Libri > Orgoglio e Pregiudizio
Ricorda la storia  |      
Autore: IloveJoseph    03/11/2013    1 recensioni
Eccomi di nuovo!
Le recensioni avute alla prima stesura, mi hanno stimolata, facendomi scrivere un'altra one shot sempre su di lei, e oserei aggiungere, anche su di lui. E' diverso il continuo. Credo che lo sia, rispetto a quello che qualcuno si può immaginare. Ma tranquille, ho in mente di fare una raccolta di questi piccoli momenti tra Mary e il suo Signore. Almeno l'ispirazione c'è, spero solo di poter metterla per iscritto!
Grazie ancora per i commenti, ed i complimenti. Spero di essere stata all'altezza anche questa volta :)
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mary Bennet
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Camminava isolata su un prato, non molto lontano da Netherfield, in cui risiedeva la tenuta del Signor Bingley. Catherine e Lydia  avevano obbligato Mary ad uscire con loro. Si, era stata obbligata, perché l’avevano minacciata  dicendole che se le avesse seguite,avrebbero tagliato qualche corda del suo, amatissimo, piano forte. Mary, purtroppo, aveva imparato a prendere alla lettera qualunque sciocchezze che provenisse dalla bocca di quelle due oche. Non a caso, quando le due sorelle piccine, si intestardivano nel fare qualcosa, o nel volere qualcuno, vincevano sempre. Ciò avveniva perché la loro madre, la Signora Bennet, invece di punire e di disonorare certe pretese così sconce, le stimava quasi, sperando che servissero per ammaliare qualche generale, o soldato.Anche per questo, anzi soprattutto per questo motivo, la piccola Mary non era né accettata, né rispettata, da sua madre.Infatti si fronteggiava alla signora Bennet, comportandosi come una vera signorina e non cedendo alle continue provocazioni, o richieste sussurratele dalla donna, alla vista di un bell’uomo in divisa.
Mary era una ragazza istruita ed educata non grazie alla sua famiglia, ma grazie agli insegnamenti dei suoi libri.
Non a caso, quando camminava, leggiadra e leggera  con il suo libro nella mano destra, mentre con quella sinistra si ripuliva la veste dalle foglioline dell’erba che, sedendosi su un prato, le si poggiavano sopra, era designata da tutte le signore, e da tutti i signori, come una ragazza semplice, raffinata, ma poco deliziosa. E quanti complimenti, sua madre le faceva, non appena quelle lodi le venivano raccontate, a volte anche dagli stessi signori. La vedevate gioire ed incrementare quelle lusinghe con sue belle parole. Elogiava  lo studio della piccola, quasi come se lo ritenesse vitale quanto il pane. Quando poi, non aveva neanche idea di quali libri leggesse sua figlia! Si comportava da madre orgogliosa, e felice della presenza di  Mary, quando poi  durante la preparazione di un ballo, la ammoniva per il suo aspetto così ripugnante. Tanto per dirne una e per far capire di quanto, sua madre, fosse falsa, manipolatrice, ma soprattutto egoista. In fin dei conti, alla Bennet, non interessava di essere realmente adorata dalla donna che la aveva generata. A lei non  era mai piaciuta la pietà, o la compassione. Aveva iniziato ad detestarla da quando in famiglia, e nel resto della società, lei appariva sempre come la pecorella smarrita, e come la figlia disonorata per il suo aspetto così esiguo.Non era colpa sua, se Dio le avesse donato quel corpo, ma in contemporanea le avesse dato un’intelligenza, e un cervello, che tanto stimava. Quindi preferiva essere sdegnata dalla suo stesso sangue, invece di essere amata semplicemente per commiserazione. A lei stava bene anche essere semplicemente messa da parte, e non presa mai in considerazione. Ormai, ci era abituata a quei  trattamenti. Ma non accettava il fatto che non appena ci fossero bei commenti sulla sua persona, sulla sua intelligenza, o anche sulla sua musica, a quel punto, nel bel mezzo del nulla, sbucava sua madre che si vantava del fatto che ci fosse voluta tanta istruzione per renderla così, quando poi quell’istruzione Mary l'aveva ottenuta da sola, e con le proprie forze. Inoltre, capitava anche che  signora Bennet,  si facesse amiche quelle persone che avevano visto nella piccola Bennet del talento, ma le plagiava, in caso  in cui fossero stati dei  portafogli ambulanti dai quali si poteva ottenere dell’amicizia vantaggiosa per i  suoi interessi. Dunque, oltre al fatto di essere così finta ed adulatrice, si aggiungeva anche la carenza di un po’ di buonismo nell’anima di quella donna. 
