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Autore: Andy Black    05/11/2013    11 recensioni
Fantasmi del passato e mostri della vita vera: Yellow, protagonista bambina del manga Pokémon Adventures, si troverà, adulta, invischiata fino ai gomiti in un caso del tutto paradossale. Riuscirà, con l'aiuto di un ben noto capopalestra, a trovare la via della luce?
Ma soprattutto...riuscirà a lottare contro i suoi fantasmi, a sconfiggerli, e a lasciarli fuori dalla sua vita?
Uno speciale di Halloween dagli autori di Pokémon Courage, scritto da Andy.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold, Red, Valerio, Yellow
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Manga
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Sto...


 
Sì, la notte è bella. Silenziosa, piena di angoli per nascondere i difetti nel buio, per lasciare che sia soltanto la luna ad illuminare tutto.
La notte.
Omaggiata dai migliori poeti, suonata dai cantautori di mille paesi, sognata dagli amanti di tutto il mondo.
Poetica, innamorata, stanca e riposata, viva e spenta contemporaneamente.
Ma poi...poi c’è il rovescio della medaglia, perché tutto ha due facce.
E mentre la prima faccia della notte la mostra graziosa, la seconda ti pone una domanda.
 
Cosa si nasconde sotto al tuo letto?
 
 
 
Mike e Lizzy erano un po’ alticci. Quella sera Johnny Preston aveva dato un party a casa sua, e quando Johnny Preston dava un party a casa sua, l’alcool scorreva a fiumi.
E Mike e Lizzy vi si erano tuffati dentro senza né salvagente nè costume.
Ed in effetti erano rimasti seminudi, perché in quella notte d’ottobre, in quella calda notte d’ottobre, in quel di Violapoli, Mike non aveva la maglietta, e Lizzy le mutande.
Cercavano un posto per appartarsi, e Mike correva, perché la gonnellina a balze di Lizzy gli sembrava avesse un timer di chiusura.
“Presto” faceva lui, camminando con la maglietta in mano molto frettolosamente, e tirando con l’altra mano la sua fidanzatina, che rideva come un ebete ogni qualvolta inciampava sulla pavimentazione a mattonelle di Violapoli.
Qualche sporadico lampione illuminava qua e là il paese, che a quell’ora, e con i suoi tetti di quello strano viola, pareva macabro.
Sangue, pensava Mike.
E poi Lizzy gli diceva che pensava troppo.
Superò il centro Pokémon, dove un debole bagliore proveniente dai neon fuoriusciva dalle finestre, colorando di bianco i pochi centimetri in cui la luce usciva ed evadeva da quel posto.
Lizzy aveva sempre pensato fosse macabro.
Infatti non possedeva Pokémon. Le facevano un po’ impressione.
Un piccolo lamento si levò dall’interno del centro Pokémon, ma i due non ci fecero attenzione, continuando la loro marcia solitaria.
Superarono di conseguenza anche la casa di Tim, lo scontento, lo scemo del villaggio.
Mike non riusciva a credere che fosse disposto a cedere un Onix in cambio di un Bellsprout.
Un Bellsprout.
Quella città venerava un Pokémon assurdamente brutto.
Bastò voltare il capo di poco, infatti, per vedere la Torre Sprout pendere su Violapoli, incombente.
“Tsk...Bellsprout”
“Che problemi hai con i Bellsprout?!” chiese Lizzy, frivola ed oca.
“Tu odi i Pokémon più di me, silenzio”
“Oh, ma dai...dove stiamo andando?” chiese quella, spostandosi i capelli dal volto. Era sudaticcia, l’alcool le faceva questo effetto.
Ma non pensava minimamente di aver esagerato con la sangria.
No. La sangria era buona.
Superarono il varco per uscire da Violapoli, immettendosi nel Percorso 31, e si gettarono nell’erba alta.
Forse era un po’ pericoloso, ok, ma Mike aveva con se il suo Croconaw, e non temeva nulla. E poi in quel momento non era nel pieno delle facoltà mentali.
Quindi non ragionava con il cervello.
Lui la strinse, spostandole di nuovo i capelli dal volto, e la baciò, per poi tirarsela a sé e buttandosi nell’erba.
Sentirono un lieve fruscio, i Pokémon selvatici che fuggivano, niente di cui temere, erano solo Weedle e Caterpie. E Bellsprout. Quegli odiosi Bellsprout.
Lui la baciò, poi scese, carezzandole il collo con le labbra. Il calore aumentava, ed i due si univano in un abbraccio di passione, quando qualcosa fece fermare Mike.
