È un
ridondante rumore di calcinacci a spezzare il silenzio di uno dei tanti
vicoli
malfamati di Londra. Richard guardò di sotto, come a seguire
il percorso di
quei pezzi di terracotta che si schiantavano sul selciato sottostante,
rompendo
l’atmosfera chiusa e assonnata di una mattina che di Inglese
aveva ben poco. La
fresca brezza dell’alba accarezzò il volto del
ragazzo, che per una volta era
ben contento di non dover girare sui tetti con la pioggia battente.
L’occhio
attento pareva seguire con attenzione le altezze così varie
degli edifici che
si susseguivano nella suo giro di ronda. Ironico chiamarlo
così, visto che
l’unica cosa che Richard amava curare e sorvegliare erano le
sue tasche, sempre
vuote al levare del sole ma subito rinfrancate fino alla sera. Tutto
stava nel
conoscere bene le abitudini.
Gli
aristocratici, ad esempio, non
amavano
troppo rimanere in casa e passavano le giornate nei salotti e nelle
varie sale
private di cui Londra abbondava al tempo, la cui dubbia
utilità e il gusto
lascivo e lussurioso lasciavano solo nell’immaginarle una
nota di piacere sulla
lingua. Per qualcuno di abbastanza abile, quindi, non era difficile
appropriarsi di quelle cose che lasciavano poco custodite o che loro
ritenevano
di poca importanza, ma che al mercato nero fruttavano di che vivere in
maniera
decente.
Richard indietreggiò di qualche passo. Era praticamente sul
bordo del tetto di
una delle case costruite di recente in quella zona. Dire che offrissero
un
alloggio decente per le persone che lavoravano in miniera poteva essere
considerata una battuta di più che pessimo gusto, ma almeno
avevano un riparo,
potevano sopravvivere. Si diede la rincorsa e saltò. Altri
pezzi di terracotta
e calce caddero dal tetto, frantumandosi di sotto, mentre Richard
rimaneva, con
le mani, aggrappato all’edificio di fronte, cercando di farsi
forza con le
gambe per reggersi, mentre le braccia lo tiravano su.
Si sollevò, controllando di non aver perso
nessuno dei suoi arnesi nell’effettuare il salto, mentre
dirigeva lo sguardo a
qualche isolato di distanza.
Di solito era abituato a non seguire alcun giro prefissato, lavorava in
maniera
completamente libera. In effetti sembrava che una sorta di istinto
soprannaturale riuscisse a guidarlo verso gli obbiettivi più
succosi, non aveva
proprio nulla di cui lamentarsi. Ma quella volta non era
così. Erano giorni che
gli aveva messo gli occhi addosso, non riusciva a toglierselo dalla
testa.
L’altezza, la difficoltà e neanche il fatto di
essere scoperto lo spaventavano
troppo. Si era già riuscito a salvare da brutte situazioni e
di certo non
avrebbe tenuto a freno la sua curiosità per così
poco. Ad ogni momento che
passava a pensarci, le mani fremevano come se fossero vogliose di
afferrare
qualcosa da lì e svignarsela il prima possibile. Non poteva
resistere al
desiderio che lo attanagliava.
Forse erano davvero in pochi, effettivamente, quelli che potevano
negare il
fascino che quella casa esercitava, soprattutto rispetto al piatto
quartiere
che la circondava. Già solo in altezza, svettava con
maestosità rispetto alle
modeste edificazioni che altre famiglie di discreto ceto e rendita
avevano
costruito in anni di accumuli e guadagni. In più, se si
consideravano le
resistenti e sicure costruzioni di mattoni, intonacate ad arte, che le
facevano
da cortile, il grottesco accostamento di strutture di non si sa quale
metallo e
il precario accostamento di elementi comuni come lo stesso tetto fatto
di
piastrelle di terracotta alle appariscenti strutture circolari che
andavano ad
intersecarsi in un tripudio di forme davano l’idea che,
qualunque cosa ci fosse
dentro quell’edificio, potesse essere solo lontanamente
immaginabile. Non
sarebbe mai riuscito ad entrare nella ditta dei Garrad, che le stesse
guardie
della regina proteggevano con estrema cura, e i gioielli della corona
sarebbero
rimasti certamente per lui solo un sogno da stupidi. Ma proprio per
questo quella
maestosa torre d’acciaio era, per Richard, allettante quanto
poteva esserlo la
Jewel House. Il percorso sui tetti che lo separava dal suo obbiettivo
però non
si prospettava troppo impervio. Certo, alcune grondaie pericolanti e
calcinacci
in libera caduta potevano rappresentare problemi di non poco conto, ma
non era
così stupido da rischiare di farsi seriamente male senza
conoscere vie più
sicure. In più, non era un grandissimo acrobata.
Almeno era in grado di arrampicarsi discretamente e certo non aveva
paura di
sporcarsi gli abiti per una scalata più dura della norma.
Quando fu a pochi passi dall’imponente edificio, non
poté fare a meno di
fermarsi a fissarlo, quasi come se da lontano non rendesse la stessa
idea che
la vicinanza dava. Nonostante l’apparenza che poteva dare ad
un primo sguardo,
cioè quella di una rimediata accozzaglia di scarti di ferro
e oggetti dalla
forma più che insolita, il fascino che quella struttura
esercitava aveva
dell’incredibile. Ad osservarla con attenzione, seppure
fossero tanti materiali
diversi a comporre l’edificio, erano tutti armonici nella
composizione e nella
tinta, apparendo quasi come il piano prestabilito di un disegno
studiato nei
minimi dettagli. La sua forma ricordava a grandi linee un grosso
cilindro
deformato alla base, lungo le pareti del quale si alternavano arcate e
cornicioni in mattoni e strutture cave, che rivelavano la presenza di
quelli
che si poteva presupporre fossero complessi metallici incavati.