Per l’amor del Cielo, Mary non si capacitava del fatto di come una madre che l’aveva portata per nove mesi in grembo e che l’aveva generata con tanto dolore, potesse poi avere tutto questo disprezzo in lei, in sua figlia. Non se lo spiegava, e nemmeno le interessava farlo. Tanto la situazione comunque non sarebbe cambiata.  
Però, sarebbe stato molto più semplice non concepirla proprio, a questo punto. Così non ci sarebbero state neanche le urla al momento del parto! Ma nonostante questo risentimento, questo disprezzo, che la madre risentiva nei confronti di Mary, quest’ultima non capiva il motivo per il quale continuasse a farle del male, facendola vivere secondo le abitudini di una giovane donna in cerca di marito, quando non cercava ciò. Lei aveva solo diciotto anni. Era giovane. Era anche fin troppo fragile per vivere, ma fin troppo viva per morire in quella società che tanto odiava ogni giorno.Nonostante la sua vita, la sua famiglia, le sue sorelle, il suo aspetto, Mary continuava a respirare solo per la sua lettura, la sua fantasia, e la sua musica. Al diavolo gli uomini, e le sterline. Al diavolo anche una grossa tenuta, e una camera da letto grande quanto la sua casa. Lei non voleva tutto ciò. Non lo aveva mai chiesto e mai lo  avrebbe fatto. Di conseguenza esigeva che sua madre non continuasse a crearle quelle  situazioni, solo per un piacere personale. Ma era una battaglia persa sin dal principio, quella di Mary. Per quanto glielo dicesse, e glielo  facesse anche capire, sua madre, quella donna così altera, preferiva mille volte far star male sua figlia, che far patire al suo cuore un dispiacere, o anche una mancanza. La magra consolazione della  povera sorella Bennet,era semplicemente quella di non essere l’unica, per una volta nella sua vita, nell’avere questo trattamento così brusco. Infatti, la signora Bennet, si comportava così, anche con Lizzy, Jane, Catherine, e Lydia. Era un suo vizio quello di tormentare il suo stesso sangue, invece di averne pietà.
Insomma, detto tra noi e noi: era proprio l’esempio di una madre prediletta. Pensò, sorridendo tra sé  e sé, la Bennet.
                Sospirando, si sedette su una panchina, che  sporgeva sulla strada. Ancora una volta a farle compagnia c’era il suo librone marrone, che era con lei, ogni volta che ne aveva bisogno. Era una specie di confidente, di grande amico, che non parlando e non sentendola, sembrava quasi capire ogni suo tormento, molto più di quanto invece i suoi parenti potessero fare nel vederla , e nell’ascoltarla parlare. Ma in verità, a mala pena, la degnavano di un secondo di attenzione, i suoi genitori. Quindi , Mary, era continuamente sola. Anche ora che era uscita con le sue sorelle, lo era rimasta. Per quanto  le disprezzasse, a volte le sarebbe comunque piaciuto passare del tempo con loro, semplicemente  per sentirsi meno sola del solito. Eppure, ogni volta, loro la piantavano su un prato, abbandonata, e la lasciavano lì, anche fino a notte fonda. Non si preoccupavano  di ferire la sua sensibilità, perché neanche sapevano che ce l’avesse. Non badavano al suo bene, perché loro, come la madre, erano egoiste, e da tali pensavano solo al loro essere basato sull’apparenza e senza alcun valore,  tanto da apparir e, alle persone pensanti, vomitevoli.
Ma ahimè. Sembrava proprio che la vita odiasse così tanto quella piccola creatura, tanto da far sì che le persone che la circondassero fossero tutto altro che pensanti. Quasi erano tutte identiche ai suoi familiari.
Ma a questo pensiero, la Bennet, fece un sorrisino contradditorio.
Oh no.