Un fruscio dell’erba.
Un fruscio continuato.
“Che succede?” chiese Lizzy, sgranando gli occhi azzurri luminosi.
“Niente...tranquilla, niente”
Ma un altro fruscio mise Lizzy sugli attenti. Aveva già sentito parlare di quei maniaci sessuali che approfittavano della distrazione delle coppiette appartate per fargli del male.
“Mike...andiamo via”
“Non preoccuparti...non è niente”
Ma Mike sapeva di mentire a se stesso, e cercava di mantenere la calma. Dovevano allontanarsi di lì.
Era intimorito da quello strano luccichio tra gli alberi.
Il sudore grondava dal suo volto, gli addominali lucidi rimbalzavano la luce della luna come fossero uno specchio. Sgranò gli occhi, quel bagliore non c’era.
Era solo frutto della sua immaginazione.
Chiuse gli occhi ancora, per accertarsene. Non c’era nulla.
Lo fece di nuovo, non si era mai troppo sicuri. Ora c’era.
E poi scosse la testa ancora.
Non c’era.
“Stupida fantasia. Andiamo via” fece lui, rinfilandosi i pantaloni con calma.
Un soffio di vento si levò, facendo venire i brividi ai due.
“Ho freddo...” disse lei.
“Andiamo a riscaldarci, tranquilla. Ma in un altro posto. Qui non...” lo sguardo ancora sugli alberi. La luce c’era.
Gli riuscì così difficile deglutire che gli parve di aver ingoiato sabbia. “...non sono tranquillo” fece ancora, mentre una gocciolina di sudore cadde lenta fino a raggiungere lo zigomo.
“Che succede?!” si allarmò Lizzy. Lo sguardo spiritato di Mike la inquietava.
Il volto del ragazzo era impietrito.
Il bagliore c’era. Lo vedeva. E si avvicinava. Il rumore del vento si univa ad una sorta di fischio, un sibilo.
E poi un verso squarciò il silenzio.
Bastò poco.
Lizzy strillò. Vide il pesante corpo di Mike, quell’ammasso massiccio di muscoli, volare spinto da qualcosa, ed atterrare una decina di metri davanti a lei, sbattendo contro un albero.
La paura la paralizzò, ma lei fu in grado di sentire le urla di Mike, e lo strano rumore di quella cosa. Poi quello della carne di Mike che si lacerava.
Infine c’era solo odore di sangue. Ed una bellissima ragazza seminuda paralizzata nel prato del Percorso 31.
-
 
Lontano da tutto, lontano da tutti. Una nuova vita. Una nuova vita.
Yellow era davanti allo specchio, e si pettinava. I capelli biondi e lunghi erano cresciuti, e stavolta non aveva intenzione di tenerli coperti.
Stavolta tutti avrebbero dovuto vedere che era una donna.
Le delusioni del passato le bruciavano cocenti sulla pelle, come se ci fosse qualcuno a sussurrarle nell’orecchio quanto vicina fosse stata a tenere il suo amore per mano.
Ma così non era.
Era solo la sua mente, malvagia, a fare tutto questo.
Uscì dal bagno in mutande e reggiseno, e si vestì. Quel giorno, come gli altri giorni di quell’Ottobre stranamente caldo del resto, era molto soleggiato.
Un’occasione unica per allenare i suoi Pokémon, dato che si era data come obiettivo la vittoria della Lega Pokémon. Tante cose erano cambiate, da quei giorni matti, quelli in cui assieme a Red e Green, senza dimenticarsi della sgualdrina, di Blue, avevano sconfitto il Team Rocket.
Ricordava. Era una bambina
E adesso, dalla sua casa di Fiorpescopoli, usciva una donna, piena di orgoglio e di amore per se stessa.
Non sarebbe mai più stata messa in disparte, da nessuno.
Lasciò la coda di cavallo a pendere alta, sulla sua testa, come una palla appesa ad una corda, ed uscì di casa.
Sorrise. Si piaceva. Non che fosse mai stata attaccata all’aspetto esteriore, anzi. Però doveva ammettere che con un po’ d’impegno, forse, sarebbe stata più bella di Blue. Forse.
I capelli si erano allungati, ora un paio di ciuffi pendevano ai lati del volto, e scendevano lunghi. La frangetta che aveva davanti agli occhi aveva bisogno di una regolata, ma per ora andava bene così. Quando avrebbe avuto tempo sarebbe volata a Fiordoropoli, sarebbe andata a fare un taglietto. Piccolo. Ci teneva ai capelli, lei.
