuffando allegramente come suo solito, le ripeteva: « hai gli occhi azzurri color cristallo, le labbra rosse e dolci quanto un cuore, il naso piccolo e sottile quanto l'ultimo vento di una tempesta. »
Al finire di questa frase Bluette sorridendo chiudeva gli occhi e la mamma spegneva la lampada e, dopo aver dato un ultimo bacio a sua figlia, si incamminava verso l'uscita.
« Puoi socchiudere la porta? » Rimurginava assonnata dopo Bluette come suo solito, non dava per scontato che dopo averlo ricordato alla madre innumerevoli volte quest'ultima lo facesse senza un promemoria della bambina.
« Certo, tesoro. » Le rispondeva la mamma eseguendo gli ordini del suo amore « Sogni d'oro. »
« Aspetta » la fermó Bluette, spezzando l'incantesimo della magica monotonia che si era creata in quella e in tutte le altre sere.
« C'è qualche problema? » Le chiese sorpresa la madre, non aspettandosi l'ultima richiesta della figlia.
« Quando eri piccola anche la nonna ti spiegava com'eri? » Domandò spontaneamente la bimba non volendo tenersi il dubbio per tutta la notte.
« Certo. Ora dormi. » Le rispose frettolosa la mamma, risocchiudendo la porta, non era più tranquilla come prima.
C'era molto che Bluette doveva sapere, ma non era ancora pronta.
Quiterrie si lasciò andare nel divano rosso, esausta ormai dai troppi segreti che doveva nascondere ad una povera innocente bambina di sei anni. Un giorno l'avrebbe scoperto da sola, crescendo, non poteva evitarlo.
Ma lo scopo di Quiterrie era lasciarla sognare il più che poteva, perchè quando si sarebbe svegliata avrebbe guardato il mondo non più con gli occhi color cristallo di un tempo.
A Bluette le era stata trasmessa una maledizione tramite eredità, o almeno era quello che avevano dedotto. Non si poteva guardare allo specchio. Davanti a quel materiale scompariva e di lei non restava più niente, né viso, né bocca, né naso, né luccichii di occhi dispiaciuti di una creatura minuta che ogni volta davanti a quell'oggetto si illudeva che per una volta sarebbe finalmente riuscita a vedersi. In foto diventava invisibile, come qualunque cosa che toccava o indossava.
Quiterrie non voleva far sentire la figlia diversa dagli altri, colpevolizzata da una punizione ancor più grande della coscienza di una bambina. Allora lei e suo marito Chretièn le avevano inculcato che era qualcosa di normale, da bambini, non vedersi allo specchio. E per far questo, l'avevano esclusa da ogni essere vivente inferiore ai quattordici anni. Studiava a casa e non poteva aver contatti neanche con i suoi cugini, questo era uno dei motivi per cui dalla Francia si erano trasferiti in Canada. Ma non era solo questo, il grande dilemma. Aveva trovato casualmente sul cassetto di un frigo una lettera che affermava che se al compimento dei sedici anni di Bluette lei si sarebbe dimostrata troppo vanitosa e inetta lo specchio non sarebbe stato l'unico a non raffigurarla, considerarla, ma anche la vita reale. Quiterrie sapeva perfettamente che cosa volesse dire quella frase scritta freneticamente e con un francese incerto, quasi come se chiunque l'avesse spedita avesse saputo svelare la formula magica che accedevano dritte al debole cuore della madre. Il padre, invece, si era dimostrato incerto anche dopo le mille volte che la moglie gli aveva ripetuto che Bluette di lì a pochi anni sarebbe potuta scomparire. Avevano deciso di darle una buona educazione e, un giorno, svelarle tutto ció che le avevano tenuto nascosto per così tanto tempo. Intanto si impegnavano a programmarle una vita religiosa, di fede verso qualcuno più in alto di loro, un modo per farla incamminare nella giusta strada del bene e allontanarla da sconforti e pregiudizi.
Chretièn e Quiterrie non facevano altro che colpevolizzare la strega, era ormai diventato l'unico modo per sollevarsi appena, un motivo di sfogo. Quella donna era diventata il loro capro espiatorio, era per loro rilassante disprezzare qualcuno con tutta la loro anima. Ma non si erano mai chiesti una sola volta, neanche per un millesimo di secondo o per il tempo necessario per ricacciare un pensiero in un posto lontano dalla loro coscienza, il motivo per cui la donna (strega probabilmente) avesse deciso di maledire la loro bambina. Chissà, forse se avessero conosciuto la sua storia avrebbero avuto quel minimo di apprensione che non le era stato mai concesso.


*


Roridula Sesamus non era una tipica strega. E questo suo comportamento disinteressato verso il mondo della magia nera, tenebrosa, rendeva la famiglia delusa a dir poco. Si poteva dire di certo che prima della nascita prevedevano delle qualità in lei sicuramente non trasmesse grazie ad un chiaro indizio: il modo in cui l'avevano chiamata. La piccola streghetta incapace non rendeva di certo onore al suo nome, era completamente l'opposto.
Roridula era il nome di una pianta carnivora e lei non lo era per nulla. Ironia della sorte, aveva deciso di diventare vegetariana, uno dei tanti motivi per cui faceva far scuotere la testa dei genitori più e più volte, fino a far venire il torcicollo ad entrambi. Sesamus invece era un fiore i cui semi venivano usati per l'alimentazione umana. Potevano essere sia neri che bianchi, ma la famiglia usava solo quelli neri perchè rendevano le brodaglie più dense e davano alla loro opera un tocco macabro di classe. Roridula avrebbe usato sicuramente quelli bianchi, più sofisticati e delicati.
Purtroppo la ragazza, per quanto ci provasse, non riusciva per nulla ad esaudire il suo desiderio. Ovvero, assomigliare alle "coetanee" carine che vedeva passare a volte lungo la strada più in là del parco abbandonato. Era orribile, parecchio grassa, con un nasone ben evidente e occhi scuri fuori dalle orbite. Ma Roridula non aveva perso le speranze, anzi, faceva di tutto per rendersi bella al massimo, fantasticava sui vestiti da mettere e sulle foglie da usare al posto dei trucchi. Ma appena sovarcava la soglia di casa ed il bosco lurido, le ragazze non sembravano apprezzare il suo gusto. Nessuno sembrava notarla.
In resa dei conti, deludeva i genitori e si rendeva ridicola davanti a quelle che deduceva amiche. E nonostante tutto, continuava a promettersi che un giorno si sarebbe trasformata in una bellissima fata, tanto da far invidiare ogni ragazza.
I suoi genitori Saulel Preuleur e Chirsantème paragonavano i suoi desideri a delle pozioni senza ingredienti, pure cianfrusaglie, ma questo era un pensiero scontato per chi possedeva sangue tenebro. L'essere bella non era certo un principio per una strega. Quest'ultima doveva pensare solo ad essere brava nelle materie che le erano state imposte fin dalla nascita ed essere profondamente malvagia.
Doti che a Roridula non erano state trasmesse di certo. In magia era un totale fiasco, troppo smemorata per ricordarsi le formule a memoria, troppo spensierata per essere cattiva, troppo bianca per essere nera. Era stata una completa persa di tempo per la sua famiglia (nonni, zii e parenti lontani) convincerla a metter le mani sulla bacchetta, per una buona volta. Roridula era così incapace in tutto... Indescrivibile. I suoi genitori la chiamavano sempre con entrambi i nomi, così da sottolineare la sua origine, l'etichetta che le era stata assegnata alla nascita e che non avrebbe dovuto staccare, mai. Avevano provato addirittura con degli incantesimi ma non avevano ottenuto mai nulla. Più e più volte si erano chiesti se per caso fosse anche lei vittima di un incantesimo o se alla sua nascita qualcuno avesse deciso di giocar loro lo scherzetto di scambiare la loro vera Roridula con un insignificante umana di città.
Il giorno dopo, freddo ventuno febbraio nella verde ma cupa Francia, ci sarebbe stata la solita gara di magia tra fratelli e cugini ma ormai tutti predevano a chi sarebbe stato assegnato l'ultimo posto in classifica. Lavender e Dedalus pregavano perchè si esercitasse ma Roridula aveva qualcos'altro per la testa.
Quello stesso giorno ci sarebbe stato un piccolo contest di scarabeo. Lei non aveva idea neanche di come si giocasse a quel gioco, ma la sua intenzione era sempre la solita: accecare tutti dalla sua ultraggiosa bellezza. Si era cucita di nascosto un vestito nell'ultimo mese, aveva cercato di imitare uno rosso che aveva indosso una modella in un cartello pubblicitario. Con l'acqua si sarebbe allungata le ciglia e con l'indelebile si sarebbe messa quella strana riga nera che andava così di moda per le ragazze della sua stessa età. Al posto dei tacchi avrebbe usato delle pantofole con un bastoncino saldo attaccato con lo scotch preso dal bosco. Non vedeva l'ora che il giorno dopo arrivasse, non stava più nella pelle.
Si alzò presto la mattina e balzò fuori dalla finestra, dopo essersi ovviamente ben curata da capo a piedi, perchè non era certo sua intenzione farsi scoprire. Cercò di camminare più dritta possibile lungo la strada, imitando le passanti che aveva visto. Nessuno si aggirava intorno alle strade, era molto presto ancora. Ma, in ogni caso, c'era molta strada da fare da lì al locale. Si fermò un attimo per guardarsi, era veramente splendida. Più bella di così non poteva essere, forse se i suoi genitori l'avessero vista in quel momento per una volta sarebbero stati orgogliosi di lei. Avrebbe finalmente fatto cambiar loro mentalità, imput di classi sociali, se così si potevano chiamare. Roridula si sedette per qualche secondo, stava per fare qualcosa che violava i regolamenti che aveva imposto a sè stessa. Non avrebbe più dovuto usare la magia, ma in quel momento si trovava in una situazione in cui ne era costretta. Non sapeva bene dove fosse il locale, ne aveva solo sentito parlare da alcune ragazze. Quindi non aveva altra scelta, si sarebbe dovuta trasportare dalla bacchetta, sua nemica ma allo stesso tempo salvatrice.
« Lo so che le mie richieste sembrano un po' pazze, ma portami a giocare scarabeo dalle ragazze » balbettò Roridula insicura, improvvisando una rima ridicola e assurda, due aggettivi che la descrivano un tempo, quel giorno non più: era finalmente cambiata.
Per un attimo prima dello scattante trasferimento da un posto all'altro si sentiva addosso una luce accecante. L'aveva sempre temuta, fin da piccola. Sembrava di perdere per un momento ogni forma di pensiero e, quindi, anche di vita. L'anima si colmava di vuoto, era sempre così con la magia. Tutt'ad un tratto, si trovò in un altro luogo. Potè percepire un leggero sottofondo di musica tranquilla, la stanza era luccicante e decorata. Un posto molto elegante per i suoi livelli, non era abituata a frequentare quel tipo di locali. Si giró un po' attorno prima di trovare le altre competitrici, quest'ultime al contrario di Roridula l'avevano addocchiata già da tempo. Le stavano rivolgendo un sorriso dal tavolo rotondo scambiandosi continui sguardi, Roridula avanzò ricambiandoli tutti. Non sapeva la vera origine di quelle loro espressioni, che cosa si trovasse sotto quei denti perfetti, non conosceva alla perfezione la crudeltà che si celava dietro quelle palesi maschere.

