Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Ele28    05/11/2013    6 recensioni
Venerdì. Sa che cosa succede di venerdì, sa quello che gli aspetta ogni volta quel giorno della settimana si ripresenta. È solo un bambino e non dovrebbe nemmeno conoscere il termine 'terrore' o 'ansia', ma è proprio quello che sta provando in questo momento: ansia di sentire i suoi passi avvicinarsi a lui, terrore nel vedere i suoi occhi furiosi che lo trafiggono come lame. Non succede solo di venerdì comunque, ma mentre gli altri giorni sono un mistero, potrebbe accadere come non potrebbe accadere, il venerdì sera è una certezza. È di venerdì sera che suo padre prende la sua misera busta paga dal cantiere e va a giocarsela d'azzardo. È di venerdì che perde i suoi soldi che dovrebbe usare per il suo bambino. È di venerdì che, furibondo per la perdita, si scola più alcool del solito. Ed è in quel giorno che ritorna marcio di birra, marcio di rabbia, più cattivo, più autoritario, più violento, più irrazionale, più spaventoso.
Louis è solo un bambino di 9 anni, ma sa cosa significa venerdì.
-Harry/Louis - 43kb-
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prima di iniziare vorrei consigliarvi di leggere, sebbene siano molto lunghe, le note finali, perché sono una spiegazione dettagliata della storia, da poter così comprendere meglio vari aspetti, e poi semplicemente mi farebbe piacere se lo faceste. Grazie e buona lettura!! A dopo...


 

 
 
Acchiappasogni di venerdì




 
 
 
Venerdì. Sa che cosa succede di venerdì, sa quello che gli aspetta ogni volta quel giorno della settimana si ripresenta. È solo un bambino e non dovrebbe nemmeno conoscere il termine 'terrore' o 'ansia', ma è proprio quello che sta provando in questo momento: ansia di sentire i suoi passi avvicinarsi a lui, terrore nel vedere i suoi occhi furiosi che lo trafiggono come lame. Non succede solo di venerdì comunque, ma mentre gli altri giorni sono un mistero, potrebbe accadere come non potrebbe accadere, il venerdì sera è una certezza. È di venerdì sera che suo padre prende la sua misera busta paga dal cantiere e va a giocarsela d'azzardo. È di venerdì che perde i suoi soldi che dovrebbe usare per il suo bambino. È di venerdì che, furibondo per la perdita, si scola più alcool del solito. Ed è in quel giorno che ritorna marcio di birra, marcio di rabbia, più cattivo, più autoritario, più violento, più irrazionale, più spaventoso.

Louis è solo un bambino di 9 anni, ma sa cosa significa venerdì.

Sono le dieci di sera e Louis si trova nella sua camera grigia al buio, raggomitolato sotto il suo lettino, gli occhi azzurrissimi spalancati e un po' umidi, le spalle piccole scosse da tremori, brividi che scorrono lungo le sue ossa sporgenti (perché suo padre non si preoccupa di nutrirlo così spesso), mani sottili che stringono convulsamente il maglione marrone troppo grande per lui di sua madre, cercando in qualche modo la sua protezione ed il calore della sua presenza. Sono le dieci di sera di un venerdì piovoso di ottobre quando il portone di casa si spalanca violentemente annunciando il ritorno di suo padre al piano di sotto. Sente i passi pesanti e irregolari salire le scale, gli scricchiolii del legno ad ogni gradino che calpesta sotto i suoi anfibi, ed ogni rumore più vicino alla porta della sua camera è un battito del cuore di Louis che corre più veloce del precedente dentro la sua cassa toracica, il respiro corto e affannato al ritmo veloce del suo organo che pompa sangue impazzito, al ritmo frenetico dei fremiti violenti che scuotono il suo corpicino. L'unica fonte di luce, eccetto i lampi che sferzano il cielo di tanto in tanto al di fuori della finestra, è la linea sottile della luce del corridoio che filtra sotto la porta chiusa, interrotta  in due punti dalla presenza di scarpe al di là della soglia. Il fracasso di una bottiglia di chi sa quale alcolico che si distrugge a terra e la porta si apre con un cigolio sinistro, rivelando la sua grossa ed imponente figura ubriaca in controluce.

"Louis?" chiede con voce profonda mentre il piccolo si ammutolisce immediatamente trattenendo il respiro.

"Pulcino, dove sei?" dice avanzando con passi  pesanti e malfermi verso l'armadio.

"Vuoi giocare a nascondino, pulcino?" dice mentre apre l'anta che nasconde solo qualche vestito.

Ora il suo tono si fa severo e arrabbiato " Louis esci fuori immediatamente o sarà peggio per te". Poi, percorrendo la stanza verso il letto spezzando la luce ad ogni passo, continua con tono più addolcito "Non vuoi fare arrabbiare il tuo papà vero? Tu non sei un cattivo bambino vero? Per caso non vuoi bene al tuo papà?".

Un momento di silenzio, Louis non sa come riesce ancora a trattenere il respiro, ma i suoi polmoni cominciano a bruciare. Suo padre tace ed è immobile. Per un istante crede che tornerà di sotto tentando di cercarlo in cucina o in salotto, da poter così di nuovo prendere aria, ma l'attimo dopo,  senza quasi accorgersene, le coperte del letto vengono sollevate velocemente rivelando il viso in collera del padre, gli occhi impossibilmente spalancati e ardenti.

Louis lancia un urlo strozzato e cerca di fuggirgli sgusciando dall'altro lato, ma le mani prepotenti del padre lo afferrano per le caviglie trascinandolo fuori. Cerca di aggrapparsi a qualsiasi cosa per resistergli, ma è decisamente più forte di lui e non riesce. Scalcia, ma le sue gambe sono troppo deboli e sottili per allentare la presa ferrea delle sue mani callose da muratore.

"Pensavi di fregarmi pulcino? Pensavi che non ti avrei trovato? Pensi che sono un stupido forse? Un fallito con una moglie morta ed un figlio inutile come te? È?" gli urla girandolo e scuotendolo con violenza per le spalle, il corpo inginocchiato sopra di lui a sovrastarlo completamente  e a fargli ombra. Louis ancora disteso a terra tremante con le mani protese in avanti nel misero tentativo di proteggersi dalla sua furia e dal suo alito che puzza terribilmente di vino scadente, le lacrime che hanno cominciato a solcargli le guance incavate, gli occhi ancora più azzurri.

"P-p-pa..pà ti p-prego"

"Rispondi!" lo incenerisce con lo sguardo, " È questo che pensi vero?" urla con tutta l'aria che ha nei polmoni.