Il volto si era inspessito, cosa che succede a chiunque passi dall’essere una bambina a diventare una donna, in tutti i sensi.
Il fisico era maturato, e gli stava dando delle soddisfazioni. Alta, snella, con tutto al posto giusto. La infastidivano, ma al contempo la riempivano di piacere quegli sguardi increduli che i ragazzi le davano.
Gold la tartassava. Si poteva dire quasi che venisse una volta al giorno a darle fastidio, cercando il modo di corrompere la sua innocenza.
Senza riuscirci.
In quel momento l’obiettivo era la Lega Pokémon. Non a caso era scappata da Kanto. Lì troppe scene, troppi ricordi, troppe situazioni gli riportavano alla mente lui.
E non voleva più ricordare nulla.
Indossava una blusa, stile marinaio, bianca con rifiniture gialle, e con i bordi alle braccia di nero. La pancia scoperta ed un pantaloncino nero. A completare un paio di stivali dello stesso colore. E poi un piccolo fiocco bianco.
Era pronta, la borsa a tracolla attorno al corpo e via, pronti ad allenarsi.
I suoi Pokémon erano cambiati. Certo, Chuchu era rimasta. Non avrebbe potuto respirare senza la sua Pikachu. Ma per quanto riguardava gli altri, aveva preferito lasciarli al Professor Oak, con la promessa malcelata e sussurrata che sarebbe tornata a prenderli.
E lo avrebbe fatto.
Quello che stava facendo non era un tradimento, e non si era dimenticata dei suoi amici. Stava semplicemente scrivendo un’altra pagina della sua vita, con altri protagonisti ed altre situazioni, in un altro scenario.
Ora aveva un Hoothoot. Ed uno Spinarak.
“Bene...” aprì la porta di casa e vide Fiorpescopoli nel vivo del mercato della domenica. Quel giorno, accanto al mare, i pescatori stavano vendendo tutta la merce che quella notte le loro reti avevano tirato su. La folla accorreva festante, i ragazzini giocavano con palloni colorati e con piccoli Pokémon.
Camminò lentamente, superando il centro Pokémon e salutando Nuncius, un ragazzino che viveva lì.
“Stamattina Gold non s’è visto” disse lui.
“Grazie piccolo” sorrise Yellow, carezzandogli la testa ed arruffandogli i capelli. La ragazza proseguì camminando verso Violapoli lungo il Percorso 30. I soliti allenatori che combattevano tra di loro, ormai la conoscevano e non le si accostavano più.
Perdevano sempre, aspettavano fosse lei a chiedere di lottare, sperando che non accadesse.
Yellow si guardò davanti, mentre stagni d’acqua limpida si alternavano a zone d’erba alta.
Camminò, allenando il suo Spinarak. Era un simpatico ragnetto verde, e sebbene non avesse tutta questa simpatia per i ragni, il suo le piaceva.
 
Allenò i Pokémon per qualche ora, poi decise che dovevano riposarsi, e siccome si trovavano vicino Violapoli, avrebbe fatto una capatina al centro Pokémon per mettere qualcosa sotto i denti e far riposare i suoi amici.
Passò dal Percorso 30 al Percorso 31 e mise i piedi ancora nell’erba alta. Uno strano odore aleggiava nell’aria, e sembrava viziarla.
Puzzava.
Camminava lentamente, con la Poké Ball di Chuchu a portata di mano, dato che era il Pokémon più esperto ed allenato.
Sentiva che qualcosa stava per accadere.
E mentre camminava, inciampò, finendo con la faccia nell’erba. Yellow lanciò un urlo, quindi si rialzò. Si ripulì il volto dai fili verdi e quindi si voltò, per maledire il sasso che l’aveva gettata per terra.
“Oddio!” esclamò poi, lanciandosi parecchi metri indietro con un salto. Per terra giaceva una ragazza, con gli occhi azzurri sbarrati, seminuda e tremante.
“Che diavolo è successo?!” fece poi, avvicinandosi con cautela.
Quella era distesa sul fianco, le braccia conserte ed il seno nudo a vista. Tremava, e non si muoveva.
“Hey...” Yellow si muoveva cauta. Aveva paura. “Hey... tutto bene?”
Quella era immobile, ma il suo diaframma si muoveva.
Non era morta. Era solo la brutta copia di un essere umano.
Yellow mosse ancora un piccolo passo, mentre un soffio di vento l’attraverso, raffreddando il calore che aveva accumulato allenandosi sotto al sole.
