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Autore: Kim_Pil_Suk    03/11/2013    1 recensioni
Distretto 2. Mars Selterman.
Si spaccia per la sorella gemella Line e entra nell'arena.
Distretto 2. Kristopher Lercken.
Bello. Intelligente. Più che benestante. Desiderato. Volontario.
Un ragazzo che non ha bisogno di soldi, di fama o di gloria. Una persona che non ha bisogno dei benefici degli Hunger Games.
'Che i 48esimi Hunger Games inizino. E che la buona sorte possa essere sempre a vostro favore. - poi entriamo nell'edificio alle nostre spalle.'
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Ti illudono facendoti credere che tutto sia per una giusta causa. Sia per ricordare come nessuno li batterà mai.
Ti fanno vedere le persone a cui tieni che muoiono. Sorelle, fratelli, amici, compagni, che si rovinano e si consumano arrivando alla morte. Una morte che non augureresti a nessuno, nemmeno al tuo peggior nemico.




Mi alzo improvvisamente, risvegliandomi da un incubo. Il solito incubo che mi attanaglia il cuore e la mente ogni notte. Mi guardo attorno e noto con piacere che nessuno si è ancora svegliato. Il sole deve essere sorto da poche ore. La ruggiada è ancora sui pochi fili d'erba che riescono a crescere sul terreno arido. Mi alzo e lancio un occhiata al letto vuoto accanto al mio. Non che mi aspettassi di trovarla di nuovo lì.
 Infilo i miei capelli color paglia nel vecchio cappello di lana marrone ormai sbiadito. Mi infilo la tuta vecchia e larga da uomo che metto sempre e gli stivali ed esco. Faccio attenzione a non svegliare Line, mia sorella.
 Line è esattamente la mia copia. E' come trovarsi davanti ad uno specchio. Solo che lei è più bella, più affabile, più gentile e più intelligente. Tutto qui, lei è meglio di me.
 Cammino alzando un po' di polvere. Non ci sono molte persone a quest'ora per le strade. Appena intravedo il grande capannone di lamiera usato come palestra per l'addestramento mi blocco. Oggi potrebbe essere l'ultimo giorno lì. Aspiro aria dal naso e aspetto qualche secondo, mentre sento il cuore che stoppa i suoi battiti, poi sputo fuori tutto. Riprendo a camminare ed entro dentro al capannone spingendo con forza la vecchia porta, che si apre con un cigolio. Devono passare pochi secondi prima che i miei occhi si abituino alla penombra della stanza. Mi trovo nella stanza che uso per allenarmi. Un posto che conosco a memoria da quando sono piccola. Odore di chiuso e disinfettante si possono sentire in tutta la stanza. Dei materassini sono accastanti infondo alla palestra  in modo disordinato, con dei manichini rotti e consumati sparsi qua e la. In un angolo una catasta di armi pericolose come asce, spade e lance sono ammucchiate in modo disordinato, senza una traccia di polvere. Accendo mezza dozzina di candele qua e la per la stanza, prendo un manichino e lo appendo ad una corda che pende dal soffitto. Impugno una spada e inizio a tirare colpi ben mirati alle gambe e al cuore del manichino. Poi cambio arma, impugno una pesante ascia di pietra e acciaio, tutta smunta e vecchia. Mi avvicino al manichino e quello, con pochi colpi, perde la testa e un braccio. Decido di non sprecare il manichino. Lancio l'ascia contro un mucchio di spade causando un rumore assordante di acciaio e pietra. Impugno una lancia, leggera e lunga. Una di quelle rozze, fatte in casa. Calibro il suo peso con la forza del mio braccio e me la rigiro più volte in una mano. Metto un piede in avanti e il mio braccio scatta facendo partire la lancia che sibila e fa uno schiocco sordo quando arriva al manichino. La lancia passa da una parte all'altra del manichino, trafiggendolo nel punto preciso in cui si trova il cuore. Accenno un sorriso soddisfatto e incomincio a colpire il manichino con diversi coltelli. Qualche coltello centra il bersaglio, facendo uscire l'imbottitura dal manichino, altri invece volano accanto al manichino, graffiandolo appena e conficcandosi nel muro qualche metro dietro. Alla fine decido di allenarmi con arco e frecce. Non sono mai stata una cima con arco e frecce. Incocco la freccia e la avvicino al mio viso. Socchiudo un occhio e miro dritto alla testa del manichino, intenzionata a colpirlo al cervello. Quando lascio la freccia questa passa vicino al mio orecchio, sibilando. La freccia si conficca dritto nell'occhio destro del manichino, facendo scivolare a terra la sabbia e facendo afflosciare la testa. Abbasso l'arco e guardo il manichino, tormentandomi sul fatto che non riesco mai a centrarlo.