Gli occhi di Richard iniziarono a scorrere lenti lungo la fiancata che
troneggiava davanti a lui, come per capire un modo sicuro per entrare
lì dentro
senza destare troppa attenzione in gente troppo curiosa. Per prima
cosa, cercò
delle finestre.
Di sicuro, il giovane rimase parecchio deluso quando notò
che le classiche
strutture di forma rettangolare, ampie e facili da violare, erano state
rimosse
e sostituite da altri punti di luce dalla forma pressoché
circolare, che
ricordavano, per certi versi, gli oblò di un normalissimo
naviglio. Di sicuro,
non era possibile forzarle semplicemente e in poco tempo. Gli serviva
un’altra
idea.
Dovette cercare un paio di metri più in alto. Finalmente
sembrava esserci uno
spiraglio. Certo, gli sembrò strano che, tra quello che
sembrava il terzo e il
quarto piano dell’edificio ci fosse una zona vuota, legata al
resto della
struttura da un pilone centrale che assicurava solidità. Non
c’era alcun motivo
per cui un edificio del genere avesse bisogno di una tale zona vuota e,
tra
l’altro, non ispirava davvero tanta stabilità su
tutta la struttura. Ma questi
sono dubbi che passarono per la mente di Richard per un tempo davvero
insignificante, non era quello che gli importava davvero, in fondo.
Esaminando
la parete esterna della torre, con le sporgenze e gli incavi sparsi
occasionalmente lungo il tragitto che lo separava dalla sua via
d’entrata,
concluse che non doveva essere troppo difficile arrampicarsi fin
lassù. Il suo
modo di arrampicarsi era molto rozzo e scoordinato, tanto che molte
volte
sembrava riuscire a tenersi aggrappato per puro miracolo. Nonostante
ciò,
raggiunse quasi subito il piccolo spazio che separava i due piani
superiori
dell’edificio e che gli poteva permettere di strisciare
dentro senza troppi
problemi. Strisciare, dovette letteralmente farlo, visto che lo spazio
per
passare e raggiungere un foro di modeste dimensioni che si apriva sul
soffitto
della stanza sottostante era davvero esiguo. Si fece comunque coraggio
e
sopportò anche quella prova, passando in un ambiente che
dava un tale senso di
costrizione e compressione da bloccare il respiro, sempre con il
pensiero
fisso, nella mente, che la struttura potesse cedere, da un momento
all’altro, e
dare fine alla sua vita di avverse fortune e furti. La stessa
difficoltà nel
raggiungere quel luogo non gli permise di fare un’entrata
comoda ma,
scivolando, cadde direttamente sul pavimento della stanza sottostante.
Il
tonfo, forte e improvviso, rimbombò nella stanza, spezzando
l’atmosfera silente
che aleggiava al suo interno. Richard non riuscì ad alzarsi
subito. La botta
era stata abbastanza forte e non era completamente sicuro di essere
tutto
intero, tanto più che per alcuni secondi non riusciva a
sentire le gambe, né le
braccia. Di sicuro, tutto il suo torace lo sentiva, tanto era
dolorante. Cercò
di sollevare almeno lo sguardo, per capire dove fosse finito, ma non
sapeva
spiegarsi esattamente cosa c’era davanti a lui. La sua vista
era leggermente
annebbiata, ma era più che sicuro che ci fosse qualcosa che
penzolasse dal muro
di fronte a lui. Non ebbe modo di rendersene subito conto, ma,
qualunque cosa
ci fosse, aveva iniziato a muoversi. L’aria iniziò
a riempirsi di un caldo, ma
sopportabile, strato di vapore, che rese la vista di Richard ancora
più
difficoltosa. D’un tratto, sentì che il suo corpo
stava iniziando a sollevarsi,
come se qualche forza misteriosa lo stesse trascinando in alto, ma non
c’era
nulla di troppo misterioso in questo. Non appena i suoi occhi furono in
grado
di vederlo si accorse, a metà tra lo stupore e la paura, che
delle costruzioni
metalliche, simili a braccia umane, almeno per quanto riguardava le
mani, lo
stavano tenendo per la camicia, lasciandolo a penzoloni per un
po’. Poi, con un
gesto che aveva un’aria stranamente flemmatica e
servizievole, queste lo
posarono nuovamente a terra, avendo cura però di averlo
rimesso in piedi sulle
sue gambe. Il giovane rimase impietrito di fronte a quei due arti
scintillanti
che, con dei movimenti molto rumorosi e lenti, tornarono nuovamente al
loro
posto, mentre il vapore nella stanza iniziava a diminuire
progressivamente.
Richard osservò che, alla sinistra di entrambi gli arti,
c’erano dei piccoli
tubi. Molto probabilmente, era da lì che proveniva il
vapore. Ne era
stranamente incuriosito. Anche se era lì per motivi ben
diversi, non poté
resistere all’avvicinarsi a quei due prodigiosi arti
metallici. A vederli
sembravano proprio braccia, ma le loro dimensioni e il loro colore
lasciavano
intendere qualcosa di tutt’altro che umano. Qualcosa di molto
complesso e
studiato, ma che fuori lasciava intravedere così poco. Non
ebbe però modo di
ragionare su molto altro.
-Potrei chiedervi cosa ci fa in casa mia, ragazzo?-