L’erba scricchiolava sotto i suoi passi, quasi calpestasse dei pezzi di vetro, e fu allora che quello si risvegliò, metaforicamente parlando.
Scattò, e passò alla posizione seduta, noncurante del fatto che non avesse il reggiseno, con le labbra che tremavano, come le dita delle mani, sporche per il terreno che c’era in quella zona. Quasi subito aprì la bocca e prese una grossa boccata d’aria, come se fosse stata in apnea per sei minuti, e quando espirò le labbra si serrarono e gli occhi azzurri le si riempirono di lacrime, che colarono giù nere, per via del mascara sciolto.
Yellow doveva ragionare in fretta. La vedeva guardare un punto fisso davanti a lei, e piangere come una bambina a cui avevano tolto un giocattolo da mano.
“Scusami... come stai?”
Quella non parlava.
Yellow ragionò, doveva fare qualcosa per lei. E la prima che pensò fu quella di coprirla. Girò un po’ nell’erba, e trovò i suoi intimi, la sua borsa e la sua maglietta. Tutto fradicio.
“Ti hanno stuprato?!” chiese Yellow. In effetti era un’ipotesi plausibile, seminuda in mezzo all’erba. Ma quella continuava a piangere guardando dritto. Non guardava altro.
Yellow aprì la sua tracolla e ne tirò fuori un giubbino di jeans, lo mise sulle spalle della ragazza, che continuava a comportarsi come se stesse guardando in diretta tv lo sterminio della sua famiglia.
La puzza aumentava mano a mano che si avvicinava alla ragazza. Le tese la mano, sperando lei si accorgesse che voleva aiutarla.
Ma tutto ciò che lei  riusciva a fare era guardare dritto, piangendo. E tremare.
Solo per riflesso Yellow seguì il suo sguardo, e per la terza volta quel giorno urlò. Ma stavolta di più. Stavolta era un urlo sovraumano quello che lanciò la bionda.
Pidgey e Spearow si allontanarono dagli alberi, volando via.
Davanti ad un albero c’erano i resti di un ragazzo.
Gli occhi di quello erano sbarrati, ma spenti. Un grosso squarcio tra il collo e la spalla scendeva lungo la clavicola in diagonale fino a recidere l’ombelico.
Il taglio era netto, profondo, e pulito. Il sangue era sgorgato fin quando non era finito.
Tutto attorno a lui, insetti ed altri piccoli animali si cibavano dei suoi resti.
“Cazzo! Cazzo!”
Yellow aveva fatto dieci passi indietro fino a raggiungere la siepi alle sue spalle.
Pochi istanti, ed un Pidgeot lanciò un grosso strillo. L’erba si mosse come se ad atterrare fosse un elicottero, invece del Pokémon Uccello. Yellow pareva spaventata.
“Vai Chuchu!”
Era stato quel Pidgeot a squartare quel ragazzo, ne era sicura Yellow.
Ma poi il Pidgeot enorme sparì, rientrando nella sua sfera. Sfera che era mantenuta dalle mani di Valerio.
Yellow diede un sospiro di sollievo, e si inginocchiò, per recuperare le forze. La vista le si era appannata.
“Chi è che ha urlato?!” chiese allarmato Valerio.
Yellow lo guardò. Era un ragazzo abbastanza giovane, non molto alto, e neanche piazzato. Aveva una corporatura normale, ed i capelli blu, che pettinati in quel modo gli nascondevano l’occhio destro.
“I-io...” fece la ragazza.
Valerio le si avvicinò, mantenendo sempre una debita distanza. Si girò, e guardò tutto. Prima la ragazza pallida, poi il cadavere.
“Bene...c’è un bel po’ da fare...” si avvicinò alla ragazza tremante e le si accasciò davanti. Provò a metterle una mano sulla spalla, lei non si muoveva. A Valerio parve di essere trasparente, almeno fino a quando il suo dito indice si appoggiò sulla spalla di quella, che prese ad urlare in preda al terrore.
“No! Ti prego no! Lasciami!”
Valerio ritrasse la mano velocemente, spaventato dalla reazione, e vi si allontanò.
“Ma che succede?!” chiese poi spazientito verso Yellow.
“Io non lo so! Stavo passando di qui per andare a Violapoli e d’improvviso mi sono trovata a questa scena davanti!”
“Mi sembra di conoscerti” osservò poi Valerio.
“Mi chiamo Yellow”
“Già ho sentito questo nome”
Yellow pensò le parole E VORREI BEN VEDERE, HO SALVATO L’AMBARADAN PER BEN DUE VOLTE, quindi sospirò.