Louis non risponde. Sa che ogni risposta è comunque quella sbagliata e che potrebbe farlo arrabbiare ancora di più. Sa che sua madre è morta da sette mesi e ciò che le rimane di lei è un maglione marrone chiaro sfilacciato, troppo grande per la sua sottilissima figura. Sa che suo padre ha dato di matto da allora e disperato si è disfatto di tutto ciò che fosse legato al suo ricordo per paura di ritornare in una cosa dove le mura parlassero di lei e gli ricordassero di averla persa. Sa che è riuscito a nascondere solo quel tessuto rovinato e che suo padre impazzirà di rabbia nel vederlo addosso a lui. Sa che da' la colpa a lui della sua morte e che glie lo ripete e glie la fa pagare da allora ogni volta che può e di sicuro ogni venerdì. Sa che lo picchia e lo lascia spesso senza cibo perché se ne infischia di lui e perché il dolore l'ha portato alla dipendenza dal gioco d'azzardo e allo sprecare ogni centesimo per tracannare fiumi di alcool per dimenticare, sicuramente non ha soldi da spendere per comprare del cibo a quel figlio maledetto. E sa infine che ha ragione, che è colpa sua, che si merita tutto quello, che è un bambino cattivo.

"Allora?" continua ad insistere e Louis continua a tacere.

Il padre senza più alcun controllo gli arpiona i fianchi e lo solleva da terra come se non pesasse nulla, anche se in effetti è così magro che potrebbe davvero non pesare niente, e lo getta impetuosamente sopra il letto.

"Sei un bambino cattivo, pulcino" e gli molla uno schiaffo pesante alla guancia sinistra facendogli voltare il viso. "È colpa tua se Johanna è morta lo sai, è colpa tua se sei scappato dietro quel vicolo la sera per giocare a nascondino,  colpa tua se mentre tu eri nascosto come un codardo dietro ad un'auto, un ladro ha sparato a tua madre per cercare di rubarle la borsa, lei era venuta a cercare te, che eri corso dall'altra parte della strada, che ti eri infilato in quel cazzo di vicolo senza lampioni, colpa tua se quel maledetto stronzo si trovava lì ed era fatto di droga fino a vomitare, è colpa tua, tutta colpa tua!". Un tuono sovrastò il suono del secondo schiaffo alla guancia destra."È colpa tua perché sei un pulcino cattivo, perché non ho più soldi che devo spendere per mantenere te, che devo bere per non pensare alla mia Johanna che hai ucciso".

"... E tu vuoi giocare ancora a nascondino? Ti permetti ancora di farlo?".

Un altro fulmine ad illuminare quella scena orribile, e con lui un altro colpo.

L'uomo lo afferra per il collo del maglione informe sollevandogli la schiena dal materasso. Lascia la presa poi quando si rende conto che quell'indumento sgualcito è di Jay. Spalanca gli occhi chiari e "Come ti permetti di indossarlo!?" abbaia con una furia inaudita.

Il piccolo singhiozza violentemente mentre il padre gli sfila il maglione indelicatamente. Rimane a petto nudo, infreddolito, le ossa sporgenti, i lividi violacei di qualche giorno prima a contornargli il fianco destro e le costole, a ricordargli come un marchio la sua colpa. Rimane in silenzio Louis, finché il padre non comincia a stracciare la maglia.

"N-no, no, ba-basta, ti- ti pre...go no".  Si getta sul padre catturando quel tessuto prezioso, quell'intreccio di fili che lo legano alla madre, cercando di strapparglielo dalle mani rudi e salvarlo, ma non ci riesce, maledizione, è troppo stanco, è troppo debole, è troppo sottile, è un pulcino.

Il padre lo butta violentemente giù dal letto e finisce a terra accanto ai filamenti aggrovigliati di un maglione che non è più possibile riconoscere e riassemblare, come una  foglio di carta stracciato in mille pezzi e calpestato, come il cuore di Louis.

Il padre quel venerdì sera, coperto dal rumore dei tuoni della tempesta come urla di dolore, lampi che illuminavano quella scena raccapricciante, picchiò il bambino con violenza, mentre il piccolo, raggomitolato come una lumaca dentro al guscio per cercare di tenere insieme tutti i pezzi del suo fragile corpo, ripeteva dentro di se

'è colpa mia, sono un pulcino cattivo, è colpa mia, è solo colpa mia'.

 
Era di venerdì sera che il padre lo convinceva di essere un 'pulcino cattivo', era di venerdì sera che Louis pregava che sabato mattina arrivasse presto, era di venerdì che piangeva per il maglione distrutto. Era di venerdì quando sua madre era morta.
 
 


 
 
Uno scatto improvviso, il viso imperlato di goccioline di sudore, gli occhi sempre azzurrissimi sbarrati, ancora a fissare quel ricordo.

Un incubo.

Respirava affannosamente seduto sul letto matrimoniale in cui stava dormendo... o meglio... stava cercando di dormire, perché è difficile abbandonarsi al mondo dei sogni quando gli incubi popolano la tua mente ed il tuo cuore appena cerci di abbassare le palpebre. Louis sente improvvisamente freddo, e non sa se è per il fatto che ha lasciato aperta la finestra e fuori c'è una tempesta, o forse è il freddo che sente dentro di se, la sua tempesta interiore, che gli attanaglia la pelle del busto non coperto da un maglione color cioccolato al latte.

Dorme sempre poco a dire il vero, solo in alcune occasioni ci riesce davvero e di sicuro non può riuscirci in un giorno come quello...

Si alza ancora turbato, si sente debole, forse perché non riesce a dormire un granché, o magari perché il gelo gli è penetrato fin dentro le ossa quasi a sgretolarle, o perché incubi, ricordi di tale intensità, riescono a rendere stanca non solo la mente ma anche tutto il resto delle membra.

Un lampo lo ridesta dai suoi pensieri, le lebbra screpolate tremano, tremano anche le gambe che lo portano verso la grande finestra, tremano anche le mani che la spalancano completamente. Sente ancora più freddo, ma forse lui se lo merita infondo.

Scuote la testa a quel pensiero e con le ante ancora completamente aperte si dirige velocemente verso il bagno. Forse sciacquare il viso con un po' di acqua calda potrà tranquillizzarlo e scaldargli un po' il cervello ghiacciato da incubi tormentosi, forse potrà sciogliere il gelo che gli stringe il cuore come una morsa, impedendogli di respirare bene, impedendogli di ragionare lucidamente, impedendogli di pompare sangue caldo che potrebbe far scorrere via il suo passato freddo dalle vene.

Le mani a coppa sotto il getto di acqua tiepida che scorre dal lavandino del bagno raccolgono ogni goccia, si piega per avvicinare il viso a quello specchio liquido e ci immerge meticolosamente ogni parte della sua faccia. Sospira. Alza lo sguardo verso lo specchio e si osserva...

Realizza che forse quel ricordo lontano non è poi così lontano.

Lo specchio riflette gli stessi occhi azzurrissimi, un po' umidi e spalancati come quella sera. Si toglie la felpa che lascia scivolare a terra per vedersi meglio... ha ormai 21 anni ma il suo corpo non è diventato né grande, né muscoloso come quello di suo padre, anche se ormai è disabilitato dalla prigione e dal cancro al fegato che lo sta pian piano spegnendo in quel letto di ospedale. No, è molto più simile a quel corpo di bambino di 9 anni, non è sottile come quello che ricorda, ma è comunque piccolo, minuto, esile, le sue mani sono piccoline, anche i suoi piedi lo sono, i fianchi sono stretti.