Questa volta la piccola sapiente si sbagliava di grosso. Non aveva ragione, come invece accadeva per la maggior parte delle volte. In quel momento, Mary aveva  equivocato una certezza, che dalla sera prima si era dimostrata una insicurezza.  Quella instabilità, la aveva così confusa, tanto da pensare di aver sbagliato completamente il modo di riflettere in questi diciotto anni. Alla fin fine, a lei la gente  continuava a mostrarsi come un essere superfluo, senza pensieri, e senza un minino di buon senso. Era questa, d’altronde, la gente che conosceva. Purtroppo, con solo questo basso ceto intellettivo poteva confrontarsi. Eppure, l’altra sera, qualcuno, le diede la conferma che si stesse sbagliando, che non tutta la marmaglia che le era affianco, era così stupida. Anzi le fece capire, in quei pochi secondi che per lei sembrarono una vita intera, che esistessero anche persone diverse, che non si fermavano  all'apparenza, ma che andavano ben oltre; le face capire che, in quella  società così statica, vivessero anche degli uomini che, alla vista di una ragazza solitaria, solo perché era donna, da galateo si fermavano a chiacchere con lei, senza secondi o fini, o peggio ancora senza far predominare la cattiva educazione su quella buona. Mary Bennet, ripensandoci, non sapeva chi fosse quell'uomo dell'altra sera, e non poteva sbilanciarsi così tanto nel credere che lui fosse l'atteso, e tanto sognato, cavaliere romanzesco. Non sapeva quasi nulla su di lui, se non il fatto che si fosse fermato, e che le avesse dedicato cinque minuti della sua vita, che per Mary equivalsero ad una felicità sconfinata. Quando poi le aveva persino chiesto un ballo, lei, si era completamente discostata dal quel mondo che tanto la disgustava, al punto da far apparire ogni cosa al suo guardo, quasi, gradevole. E per una come lei, ciò, significa davvero la fine di qualunque convinzione. Perché lei mai aveva guardato l’universo con quegli occhi postivi; mai aveva sentito del piacere nei visi della solita gentaglia; mai aveva pensato ad un ballo, ad un ragazzo, anche il giorno successivo. Mai le era accaduto tutto ciò ed aveva paura di codeste emozioni. Ma non poteva parlarne con nessuno, se no con se stessa, perché continuava a restare sola, con quel grande, dolce, segreto nel cuore. Ed in aggiunta non poteva neanche lamentarsi con sua madre, del fatto che proprio al ballo di ieri sera, non dovevano andarsene prima del previsto.
Sua madre, eccola che ritornava!
                Sembrava quasi l'artefice del suo male, dato che continuava, anche non sapendolo, a rovinarle la vita. Non a casa, ieri, per un leggero capo giro che le venne per colpa di tutte le stupide chiacchiere che pronuncia di continuo, fece riornare subito a casa, le sorelle. Il tutto avvenne subito dopo che quel giovane, che tanto la Bennet aveva desiderato, si presentò alla signorina Caroline, lasciandola da sola  ma chiedendole  prima un ballo. Mary glielo avrebbe concesso. Gliene avrebbe concessi anche altri mille, se sua madre non si fosse sentita male. Quando, infatti, il padre le disse cosa era successo, la giovane per cercare di restare ma di non dar a vedere il suo interessamento a quella festa, fece persino una battutina ironica, con la quale chiedeva a sua madre di come una donna, forte e tenace come era lei, potesse rinunciare all'inizio di una danza  per un semplice malanno. La madre, la fulminò con lo sguardo, non riservandole neanche una risposta, come al solito. La ragazza, non sapendo cosa altro fare, abbassò semplicemente lo sguardo, non avendo neanche il coraggio di vedere, a quanto sembrava, per l'ultima volta il suo Signor Wilson. Andò via, con il cuore strapieno di ricordi bellissimi, che si riflettevano al ricordo degli occhi di quel giovane, che l'aveva completamente plagiata. Ma oltre al cuore in incandescenza, portò con sé  anche la malinconia dovuta alla paura, che quel viso non lo avrebbe più rivisto. Solo a pensare che la serata più bella della sua vita fosse stata rovinata, le faceva ribollire la rabbia nel sangue non appena vedeva, in aggiunta, sua madre con un asciugamano di lino sulla fronte.
