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Autore: Artemide12    03/11/2013    6 recensioni
Loro sono cresciuti.
Mentre Quiche è rimasto lo stesso ragazzino di sedici anni prima. Ostinato, insistente, spregiudicato. Illuso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'After and Before'
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IL NOME DELL?AMORE



Le notti terrestri non sono nemmeno lontanamente fredde come quelle a cui è abituato. Nonostante i miracoli dell’acqua-cristallo, Arret è rimasto un pianeta gelido. Vivibile, ma gelido.

La Terra in confronto è calda e umida come una sauna, persino nel cuore della notte. Persino nel cuore dell’inverno.

Quiche ha lasciato la maggior parte dei vestiti sull’astronave, ma anche in canottiera e pantaloncini continua a sudare – è una situazione decisamente ridicola, come faceva a sopportarla durante la vecchia missione?

Si sfila la canottiera e la butta a terra senza riguardi, poi riprende a fare avanti e indietro sul cornicione del palazzo. Forse questo non ha nulla a che fare con la temperatura terrestre. Forse si sta solo comportando come un adolescente sotto l’effetto di un picco ormonale.

Smette di camminare e si ferma ad osservare la città ai propri piedi. Dev’essere passato molto più tempo di quanto credesse, perché è quasi l’alba: il cielo è già leggermente illuminato e nelle strade comincia a esserci qualche movimento.

È inutile rimandare ulteriormente.

Dopo aver fissato la propria canottiera per qualche istante e aver deciso di abbandonarla al suo destino, Quiche si infila le scarpe e il lungo impermeabile scuro che ha rubato in un negozio chiuso. Si riarrampica sul cornicione, poi salta giù e atterra nel vicolo trenta metri più in basso.

Riconosce a mala pena le strade, ma in qualche modo dopo sedici anni le sue gambe ricordano ancora dove portarlo.

Il sole sta sorgendo quando si ritrova in un familiare quartiere di villette bianche e rosse. Passa davanti a un portone dopo l’altro finché non legge “Momomiya” su una casella della posta, affiancato da un altro cognome che non riconosce.

Sul fondo c’è una lettera non aperta. Quiche la sfila con la punta delle dita.

Ed eccolo lì. Il nome che lo ha tormentato negli ultimi sedici anni. Strawberry Momomiya. Stampato su quella che deve essere qualche sorta di bolletta.

Con la lettera ancora in mano, Quiche fa diversi passi indietro.

Pie lo aveva avvertito che le probabilità che ognuna delle MewMew vivesse ancora nella stessa casa di quando erano adolescenti erano basse.

«Fottiti Pie» borbotta Quiche con un sorriso soddisfatto e nervoso allo stesso tempo. «E si fottano le probabilità.» Con un rapido sguardo intorno si accerta che non ci sia nessuno per strada nelle vicinanze, poi balza su uno dei rami dell’albero più vicino.

Ricorda questo albero. Ricorda la casa vista da questa angolazione. Ricorda qual’è la finestra della camera di Strawberry. I vetri sono chiusi, ma le tende sono state lasciate aperte e Quiche si sporge per poter sbirciare all’interno.

Una scrivania disordinata, un armadio lasciato aperto, dei poster appesi alle pareti, vestiti sporchi lasciati in giro per tutta la stanza. Questa è decisamente ancora la camera di Strawberry.

Si teletrasporta dall’altra parte del vetro e rimane sospeso a pochi centimetri da terra per non far rumore. All’interno fa ancora più caldo che per strada.

Il letto è addossato alla parete. La persona rannicchiata sotto le coperte non è che una sagoma informe di cui sporge solo una massa di capelli rossi.

Il cuore di Quiche comincia a battere appena un po’ più forte. Le sue viscere sono un unico nodo compatto. È come tornare indietro nel tempo.

All’istante, Quiche ritrova la sua vecchia spavalderia. La sua vecchia passione.

Si arrampica sul letto con tutta la delicatezza di cui è capace. La faccia di Strawberry è completamente sotto le coperte, il suo corpo così rannicchiato da sembrare minuscolo. Una parte di lei deve sentirsi ancora un gatto.

Uno spavento può ancora farle spuntare le orecchie e la coda?

Quiche sopprime una risata e si impegna a tirare fuori il suo tono più seducente.

«Ciao bambolina» esclama stringendole improvvisamente le spalle. Ha delle spalle davvero minuscole--

Strawberry sussulta e le coperte attutiscono un suono di protesta. Scalcia e si dimena e si divincola dalle coperte e-- e non è Strawberry.

«Merda!» Quiche balza all’indietro con un secondo di ritardo. «Tu chi--» si trattiene. «Tu chi diamine sei?»

Il bambino lo fissa con un paio di enormi occhi scuri. Non può avere più di dieci anni. Appare sconcertato, ma non spaventato.

«MAMMA! PAPÀ!» urla così forte che Quiche fa un altro salto indietro.

Da qualche parte nella casa provengono dei lamenti.

«MAMMA!» insiste il bambino balzando in piedi sul letto e addossandosi alla parte. «Se ti avvicini ti mordo» minaccia.

Se non fosse ancora sotto shock, probabilmente Quiche starebbe ridendo.

Dei passi in corridoio.

«PAPÀ CI SONO GLI ALIENI.»