Capucine Mon Sucre era più strega di quanto sembrasse. Proveniva da una famiglia con una certa alta quota di soldi e li sperperava per comprare vestitini e trucchi. Il suo viso era angelicato, non c'era sguardo che non potesse catturare. Possedeva una bellezza classica indistinguibile: pelle chiara, occhi limpidi azzurri, labbra sottili, naso fine, capelli biondi lucenti. Era posata, delicata e sapeva come muoversi ma dall'educazione dei genitori non le era stato trasmesso qualcosa: la gentilezza.
Non conosceva neanche il nome delle ragazze che le stavano accanto, erano usate da lei solo come guardie del corpo, per farla risaltare di più. Lakisha aveva molti hobby: shopping, equitazione, farsi complimentare... Ma non c'era altro svago che amasse di più che spezzare i cuori altrui. Ci metteva pochi secondi, ma per la bionda le persone non erano altro che alberi da abbattere (malati o no), strappando tutte quante le loro radici con rapidità e lasciandoli spaesati, non più attaccati alla terra come una volta. Sentiva la necessità di far provare dolore agli altri, contava ogni lacrima che faceva versare perchè per lei erano simbolo di sottomissione alla più forte: chi se non lei? Purtroppo non poteva prevedere che un giorno avrebbe risentito di tutto questo perchè, si sa, tutte le piante a poco a poco sarebbero sparite e quindi a poco a poco Capucine sarebbe rimasta senza ossigeno. Avrebbe fatto loro compagnia morendo soffocata.
« Vieni, vieni! Siediti qui con noi. » Capucine incitò Roridula a venire e lei, ingenua com'era, non si accorse della trappola in cui stava per cascare e con gran piacere si avvicinò velocemente al tavolo delle ragazze.
Capucine le fece segno con la mano di accomodarsi vicino a lei ma, appena Roridula fece per sedersi questa le chiese con tono innocente: « Forse è meglio se ti metti un po' più lontano, sai, non vorrei prendermi qualche malattia... Dicono che la lebbra è contagiosissima. »
Roridula tacque ed eseguì quello che le era stato richiesto senza controbattere: preferiva starsene zitta che rovinare quello che sarebbe stato per lei il migliore giorno della sua vita. Erano tutte sempre così con Capucine. Per quanto si intuisse l'acidità nelle sue parole, nessuno riusciva a dirle nulla perchè il suo tono appariva sempre dolce e innocente.
« Chi vince questo round tra di noi andrà contro il vincitore di quel tavolo laggiù » ribadì Perenelle riferendosi più a Roridula che alle amiche.
« Che palle, basta con questa storia! Sei sempre così noiosa tu? »
Un altro punto a favore per Capucine: Perenelle rimase a subire mentre qualche risatina accompagnava l'umore spazientito di una ragazza stanca dai continui insulti di un'immatura.
« Allora, come ti chiami? » continuò Capucine rivolta alla new entry, che in quel momento aveva paura di essere interpellata perchè temeva che qualsiasi parola avesse pronunciato risultasse ridicola ad una ragazza che non capiva ancora essere più strega di quanto lo fosse lei.
« Roridula Sesamus » rispose cercando di sembrare il più sicura possibile, di fronte alla bionda si sentiva anche incerta dei propri nomi.
Altri sorrisi maliziosi si scambiarono tra le tre civette, mentre Perenelle cercava ansiosamente di guardare a lungo nel vuoto, voleva sembrare distratta in quel momento, voleva essere ingenua e non capire, voleva confondere il giusto dallo sbagliato. Era alla ricerca di qualsiasi scusa che sarebbe bastata a sfamare la sua inaccontentabile coscienza: un modo per scrollarsi dalle spalle i sensi di colpa.
« Il tuo nome ti dona. » Affermò Capucine, che per un attimo era rimasta alla ricerca delle parole adatte da usare come motosega.
D'altro canto la ragazza non aveva proprio tutti i torti. Roridula una pianta carnivora in un certo senso lo era perchè non sarebbe stata facile da tagliare. Chiunque ci avrebbe provato avrebbere rischiato di rimetterci qualche piuma.
« Oh, grazie. » Rispose la strega, che non aveva intravisto in quella frase una forma di disprezzo. Le due ragazze risero, Capucine sorrise in tono di sfida.
Sì, Roridula Sesamus non sarebbe stata una preda facile.
« Come fai di cognome? » tentò di nuovo.
« Come, scusa? »
« Forse hai qualche pulce sull'orecchio, può succedere » altre risate facevano da sottofondo al clima che si era creato, non era più necessario uscire fuori per vedere la nebbia, si poteva intravedere anche da quella stanza « dico, come fai di cognome? » Ed eccola lì, la domanda che Roridula non si sarebbe mai aspettata bussare alla porta. Ma se non avesse aperto quest'ultima, avrebbe fatto intuire che aveva qualcosa di cui si vergognava. Ma una bella ragazza non aveva niente di cui si potesse vergognare.
Iniziò a battere freneticamente le dita sul tavolo, svelargli il nome sarebbe equivalso a rovinarsi la reputazione che si era creata in quella giornata. Non poteva farlo, a meno che...
« Groca Bouch » le uscì dalla bocca prima che potesse rendersene conto, i muscoli che la facevano parlare erano sorpresi anch'essi delle azioni della strega.
Capucine tentò di vagare attorno ai ricordi della propria mente, conosceva tutti in città di cui si potesse spettegolare e quel cognome l'aveva sicuramente già sentito.
« Groca Bouch... » borbottò, non le era nuovo.
« Sono i "grosse caboche" » le suggerì piano Celestine alla sua destra, usando il soprannome con cui descrivevano quella strana famiglia (grosse zucche).
« Capucine ora basta. » si fece coraggio Perenelle che nel capire l'origine della famiglia aveva preveduto quello che stava per succedere, ma la sua richiesta fu ignorata.
« Vivete in quel rottamaio antico viola, non siete voi che avete rubato il posto agli zingari? »
Roridula Seamus Groca Bouch non amava la sua famiglia, non aveva con loro stretto un forte legame e si dimostrava sempre distaccata nei loro confronti. Lei lasciava che gli altri la insultassero, la prendessero in giro, la provocassero... Ma se c'era qualcosa che non permetteva era che qualcuno criticasse la sua famiglia. Per un attimo la strega si era svegliata, aveva capito in che trappola stesse per cascare, ma rapita dalla stanchezza che le aveva fatto suscitare quell'incantatrice di Capucine aveva deciso comunque di proseguire con il dormire, anche se i sogni sarebbero stati poco piacevoli poco importava.
« È lo so... È la mia famiglia che non si decide a- »