Sulla fronte, gli avrebbe messo un macigno di ferro, se solo avesse potuto. Così avrebbe capito lo stato d'animo di sua figlia, durante il ritorno a casa.
Oh si, Mary, stava male. Stava maledettamente male. E sentiva la mancanza di lui, del suo signore.
                Sperava di poterlo rivedere, ma non per un'ultima volta. A quel punto, se lo avesse dovuto vedere sapendo che fosse stata  l'occasione finale,  allora avrebbe preferito non incontrarlo più, ma ricordarlo solo nel suo cuore. Perché si  sarebbe ampliato solamente il dolore alla certezza che quel signore andasse  via per sempre dalla sua vita ,e dai suoi giorni. Mary sapeva di non poterlo sopportare definitivamente, perché non stava riuscendo a tollerare quell’assenza che dalla sera precedente, si era fatta spazio nel suo animo. Neanche il suo librone amicone,  riusciva a farla risollevare. Neanche il rancore nei confronti di sua madre, era riuscito a farla distrarre. Anzi, la aveva riportata nuovamente al ricordo di lui. Sembrava che neanche l'ira più furente la potesse distogliere completamente dal sorriso, dagli occhi, da quelle parole, di quell'uomo. Ormai,  era  incastonata in una nuova, sincera, certezza. Secondo la quale, avrebbe pensato a lui ancora a lungo, non sapendo se i suoi sentimenti potessero essere ricambiati, o comunque nutriti attraverso delle attenzioni  dirette del signore stesso. Non sa neanche la vera identità di quell'uomo. Non sa niente di lui, eccetto il suo nome, e il suo aspetto piacevole. Sa solo che è dentro di lei, come mai nessuno ci era riuscito. Sa solo che continuerà a vivere meglio, perché almeno è certa che un uomo, forse l'unico al mondo, le abbia dato la conferma che anche una ragazza come lei può sentirsi speciale. Magari esisteranno tanti altri come lui, nel resto del mondo, ma ciò non importa più ormai.
Alla Bennet, interessa solo lui: Il signor Wilson.

Il rumore degli zoccoli dei cavalli si incombeva con i sassolini a terra. Una carrozza in lontananza, stava arrivando e sarebbe davvero stata la scena di un romanzo, se all'interno di quel cocchio ci fosse stato il suo Signore.
La carrozza continuava ad avvicinarsi, e il cuore di Mary, balbettava all'usino ad ogni movimento che i cavalli facevano in avanti. Aveva quasi l'impressione che sarebbe successo un qualcosa di interessante,  o meglio che la sua giornata sarebbe cambiata grazie alla vista del suo Signore, o anche grazie ad un sorriso che le avrebbe potuto offrire. Ma ciò non sarebbe potuto accadere in quel preciso momento. Perché sarebbe stato una sorpresa troppo bella, e Mary, sembrava quasi non meritare alcun tipo di felicità. Non a caso, l'incontro di ieri,  la piccola donna, sentiva  nel profondo della suo pensiero, che sarebbe stato anche l'ultimo, e lo avrebbe conservato nel suo cuore come un diamante preziosissimo.
Ma si sarebbe mai arresa a quell'idea? Avrebbe davvero mai lasciato andare il suo Signore, quando stesso in quel momento sperava, che da quella carrozza scendesse il suo Wilson?
Oh povera piccola donna! Quanto era confusa. 

Intanto la carrozza, ormai, distava poco dalla panchina su cui era seduta la Bennet. La sensazione era sempre quella. C'era, quasi,  una forza esterna che la costringeva a fantasticare ancora, facendola restare sicuramente doppiamente dispiaciuta, per la verità che si sarebbe mostrata non appena avrebbe visto che nella carrozza  lui, non ci fosse.
O forse anche altre cause, l'avrebbero riportata con i piedi per terra.
Ad esempio, come, le urla riprovevoli delle sue sorelle minori che la richiamavano fastidiosamente.
"Mary, Mary, Mary"   sbraitava Catherine.
"non sai cosa abbiamo scoperto. Il signor Wickham, è qui!" continuava Lydia.
"dovrebbe importarmene?" chiese Mary  con tono indifferente, mentre le due sorelle, le si mostravano di fronte, oscurandole il sole.
"perché  sei così acida? Ti stiamo dicendo che  quel bel pezzo d'uomo ritorna qui, e tu resti così passiva a tale notizia?"