“A ogni modo io sono Valerio, commissario della polizia locale, nonché capopalestra di Violapoli. E adesso devo riuscire a risolvere questo caso”
“Cosa è successo a quel ragazzo?”
“È quello che devo scoprire. Probabilmente la ragazza ha visto tutto, ma nelle condizioni in cui versa non sarà facile ottenere una deposizione. Devo analizzare bene la scena”
Yellow ragionò. Si girò e guardò la ragazza. Non si era mossa di lì. L’aveva trovata distesa per terra, con i piedi rivolti verso l’albero, seminuda.
“I due probabilmente erano una coppia” disse poi.
“Da cosa lo deduci?”
“Dal fatto che il giubbotto che ha addosso gliel’ho messo io, perché sopra non portava niente. E che il ragazzo morto, anche lui senza maglietta, sembra che stesse tentando di infilarsi alla bene e meglio i pantaloni, prima che quella cosa gli sia accaduta”
Valerio annuì attentamente, poi si avvicinò al corpo esanime. Attorno al corpo c’erano tracce di legno. Alzò gli occhi, l’albero presentava un’ammaccatura sul tronco.
“...proprio dove manca la corteccia... il ragazzo è stato trascinato e spinto fino a qui. Chi ha fatto questa cosa deve aver preso il ragazzo e averlo sbattuto con forza immane all’albero. Gli esami ulteriori che farà il medico legale evidenzieranno sicuramente questa cosa. Troveranno graffi e schegge di legno dietro la sua schiena dovute all’impatto, ne sono certo”
L’analisi di Valerio sembrava non fare una piega.
“Erano qui... sicuramente, dov’era lei. A fare... a fare...” Yellow provava imbarazzo.
“Sì, hai ragione. E qualcuno l’ha spinto qui, l’ha squartato e se n’è andato... ma perché? E soprattutto, chi?!”
Yellow si sistemò i vestiti e si pulì dall’erba rimasta, poi ragionò ancora. “Credo sia un Pokémon. Questo ragazzo è enorme, e pesante. Non deve essere facile alzarlo e trascinarlo con forza fino a farlo sbattere sull’albero. L’albero dista sette metri dalla ragazza”
“La ragazza, a proposito...portiamola in centrale e cerchiamo di fare un riconoscimento. Magari amici e parenti ci potranno dire di più riguardo lei e la vittima”
 
Arrivarono a Violapoli. Quella città era molto bella, e le foglie arancioni che cadevano dagli alberi e volavano ovunque, volteggiando come delle nobili farfalle. La pavimentazione curata era antica, e tutte le case possedevano dei tetti viola, che donavano allegria e quant’altro. Il centro Pokémon aveva il tetto di un rosso un po’ più scuro, un bordeaux. E poi c’era il laghetto, sormontato dal ponticello che portava direttamente alla Torre Sprout.
La torre era altissima, e sebbene sembrasse pendere verso destra, e poi verso sinistra, gli abitanti erano tutti certi che questa non sarebbe mai caduta.
“E no, cara mia” fu spiegato a Yellow da un vetusto ed anziano signore. “La leggenda narra che il pilastro centrale attorno al quale è costruita la torre sia proprio il corpo di un enorme Bellsprout. Le sue radici arrivano fino al lago, e si nutrono dei sali minerali e di tutte le altre cose che servono ad una pianta”
Yellow annuiva, ma non ci capiva poi molto. Non aveva molta voglia di ascoltare, quel giorno.
La centrale della polizia era proprio accanto alla palestra di Valerio.
Yellow e quest’ultimo vi entrarono, e si sedettero. La ragazza era stata ricoverata al centro Pokémon, dove il pronto soccorso le aveva somministrato dei tranquillanti. La sua carnagione era rimasta sempre pallida, ma i suoi occhi si erano riempiti di una vita che precedentemente sembrava essere stata smarrita.
Tutto sommato non sembrava agitata, o forse era solo l’effetto dei tranquillanti.
La ragazza era seduta ad un tavolo, mentre stringeva tra le mani un giubbino rosso, appartenuto sicuramente al suo fidanzato, stretta nelle spalle e coperta dal giubbino di Yellow.
“Devo interrogarla” disse poi Valerio.
“Andiamo”
“Non puoi entrare nella sala interrogatori. Non sei un poliziotto”
“Ma ho visto per prima il cadavere e la ragazza! Posso essere d’aiuto!”
“Non se ne parla, le regole sono regole”
Valerio le poggiò il palmo della mano sulla fronte quando lei provò a muoversi, lasciandola da sola, e sbattendo la porta.