« Capucine la vuoi piantare?! » la interruppe Perenelle. Nessuno le aveva regalato mai molto spazio, fin dalla nascita. Credeva che imparando a diventare una brava ragazza, cercando di essere sempre ragionevole, generosa, altruista e beneducata, qualcuno poi un giorno l'avrebbe notata. Ma Perenelle Maldès non si sarebbe mai aspettata che per la prima volta in cui tutta l'attenzione fosse rivolta a lei fosse grazie alla sua esasperazione, alla sua sfacciataggine e alle osservazioni che non avrebbe mai dovuto fare ad una coetanea che avrebbe dovuto essere peccatrice quanto lei.
« Che hai detto? » Capucine corrugò la fronte guardando per la prima volta una persona negli occhi. Stava assaporando con la lingua il suo lucidalabbra alla fragola, Perenelle non avrebbe fatto una fine gloriosa, non l'avrebbe mai permesso nè a lei nè a nessun altro. La timida ragazza riuscì a sostenere quello sguardo, gli occhi di entrambe pronunciavano l'innocenza e la colpevolezza allo stesso tempo, si sentivano entrambe complici di un omicidio senza vittima. Ma l'espressione di Capucine suggeriva anche qualcos'altro che Perenelle aveva inteso al volo: "non provare a sfidarmi". Ma furono queste quattro parole a stuzzicarla ad andare avanti, a darle l'adrenalina giusta per fare il secondo giro nelle montagne russe. Solo che questa volta ci avrebbe trascinato a forza anche la biondina.
« Hai anche tu qualche pulce nell'orecchio? Forse sei sorda fin dalla nascita. Ti faccio un breve riassunto di ció che sei, Capucine: un'egocentrica immatura e stupida bambina viziata. Come fai a non capire che stai ferendo i sentimenti delle persone? Noi non siamo tue schiave, forse non l'hai capito bene. Sei tu la schiava del tuo egocentrismo. Lascia stare Roridula perchè un giorno sono sicura che in qualche modo pagherai tutto questo, ti conviene fermarti ora. »
Tutte si voltarono a guardare Capucine, in attesa di una sua risposta. Non c'era nessuno in quel tavolo che potesse intravedere la reazione della bionda. Restava fisso nel suo volto, quasi come se fosse stato appeso con un chiodo, il suo sorriso. Capucine e Roridula avevano qualcosa in comune.
« Vedi, Perenelle... » iniziò lei, per niente insicura delle sue azione al contrario di come l'avevano immaginata le quattro ragazze sedute attorno a quel tavolo. « Anche io ti riassumerò la mia risposta in poche domande. Tu credi che avendo ora fatto l'eroina io possa cambiare, scusandoti magari e dandoti un abbraccio? E questo volere non è egocentrismo? Vedi, potrei essere anche una bambina viziata come dici tu, un'immatura... Ma se la gente pensa questo di me allora perchè dà così tanto peso alle mie critiche? Il fatto è che quello che ti fa star male non è il modo in cui critico le persone, ma il concetto che la gente preferisca essere mia schiava che essere guidata da te. Mi sbaglio? »
« Sì che ti sbagli, hai torto eccome! »
« Allora perchè stai piangendo? » Perenelle si toccó le sue guance e se le sentì umide e calde, non poteva crederci: i suoi occhi stavano buttando fuori lacrime.

Colètte e Dauphine, le braccia destre di Capucine, stavano facendo il tifo per Perenelle dentro di loro e quest'ultima l'aveva intuito. Infatti scambiava loro continui sguardi, le stava pregando di aggregarsi a lei, di formare una squadra. Ma c'era qualcosa che le faceva rimanere incollate a quella sedia, non riuscivano ad esprimere ciò che pensavano. Erano come sotto ad una maledizione.
Perenelle si guardò attorno confusa, che diavolo le era saltato per la testa? Guardò Colètte, poi Dauphine e poi Capucine. Dalla sua bocca non riusciva ad uscire una sola sillaba. Di scatto, non avendo altra scelta, scappò dal locale di fretta. Non le avrebbe mai potute più vedere. D'un tratto anche Roridula provava gli stessi sentimenti di Perenelle, voleva fuggire, correre lontano. Ma si sentiva anche come Dauphine e Colètte, legate da un misterioso sentimento che serviva a Capucine come catena.
« Dio che perdente » proclamò Capucine felice di essersi sbarazzata dell'avversaria « era una noia mortale, non è vero ragazze? »
« Già. » Affermarono all'unisono le due, ancora distratte dalla scomparsa dell'amica.
« Bene, possiamo iniziare a giocare. » Decise strofinandosi le mani, avrebbe giocato a diverse attività contemporaneamente.
« Aspetta... Lei non sa le nuove regole. » Si ricordò la bionda rivolta a Dauphine, incaricandola con lo sguardo a spiegare il tutto alla nuova arrivata.
« Capucine ha fatto cambiare al locale qualche dettaglio sul gioco, le sembrava troppo noioso. Le lettere a disposizione non sono otto, ma undici. In più, non devi per forza intersecare la tua parola con la precedente, puoi tranquillamente inserirla dove vuoi. »
« Perfetto. » Mugugnò Roridula, che non aveva ancora capito di che accidenti stesse parlando.
« Partiamo in ordine alfabetico. La prima sono io, quindi. » La bionda fece scuotere i dadi nella scatola, poi li lasciò cadere tutti e otto nel tavolo. Dauphine girò la clessidra e Capucine guardò attentamente le lettere, cercando di formare una parola. Intanto Roridula la scrutava attentamente nella speranza di capire almeno il regolamento del gioco.
« E, enne, ti, i, erre, ci, e, di, u, ti, u » sussurrò aspramente a se stessa battendo le sue fragili dita sul tavolo lussuoso tentando di concentrarsi.
Tutti gli occhi del tavolo erano a sè, Colètte e Dauphine desideravano immensamente l'arrivo di un suo minimo errore, una qualsiasi traccia. Purtroppo alla bionda non era accaduto di commettere niente di simile e mai le sarebbe successo.
« Incertitude. » pronunciò chiaramente dando bruscamente un anticipo a quella che sarebbe stata la sua vittoria ormai scontata. Mise cautamente le lettere al centro del tabellone in senso orizzontale e consegnò tutto a Colètte, che era leggermente in ansia.
« Tieni, Colètte, ora tocca a te. »
Colètte scosse anch'essa la scatola e lasciò cadere le pedine, Capucine rubò la clessidra dalle mani di Dauphine e la girò.
La timida guardò spazientita le sue lettere cercando di formare una parola più lunga di quella di Capucine.