"Lydia, non sono come nostra madre, o come voi, che non appena c'è la notizia che un generale, o un soldato sia arrivato qui, faccio baldoria come se davvero m'importasse. Perché no, non mi interessa!" sentenziò serissima Mary, ritornando pungente
"sei la solita. Poi non lamentarti se in famiglia resti sempre sola.." affermò schietta Kitty
"infatti non mi lamento perfettamente di niente. E non vedo il motivo per il quale dovrei interessarmi all'arrivo di un uomo, che neanche conosco.."
"ma certo, Kitty, non si interessa a lui perché sa fin troppo bene che il Signor Wickham non sarebbe mai attratto da lei. Invece a noi, importa e come, dato che possiamo essere alla sua portata. Anzi, scusami, intendevo io posso! " si vantò Lydia.
"cosa vorresti insinuare con quel io posso, che io non potrei? Guarda che non sei tu la più bella della famiglia!" si difese Catherine, mentre Mary, per niente interessata a quel battibecco, con la coda dell'occhio vide la carrozza avvicinarsi ancora di più.
Perché le importava così tanto, ancora Mary non lo capiva! Sembrava quasi che la attraesse, come il Signor Wilson la allettava.  
Ripensò a quegli occhi dolci  per un istante soave, che fu interrotto dalle continue urla di quelle due.
"non si può avere un momento di pace con voi due! Santo Dio, e smettetela!" urlò seccata Mary, mentre alzandosi dalla panchina, gli diede le spalle.  
"calmati Mary, che senza di noi, sicuramente la tua vita sarebbe più monotona del solito.." le disse Lydia, con tono da sfida. Mary preferì non risponderle, per evitare di sprecare troppo fiato per un cervello di gallina, come quello di sua sorella. Però, ebbe anche l'esigenza, di voltarsi indietro, non per guardare le due oche, ma per vedere se la carrozza fosse passata. In verità, la carrozza, aveva appena superato la panchina, e Lydia e Catherine salutavano, urlando, il Signor Bingley e il Signor Darcy che erano all'interno.
Certo. C’era da aspettarselo.  C'erano loro nella carrozza. I due signori, ambiti, dalla sua famiglia. Ma non c'era il suo signore, che tanto però desiderava lei.
La ragazza, sconsolata, si allontanò, voltandosi. Lasciò indietro le due sorelle che confabulavano, ed una delle due parlò così silenziosamente che Mary non riuscì neanche a distinguere di chi fosse la voce, eppure sentì  dirle che all'interno della carrozza ci fosse anche  un terzo uomo, dagli occhi neri, e di gradevole aspetto. Era seduto accanto al Signor Bingley, e sembravano molto amici.
Il cuore della Bennet accelerò.
Non era importante aggiungere altro. Il suo cuore le diede la certezza, che lui, il suo signore, ci fosse ancora. Inutile negarlo: ci era restata male per non averlo visto, quando invece le sue sorelle lo avevano scrutato.  Ma lui era ancora nel suo paese, accanto a lei, ed era questo quello che importava di più.  Perché significa che Mary avesse ancora  la certezza di poterlo incontrare in un altro momento.
Sperava, voleva, sognava, di vederlo ancora una volta.
La ragazza era così felice di quella notizia tanto da spaziarsi  nella contentezza del suo cuore al punto da non accorgersi che qualcuno l' aveva riconosciuta  anche di spalle, e che l'avesse persino chiamata.

Quel qualcuno, era seduto sulla carrozza. Accanto al Signor Bingley. Ed aveva anche gli occhi neri, che una ragazza definiva, addirittura, dolci, e sublimi.
Quel qualcuno era lui. Solo ed unicamente lui, il suo signore, il signore di Mary Bennet.
Oh, se  avesse ascoltato la sua voce, il suo saluto,  la piccola, sarebbe stata  sicuramente molto più felice di quanto già non lo fosse.
Oh, se ora sapesse che il suo Signore l'avesse cercata, come anche lei aveva fatto poco fa con lui, tra i ricordi del suo cuore.
Oh, se solo  capisse di quanto l'amore le stia cambiando la vita… 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Orgoglio e Pregiudizio / Vai alla pagina dell'autore: IloveJoseph