 Qualcuno dietro di me applaude. Mi giro irritata.
- Complimenti! Preciso nell'occhio. - mi dice sapendo benissimo che ho mancato il bersaglio. Si avvicina a me e mi ruba l'arco. Il sorriso scompare dalla sua faccia lasciando il posto a un espressione seria. Allunga la mano dietro di me, rubandomi una freccia dalla faretra, la incocca e lancia, beccando dritto in testa un manichino in fondo alla stanza. 
 E' sempre stato molto più bravo di me con l'arco. E' sempre stato più bravo di me nello sport. E' sempre stato più popolare. E' sempre stato più intelligente e bravo a scuola di me. E' sempre stato meglio di me. Tutti sono stati meglio di me.
 Gli sfilo l'arco dalle mani e lo lancio prepotentemente contro il muro più vicino. L'arco ribalza e cade a terra, con un suono sordo.
- Qualcuno oggi qui è di cattivo umore. - mi dice avviandosi verso le armi e prendendo una spada fra le altre.
- Jacks, non fare il gradasso solo perché sei sicuro che nessuno si offrirà e tu potrai partecipare ai giochi. - gli dico mentre afferro un'altra spada, lanciando la faretra lontano facendo rovesciare a terra tutte le frecce. 
 Il sorriso scompare di nuovo dal suo volto. Stringe il manico della spada fra le dita robuste e parte verso di me con la spada in aria. Riesco a parare il suo colpo con il piatto della spada. Inizia ad attaccarmi. Sembra quasi che attacchi senza uno schema preciso. Nonostante il mio corpo minuto sono una brava combattente.
 Solo dopo un ora o poco più decide di fermarsi. Entrambi con il fiato corto lanciamo le spade contro la catasta di armi e iniziamo una strana lotta corpo a corpo che consiste di più nello spingersi e nel bloccarci che nel sopraffare l'avversario. Alla fine finisco a terra sbattendo la spalla sul duro pavimento, con lui sopra che mi blocca i polsi sopra la testa. Non provo nemmeno a liberarmi. Restiamo così per qualche minuto, a fissarci negli occhi, finché lui non si alza, liberandomi i polsi.
 Quando torno a casa è già l'ora di andare in piazza per la Mietitura. Line indossa il suo nuovo vestito blu di seta, i capelli raccolti in una coda alta che le accarezza le spalle. Io mi faccio un bagno e indosso il mio vecchio e ormai consumato vestito di un azzuro sbiadito. Il bordo della gonna mi arriva sotto le ginocchia e l'attaccatura delle maniche mi arriva quasi a metà braccia. Mi raccolgo i capelli in una coda alta anche io. Prima di uscire di casa per raggiungere le Mietitura da sola mia sorella si ferma davanti a me. Sembra veramente di stare davanti ad uno specchio. Solo che lei ha un vestito più bello, un acconciatura più precisa e un espressione più fiera e sicura di se. Mi blocco, aspettando che si sposti ignorandomi. Ma lei, senza alcun preavviso, mi si avvicina e mi stringe fra le sue braccia. Per un paio di secondi nessuna delle due si muove poi lei pronuncia delle parole che mi lasciano in silenzio.
 - Prenditi cura di te, Mars. - mi dice poi mi lascia. Faccio per allontanarmi ma altre sue parole mi bloccano. - Ti voglio bene. - sono tre parole dette ad un tono così basso che non sei nemmeno sicuro che siano uscite dalla sua bocca. Trattengo delle lacrime che non escono ormai da anni. Riesco solo ad annuire e lei sorride, come se capisse che più di così non riesco ad esprimermi.
 Come si fa a non volerle bene?
In pochi minuti ragiungo il Prato. Non so dove sia mia sorella e nemmeno mia madre. Mio padre è già sicuramente lì. Mi faccio prelevare il sangue e raggiungo le ragazze della mia fila. Nessuna mi parla mentre aspetto che la Mietitura incominci. Solo Line si avvicina a me mentre le sue amiche le parlano lanciandomi sguardi di nascosto. 
 Natela Bridgeman arriva quasi subito, puntuale come sempre. Natela è una capitolina in piena regola. Parrucca rosa shocking, scarpe gialle col tacco e mini vestito color lime. Trucco esagerato e tatuaggi color oro sulle braccia. Batte due colpetti sul microfono e sorride al pubblico. 
 - Benventi a tutti quanti. - dice con la sua vocina tintinnante. Tutti sotto al palco si zittiscono mentre Natela fa partire il video su Capitol City. Si vede che le piace. Finito il video si gira di nuovo verso di noi. - Bene e adesso presentiamo il mentore dei futuri tributi. - dice facendo un segno con la mano ad un uomo seduto in fondo al palco. L'uomo raggiunge il microfono e parla.