A, E, F, I, L, Q, R, T, T, U, V

« Dieci secondi » l'avvertì l'abbattitrice ancora più soddisfatta della partita.
Sbuffando Colètte incastrò verticalmente la parola "lutte" sul tabellone.
« Un po' cortina... » commentò di nuovo Capucine, ma Colètte non fece altro che abbassare la testa.
« E ora Dauphine ci stupirà, spero. »
La ragazza sorrise e decisa afferrò la scatola estraendone le lettere che avrebbe dovuto usare. Ma la sua decisione a vincere svanì ai primi istanti nonappena diede il primo sguardo alla combinamento di cui lei stessa era artefice.

B, E, G, I, L, L, R, S, T, U, Z
     
Dauphine ormai esasperata, posizionò verticalmente l'unica parola che era riuscita a formare in quei sessanta secondi: "bruit".

« Incredibile, abbiamo scelto delle parole che rispecchiano esattamente voi tre oche. "Incertitudine", infatti non sapreste neanche muovervi senza di me. Poi c'è "lotta", quella che dovrò fare io per farvi apparire belle. E infine "rumour", credetemi, c'è tanto da gossippare su di voi, in particolare per la nostra nuova arrivata. »
E di nuovo risatine accompagnate dall'incredulità e la confusione che sormontava Roridula, che non riusciva a capire la reazione delle due. Sembrava che niente potesse ferirle, ormai.
« Rori, tocca a te. »
La strega afferrò le lettere, cercando di ricordare i pochi passi che aveva intuito del gioco. Prima di gettarle, si fermò a guardare il tabellone.

                       L
             B       U
I N C E R T I T U D E
             U       T
              I       E
             T   

Poi, fece un lungo respiro e le gettò goffamente.

A, E, H, I, I, M, O, P, R, Q, T

« E' una bella giornata oggi, non trovate? » chiese Capucine, voleva sconcentrarla.
« Perchè non rispondete? Sono sicura che a Roridula non serve silenzio, è abituata al caos. »
Roridula tentò di focalizzarsi, ma non ci riusciva. Non era il continuo borbottare dell'abbattitrice a causarle fastidio, ma i pensieri della giornata. Capucine stava cercando di umiliare lei e le altre e la strega glielo stava permettendo. Stava diventando schiava delle sue stesse parole. E mentre parlava, parlava e parlava nella strega si scatenò un'ondata di calore. Era ira. Ira per i suoi genitori che non le regalavano quel po' di fiducia che avrebbe necessitato, ira per sè stessa che era diventata così superficiale e senza una dote e ira per Capucine che non faceva altro che rinfacciarglielo.
« Rori, non ti vedo molto concentrata, hai trenta secondi. »
Le serviva una lettera, una lettera per formare quella parola.
Ma d'altronde era una strega.
« Le lettere tu scambierai e la verità anni dopo eseguirai. » Pronunciò acida come solo una persona malvagia sapeva fare.
Ed infatti le lettere d'un tratto s'invertirono tutte, anche quelle del tabellone. Capucine la guardò incredula, l'aveva sentita. Posizionò dopo anche lei verticalmente i dadi truccati, vittime di incantesimi apparentemente così innoqui. I suoi genitori sarebbero stati orgogliosi, questa volta per davvero.
I ruoli di Roridula e di Capucine si invertirono, quasi come se anche loro fossero state stregate. Il sorriso malizioso di Capucine sparì ed andò a posizionarsi sul viso della strega e gli occhi di chi non può controbattere apparsero alla bionda subito dopo essersi tolti dalla compare che gli aveva tanto usati.
Capucine era l'unica oltre a Roridula ad aver capito tutto.
«Ma non hai vinto. » Disse disperata, accorgendosi che nel bene o nel male aveva comunque vinto la partita.
« Ho vinto, credimi. »
Capucine guardò il tabellone e spaventata lesse di nuovo tutte le parole, impostando un ordine ai suoi pensieri.

                                  V
                                  O
                           M    T    
               B          A    R
P R O G E N I T U R E
               L          D
               L           I
               E           T


Maudit votre belle progeniture.
Maledette le tue belle discendenti.
Capucine era ormai certa.
Era una maledizione.


*


« Lo sai che odio l'hockey, Samson » disse la ragazza con il telefono afferrato con la mano destra mentre con la mano sinistra si staccava violentemente i pochi peli che le erano rimasti sulle gambe.
« Dove vuoi che sia, Sam, sono a casa. Chemainus, Vancouver Island, British Columbia, Canada, Nord America, Mondo, Universo per la precisione. » Sospirò e prese la crema dal comodino, spalmandosela nei piedi.
« Sto pitturando, posso dare fuoco alla casa solo nel mondo dei disegni, purtroppo. »
Si massaggiò le dita freneticamente, era nervosa.
« Il fatto che io sia mancina e che mi piaccia il giallo come colore non vuol dire che disegni solamente quando sono stressata. »
Guardò le sue mani e le spostò subito verso le caviglie, rilassando anche quelle con la stessa procedura frettolosa.
« Non mi sto massaggiando i piedi, te l'ho detto, sto pitturando. » Spostò leggermente lo sguardo verso il quadro che doveva ancora iniziare, chissà che cosa le sarebbe venuto in mente questa volta.
« In discoteca a far che, il ballo della gallina? »
Passò poi a massaggiarsi le cosce un po' infreddolite, avevano risentito dal gelo della sera precedente.
« Non sono asociale Sam, dico solo che conosco gli idioti che la frequentano e sinceramente non vorrei passare la mia ultima- » si interrusse per un attimo, ma il ragazzo la rifece cominciare « è la terza volta che mi chiami in questa giornata, perchè me lo continuate a chiedere? Non sono nervosa! Domani sarà un giorno come un altro. Farò colazione, pitturerò e poi magari andrò a comprare qualche regalino per Natale. »
Si sdraiò completamente cercando di zittirlo.
« Stasera non ti risponderò. Ci vediamo fra qualche giorno. Niente commedie strappalacrime, ti prego. A... Fra un po'. »
Concluse chiudendo il telefono, finalmente felice di essersi tolta un peso.
« Dovresti dargli un'occasione a quel povero ragazzo, Bluette. »
« Mamma, lo sai che non lo reggo. Va bene le Domeniche a pranzo, le cene di Natale e Pasqua e le vacanze in Francia insieme ma ora se devo farmi anche vedere in giro con lui... » rispose la ragazza alla madre, che aveva ascoltato tutta la loro conversazione dalla cucina.
« Non vedo che cos'ha di male quel ragazzo, infondo ha la tua età. E ricorda che è lui che ti ha aiutato, se non fosse per lui non avresti ora tutti i ragazzi che ti ronzano intorno, saresti sempre chiusa in casa ed esiliata dagli altri, per colpa nostra. »
« Lo so, mamma, lo so. » Mormorò Bluette, nella speranza di cambiare argomento.
« Avevate sette anni e lui si era appena trasferito. Ricordo ancora che- »
« Non serve che me lo racconti per la millesima volta, mamma, lo so. »
La interruppe la figlia.
« Ricordo ancora che ci continuava a suonare il campanello per venire a giocare con te » Quiterrie ignorò la figlia e proseguì con la sua storia « ma io continuavo ad inventarmi scuse. Dicevo che eri ammalata, o che eri stanca o che avevi troppi compiti da fare. E lui allora ha attaccato un cerotto al citofono e ci ha urlato "tanto lo so che sono tutte scuse!" » la madre rise come al suo solito « e da allora ho capito che non avremmo potuto esiliarti da tutti in questo modo brutale, ti abbiamo lasciato scoprire la verità. Infatti, come prevedevamo, è stato lui a fartelo scoprire. »
« Senti mamma, io esco. »
« Ma come, non dovevi pitturare? »
« Non mi va più. » Bluette voleva uscire, un po' d'aria le avrebbe fatto bene, non ce la faceva più a stare rinchiusa nella monotonia che la aveva creato la madre credendo di confortarla e neanche dall'avvicinamento troppo caloroso di Samson.
« Avrei voluto passare l'ult- » la madre si interruppe da sè, non era giusto prevederlo in anticipo.
« Perchè sembrate tutti convinti di ciò che accadrà domani? » chiese Bluette ad alta voce alzando le braccia, c'erano ancora delle speranze.
« Io non ne sono convinta. » balbettò Quiterrie, che non voleva mettersi contro la figlia proprio quella serata.
« Ci credo ben poco, mamma. Non fai altro che chiedermi se io sia nervosa, che cosa provi, cerchi di tranquillizzarmi. Che cosa ti fa credere che domani accadrà? »
« Beh, Bluette, siamo sincere... Il tuo comportamento è cambiato in questi ultimi anni. Non fai altro che depilarti e usi la tua bellezza quasi come un'arma. Chiedi i favori ai ragazzi e poi spezzi i loro cuori. Non hai amiche perchè ti credi superiore... Insomma... » Quiterrie era in crisi, non voleva spaventare la figlia, ma una risposta era ciò che Bluette voleva.
« Credi che io sia vanitosa? » chiese Bluette incredula, non pensava che sua madre sarebbe arrivata a pensare questo del suo amore, ai suoi occhi azzurri color cristallo.
« No... E' che... » sospirò la madre, Bluette bofonchiò un « non ho parole » e prese il giubbotto, dopo aprì la porta per andarsene.
« Aspetta, tesoro, domani non succederà niente. Te lo posso assicurare! » urlò la madre, nel tentativo di bloccarla.
« Lo so già di mio, mamma, non serve che tu me lo ricorda. » Bluette fece per sbattere la porta, ma il piede di sua madre glielo impedì.
« Ehi, non voglio litigare proprio l'ultim- »
« Non serve che ti interrompi, so che cosa stavi tentando di dire. Non vuoi litigare con me l'ultima sera? Beh, spiacente, desiderio non esaudito!»
E con questo chiuse finalmente il portone e con passo veloce iniziò a camminare.
Doveva ritornare in quel posto per l'ultima volta.
Il giorno dopo sarebbe scomparsa.