Forse suo padre ha ragione, è un pulcino e lo sarà per sempre.

A quel pensiero, tremori cominciano a scuoterlo improvvisamente, Louis fa un passo indietro continuando a fissare la sua figura allo specchio. NoNoNoNo

Non vede più quel ragazzo di 21 anni davanti a se, ma un pulcino spaventato di 9 anni che aspetta di essere punito, con le guance incavate, le costole sporgenti, lividi come fiorellini di una campo primaverile a decorargli tutto il corpo: blu, viola, gialli, rossi, rosa... Sente di nuovo freddo, come quella sera privato del calore dell'abbraccio della madre, privato del suo maglione, e sente le mani di lui addosso. Si tocca convulsamente e ossessionatamente le braccia, poi i fianchi, le cosce, le spalle. Ma il suo tocco non se ne va, non se ne va ed è semplicemente troppo.

Troppo è il freddo, troppo sono la tempesta ed i tuoni, troppo sono le dita del padre impresse come ghiaccio su ogni centimetro della sua pelle, troppo sono i suoi occhi liquidi ed il suo corpo esile, troppo i sensi di colpa, troppo è venerdì.

Louis si tira i capelli nervosamente, tenta di cercare una soluzione per rimediare a quel suo freddo interiore che lo sta facendo impazzire, per rimanere a galla nella pozza ghiacciata in cui rischia di affondare ed immobilizzarsi per sempre. Capisce che ciò che gli serve è calore. La mente corre per trovare ciò di cui ha bisogno e gli occhi vagano frenetici in ogni direzione, finché questi non si bloccano improvvisamente in un punto: la doccia.

Ci si precipita ancora mezzo vestito, troppo impaziente di scollarsi di dosso quelle sensazioni, quelle emozioni. Apre il getto dell'acqua: caldissima, tiepida non gli basta più, e scivola in basso sotto il peso delle gocce bollenti, si rannicchia in un angolino, senza più alcuna forza, è troppo stanco. Raccoglie le gambe al petto con le braccia a circondargliele, cercare di tenere i pezzi del suo corpo spezzato uniti tra di loro come da bambino, il viso affondato tra le ginocchia. Dondola e singhiozza, le lacrime si confondono con le gocce d'acqua che impregnano i suoi capelli, i suoi calzini, i suoi pantaloni della tuta e i suoi boxer. Scivolano sulla sua pelle che non sembra voler smettere di tremare. E Louis spera che quel calore possa sciogliere davvero la sua morsa al cuore come un cubetto di ghiaccio in acqua bollente, che possa fargli scivolare via le colpe, il ricordo dei lividi come fiori, la sensazione delle mani callose del padre calcate ovunque, portare via i suoi incubi, liberargli la mente e poter dormire.
 

 
--
 
 

Harry: altissimo, spalle larghe e braccia muscolose avvolte in un maglione a trecce beije ed un cappotto grigio scuro, tiene le mani enormi dentro le tasche dei suoi jeans stretti, in testa un cappellino nero a tenergli indietro i ricci e al caldo le idee e i pensieri. Cammina sotto la pioggia leggera mangiando il terreno con grandi falcate. Pensa a Louis. Pensa alla prima volta in cuoi i suoi occhi hanno incontrato quelli acquamarina del suo ragazzo.

 
 
E' la Vigilia di Natale dell'anno precedente, ogni casa è un'esplosione di luci vivaci non sincronizzate, bambole di Babbo Natale di plastica appese alle terrazze nel tentativo di raggiungere i tetti e calarsi giù dai camini per donare regali. Il terreno ricoperto da sette, otto centimetri di neve candida e qualche pupazzo di neve qua e la nei giardini, muniti di sciarpe, carote appuntite al posto del naso ed un sorriso felice fatto di bottoni neri.

I bimbi attendono impazienti che il manto nero della notte cali silenzioso sui tetti bianchi delle case e che le luci delle stelle e della luna indichino alle renne di Santa Claus la via giusta per i camini di ognuno di loro.

Poi ci sono gli adulti, o i quasi adulti, come Harry, alla ricerca disperata del regalo ancora non comprato ai familiari prima che chiudano definitivamente i negozi.

Sono le sei di sera, le sei! E Harry non ha né comprato il regalo per sua madre, per sua sorella e per sua nonna. Insomma, non è vero che è più facile fare i regali per le femmine che per i maschi, tanto suo padre vuole sempre la solita cosa ed è sicuro di non sbagliare e che gli sarebbe piaciuta in ogni caso: un libro. Invece le donne sono più complicate, c'è una vasta scelta ed è vero, ma questo per Harry è solo un modo per complicare di più le cose. Inoltre non è l'unico a quanto pare ad essere arrivato all'ultimo minuto per comprare regali, quindi dovrà passare le ore a fare la fila alle varie casse. Anzi, sembra proprio che l'intera Londra sia scesa in città quella sera per fare acquisti e c'è una confusione ed una pazzia generale che disorientano un po' Harry.

Alla fine comunque, con molta pazienza e con un po' di fatica è riuscito in due ore e mezza a trovare un libro di cucina per sua nonna, una collana per sua madre e gli uggs grigi dei quali sua sorella parlava tanto, a lui non piacevano poi così granché, ma se facevano contenta lei allora andavano benissimo. E poi beh, ha pensato anche per lui, dopo delle ore intense e frenetiche come quelle si meritava una bella ricompensa. Si è comprato un giacchetto grigio scuro, davvero caldo e pesante, e poi ne aveva proprio bisogno, il suo gli era rimasto un po' piccolo e poi si erano rovinate leggermente le maniche. Era decisamente ora di riprenderlo.

I negozi stanno chiudendo tutti, molte persone se ne ritornano al caldo delle loro case per il cenone della Vigilia. Harry cammina verso casa con le mani piene di buste. Ha cominciato a nevicare.

Per la strada verso la sua villetta c'è un piccolissimo parco: al centro un albero di natale abbastanza grande, un mini laghetto senza papere accanto e qualche panchina verde un po' arrugginita.

Harry è di fretta, i suoi lo stanno aspettando per la cena e di sicuro si stanno chiedendo che fine abbia fatto. Cammina a passo spedito quando improvvisamente rallenta.

Non sa il perché decide di fermarsi, non è sicuro la sera di notte andarsene da soli per le vie, soprattutto se non c'è nessuno nei paraggi. Però sicuramente quel ragazzo con un cappellino blu in testa, le gambe strette al petto, seduto all'estremità della panchina arrugginita, che fissa l'albero decorato con il mento poggiato sul ginocchio sinistro, non può essere un malfamato delinquente... più che altro sembra un ragazzo triste che non sa a chi poter regalare un libro di cucina, una collana o un paio di stivali. Ma forse si sbaglia. Natale è felicità giusto? Beh non sembra così felice lui, ed Harry, per qualche inspiegabile motivo, vuole cercare di rimediare.