 - Buongiorno a tutti. Io sono Luke Selterman. - un uomo duro. Alto, muscolo, capelli neri ormai tendenti al grigio. Nemmeno un segno di dolcezza nel suo suardo, immobile su di me. So benissimo chi sia lui. 
 Mio padre.
 Mi sorella raggiunge la mia mano con la sua e inizia a stringerla, convulsamente, fino a farmi diventare le nocche bianche.
 Natela riprende il microfono e ridacchia appena. - E adesso peschiamo i nomi dei nostri fortunati. - dice avvicinandosi alle bocce. - Prima le signore. - dice alzando in modo elegante la mano e facendola tuffare nella boccia con i nomi delle ragazze. Pesca un nome e passano attimi di vera suspance prima che lei ridacchi e dica il nome. - La fortunata è... Selterman Line. - La presa sulla mia mano si allenta di colpo. Mi giro e vedo l'espressione sorpresa e terrorizzata di Line. Sul suo volto passano diverse espressioni troppo velocemente. Sorpresa. Terrore. Disgusto. E infine rassegnazione. - Forza, tesoro, dove sei? Chi è Line Selterman? - lo sguardo di Natela vaga fra noi ragazze mentre tutte fissano me e mia sorella. La vedo mettere un piede tremante in avanti, mentre lascia la mia mano, cercando di farsi coraggio. La precedo e faccio un passo avanti, guardando dritto negli occhi di Natela. 
 - Eccomi sono qui. Io sono Line Selterman. - dico alzando la mano che prima stringeva quella di Line. Guardo Natela che mi sorride.
 - Prego, tesoro, raggiungici pure. - mi dice sventolando la mano in quel suo modo delicato. La raggiungo a grandi falcate e mentre salgo gli scalini verso il palco inchiodo il mio sguardo in quello di mio padre, come per sfidarlo. Raggiungo Natela posizionandomi al suo fianco. - Quella accanto a te era tua sorella, vero? Siete identiche! - mi chiede entusiasta. Io annuisco, senza sorridere, senza tremare. - Ci avrei scommesso il cappello! Come si chiama? - mi chiede avvicinandomi il microfono alla bocca. 
 - Selterman L- - poi mi ricordo che da oggi in poi io sarò Line e lei sarà Mars. Non io, ma lei. - Mars. Mars Selterman. - dichiaro in tono piatto. Natela ridacchia di nuovo.
 - Bene adesso peschiamo il ragazzo fortunato. - dice roteando la mano nell'altra boccia. Pesca un biglietto subito dopo. Nella mia mente non penso niente, assolutamente niente. - Osborn Jacks. Dove sei, tesoro? - ecco. Lo sapevo. Volto lo sguardo e lo vedo fare un passo avanti, fieramente. - Vieni qui, tesoro. - gli dice e lui mette un piede avanti per raggiungerci, quando viene fermato da una voce.
 - Mi offro volontario. - una voce che viene da chissà dove. Frugo fra la folla alla ricerca della persona che ha parlato, quando un varco di apre e un ragazzo si fa avanti. - Kristopher Lercken. Volontario. - dice gonfiando il petto. Un guizzo di rabbia attraversa il volto di Jacks.
 - Oh. Abbiamo un volontario! - trilla Natela battendo le mani. Kristopher si fa avanti, raggiungendo il palco.
 Kristopher è un ragazzo alto e prestante, con capelli neri e lisci e due occhi azzurri e raggelanti come il ghiaccio. L'ho visto poche volte in tutta la mia vita. La maggior parte di queste erano a scuola o alla panetteria. Nonostante abbia la mia stessa età dimostra 3 anni in più di me. E' il ragazzo che tutte le ragazze vogliono.
 Ci raggiunge sul palco e si mette di fianco a me. Cerco di sembrare fiera dal mio metro e cinquanta visto che in confronto a lui sembro un piccolo scarafaggio che zampetta aggiro. Non mi degna di uno sguardo mentre fissa il pubblico in modo serio e distaccato. Io volto lo sguardo verso mia madre e noto che ha la solita espressiona preoccupata e tesa che la fa sembrare più vecchia. Ma non sta guardando me. Sta guardando mia sorella. Line mi fissa, mentre le sue amiche le parlano. Gli occhi spalancati, le pupille dilatate e le labbra pallide. Non sta ascoltando niente mentre continua e stringere i pugni. Le mimo le parole "prenditi cura di te" e le lancio un sorriso prima che Natela rincominci a parlare. 
 - Bene. Mi congratulo con voi. E che la buona sorte possa essere sempre a vostro favore! - dice eccitata lanciando un urletto poi si avvicina a me e ci spinge dentro l'edificio grigio scuro.



Hunger Games. 
Sto arrivando e sono determinata a vincere.
  
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