Yellow sbuffò.
Quella cosa l’aveva incuriosita più di quanto pensasse. E doveva sapere che cosa la ragazza che stavano interrogando stesse per rivelare.
Dimenticò per un attimo chi fosse, vestendosi dei panni di qualcun altro, comodi, che non aveva mai messo. Aiutare nelle indagini la faceva sentire utile, la manteneva viva.
Tuttavia gli sviluppi erano dietro quella porta di legno nero.
“Uhm... Spinarak” fece, facendolo uscire. Il ragnetto sibilò, poi salì su di una parete, e si fermò.
“Sgattaiola dentro, ed ascolta quello che Valerio dirà alla ragazza. E dopo mi dirai tutto, ok?”
Spinarak aveva capito. Saltò per terra ed entrò nella sala interrogatori passando sotto la porta, quindi si sedette ed aspettò.
Pensò, riflettè al fatto che avesse un potere straordinario. Il fatto di capire la volontà dei Pokémon, i bisogni, le opinioni, era una cosa che la rendeva speciale.
Speciale per tutto il mondo.
Conosceva solo un’altra persona in grado di farlo, e quello era Lance. Non a caso entrambi erano originari del Bosco Smeraldo.
Forse quella cosa era collegata... intanto arrovellava i propri pensieri attorno e ancora, girandoci in tondo, mantenendoli per mano, sperando che il tempo passasse più velocemente di quanto non avesse mai fatto.
 
Valerio camminava attorno al tavolo degli interrogatori, poi si sedette. La ragazza era evidentemente ancora sotto shock, ma sembrava capace di intendere e di volere.
“Ciao. Sono Valerio, e mi sto occupando di quello che è successo a quel ragazzo... era il tuo ragazzo, vero?”
Il silenzio che aveva inondato le orecchie dei due venne meno quando il respiro della ragazza cominciò a diventare dapprima greve, quindi spezzettato. Valerio vide le labbra di quella schiudersi, e la ragazza prese a respirare dalla bocca. Stava per avere un attacco di panico.
“Calmati...”
“Scusi...” fece, mentre il ventre si rigonfiava ritmicamente e le lacrime apparivano sui suoi occhi, e sostavano, come tuffatori sul trampolino. “...comunque sì. Era il mio ragazzo”
“Uhm... Mike si chiamava, giusto?”
Quella prese a piangere, poi annuì.
“E... e che ci facevate stanotte nel Percorso 31?”
“Beh... ecco... eravamo appena usciti da una festa, da Johnny Preston, ed eravamo un po’ alticci. Volevamo soltanto divertirci, ecco”
“Quindi siete andati nell’erba alta, sprovvisti di Pokémon con il quale difendervi”
“No. Mike aveva un Croconaw”
“E perché non l’ha utilizzato per difendersi?”
“Non... non lo so” fece quella, singhiozzando. “È successo tutto così velocemente che sicuramente non sarebbe riuscito a prendere la Pokè ball”
“Era capitano della squadra di football” osservò Valerio.
“Sì”
“Quindi era molto popolare”
La bionda annuì velocemente. “Sì” fece poi. “Era sempre benvoluto tra i suoi compagni di squadra, e... e non nascondo che più volte ho dovuto mettere a posto sgualdrinelle in cerca di popolarità”
“Come vi siete conosciuti?”
“Faccio la cheerleader...”
“Classico” sorrise Valerio.
“Però per me era diverso. Lo vedevo bello come il sole, e volevo stargli accanto. Non per popolarità o altro, ero popolare anche io... ma... sentivo che dovevo passare con lui la mia vita”
Valerio annuì, poi guardò il muro. Un piccolo Spinarak pendeva silenzioso. Non era il caso di dargli peso.
“Essere molto popolari è bello. Ma comporta dei rischi. C’è sempre qualcuno che vuole farti le scarpe. Conosci qualcuno che avrebbe voluto fargli del male?”
Lizzy si strinse nelle spalle, quindi sospirò. Poi spalancò gli occhi. “Forse sì. Forse c’era qualcuno che voleva fargli del male. Tim Dorsin”
“Il figlio di Charlie Dorsin?”
“Esatto”
“E come mai?”
“Perché Mike... beh, forse esagerava, però per divertirsi lo prendeva in giro”
“Era un bullo, più che normale” sorrise ancora Valerio, pescando dal cilindro l’ennesimo cliché.
“No, non era un bullo... cioè, gli era antipatico, ma si sa com’è... anche a me una persona che non conosco, di primo impatto può sembrarmi antipatica... ma poi...”