"Ciao" dice infatti appoggiando le buste all'estremità opposta alla quale si era seduto Louis, mentre lui si mette al centro.

Le luci, che si accendono e spengono ad intermittenza, attorcigliate come spago intorno all'albero, illuminano il viso delicato e glabro di Louis.

A quelle parole è come scosso, poggia i piedi a terra e punta i suoi occhi vitrei e costellati dai puntini delle luci colorate sul sorriso di Harry. Ha un fossetta sulla guancia sinistra.

Fa' un timido sorriso e risponde con un flebilissimo "Ciao".

Un po' di teso silenzio che viene subito spezzato dalla voce roca del riccio.

"Sai, mi sono sempre piaciute più le luci ad intermittenza rispetto a quello fisse, soprattutto quelle che cambiano di velocità, prima lente, poi veloci e così via..." dice indicando l'albero.

"... non so bene il perché ma credo sia per il fatto che quando c'è tutta quella confusione tra fiocchi e pacchetti, le luci ad intermittenza sanno incantarti e affascinano un po', soprattutto al buio, come ora.. non so, a me mi calmano".

 Ok, forse quello è il modo più imbecille per cominciare una conversazione, ma in effetti è incantato da come quelle luci creino un arcobaleno nei capelli, nel viso e negli occhi chiari di quel ragazzo. Probabilmente lo ha anche un po' terrorizzato e avrà pensato che fosse davvero un pazzo, ma poi ... "Già" sente in risposta con una voce sottilissima, prima che continui "a me fanno pensare" dice prima di abbassare lo sguardo e catturare il labbro inferiore tra i denti in imbarazzo. Le guance cremisi, non solo per il freddo.

"Sono Harry" dice porgendogli la mano. Louis la fissa un po', poi avvicina la sua incredibilmente più piccola e la stringe leggermente. "Louis" dice con quella timidezza che sembra cucitagli addosso.

Intanto i fiocchi di neve cadono sempre più grandi e freddi ed Harry in quel momento nota che il ragazzo non indossa nessun giacchetto o giacca, né alcun indumento veramente pesante. Infatti le piccole spalle di Louis si scuotono un po'.

"Hei, non senti freddo?" dice passando titubante la mano calda lungo la parte superiore del braccio del ragazzo. Louis si irrigidisce. Si scansa con delicatezza dal tocco e poi continua come se non gli avesse chiesto nulla.

"Oggi è il mio compleanno" dice con un piccolo ed un po' triste sorriso.

"Quanti anni compi?"

"21". Harry è un po' sorpreso a dire il vero, credeva che fosse lui quello più grande tra i due, quel Louis è così piccolo.

"Tanti auguri allora".

Lui risponde con un altro sorriso impercettibile e velato di pensieri freddi.

Poi Louis si rigira a fissare l'albero, come se quell' Harry un po' strano ma gentile non ci sia più, immerge la mente di nuovo in lontani pensieri come stava facendo prima che gli si sedesse accanto, gli occhi di nuovo spenti, animati solo dalle lucette.

Dopo quelli che sembrano secoli, Louis spezza il silenzio di nuovo con affermazioni diverse dal discorso precedente. Harry lo osserva mentre, ancora fissando la punta dell'albero, dice

"Le luci mi fanno pensare... a mia madre. Sono calde se le tocchi con le dita". Un altro tremore percorre il suo corpo, non crede sia per la neve.

Harry non sa chi sia questo ragazzo così piccolo, né perché se ne vada in giro senza giacchetto, né perché la Vigilia di Natale, alle nove e venti di sera, sia da solo in un parco senza anatre e bambini e non a festeggiare il compleanno con la sua mamma che sa di luce e di calore. Una cosa crede di averla capita però: quel ragazzo non ha un cuore che batte spensierato, né una mente che vaga in pensieri gioiosi e questo lo capisce dai suoi occhi che sembrano stanchi, dal suo corpo tremante che nasconde tremori interiori, dal suo sorriso finto.

Per questo, senza nemmeno rifletterci un secondo, afferra la busta che contiene il suo regalo di Natale e glie lo porge.

"Buon compleanno"

Louis sgrana i suoi occhi azzurri, prende il grosso pacchetto e apre la busta di carta. Dentro un giacchetto. Non lo tira fuori, ma lo tocca: è morbido e di sicuro lui non potrebbe permetterselo.

"Forse ti sta un po' grande ma..." non finisce di concludere la frase che il ragazzo dagli occhi di ghiaccio glie lo restituisce.

"Non sono un mendicante, ne ho bisogno della tua miseria" dice, ma non con cattiveria. Harry è indubbiamente un ragazzo premuroso, ingenuo, che vuole essere dolce e che forse vuole sentirsi nel giusto spirito del Natale ed aiutare un ragazzetto giù di morale. Ma lui non può accettare, il regalo è il suo e non è nessuno per toglierlo, anche se quello sarebbe stato l'unico regalo di quel Natale, a casa infatti non ha nessun pacchetto ad aspettarlo, nessuna luce da guardare in silenzio per farsi ammaliare dai colori e nessuna famiglia.

"Guarda che non è carità che credi?... questo è un prestito, poi lo rivoglio indietro"

Dice sorridendo, di nuovo la guancia bucata, e gli rimette il dono tra le dita sottili.

Louis sorride per davvero sta volta e si lascia sfuggire una piccola risata.

"Un regalo in prestito? E che regalo è?". Anche Harry sorride e poi scava in un'altra busta e prende un pacchetto rettangolare e gli porge anche quello.

"Il giacchetto è in prestito, perché questo qui è il tuo regalo.. aprilo"

Louis non sa perché ma è contento, non dovrebbe aprirlo, ma lo fa.

" 'Le 200 ricette dei cupcakes più buoni di sempre' ?" legge il titolo giallo contornato da foto di tanti piccoli cupcakes, alzando un sopracciglio. Ride ancora.

"Beh si, sai, mia nonna già sa cucinare tantissimi dolci buoni e si crede una regina per questo, se impara pure a fare i cupcakes allora comincerà a sentirsi una dea e il suo ego da capo chef è già insopportabile così com'è" dice roteando gli occhi e scuotendo la testa con finta esasperazione. Sorride ed anche Louis inevitabilmente lo imita.

"Ora indossa il giacchetto, è freddissimo e voglio vedere come ti sta"

Louis, non sa davvero perché gli da' retta, ma forse per una volta non vuole pensare, ma godersi un momento felice anche se un po' particolare ed imbarazzante. Forse perché ne ha bisogno.

Si alza, rivelando la sua piccola statura, prende il giacchetto tra le mani e lo indossa. È decisamente grande, le spalle gli vanno larghe, le maniche arrivano fino a coprirgli quasi interamente le mani, solo la punta delle dita escono fuori timide. Ma sorride e sta volta è Harry che lo imita.