Era sera a Chemainus, era ormai inutile dire che il ventidue dicembre in Canada non nevicasse perchè nessuno ci avrebbe creduto. Oltre alla neve, si era aggiunto anche un vento che avrebbe fatto gelare i piedi a chiunque, anche ai paesani del paesino che erano attrezzati con scarponi a prova di freddo.
Ma questo non sembrava scoraggiare Bluette, che se ne stava impalata davanti al "Trompe l'oeil (fools the eye) mural on the Chemainus side wall", come l'avevano chiamato i giornali locali appena era stato costruito nel duemilanove. Non era altro che un cartello davanti ad un teatro per dare un omaggio ad Emily Carr, donna che Bluette stimava con tutta sè stessa.
Fece un profondo respiro e diede il libero accesso ai suoi pensieri, che tanto l'avevano scongiurata di sparpagliarsi nella sua testa.
Bluette non sapeva di essere bella. Per questo curava così tanto il suo fisico, voleva avere la certezza che almeno qualcosa di lei fosse perfetto. Ma le avevano assicurato talmente tante volte quanto fosse carina che ormai amava sentirselo dire.
Il non vedersi allo specchio sarebbe potuto sembrare qualcosa d'insignificante ma per Bluette era una vera e propria tortura non conoscere il proprio volto. Poteva solo stentare a fantasticare, a volte analizzandosi il viso con le dita, altre chiedendo pareri anche alle persone a lei più estranee, altre sognando. Sì, sognando. Le era capitato molte volte nei sogni di poter finalmente vedersi allo specchio, ma anzichè provar gioia in quel momento sentiva paura e si svegliava con il cuore che batteva a mille.
« Bluette. » Qualcuno pronunciò il suo nome da dietro, lei si girò di scatto.
« Samson... » rispose annoiata, non poteva stare in pace nemmeno in quel posto.
« Ti ho portato una birra. » Tentò lui, cercando di allegrarle l'umore in qualche modo.
« Tu che mi porti una birra? » Rise, per un attimo « Allora siamo in gravi condizioni. Come sai che sono qui? »
« Tua madre mi ha detto della vostra litigata. E tu sei sempre qui quando succede qualcosa. »
Samson aveva proprio ragione, quello era l'unico posto che riusciva a tranquillizzarla. E non sembrava essere l'unico ad averlo capito, capitava spesso che i ragazzi allungassero la strada verso casa o ci passassero con la macchina nella speranza di trovarla.
« Comunque odio la birra, è acqua frizzante amara. »
« Perchè, l'hai mai assaggiata? »
« Una volta me la fece assaggiare mio padre, da piccola. »
« E' passato molto tempo, Bluette. »
« Non si potrebbe nemmeno! »
« In onore dei tuoi sedici anni faremo un'eccezione. »
« E va bene, dammi qui. » disse sorridendo « ma solo un pochino. »
Samson la guardò attentamente mentre cercava di assaggiare il primo piccolo sorso di birra e Bluette sembrò accorgersene e per questo si fermò.
« Non è che ci hai messo un tranquillante, o un riappaccificatore? » scherzò lei.
« Ma va, bevi! »
Bluette ne bevve un sorso e cercò di esprimere il giusto giudizio da dare a quello che aveva appena assaggiato.
« Com'è, com'è? »
« Meglio di quanto ricordassi » ammise Bluette.
« Lo vedi? » esclamò sorridendo.
« Samson Pillton che mi scongiura di assaggiare una birra, questo non la scordo. »
Sam rise, felice di esser riuscito a riportare tra loro due finalmente un'atmosfera diversa dal solito.
« C'è qualcosa che mi devi dire, però. »
« Che cosa? »
« Voglio sapere perchè vieni sempre davanti a questo cartello di un quadro. »
« Perchè so apprezzare l'arte. » Rispose senza pensarci.
« Sono convinto ci sia di più. » Tentò di darle una pacca sulla spalla, ma lei si ritrasse prima che potesse farlo.
« Che vuoi dire? »
« Ci sono tante cose che apprezziamo nel mondo, ma non andiamo a far loro visita quotidianamente. »
« Io ho avuto la fortuna di trovare ciò che amo davanti a casa mia, tutto qui. » affermò bevendo un altro sorso.
« Tutto qui? »
« Già. Vedi, Sam, il destino ha scelto al posto mio. Non è solo il non vedermi allo specchio l'incantesimo, ma tutta la mia vita. Se non fosse per l'incantesimo, forse sarei diversa di carattere. E se fossi diversa di carattere, avrei potuto fare grandi cose. »
« Tu hai già fatto grandi cose. »
« Cioè? Non ho amici, non ho sogni e sono riuscita a litigare con mia madre l'ultimo giorno della mia vita. »
« Questo non è l'ultimo giorno della tua vita, Bluette... »
« Andiamo, puoi dirmelo ormai. Sei stato tu a farmi svegliare da piccola dicendomi quanto fossi diversa e ora devi essere tu a farmi addormentare, ti prego, sono stanca. »
Ormai lo stava scongiurando, lo stava pregando perchè voleva che gli dicesse che di lì a poco sarebbe morta.
« Ti stai atteggiando esattamente come da piccola, quando volevi che ti dicessi quanto fossi bella. »
« Io sono bella, Sam? Perchè se è vero che lo sono, significa che è vero che morirò. »
« Forse hai esagerato con la birra, quello che stai dicendo non ha senso! »
« Io sono bella, Sam? » gli ripetè lei a fior di labbra, pronunciando accuratamente parola per parola, voleva essere chiara.
Sam era confuso, non sapeva dove lei volesse arrivare.
« Rispondimi. » gli ordinò, piangendo.
« L'incantesimo avrà potuto influenzare sul tuo carattere e sul percorso della tua vita. Ma tu saresti stata bella comunque. »
Sam non sembrò aver accontentato Bluette, che si allontanò da lui.
« Che stupida a perdermi dietro a queste stupidaggini e poi con te, scusa, non so che mi è preso. Sai che ti dico? » Bluette attraversò la strada, ma si fermò a metà.
« Bluette che stai facendo? »
« Anticiperò le cose. Per una volta sarò io a decidere e non l'incantesimo. Lo fregherò, morirò prima del tempo. »
Samson non riusciva a capire se fosse l'alcohol a parlare, il suo dolore oppure lei. Non sembrava comunque molto convinta di questa sua decisione impulsiva e immatura.
« Non essere ridicola, Bluette, torna qui! »
« Come vuoi che muoia? Sono pronta! » Urló la ragazza guardando in alto « Che cosa avevi programmato? Di farmi morire di gelo? Di sonno? Sotto la doccia? Beh, ora decido io. Morirò investita! »
« Chi vuoi che ti investa, Blue! Passa una macchina ogni dieci minuti e non più di sei allora, con questa neve! » scherzò Samson avanzando verso di lei, voleva farle capire quanto tutto fosse assurdo.
« Rimedierà la nostra strega, non è vero? »
Una macchina avanzò e Bluette non si mosse. Naturalmente, la sua velocità era troppo scarsa per far sì che il capriccio della ragazza si esaudisse ma Samson cercó comunque di tirarla via dal mezzo.
« Andiamo, accellera! » pregò Bluette rivolta più alla strega che alla macchina ignorando le suppliche di Sam mentre la tirava per un braccio.
« Bluette, c'è una cosa che devo dirti. »
« Accidenti, non rallentare! » sussultó la ragazza vedendo il veicolo fermarsi « Mi sei venuta a prendere, strega? »
Bluette scrutò attentamente la figura cupa, ma non riuscì a capire chi fosse.
Dopo essere uscita, iniziò a parlare ad alta voce: « Sapevo che un giorno avresti voluto uscire con me, ma non avrei mai immaginato che pur di farlo ti saresti fatta notare in questo modo. »
« Tremblay » sputò la ragazza annoiata, riconoscendo la voce.
« Ci conosciamo da anni, puoi chiamarmi Glass una volta tanto. »
« Che ci fai qui? »
« Oppure per intero, Douglass. Che dici? » ammiccò lui.
« Perchè sei venuto? »
« Ti sta ancora addosso il tombino? » Disse guardando Samson schifato « Se vuoi ci penso io, a mandarlo via. »
« No, grazie. Che vuoi? »
« Tu. Io. Teatro. Festa. » Soffió lui, quasi come se non si aspettasse una risposta dell'amica, doveva venirci e basta.
« Lo sai che odio il modo in cui mi proponi le cose. Per cominciare, una frase per reggere ha bisogno di un verbo. Secondo, no grazie. »
Rispose in tono acido la ragazza, ormai stanca di dovere sempre ripetere questa frase.
« Non fai altro che dire “no grazie”, “no grazie”, “no grazie”. Dio, sei così rigida. »
A quell'ultimo aggettivo Bluette si irrigidì ancor di più, rendendosi conto di quanto Tremblay avesse ragione. Forse i suoi piani per quella serata dovevano cambiare, doveva godersi quella serata al massimo. E, per la prima volta in vita sua, ebbe l'onore di pronunciare un « Sai che ti dico? Al diavolo! Vengo. »
« Che cosa? » Gridò Douglass confuso, che si aspettava di andare alla festa con qualcun altra.
« Non fartelo ripetere due volte, Glass. »
A quelle parole Douglass aprì subito la portiera e lasció entrare Bluette.
« Aspetta, Bluette. Ti devo dire una cosa, è importante. » La pregò Samson, che era rimasto lì ad ascoltarli per tutto quel tempo.
« Non hai sentito, tombino? La ragazza stasera è impegnata, sarà per la prossima volta. Fatti largo. »
E dopo aver detto questo Douglass accese il motore e partì, anche se non molto lontano, il teatro era due metri più in là.
« Non ti pentirai di essere venuta, ragazza. Ci puoi giurare. »