“Ma poi?”
“Ma poi ti piace”
“Lizzy... voglio sapere se Tim Dorsin potrebbe essere coinvolto in questa faccenda”
“Non ne ho idea”
“Perché in tal caso avrebbe lasciato te come testimone. E potrebbe tornare per completare il suo lavoro”
Lizzy sgranò i grossi occhi azzurri.
“Sì, hai sentito bene”
“Potrebbe uccidermi?”
“Sì”
“E... ed ora?”
“Ed ora sarai sotto stretta sorveglianza. E sarà meglio tu impari ad usare qualche Pokémon, perché possono salvarti la vita”

 
Spinarak era uscito dalla stanza ed era apparso davanti al volto di Yellow, pendendo dal soffitto. La bionda, seduta sulle sedie della sala d’attesa della centrale di polizia non era ancora abituata a quelle comparsate repentine e fulminee di Spinarak, ed abortì velocemente un urlo quando la curiosità superò la sorpresa.
Yellow allargò la mano, e Spinarak vi si posò sopra.
“Allora?” chiese Yellow?
D’improvviso i due, Pokémon ed allenatrice, erano allineati sulla stessa lunghezza d’onda. L’uno e l’altra riuscivano a sentire perfettamente le sensazioni, quasi i pensieri, dell’altro.
E Yellow prese a leggere nell’animo del suo ragno.
Spinarak diceva che Lizzy era sconvolta.
Diceva che la ragazza amava tanto il ragazzo.
Che il ragazzo era morto quella notte in una situazione stranamente rapida.
E che forse c’entrava qualcosa Tim Dorsin.
“Tim Dorsin...” ripetè quel nome Yellow. “Chi è Tim Dorsin?”
Si alzò all’improvviso, con ancora il ragno in mano, e si avviò verso l’esterno della centrale. Il sole pallido illuminava quella fine di Ottobre in maniera esemplare, mentre le famiglie cominciavano ad intagliare le zucche per Halloween. Yellow vedeva le persone nei giardini e nelle cucine, intente a rappresentare nel modo migliore Jack O’Lantern.
“Tim Dorsin... Tim Dorsin... chi è Tim Dorsin?” chiedeva a se stessa la bionda, cercando di orientarsi in quella città che non visitava spesso. Era andata lì meno di cinque volte, figurarsi se conosceva un ragazzo del luogo, più piccolo di lui per giunta. Non avrebbe mai avuto niente a che vedere con Tim Dorsin, Yellow, se Spinarak non fosse sgattaiolato dentro la sala degli interrogatori.
E mentre camminava, con Spinarak sulla testa, la targhetta “Famiglia Dorsin” suggerì antichi canti di fortune e vittorie alla mente di Yellow, che celere si precipitò verso la porta di quella casa.
Era una casa normale, non troppo grande né troppo piccola. Senza infamia né lode. Una casa normale. Che dentro nascondeva un serial killer.
Arrivò davanti alla porta di Mogano dell’abitazione. Vi era fissato il numero 2 sulla porta. Era la seconda casa di Violapoli. La prima, con ogni probabilità era il centro Pokémon.
Yellow bussò, poi fece un passo indietro, scendendo il piccolo scalino che precedeva la porta.
Attendeva, fremendo.
Sentì dei passi avvicinarsi, e quasi in un’attesa orgasmica, le sue dita non poterono fare a meno di stringersi in un pugno.
La porta si spalancò, e si manifestò un ragazzino piuttosto magrolino, con un po’ di peluria a rappresentare il principio di barba che ogni uomo ha alla sua età.
Diciassette anni circa. Ed uno sguardo piuttosto sveglio.
“Cerco Tim. Tim Dorsin”
“Sono io...” rispose stralunato il ragazzino. Non si aspettava di trovarsi davanti agli occhi una così bella ragazza.
“Ciao, mi chiamo Yellow e sono...”. Panico e gocciolina di sudore dalla tempia destra allo zigomo. “Sono un agente della polizia di Violapoli... sto indagando su di un caso e...”
“Parla di Mike Leslie, vero?”
“Immagino che le voci corrano” sorrise timidamente Yellow, grattandosi la testa.
“Violapoli è un piccolo paesino. Qui le voci volano” fece cupo il ragazzo.
“In ogni caso vorrei sapere che facevi ieri sera?”
“Ero qui, a casa mia”
“Che facevi?”
“Allenavo i miei Bellsprout...”
“Hai dei Bellsprout?”