Poi quest'ultimo si alza, scocciato dalla molesta vibrazione del suo cellulare che lo avvisa che sua madre sta per chiamare la polizia se non si sbriga a tornare. Prende le sue buste innevate e lascia nuove grandi impronte dirette verso casa. Poi si volta con un sorriso sulle labbra prima di uscire dal parco.

"Buon Natale"

Louis sorride e sussurra tra se e se "Anche a te". Ma quel ragazzo alto e dinoccolate è ormai lontano, immerso tra i fiocchi di neve che non sono poi così tanto gelidi ora.
 

 
 
Harry cammina e pensa che alla fine è riuscito davvero a riprendere il suo giacchetto che sta indossando in quello stesso momento, esso è il filo di Arianna che lo ha ricondotto a sedersi di nuovo la sera seguente sulla stessa panchina arrugginita e sverniciata, vicino a quel ragazzo minuto con in mano un cupcake al cioccolato e nell'altra un pacchettino giallo e rosso, entrambi per lui. Un sorriso vero in volto.

Ma non riprese il suo giacchetto nemmeno quella sera, né quella dopo, né quella dopo ancora, né quando si sono incontrati alla caffetteria dietro le scuole elementari, né quando passeggiavano semplicemente tra i vicoli di Londra la sera, con le dita intrecciate in una morsa salda ed impossibile da sciogliere, tra le vetrine ormai prive di luci natalizie, né quando si baciarono sul divano del minuscolo appartamento di Louis, né quando era ormai abbastanza caldo e al maggiore non serviva più, né quando gli confessò, con il ronzio basso della televisione in sottofondo, la sua storia.
La storia di sua madre, di suo padre finito in carcere, di lui che aveva cambiato casa per non sentire più gli scricchiolii dei gradini di legno, né l'eco della voce ubriaca del padre, né l'aria pregna di sensi di colpa e calci alle costole sporgenti, del maglione strappato, la quale matassa conserva ancora gelosamente nascosta dentro un scatola grigia sull'angolo sinistro dell'ultimo cassetto del suo comodino. Del venerdì e degli incubi e del freddo.

Stringe i pugni con forza dentro le tasche di quel giacchetto scuro che ha inglobato l'esile figura del suo ragazzo per tanto tempo e che continuerà a contenerlo, perché sarà suo per sempre, loro per sempre. Li stringe fin tanto che le unghie cortissime non si infilzano nella carne morbida del suo grande palmo imprimendo piccole mezzelune rosse, e gli anelli che porta al medio e all'anulare non gli fanno male.

Odia quell'uomo, odia qualsiasi essere che osa malleare la mente innocente di un bambino come fosse pongo, creando statue di mostri che lo distruggono da dentro confondendolo e destabilizzandolo, che osa attaccargli addosso colpe che non sono sue, convincendolo di essere un pulcino incapace di crescere, di non poter trovare mai amore, destinato ad essere odiato, disprezzato e di non valere niente.
Di essere il mostro crudele che ha ucciso la madre, il figlio maledetto che 'divora' i soldi del padre. Odia quell'uomo che ha osato scalfire e distruggere quel corpicino piccolo e debole, quel corpicino che merita solo carezze, baci e calore, talmente fragile è. Odia quell'uomo perché ha formato giorno dopo giorno, mattone dopo mattone, la fragilità di Louis, che non è solo quella fisica, impedendogli di nutrirsi in modo adeguato, ma quella psichica, incapace di credere realmente nelle proprie forze, un pulcino intrappolato in un gabbia dalla quale non riesce ad uscire, incapace di vivere un venerdì senza la paura del rumore di anfibi che percorrono le scale, incapace di dormire una notte senza incubi, incapace di sopportare un temporale senza tremare.

Lo stesso temporale che sta scoppiando in questo momento. Un fulmine.

Sospira, allenta la presa delle sue mani raggomitolate e rilassa la mascella che non si era accorto di aver contratto. Non vuole pensare a quell'uomo mai più.

Si sbriga e comincia a correre, ma non può ritornare subito nel loro appartamento, dove Louis è di sicuro già tornato da circa un'ora e mezza e lo sta aspettando, non senza prima avergli comprare quell'oggetto in legno, spago, piume e perline nel negozio di indiani a pochi metri da casa loro. Quando ha visto l'acchiappasogni in vetrina, mentre usciva per andare a lavoro quella mattina, ha subito pensato a Louis, ha pensato che forse sarebbe riuscito ad addormentarsi in un sogno senza incubi anche se era un freddo venerdì sera scandito dal rumore dei tuoni.

Paga con evidente fretta il commesso anziano dalla pelle mulatta e i capelli raccolti in una treccia lunga e corre verso il loro portone dietro l'angolo.
Harry entra nel tepore del loro modesto appartamento, nel camino il fuoco scoppietta. Appende il giacchetto zuppo nel gancio vicino la porta e poggia le chiavi sopra il tavolino della cucina, un sacchetto di plastica ancora in mano. Si dirige con un sorriso verso il piano di sopra, felice della sorpresa per il suo ragazzo. Percorre a due a due i gradini di marmo impaziente e poi...

Il sorriso gli muore sulle labbra quando apre la porta della loro camera: è freddissimo, gocce furiose entrano dalla finestra completamente aperta, il vento ghiaccia ogni angolo di calore tra quelle quattro mura.

Louis non c'è.

"Louis?" lo chiama con voce roca e un po' preoccupata. Entra nella stanza buia, la luce del corridoio gli colpisce la schiena.

"Louis ho una sorpresa per te, dove sei?". Entra nella stanza stringendosi nelle spalle e corre subito a chiudere la finestra. Il letto è sfatto.

Ora che la finestra è chiusa ed il rumore del vento e dei tuoni diventa solo un sottofondo, Harry sente il getto d'acqua della doccia del bagno adiacente alla loro stanza e può vedere le nuvolette di vapore caldo che fuoriescono dalla porta socchiusa, prima spazzate via dal vento furente.

"Louis? Amore sei nella doccia?". Ma nessuno risponde.

Harry apre la porta del bagno e l'acchiappasogni gli sfugge tra le dita, il cuore gli salta in gola.

Dentro la doccia, avvolto da un nuvola di aria calda e goccioline che battono prepotenti il suo corpo come grandine, Louis è rannicchiato, è piccolo piccolo, avvolto nel suo bozzolo strettissimo di membra tremanti e vestiti appiccicati alla pelle, il corpo abbandonato lungo le piastrelle della parete e  singhiozza, singhiozza piano, stanchissimo.

"Louis!!" grida Harry impaurito e si precipita verso la doccia, un'anta lasciata aperta. Chiude immediatamente l'acqua e, con una smorfia di dolore tra le labbra e gli occhi spalancati, si rende conto di quanto sia calda. Non è bollente però per fortuna ed è sopportabile anche se fa male. Louis è tutto sommato 'incolume', la sua pelle non è bruciata, grazie al cielo, sebbene rossissima.