Quiche si guarda intorno. Fa per teletrasportarsi, ma un’altra occhiata al bambino lo fa esitare. Quei capelli rossi, quelle guance piene, quel caratterino…

La porta della camera si apre e un uomo alto e magro compare sulla soglia. «Quiche che diavolo--» l’uomo rimane a bocca aperta per un momento, poi si sporge per accendere la luce.

Quiche rimane abbagliato per un momento e il bambino ne approfitta per saltare giù dal letto e raggiungere il padre di corsa.

«Che mi venga un colpo» esclama l’uomo facendo qualche passo dentro la camera, il figlio nascosto dietro il fianco, e squadrando Quiche da capo a piedi. «Che mi vanga… Straw corri!»

Quiche finalmente si riscuote. Alza le mani davanti a sé mentre indietreggia. «Ehi, ehi, ehi, cos’è tutta questa confidenza qui?»

«Senti chi parla!» lo rimbecca il bambino sporgendosi per un momento da dietro suo padre.

L’uomo si ferma, un sorriso estremamente divertito sulle labbra. Divertito, ma non beffardo. Insopportabilmente cortese. Mark. Quest’uomo è Mark.

Strawberry compare finalmente sulla soglia.

Oh, è evidente che questa sia Strawberry. A piedi nudi – le dita arricciate perché il pavimento è freddo – con addosso un pigiama a pois che le cade dalle spalle perché è troppo grande e i cappelli spettinati raccolti in una coda che si sta già sciogliendo. Si sta stropicciando gli occhi con una mano quando finalmente nota l’alieno nel bel mezzo della camera.

Rimane immobile per un istante. Batte le palpebre un paio di volte. Poi la mano si abbassa a coprirle la bocca, ma il sorriso le illumina comunque tutto il resto del volto.

«Ommio--» si guarda intorno, poi i suoi occhi tornano a fissarsi su Quiche come attratti da una calamita. «Quiche?? Sei davvero…»

Quiche si punta le mani sui fianchi. «Tu sì che sei la bambola che stavo cercando.»

«Ommioddio sei tu!» urla Strawberry. Gli salta al collo. Lo stritola in un abbraccio che lo coglie decisamente di sorpresa, ma si ritira indietro prima che lui possa iniziare a goderselo. «Razza di pazzoide» protesta dandogli una spinta giocosa. «Ti sembra il modo di entrare in casa della gente?» Si volta verso Mark, che sta ridendo allegramente. «E se fosse stata la casa di qualcun altro?»

Quiche scrolla le spalle e Strawberry scuote la testa mentre torna sui propri passi per controllare che il bambino stia bene. «Quando… quando sei arrivato? Dio, sono così felice di rivederti!»

«Sei da solo?» aggiunge subito Mark, con lo stesso tono entusiasta. «Ci sono anche gli altri? Avete bisogno di un posto dove stare? Ooh, questa non è una nuova dichiarazione di guerra vero?» Passa un braccio sopra le spalle di Strawberry e lei gli prende la mano nella sua. È un gesto spontaneo, così automatico che nessuno dei due sembra neanche rendersi conto di averlo compiuto.

Strawberry è felice di vederlo. Strawberry e Mark sono felici di vederlo.

Strawberry e Mark.

Mark. Dopo sedici anni. Non era questo che Quiche sperava quando si augurava che Strawberry non si fosse lasciata il passato alle spalle.

Un’ondata di rabbia gli fa girare la testa.

Diavolo, è chiaro che anche Mark sia contento di vederlo. Contento di sbattergli in faccia la propria felicità. Di mostrargli che lui non era solo un altro adolescente che si era preso una cotta per la leader delle MewMew. Mark è quello che era rimasto. Mark e Strawberry hanno superato la stramaledetta adolescenza insieme. Mark e Strawberry sono… sposati?, una coppia e basta? Genitori. Mark e Strawberry sono genitori insieme. Mark e Strawberry sono cresciuti.

Mentre Quiche è rimasto lo stesso ragazzino di sedici anni prima. Ostinato, insistente, spregiudicato. Illuso.

«No» sibila alla fine. «Nessuna dichiarazione di guerra.» Le parole suonano false anche se sono vere.

«Tu sei l’alieno di cui parla sempre la mamma?» chiede il bambino facendosi avanti. Corre a recuperare un peluche dal letto – un pupazzo verde con enormi occhi neri –, poi torna ad aggrapparsi al pigiama del padre.

Quiche sfodera un sorriso sghembo. «Oh lo spero.»

Strawberry si morde il labbro inferiore e abbassa lo sguardo – è arrossita?, sta… sta ridendo?

«Sei proprio buffo» decreta il bambino con aria solenne, poi si rivolge al padre. «Posso tenerlo?»

«Quiche!» esclama Strawberry, questa volta incapace di trattenere le risa. «È una persona non un giocattolo.»

«E io non sono un bambola! Perché--»

«Quiche?» ripete Quiche.

Questa volta è Mark ad abbassare lo sguardo.

«Che c’è?» risponde il bambino.

Quiche lo fissa. Percepisce la propria rabbia dissiparsi come una pasticca nell’acqua. E il proprio ego ricominciare a gonfiarsi. «Ti chiami Quiche?»

Il bambino esita un momento, confuso.

«Sì» risponde Strawberry per lui, ancora avvolta nell’abbraccio di Mark, «il suo nome è Quiche.»

  
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