« La prossima volta, però, cambia abbigliamento. Qui vengono più svestite! » gridò Samson salterellando con un braccio verso l'alto.
Il teatro era stato completamente trasformato in una discoteca, la musica era a volumi elevati e i ragazzi in pista erano più di una quarantina.
E questo a Bluette non sembrava dar fastidio. Proprio lei, la ragazza che aveva odiato fin dal principio questa forma di svago, la ragazza che si metteva il cuscino sulla testa dal nerovismo per il baccano di alcune sere, la ragazza che evitava ogni forma di interessamento nei suoi confronti da parte di chiunque, la ragazza che perdeva tempo a fissare un quadro che conosceva a memoria, la ragazza che aveva sprecato i migliori anni della sua vita.
« Come ti senti, Bluette? » Le chiese Gary, che aveva appena conosciuto tra un salto e l'altro.
Bluette ci pensò per qualche momento. Avrebbe voluto dire "bene",  ma non era esattamente ciò che provava. Si guardò per un attimo, unita alla massa, spiaccicata dalle troppe persone in quel palco. Era in cerca della parola adatta per descriverla al meglio in quel momento. Quella serata l'aveva fatta cambiare. Sentiva di poter apparire e scomparire,  decidere se mostrare luce o ombra, scegliere se coprirsi con un guscio di lumaca o tartaruga, conoscere la quantità di adrenalina che aveva in corpo.
« Mi sento potente. »
Decise poi e il suo amico non sembró dare il giusto peso a quell'accurata risposta, non poteva capire. Non era a conoscenza di quanto si fosse sentita una marionetta, intrappolata da una mano che decideva al posto suo che fare, come sentirsi, come comportarsi. Non immaginava quanto lei fosse cambiata.
« E ti piace? » Le chiese di nuovo.
« Sicuro. » Certo che le piaceva, adorava quella novità nel suo stato d'animo. Poteva percepire che anche la voce e il tono erano cambiati in lei, più rilassati, simili a quelli delle altre ragazze. Anche il suo corpo era del tutto differente, non più teso, ma del tutto flessibile.
« Lo sai che ti farebbe far sentire ancor più potente? » Le bisbigliò all'orecchio in tono malizioso, in modo da rendere tutto più misterioso.
« Che cosa? » rispose impaziente, volendo un chiarimento.
« Apri la bocca » le sussurrò lui ancor più piano nonostante l'alto volume nell'atmosfera. E lei l'aprì, voleva fidarsi, voleva dimostrare anche agli altri questo suo cambiamento, avrebbe voluto vantarsene, gridarlo al mondo intero.
Chiuse al bocca appena sentì il ragazzo infilarle dentro qualcosa, simile ad una medicina.
« Brava, ora manda giù. » Lei gli diede retta, non aveva avuto neanche un minimo ripensamento sul nuovo amico nè su quello che aveva appena deglutito.
Ma Gary aveva ragione, si sentiva ancor meglio. Niente aveva più esistenza per lei, non c'era alcuna differenza che potesse intravedere, non c'era più distinzione tra il giorno e la notte, il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, il caldo e il freddo, le favole e le fiabe, la testa e il corpo, la felicità e la tristezza. Era finalmente come i genitori avevano desiderato che fosse, lontana dagli sconforti e i pregiudizi. Tutto era svanito, le persone e il teatro stesso, la musica, il cartello, la sua casa, la sua famiglia, il suo corpo. Rimaneva solo la sua anima a ballare senza tempo, senza regole, senza passi. Potè vedere solo gli occhi di una voce che aveva pronunciato il suo nome, poi un tonfo.
E poi nulla.