“Sì. Quattro per la precisione”
“...devono piacerti molto...”
“Li adoro” sorrise divertito.
“C’è qualcuno che può testimoniare questa cosa?”
I due si guardarono per un attimo. Lo sguardo interdetto di Tim Dorsin costrinse Yellow a rettificare la sua domanda.
“Intendo il tuo alibi, non la tua adorazione per Bellsprout”
“Beh... mamma dormiva al piano di sotto, e papà lavorava”
Non bastava. Quell’alibi non era completo. Una madre addormentata al piano di sotto avrebbe potuto tranquillamente non essere un deterrente per un agile ragazzino magro e sottile in grado di scappare dalla finestra del primo piano non appena un paio di ragazzi di sua conoscenza, del tutto ubriachi, fossero passati davanti casa sua.
Restava il fatto che Mike Leslie pesava quasi un quintale, e Tim Dorsin forse raggiungeva i cinquanta chili. Con tutta la forza che ci avrebbe messo forse sarebbe riuscito ad alzare una gamba del deceduto. Ma non sarebbe mai riuscito a sbatterlo con forza contro l’albero. Quella cosa era davvero impossibile. Dubitava anche potessero essere stati i suoi Bellsprout. Quella creatura si era cibata del sangue di Mike Leslie, dopo aver reciso il torace del ragazzo con un taglio netto.
I Bellsprout non sono carnivori.
Ragionava la bionda, ed intanto tutto diventava sempre più complicato. Storse il labbro, poi. “Non lasciare il paese, Dorsin. Ti tengo d’occhio”
Il ragazzino inarcò un sopracciglio, quindi chiuse la porta, camminando ancora lentamente verso la sua stanza.
Forse un po’ era contento che Mike Leslie fosse morto.
Forse un po’ non sarebbe dovuto esserlo, perché non si può essere contenti della morte di qualcuno: non si piange per le disgrazie altrui.
Ma, e sempre forse, un po’ era convinto che sarebbe stato più tranquillo senza quell’omone grande e grosso senza un briciolo di cervello che lo punzecchiava ogni tre minuti. Il fatto che fosse più grosso sembrava giustificasse Mike nel mortificare Tim, nonostante lui non avesse fatto nulla per cercarsi quel trattamento. Anzi. Prima del primo approccio di Mike a Tim, che era terminato con quest’ultimo a testa in giù nel bidone dell’organico, il mingherlino apprezzava il quarterback per le sue capacità atletiche.
Ed ora, solo perché Mike lo maltrattava, la poliziotta carina era venuta a casa sua, dubitando apertamente della sua buona fede.
Si sedette sulla poltrona.
Mike Leslie era morto. Adesso sarebbe cambiato tutto.
Ma...
Ma aveva un rimpianto. Un piccolo rimpianto.
Avrebbe voluto vedere un’ultima volta la faccia di quel bastardo che soffriva, e di quella zoccola della sua ragazza mentre piangeva. Quasi rimpiangeva di non essere stato lui ad ammazzare quello stronzo.
La porta risuonò ancora poi, sotto i colpi possenti delle mani di qualcuno.
Lui si risvegliò dai suoi pensieri brutali, e lentamente avvicinò l’ingresso di casa sua.
Era sicuramente di nuovo la poliziotta carina. Non sapeva se essere compiaciuto del fatto di poter guardare di nuovo i suoi occhi oppure essere dispiaciuto perché lei sospettava di lui.
Lui non era un assassino.
Era solo vittima, seppur ipotetica, delle apparenze.
La porta si aprì, ma non era la poliziotta carina. Era Valerio.
“Valerio, ciao” sorrise Tim. Era felice di vederlo, perché Tim stimava molto Valerio. Era il capopalestra della città, ed in più era socialmente attivo in quanto poliziotto.
Ma poi fece due più due e capì che se Valerio, quel Valerio, era a casa sua era solo per via di Mike Leslie.
...fottutissimo Leslie. Gli rovinava la vita anche da morto.
“Tim Dorsin?” chiese Valerio, spostandosi una ciocca davanti al volto.
“Sì...”
“Ciao, sono Valerio, e mi sto occupando del...”
“Del caso di Mike Leslie, lo so. La sua collega è venuta prima e mi ha chiesto tutto. Parli con lei”
“Collega?!”
“Sì. La poliziotta carina, con i capelli biondi e la coda di cavallo”
“Yellow...” sospirò Valerio, poi si voltò, alzò gli occhi al cielo e fece una smorfia al cielo col volto.

 
   
 
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