Si siede ancora completamente vestito accanto a Louis, l'acqua calda ad attaccargli i jeans sul retro delle cosce e al sedere.

Louis sentendo quel corpo grande vicino a lui, si ripara la testa con gli avambracci e le mani, i palmi  rossi e rugosi rivolti verso Harry per proteggersi, si rimpicciolisce ancora di più se possibile, incastrando il suo petto alle gambe come se fossero due pezzi di puzzle che combaciano, si appiattisce come una cozza alla parete di mattonelle blu e piange e trama, trema tantissimo, la testa bassa con la fronte premuta alle ginocchia. Aspetta di sentire mani grandi e violente che lo colpiscono. Piange più forte al solo pensiero, ansia e terrore lo invadono e lamenti strazianti gli escono fuori dalle labbra come soffi.

Harry non lo ha mai visto così, mai, in tutte le sue crisi passate non è mai arrivato ad avere paura di lui.

"Louis", "Louis" lo richiama, ma è inutile, non alza lo sguardo. "Louis". Poi gli cinge i polsi con le sue mani grandi che non sono rudi ma delicate e gentili. Louis cerca di opporre resistenza, ma è minima, perché è davvero stanco, ed infine le mani di Harry riescono a catturargli le guance e ad incastrare il loro sguardi. Gli occhi di Harry poi controllano meticolosamente tutto il suo corpo, il suo viso, le sue mani, le sue spalle, vuole essere certo non si sia ustionato. Esce dalle sue labbra un sospiro tremolante quando capisce che comunque sta bene. Poi riallaccia il loro contatto visivo, anche se Louis non lo vede, non per davvero.

Louis ha gli occhi più grandi, azzurri e profondi che abbia mai visto, e sono sconvolti. Il viso magro, come il centro di un fiore, la mani di Harry come la corolla che lo avvolge, le labbra sottili, maltrattate dai denti e semi aperte, il respiro veloce, gli occhi acquosi, i capelli schiacciati in fronte. Bellissimo. Non si merita tutto questo, una creatura tanto bella e delicata non se lo merita.

"Louis guardami, sono io, Harry, sono io, Amore"

Appena Louis sente quella voce, il tocco così leggero di Harry sul suo viso e si accorge finalmente dei suoi smeraldi preoccupatissimi, la consapevolezza che non è suo padre e che non sta per essere picchiato lo scombussola e può finalmente liberarsi da tutto il peso opprimente che ha dentro.

Si rifugia nel petto di Harry, la bocca aperta che soffoca singhiozzi rumorosi sul suo petto, la mano sinistra ancorata al suo maglione come se fosse l'unico appiglio per non morire e cadere nell'oscurità.

Harry lo culla, il braccio sinistro ad avvolgergli le schiena, il destro ad accarezzargli i capelli color sabbia bagnati e gocciolanti. Dondola per tranquillizzarlo, la bocca a lasciargli baci sulla cute ad ogni frase che pronuncia.

"Va tutto bene", un bacio. "Shh, va tutto bene, non è successo nulla", un altro bacio. " Shh, shh, è tutto finito", un altro ancora. "Nessuno ti toccherà più piccolo mio, sei al sicuro", un altro ancora. "Va tutto bene, te lo prometto, te lo prometto, shh".

Ogni bacio è per Louis una cura, continua a singhiozzare e con voce bassissima dice contro il suo petto

"So-n-no u..n pul-ci-i-no", "è, col-p-pa mia, io vo-vole..vo so-l-lo giocar-re", "io so-n-no un p..ulcino ca-cattivo", "perdonami Ha-Harry... ho p-paura".

Harry fa un po' fatica a sentirlo ma ogni lettera gli arriva alle orecchie chiaramente e diritta al cuore come una freccia appuntita. Qualche lacrima spinge ai lati dei suoi occhi verdi, vogliono uscire e gli argini sono troppo sottili per trattenerle. Gocce salate rigano le guance.

Quale mostro ha potuto fargli una cosa del genere?

"No no no no no no shh, non dire così Louis, ti prego" dice con voce strozzata e terribilmente roca.

Louis pian piano si abbandona, le membra distrutte, placa i singhiozzi ed il pianto, le palpebre sono abbassate pesantemente sugli occhi, ma non dorme. La pelle nuovamente di un colore naturale. Harry lo appoggia nuovamente alle mattonelle della parete, si alza, i vestiti zuppi. Solleva Louis mettendogli le mani sotto le ascelle come fosse una bambola distrutta con la quale un bambino prepotente ha giocato troppo. Lo porta fuori dalla cabina della doccia e lo mette in piedi. Ma Louis è stremato, le ginocchia non reggono e ricade in avanti. Le dita lunghe di Harry lo prendono al volo per i fianchi per impedirgli di crollare e capisce che non ce la fa a tenersi in piedi da solo.

Lo fa scivolare lungo le sue braccia finché non è a terra per poi riprenderlo, passa il braccio destro sotto la piega delle sue ginocchia, l'altro a circondargli la schiena. Il viso di Louis nell'incavo del suo collo.

Percorre quasi correndo il bagno, poi la loro stanza ancora freddissima, la quale provoca fremiti al piccolo e debole corpo di Louis. Si precipita di sotto e si mette seduto davanti al camino con il suo corpo ancora in braccio.

Il freddo è tornato, l'acqua calda è ormai scivolata via dal suo corpo e non è riuscita a placare del tutto il suo dolore. Ciò che serve a lui è il calore di qualcuno che lo ama, a lui serve l'amore di Harry.

Il riccio si affretta a spogliarsi, rimane completamente nudo. Sveste degli indumenti gocciolanti anche Louis, che ormai è completamente inerme sotto le sue cure. Prende la coperta da sopra il divano, si siede a gambe incrociate di fronte al camino, Louis seduto sopra di lui, pelle contro pelle, con la parte destra del viso al caldo nell'incavo tra la spalla ed il collo di Harry, le gambe intrecciate sopra le sue. Completamente inglobato dal corpo del minore.

Harry avvolge entrambi nella grande coperta calda e bacia la fronte del suo ragazzo con delicatezza inaudita.
 
Silenzio.
 
Solo lo scoppiettio delle fiaccole del fuoco che creano giochi di colori sui loro visi, solo il respiro leggero di Louis sulla sua clavicola, solo la mente che corre veloce di Harry, le mani di quest'ultimo che non si fermano un secondo, accarezzando e scaldando le braccia e le cosce del maggiore.

Dopo quelli che sembrano secoli, dopo che si sentono finalmente al caldo, con le labbra premute leggere sopra i capelli ancora lievemente umidi del suo ragazzo, Harry parla.

"Louis, tu non sei un bambino cattivo, non lo sei mai stato. Eri una bambino buonissimo al quale è stato fatto credere da un persona pazza di essere un mostro".
Harry capisce di avere l'attenzione di Louis, perché sente il suo respiro accelerare contro la sua pelle e la sua piccola mano sinistra arpionarsi alla sua clavicola destra, lasciando piccoli segni con le unghie, ma non importa.

