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Autore: IrishBreeze    19/04/2008    10 recensioni
[Il Conte di Montecristo] Non fu senza dolore che Albert si ritrovò senza padre. ATTENZIONE!E' una Albert/Conte, quindi se la cosa vi urta o disgusta non aprite, grazie!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: That Shameless Night

Fandom: Il Conte di Montecristo

Pairing: Albert de Morcerf/Conte

Timeline: Quei famosi (?) 3 giorni che Albert spende al mare con il Conte.

Disclaimer: Questi due adorabili personaggi appartengono al vecchio Dumas, che chissà se avrebbe approvato tutto questo. *ho qualche dubbio XD*

Dedicata a: Alla Eide ovviamente! E’ tutta per te, mia compagna di fandom! xD




That Shameless Night

Albert de Morcerf, malgrado la sua giovane età, era un uomo abitudinario.

Quella mattina, come tutte le mattine, si alzò alla solita ora, si infilò una vestaglia di flanella blu e scese al pianterreno ad aspettare la colazione.

La cameriera, come soleva fare tutte le mattine, non appena lo vide fece portare al tavolo un bicchiere d’acqua fresca, una vaso contenente una camelia rossa ed il giornale del mattino. Con un gesto congedò la servitù ed aprì il giornale alla pagina della cronaca di Parigi.

“Mio caro Albert!”

La voce tonante del Conte lo avvertì che ormai non era più solo nella stanza. Cercò di rispondere cordialmente, ma non abbassò il giornale dagli occhi.

“Buon giorno, Conte. Come vedete sono venuto meno al mio proposito di starmene lontano dalle infauste nuove di Parigi per un po’. Questi giornali sono tentatori, e Beauchamp lo sa bene”

Trattenne il respiro aspettando la risposta del conte. Gli sembrava di essere stato abbastanza convincente, ma aveva ormai imparato a non sottovalutare la grande sensibilità del Conte.

“Dev’essere dura, per un vero parigino come lei stare lontano dal pettegolezzo”

Sentì il conte sorseggiare qualcosa da una tazzina. Si era seduto di fronte a lui. Albert strinse forte i denti, doveva resistere solo un altro po’.

Tutti questi pensieri incoerenti ed assurdi si affollavano nella sua mente. Resistere? Quanto poteva durare una colazione? Una ora, un’ora e mezza? E sarebbe stato tutto quel tempo coperto da un giornale? Quantomeno il conte lo avrebbe invitato ad andarsene dalla sua casa, credendolo un ospite impertinente.

Ma lui non pensava a tutto questo, no. Pensava solamente a salvarsi, ad evitare quel crollo tanto vergognoso.

“Albert.”

Una mano bianca e dall’apparenza gelida scostò un lembo del giornale di Albert, rivelando una espressione atterrita e due occhi gonfi dal pianto.

“C-Conte, perdoni questa mia… questa mia…”

Decise che sarebbe stata una debolezza imperdonabile, ammettere di avere avuto una debolezza. Cercò di dimenticare di aver cominciato una frase ed evitò lo sguardo pietoso e sicuramente interrogativo del Conte. Non era pronto per tutto quello.

“Venga con me, Albert, venga.”

Le stesse mani che avevano divelto quelle sue pietose tende cartacee ora lo avevano sollevato dalla rigida sedia sulla quale era seduto e lo trascinavano verso il divano di velluto nella sala adiacente. Albert mormorò fra se e se una benedizione per quelle mani, senza le quali non sarebbe stato capace di reggersi in piedi. Le ginocchia tremavano e le sue gambe non potevano più sostenerlo. Tuttavia, non riconosceva con chiarezza la causa. Se Montecristo non avesse pensato che non si sarebbe retto, avrebbe tremato comunque?

“Non c’è bisogno di dire nulla. Si riprenda, Albert.”

Il tono preoccupato ma infinitamente distaccato del conte fece ancora più male ad Albert, che sentì una goccia di sudore freddo scendergli sulle tempie.

“Mi scuso per il mio comportamento, Conte. E’ stato solo un momento.”

“Sarà come dice, mio caro amico. Ma le consiglio vivamente di riguardarsi. Il suo non mi è parso un dolore effimero, ma qualcosa di davvero duro. Non vorrei che reprimendo troppo facilmente questi sentimenti potesse soccomberne.”

Dicendo queste parole, il conte gli strinse un braccio.

Albert sentì la solita mano gelida attorno al suo polso, ma per una volta, per quella volta soltanto, si concentrò più sul calore provocato dalla stretta che dalla freddezza intrinseca di quella mano amica.