« C'è qualcuno? »
Bluette era disperata. Per un attimo era riuscita a diventare una bolla di sapone, era scappata dalle mani che la intrappolavano e aveva spiccato il volo. Che cos'era successo? Forse era semplicemente scoppiata. Poteva permettersi di vivere rinchiusa in un barattolo, ma uscendo si era giocata la sua stessa vita senza essere a conoscenza del pericolo dell'aria.
Era stata la strega a soffiare? Era stata lei a spingerla via con un semplice respiro? Era questa la fine che aveva programmato per il suo giocattolo?
Dunque Bluette non aveva preso una decisione neanche per quell'ultima sera, tutto era già programmato, era destino. Lei pur non sapendolo aveva seguito i piani, era cascata nella trappola.
In quel momento non vedeva altro che bianco, i suoi occhi imploravano di vedere un qualsiasi colore. Probabilmente le piaceva dipingere per questo, per eliminare quel vuoto, quella netraulità. Camminava sul niente, ogni passo equivaleva per lei ad una caduta da un elicottero senza paracadute. Eppure era libera.
« Ciao Bluette. »
Una figura si espanse piano dal nulla ma la ragazza non si spaventò, attendeva con ansia la visita di qualcuno.
« Sei tu la strega? » Chiese, nella sua voce non si poteva identificare neanche un minimo di rabbia, ma solo curiosità di rubare uno sguardo a chi l'aveva osservata per molto tempo.
« Semmai uno stregone. » Soffiò avanzando verso di lei facendosi vedere dalla ragazza completamente. Bluette scrutò attentamente i suoi occhi, lui la conosceva già.
« Non avrei mai immaginato fossi maschio. »
La ragazza aveva tante domande per la testa, ma quella frase fu tutto quello che riuscì ad esprimere all'istante.
« Sono maschio, ma non stregone. »
Affermò lui, mettendo in confusione ancor di più Bluette. Non poteva capire.
« Chi sei? »
Balbettò a fatica, scrutandolo ancor di più.
« Si può essere così elastici nella vita. Cambiamo sempre identità a seconda della persona che ci troviamo davanti. Non trovi, Blu? »
Rispose saggiamente lui, che non voleva mettere a tacere le mille domande che vagavano per la mente di Bluette.
« Chi sei tu per me, allora? » sussurrò la ragazza, desiderando almeno una risposta.
« Incredibile quanto le somigli » bisbigliò l'uomo tra sè e sè.
« Somiglio a chi? »
« Domanda da un milione di dollari, Miss Canabière » rispose lui aggrottando le ciglia.
Aveva notato quanto egli mettesse confusione alla ragazza ma crear dubbi era il suo svago, d'altro canto nemmeno lui era certo delle sue ipotesi.
« E' come se fossi un miscuglio tra le tre. Sei innocente quanto Perenelle, insicura quanto Roridula, vispa quanto Capucine. »
« Conoscevi Capucine? » chiese Bluette sorpresa, sapendo benissimo che si trattava della sua antenata.
« Diciamo di sì, » rispose quest'ultimo pensandoci, quasi ridendo « sai chi è? »
« Certo, è la mia antenata. Una strega l'ha maledetta ingiustamente e ora... Eccomi qua » rispose di scatto la ragazza conoscendo a memoria quella breve storiella che i genitori tanto le avevano raccontato.
L'uomo si limitò a scuotere la testa sogghignando in modo forzato, mettendo la ragazza ancora più insicurezza.
« Sei la mia guida spirituale? » Chiese lei, tentando almeno di iniziare a capire ciò che era principale.
« Io sono Coffie, niente di più. » Rispose a bassa voce.
L'atmosfera nel luogo che possedeva una definizione quasi inesistente, impossibile, si faceva sempre più cupa. Coffie era occupato a scrutarla e Bluette a cercare inutilmente di risolvare quel grande enigma che era la sua vita.
« Ho capito tutto » annunciò il vecchio mordendosi il labbro, non sapendo minimamente in che modo far comprendere il tutto anche alla giovane.
Bluette stette in silenzio in attesa di qualche altra sua parola, spiegazione, nella paura che le sue domande l'avrebbero portata fuori luogo.
« Perchè vai lì così tanto frequentemente, perchè ne sei così tanto attratta? »
Non c'era per niente bisogna di dar maggior approfondimento a quel lì, Bluette aveva capito benissimo che cosa Coffie avesse inteso e non le restava altro che giocare la sua carta, dare una risposta.
Ma non avrebbe saputo spiegare nè in francese, nè in inglese nè in nessun altra lingua del mondo perchè lei fosse così tanto attratta da quel quadro così bruscamente.
Certe volte si ritrovava proprio ad odiarlo per questo, conosceva a memoria ogni suo singolo dettaglio ma non riusciva mai a mettere i pezzi insieme.
« Non lo so. » Balbettò, incrociando per la prima volta lo sguardo del vecchio.
« Tu menti. » Affermò, tentato dal far spiegare a lei qualcosa di cui entrambi già sapevano, ma sapendo che non l'avrebbe mai fatto cominciò lui.
« Tu sei esattamente come quel quadro. » Coffie scagliò bene le parole trasportandole dritte all'anima di Bluette, in quel momento impaurita da quello che sarebbe stato il suo continuo.
« Che stai insinuando? »
« Una strega andò a giocare a Scrabble, un giorno. Lì incontrò Capucine, una perfida ragazza che le spezzò il cuore. Roridula scrisse con le parole una frase "maledette le tue belle discendenti", o qualcosa del genere. Capucine, poverina, era così convinta che lei le avesse fatto una maledizione che rimase incinta dall'uomo più orrido che io avessi mai visto e pregò Dio nella speranza di avere un maschio o una femmina che somigliasse al padre. Ebbe un maschio, ma la sua paranoia non finì lì. Fece in modo che il messaggio della maledizione fosse tramandato e così fu, è rimasto intatto fino a che sei arrivata tu, femmina e alquanto magnifica; » raccontò, non vedendo l'ora di arrivare al punto, « peccato che la strega non avesse fatto alcuna maledizione »
Un silenzio assoluto regnò nella stanza, mettendo in risalto ancor di più la qualità del senso di vuoto che aveva quel posto.
Passarono secondi, secondi eterni agli occhi nuovi di Bluette, perchè mai non gli aveva mai aperti?
E poi, Bluette decise, li richiuse.
« E' impossibile » constatò.
Ma questo Coffie non poteva accettarlo, non in quel preciso instante « Non sono sogni quelli che fai la notte, Bluette. »
« Che stai insinuando? » Si ritrovò a ripetere Bluette, con il desiderio estremo di cancellare quelli che erano stati i momenti tutt'altro monotoni della sua vita.
« La tua vita è come un Trompe-l'œil. La tecnica è stata la maledizione, Capucine e chi altro ha contribuito a tramandartela, i tuoi genitori. Lo spettatore eri tu, invece, che hai voluto vivere la tua vita in terza persona, non hai voluto scoprire ciò che era realtà, hai semplicemente preferito ciò che ti aveva cullato fin da piccola, l'illusione del reale. »
Quelle parole colpirono Bluette esattamente come un tuffo di pancia. Era così poetico quel breve riassunto della sua vita e la ragazza aveva apprezzato ogni delicata metafora, ma era il contesto a non piacerle, a farle scattare quell'ira indissolubile.
« Questo non è assolutamente vero! » Riuscì solo a dire come difesa, anche se quell'ultima affermazione rafforzò ancor di più la tesi di Coffie, che fu spinto a continuare.
« Oh, Bluette, perchè continui a voler dipingere un quadro che hai finito senza invece fare un passo indietro per poter finalmente vedere l'opera che hai creato con le tue stesse mani? »
Altre poesie, altre metafore, altri elementi che non riusciva a comprendere, o, forse, semplicemente non capire era ciò che desiderava. Bluette amava così tanto ciò che nascondeva qualcosa, soprattutto la polvere nei quadri, stavano così bene insieme, fatti l'uno per l'altro. E lei era questo, quadro e polvere messi insieme, che creavano solamente confusione e incapacità di svelare l'identità al pubblico, sì, ma anche al quadro.
« Ascolta io non so chi tu sia e da dove tu venga ma non mi piaci nè tu nè le tue stupide metafore. Tu non sai chi io sia, che cosa io provi, tu non sai nulla di me. »
Bluette tentò ancora di difendersi, ma per quanto ci provasse dalla bocca non gli venivano fuori altro che cianfrusaglie che passeggiavano a braccetto lungo i colli delle montagne. Infatti Coffie non si degnò nemmeno di rispondere, forse per darle tempo e farle formulare qualcosa di più saggio.