"Non sei un pulcino Lou, sei piccolo ed è vero, ma la tua forza non sta nella potenza delle tue braccia e non si misura dai centimetri della tua altezza, la tua forza sta qui dentro" dice sfiorandogli il cuore con due dita, il quale comincia a battere frenetico. "Sei stato così forte piccolo mio, hai fatto quello che hai potuto, non tutti avrebbero retto, nessuno può reggere tutto quel peso sulle spalle da solo senza cedere un po'. E seppure le tue spalle erano piccole e fragili, tu sei riuscito a sostenerlo per tanto tempo, ad essere forte fino ad ora. So che sei stanco e so che sei stanco di sentirti stanco, ma è normale piccolo mio, sei stato fortissimo."

"Io ti ammiro amore mio, e non devi, non devi.. ascoltami bene.. non devi mai e dico mai credere che quello che ti è capitato è stata colpa tua, capito?"

"Tua madre è morta perché quel delinquente era drogato e possedeva un'arma che non avrebbe dovuto mai avere, non c'è nessun altro motivo, capito? Tuo padre ti-ti..." fece un respiro profondo, era difficile anche per lui pensare a quelle cose.

"... ti picchiava perché era un alcolizzato che non riusciva ad andare avanti, è un codardo che nascondeva i propri fallimenti e le proprie insoddisfazioni sul fondo di una bottiglia di vino o dietro le carte da poker, un bastardo che ti convinceva che i suoi sbagli fossero i tuoi, ti inculcava l'idea che la sua vita dolorosa e distrutta era stata demolita da te, un bambino così piccolo, denutrito..." scuote la testa, la voce gli trema...

Come ha potuto permettere che suo figlio soffrisse la fame? Come? Come è possibile? Non riusciva a capire che tutte quelle decisioni sbagliate per il suo bambino erano ognuna come dei chiodi che penetrano la pelle? Per quanto poi il bambino può cercare di estrarli, i segni sono indelebili e rimangono per sempre addosso. Le cicatrici potrebbero rigettare sangue da un momento all'altro, senza preavviso.

È strano come in quel momento dovrebbe essere Harry a dare forza a Louis, ma è il contrario. Perché Louis alza il suo volto dal luogo caldo e sicuro in cui era rifugiato, la mano arpionata alla clavicola scioglie la presa e si posa con delicatezza sulla gota destra di Harry. Punta gli occhi nei suoi e senza dire niente lo incita a continuare. Harry ingloba la mano con la sua molto più grande, per poi posarla sulla guancia sinistra del piccolino.

Non distoglie il loro sguardo mai.

"Non è colpa tua, la tua unica colpa è di avere avuto una vita difficile. Sei così forte Louis e tu nemmeno te ne rendi conto. Tu mi hai salvato... n-no, non scuotere la testa in quel modo, te lo giuro è così. Vuoi sapere perché? Io era un ragazzino ricco che poteva comprarsi quello che voleva, ero ingenuo e riuscivo e vedere solo il mio mondo che credevo perfetto. Ignoravo quella che fosse la vita reale. Tu mi hai aperto gli occhi ed il cuore, mi ha fatto vedere oltre le mura del mio castello, mi hai fatto conoscere la comprensione, le lacrime amare, la vera bellezza, la gioia, il dolore, la fatica, la condivisone, l'amore Lou, l'amore. Mi hai fatto scoprire cosa sia davvero la vita. Tutto questo non lo avrei mai potuto comprare Lou. Tu mi hai donato il tuo amore, hai donato ad uno stupido ragazzino tutti i tuoi segreti, tutto il macigno che ti portavi sopra le spalle, mi hai donato il tuo cuore sanguinante e ferito in mano. E credo che non ci sia forza maggiore di quella di fidarsi talmente tanto di una persona da dargli nelle sue mani tutto se stesso, abbandonarsi alle sue premure. Io ne sono lusingato Lou, e ti prometto che avrò cura del tuo cuore, lo maneggerò con delicatezza nelle mie grandi mani, non lo schiaccerò mai, non gli farò mia del male volontariamente, lo proteggerò nel calore del mio di cuore."

Entrambi piangevano piano, di felicità però, sorridevano: contro la tempesta, contro i ricordi bui. Le dita corte e sottili di Louis catturavano le lacrime di Harry, le dita dinoccolate e affusolate di Harry asciugavano quelle di Louis.

"Ti amo"  disse Louis.

"Ti amo" rispose Harry.

Poi si baciarono con passione, le lingue si rincorrevano e si accarezzavano frenetiche, i sapori che si mischiavano. Un bacio disperato alla ricerca dell'altro, assetati. Un bacio bagnato dalle lacrime. Poi si staccarono, le fronti premute una contro l'altra. Sulle labbra un sorriso umido.
 
 
Quel venerdì sera, con le labbra che avevano ancora impresso il loro sapore che potevano assaporare passandoci sopra la punta della lingua, con un Lou piccolo seduto sopra un Harry grande, la tempesta non faceva più paura, i sensi di colpa erano volati via come un palloncino che sfugge ad un bambino alla fiera, nel camino era rimasto solo qualche carbone ardente, ma l'amore di Harry lo teneva al caldo, finalmente, si sentiva inglobato da lui in tutti i sensi e questo non lo spaventava.

Ciò che lo aveva scaldato quella sera di un anno fa, non era stato il suo giacchetto costoso, era stato il suo sorriso da bambino e fossette. Harry è il suo calore, lo è sempre stato fin dall'inizio. Il minore non lo ammetteva, ma era lui ad averlo salvato... o forse si erano salvati entrambi, ma in modi diversi.
 

Si addormentò così Louis quella sera, nel calore di quelle lunghe braccia, un sonno senza sogni, l'acchiappasogni ancora a terra al piano di sopra, ma a lui non serviva, di venerdì e in tutti i giorni della sua vita il suo acchiappasogni è Harry.
 
 
 
 
 
 
 
 
 






--> CORNER <--

 
... Eccomi di nuovo! Intanto ringrazio tutti quelli che sono riusciti ad arrivare fin qua giù :) . Comunque, come ho già detto, voleva fare dei piccoli chiarimenti sulla storia.