“Ha ragione, conte, ha ragione. Ma affrontare questo dolore… Lei non sa cosa sta chiedendo.”

“Su. Io la so coraggioso, mio caro Morcerf. La ho vista dormire beato in mano a feroci banditi, ed, in nome della vita che a me solo deve, la assicuro che può essere più coraggioso di così.”

Albert alzò gli occhi verso quelli del Conte. Non l’aveva mai sentito così vicino, e si domandò come avesse fatto a vivere fino a quel momento senza quell’infuso di coraggio e di grazia che trovava nelle parole del Conte.

Non solo nella parole, no. Nelle azioni, nelle premure, nel suo sorriso che, sebbene non apparisse poi così di rado, poche volte era davvero benevolo. E con lui lo era spesso. Era come il padre che aveva sempre avuto, con l’enorme differenza che il Conte non lo aveva sempre avuto.

“Sono un uomo perso, conte” mormorò. Non voleva davvero che il conte lo sentisse.

“Qualcuno ha voluto che non fosse così, amico mio. Ti conosco pieno di coraggio, Albert.”

Le mani del conte ora erano sulle sua spalle, ed ancora lo sostenevano.

Certamente Albert era un uomo forte e coraggioso. Era il vanto e l’amore della madre, e sua madre era tutto il suo vanto e il suo amore. Erano entrambi legati da un cognome uguali e lo benedicevano per questo.

Ma ora, Albert si trovava privato di quel solido legame con la madre. L’amore era vivido e intenso come sempre, ma quel legame formale dato dal cognome se n’era per sempre andato. Albert era privo di padre, e Mercedes era priva di marito. Albert rifiutava di pensare che Mercedes potesse accettare come marito un traditore. Era una donna troppo bella.

Ma lui ora si trovava lontano da lei, e lei non sapeva nulla dell’uomo che credeva di amare. E lui era da solo, perso in mille ricordi spiacevoli non suoi, dimenticato da tutto e senza la necessaria ancora.

Non sarebbe affondato, perché era forte, ma la sua giovinezza giocava a suo svantaggio.

Appoggiò le sue mani su quelle del conte. Questi sussultò al contatto e staccò immediatamente le mani dalle spalle di Albert. O meglio, ciò era quello che voleva fare; Albert glielo impedì, e si portò una di quelle mani fuggitive alla guancia.

“Mio dolce padre…”

Per un attimo gli occhi del Conte si smarrirono in mille pensieri e possibilità. Il suo smarrimento durò solo qualche secondo, ma bastarono per riempirgli lo sguardo di una pietà che contrastava piacevolmente con la pallidezza della sua pelle.

“Albert, amico mio, è un destino crudele, un piano crudele, quello che ci ha fatti incontrare, sei stato sfortunato.”

Albert allontanò la mano del conte dal suo viso e gli passò le braccia al collo. Il conte accettò l’invito, e lo strinse a se.

“Sei stato sfortunato, figlio mio.”

Il ragazzo portò la sua mano sulla guancia di Montecristo. Lo vide turbato e sconvolto, e decise di toglierla subito,e la portò dietro alla sua nuca. Avvicinò il suo volto al suo, e lo baciò.

“Ti prego padre, non voltarti, non voltarti caro padre, non voltarti”

Il conte abbassò gli occhi. Non per viltà, non per paura, non per timore. Per nascondere un sorriso.

“Non lo farò, figlio mio.”

Rispose al bacio, ed il suo corpo divenne finalmente porto.

Albert ci attraccò senza nessuna remora, e questa volta dovette sforzarsi davvero tanto per reprimere le lacrime. Una lacrima di più, e sentiva che Montecristo l’avrebbe abbandonato.

Non sapeva cosa stesse pensando lui in quel momento. Non l’aveva mai saputo, non l’avrebbe saputo mai, nessuno l’aveva mai saputo e nessuno l’avrebbe saputo mai.

Sentiva solo qualcosa che legava le sue braccia a quelle del conte, le sue mani alle mani del conte, ed era qualcosa di indissolubile e leggero. Sentiva di appartenergli totalmente.

“E’ come se non fossi mai dovuto nascere fino a questo momento” sussurrò il Visconte di Morcerf.

Il Conte stiracchiò la bocca in una smorfia che avrebbe potuto significare mille cose, e mille altre ancora. Passò una mano fra i disordinati capelli di Albert e cercò di calmarlo.

“Alberto, mio caro Albert… Non dovresti essere nato se non per stare fra le mia braccia come ora. Non dovresti essere nato per nulla, se non per questo.”

Albert sorrise, e non si sentì più solo.

  
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