« Se ciò che dici fosse vero come spiegheresti il tipo di maledizione che dovrei aver avuto? Capucine come faceva a sapere che le sue belle antenate non si sarebbero potute vedere allo specchio? Non hai detto che la frase era solamente "maledette le tue belle discendenti"? »
« Sapevo che prima o poi ci saresti arrivata. Sai, anche io me lo sono chiesto per molto tempo. La storia non la so in modo dettagliato ma dicono che Capucine, appena rimasta incinta, fosse letteralmente andata via di testa. Allora è andata da Roridula a scongiurarla di togliere la maledizione. Quest'ultima non capiva di che diavolo Capucine stesse parlando ma provò talmente tanta goduria a vederla disperata inginocchiata ai suoi piedi che iniziò a raccontarle dettagliamente tutto della maledizione. Non so che cosa le abbia detto, ma con il tempo da generazione in generazione il messaggio che è arrivato ai tuoi genitori è stato che se fossi stata bella non ti saresti più potuta guardare allo specchio. »
« Io non posso crederti, mi dispiace. I-io allo specchio non mi ci vedo. »
« Vorrà dire che mi terrai compagnia ancora per molto. »
Coffie la minacciò, già era a conoscenza del fatto che pian piano Bluette sarebbe ceduta, con un po' di fatica.
« E il biglietto che mia madre trovò in frigo? »
Chiese la ragazza, trovando finalmente qualcosa a cui il vecchio non avrebbe potuto più dare spiegazioni.
« Ancora non te l'ha detto, non è vero? »
« Mi serve un soggetto e un complemento oggetto per rispondere alla tua domanda. »
« Roridula non era una strega cattiva, crudele. Anzi, strega non lo era per niente. E infatti, un giorno si intenerì al guardarti dall'alto. Non so che cosa tu stessi facendo tanto da catturare la sua attenzione, quello che so è che lei si pentì subito di aver mentito a Capucine. Allora voleva provvedere, ad ogni costo. E l'unico che poteva aiutarla era un bambino che aveva la tua stessa identica età. » Iniziò a raccontare quasi come se fosse una fiaba, ma non della buonanotte, della "benvenuta".
« Perchè mai? »
« Ogni strega ha l'occasione, da morta, di parlare con un vivo in un particolare momento della vita. Non sta a loro decidere chi, purtroppo. Tanti chiedono agli sconosciuti di pregare per loro, altri di mandare un saluto ai loro cari, ma non Roridula. Lei decise di chiedere ad un bambino di svelare ai tuoi genitori della sua bugia che stava rovinando una vita. »
« Non conosco questo ragazzo, non è mai venuto. » Coffie si stava inventando tutto, ecco che cosa stava facendo.
« Certo che lo conosci, ha un nome biblico, non comune... »
« Samson. »
Sbottò, dove voleva arrivare Coffie? Che cosa voleva farle scoprire?
« Già, già, proprio lui, » si ricordò Coffie «viveva con il nonno, che stava cercando casa e fatalità una delle case che gli avevano proposto era quella vicino a te. Il ragazzino persuase il nonno e poi fece la tua conoscenza. Ti fece scoprire che non era qualcosa di normale non vedersi allo specchio da piccoli ma non ti disse mai che tu eri qualcosa di normale. Probabilmente si era approfittato un po' troppo della tua amicizia, amava coccolarti, rassicurarti, questo non lo so. So che ti scrisse un biglietto sgrammaticato in francese e ve lo mise nel frigo di casa vostra. »
Si ricordava bene del nonno Timothy, di cui tanto si era affezionata. Poi, un giorno, morì, sconvolgendo la vita di Samson. Già, Sam, il tipico ragazzo della porta accanto che era sempre pronto a sollevare tutte le anime, il tipico ragazzo della porta accanto che si preoccupava per tutto, il tipico ragazzo della porta accanto che non si faceva mai gli affaracci suoi, il tipico ragazzo della porta accanto che... Le aveva fatto credere di morire.
« Come ho fatto a credere a qualcosa di simile? » Sbuffò lei, trattenendo le lacrime che quasi imploravano di uscire.
« Non risulta più facile credere che un pittore abbia graffiato il suo disegno di proposito anzichè pensare che per sbaglio l'abbia solamente fatto cadere? » E finalmente tutto le era involontariamente tutto più chiaro. Bluette Canabière si vedeva allo specchio.
« Possiamo credere veramente in tutto ciò che ci dicono? »
« Se ci fa comodo, perchè no? »
« E a me farebbe comodo sapere di avere addosso una maledizione? Mi farebbe comodo di sparire da un momento all'altro? »
« Certo che sì. »
« Come puoi pensarlo? »
« Nel bene o nel male a tutti farebbe piacere di essere stati scelti per qualcosa, di avere qualcosa che nessun altro possiede, ci fa sentire potenti. »
Potenza, il motivo per cui probabilmente era lì in quel momento. Le scene di quella stessa serata le sembravano così sbiadite, cupe. Si era sentita diversa e aveva lasciato lì Samson, forse in quel momento se lo meritava di più che in ogni altro. L'aveva tradita.
« Sentivo che Sam mi voleva dire qualcosa, poco fa. »
« Quanto tempo è passato da quando sei arrivata, Bluette? »
« Una mezz'oretta, credo, perchè? »
« E' passato un anno, quattrocentoventisette giorni per la precisione. »
Bluette si guardò il polso, avrebbe tanto voluto avere l'orologio per vedere se Coffie la stesse solamente prendendo in giro. Anche se, ripensandoci, il vecchio non sembrava per niente una persona che faceva scherzi, in quel preciso istante se ne stava fermo a studiarla. Non poteva essere passato così tanto tempo, cercò di ricordare i suoi ultimi giorni vissuti ma tutto quello che riusciva a pensare si confondeva insieme al vuoto della stanza. Era diventata pazza.
« Uscirò mai di qui? »
« Sta a te deciderlo. » Era impaurita, si sentiva in un luogo troppo vasto e soprattutto libero. Sentiva di poter decidere per sè stessa, non era più una marionetta, ma in quel modo era intrappolata più che mai, rinchiusa nell'immensità. Buffo, aveva desiderato quel momento per così tanti anni.
« Voglio uscire! »
Urlò scompligliandosi i capelli, cercando di farsi venire un'idea, di trovare un modo di avere un'altra chance, di vivere la vita con occhi diversi.
« Devi svegliarti, Bluette. »
Lei si guardò e si mosse, di certo non stava dormendo. Che cosa stava accadendo?
« Sono sveglia, Coffie. »
« Non del tutto, devi aprire gli occhi, ce la puoi fare. »
« Ma io ho già gli occhi aperti, guardami. »
Esclamò strattonandoselo vicino, prendendogli il mento con un dito.
« Scusami, Bluette, ma ora è giunto il momento, il mio lavoro finisce qui. Devo andarmene. »
« Mi lasci qui? »
« Ti lascio al mondo. Arrivederci Bluette, so che rimarrai sempre così maledettamente bella. »
E detto questo sparì, lasciandola sola, impaurita e disperata.
"SVEGLATI!" sentiva, a volte accompagnato da un "ti prego" o da un pianto.
E ancora "SVEGLIATI!" poteva percepire, una richiesta che non riusciva a comprendere, come poteva dipingere un quadro già dipinto?
E di nuovo "SVEGLIATI!", che riusciva solo a metterle angoscia, timore. Se almeno l'avessero lasciata soffrire in pace.
"Se desideri illuderti dipingendo ancora un altro Trompe-L'œil sarò il primo a lasciartelo fare"
Bluette aprì gli occhi, ora poteva finalmente vivere.


*

« Ehi, è avvenuto un miracolo, presto venite! Si è svegliata! »













Sarebbe stupido dire che questa è la fine. Grazie per essere arrivato/a fino a qui. Ho dedicato un mese a questo racconto e non mi pento di averlo fatto. Sono felicissima di aver fatto questa esperienza indipendemente dai risultati che otterrò, ringrazio Beverly Rose che mi ha aiutato ad iscrivermi e mi ha dato una carica eccezionale e al giudice di gara per essere stato sempre disponibile.
Ho voluto lasciare l'immaginazione di un seguito a voi, come avete interpretato il tutto? Mi farebbe piacere saperlo!
Come forse avrete notato non faccio francese nè sono mai stata in Francia, quindi perfavore non azzannatemi!
C'è un personaggio che avete odiato con tutto il vostro cuore? E uno invece che vi ha suscitato simpatia?
Vi ringrazio ancora,
Bacioni,
Desperate
  
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