Volevo farvi notare innanzitutto la figura di Harry: Harry non è il protagonista ed è vero, ma forse è un personaggio più interessante di Louis. Infatti Lou diciamo che un personaggio 'tipo', invece Harry, oltre ad avere molte più 'battute', e quindi più spazio di Lou, è anche più complesso, perché...
Se ci avete fatto caso Harry ha moltissime analogie con il padre e con la madre di Louis. Con il padre, Harry ha in comune innanzitutto la stazza: il riccio è enorme fisicamente in questa storia, lo vediamo dalle mani che toccano Lou, dalle grandi falcate con cui mangia il terreno quando cammina, dalle grandi impronte che lascia sulla neve ecc. Poi un altro punto in comune è proprio la scena del rientro a casa... quando entra nella loro stanza cercando Louis la scena è molto simile a quella accaduta quel venerdì di ottobre di molti anni prima. La luce viene spezzata dalla sua presenza, vaga per la stanza silenzioso e chiama Lou un po' come abbiamo visto fare al padre.
Ma presenta molte analogie anche con la madre: sembra un po' stupido, ma il maglione che porta è una di esse (non è una vera e propria 'somiglianza', semplicemente volevo mettergli addosso qualcosa che ricordasse Jay. Poi altra cosa il fatto che lo culla.
Harry rappresenta la parte buona e giusta del padre di Louis e la presenza assente di Johanna.
Harry quando trova Lou spaventato si comporta come avrebbe dovuto fare un padre premuroso, a differenza del padre di Lou però lui lo 'maneggia' con estrema cura, gli fa capire che lui non gli farà mai del male, che non fa paura e che non deve mai averne di lui.
Poi è sua madre in quanto Lou è praticamente descritto come un bambino ed Harry è la sua roccia, lo culla come una mamma, lo stringe come una mamma. Lou sotto la doccia si aggrappa al suo maglione beije come fosse un'ancora per non cadere definitivamente, anche se poi quel tessuto, come quello stracciato della madre, non serve più, perché Harry è il suo maglione che lo avvolge, è il suo calore, Lou non ha bisogno di quel'indumento per sentirsi protetto perché ha lui. Inoltre non so se si è capito (ahaha forse era impossibile e l'ho spiegato male, così che solo la mia mente contorta lo ha compreso :P ), comunque quando Lou ed Harry cominciano a conoscersi, ho messo un episodio in cui si trovano la sera al buio per le vie di Londra.. però a differenza di come è accaduto con la madre, Harry non gli permette di scappare, ma tiene le loro dita incastrate in un nodo che non si scioglie.
 
Il personaggio di Lou invece è tutta un'altra cosa, lui non parla, lui è piccolo piccolo, lui è emaciato, lui è completamente abbandonato alle cure di Harry... questa è una metafora ed una iperbole, l'abissale differenza tra la corporatura di Harry e quella di Lou è voluta, viene sempre sottolineata.
Lou è rappresentato come un bimbo, quando vede il suo riflesso al bagno lui vede il se stesso di 9 anni, il suo corpo così minuto e piccolo. A Louis l'infanzia è stata negata, ricerca in Harry quella roccia che i genitori avrebbero dovuto essere per lui, infatti la scena della doccia mi ha ricordato tanto una mamma che lava il suo piccolo, perché il bimbo si abbandona ciecamente alla madre, se non ci fosse lei lui affogherebbe, è inerme ed immobile in acqua, è la madre che deve prendersi cura di lui, il bambino non sa scegliere quale sia la giusta temperatura per lui, è la madre che lo solleva come fosse una bambola, (so che scene del genere sono già state scritte e che non è molto originale, ma l'ho inserita perché ha un particolare significato in questa storia.) Inoltre il suo corpo è piccolino perché vuole stare a rappresentare che il passato non ce se lo leva dalla pelle, è una metafora per dire che quello che ci fanno nell'infanzia ci rimane addosso fino alla fine della vita anche inconsapevolmente.
Ho messo la metafora dei chiodi in corsivo proprio per questo, perché tutto quello che è Louis in quel momento sono ferite che ricominciano a rigettare sangue, la fragilità che gli ha costruito il padre sia psicologicamente che fisicamente, se la porta dietro anche a 21 anni, così come la sensazione di essere nel torto, di essere un mostro, di essere un pulcino.
Sarà Harry, che è la parte corretta di suo padre, che gli insegnerà che lui non è debole. Ed infatti alla fine lo vediamo chi davvero tra di loro due è forte, non è Harry e la sua grandezza, ma è Lou. Harry per quanto posso sembrare un genitore è comunque un ragazzo più piccolo e ingenuo di Lou, la dichiarazione che fa (ahah che tra parentesi è super smielata scusate!!) rivela che lui ci è capitombolato in quel ruolo, è un ragazzo che viveva nel suo mondo idilliaco di luci di natale e regali costosi, non può sostituire i genitori, perché  Lou è più grande di lui, è lui che gli ha aperto gli occhi, è lui che lo salva da un mondo di frivolezze, (mondo rappresentato dal gran casino e pazzia degli abitanti di Londra la Vigilia di Natale). Lou è piccolo, ma dentro è grande, grande in quanto ha dovuto praticamente saltare l'età infantile e passare direttamente a quella adulta, è grande perché ogni bambino che riesce a superare (anche se come ho detto le cicatrici rimangono comunque) una situazione del genere è grande, grande il suo coraggio nel fidarsi di nuovo di qualcuno, grande così tanto da dare forza ad Harry nel momento in cui è lui ad averne bisogno invece. è lui che fa crescere Harry e non il contrario.
 
Infine la figura del padre: padre che non ha un nome, innanzitutto perché non se lo merita, quando si da un nome ad una persona gli si da una identità, un valore, lui no, lui rappresenta tutti quei "padri" che hanno osato imprimere chiodi sui loro bambini.
I primi anni dei bambini sono importantissimi per la formazione del loro essere e lui ha malleato la mente ed il corpo di Louis come fosse cera in mano ad un muratore (altra metafora, non che i muratori siano rudi per carità, non ho niente contro di loro ci mancherebbe, ma è per dare l'idea del 'cristallo' maneggiato da mani non delicatissime e callose).
Vi giuro che mi faceva male al cuore ogni volta che lo chiamava pulcino, perché era un modo costante di ricordargli quanto fosse inutile e debole. Poi lasciamo perdere il discorso della denutrizione che se no vado davvero ad ucciderlo quel... ... e poi perché credo che l'angolo autrice diventerebbe più lungo della storia e non va bene.

E poi ricordiamoci sempre che i bambini non hanno mai, mai colpe. Sono innocenti ed è un abominio anche solo pensare di distruggerli in quel modo.
 
Ok infine ringrazio di nuovo tutti e anche chi è riuscito a sorbettarsi anche quest'ultime note. Spero che la storia possa esservi piaciuta e di non aver scritto una marea di cavolate, è la mia prima OS quindi non so nemmeno se sia qualcosa di decente o che possa piacere a qualcuno, e spero di non aver fatto errori!
So di essere stata ripetitiva, per quanto riguarda le differenze di corporatura, per quanto riguarda il gelo ed il calore... ma l'ho fatto di proposito per metterlo in evidenza perché comunque è su questo che si gioca tutta la OS.

Che altro dire? ... è una Larry perché ce li vedo, mi si adattavano bene in questo ruolo, non so ce li vede bene proprio.  :)

PS: Se poi mi lasciate qualche commentino, anche se negativo, ne sarei molto molto felice. Grazie tante.



Elena.
 
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Ele28