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Autore: ArashiStorm    05/11/2013    2 recensioni
[SPOILER per la fine di ACIII]
...Lo aveva perso, anzi lo aveva ucciso lui stesso, poco più di un mese fa. Le sue mani potevano dirsi ancora bagnate del suo sangue, anche se non solo del suo, perché insieme a quello di Haytham Kenway, dalla lama celata che teneva al braccio, colava anche il sangue, ben più odiato, di Charles Lee. E se non provava nessun pentimento per quell'ultimo omicidio, lo stesso non poteva dirsi del macigno che sentiva nel cuore per l'uccisione del padre. Soprattutto ora che, dopo la lettura del suo diario, era riuscito, forse, a capirlo anche se ancora non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarlo...
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aveline de Grandpré, Connor Kenway, Haytham Kenway, Kaniehtì:io (Ziio)
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sapevo che ci sarei caduta....dopo aver giocato ad Assassin's Creed III (che io ho apprezzato parecchio alla faccia di chi lo ha denigrato) non potevo non scriverci qualcosa e non è nemmeno una one-shot, no, perché sono folle e parto a provare con una multi chapter...mah speriamo piaccia. Aspettatevi molto Connor e Haytham e Ziio con un pizzico di Aveline (a questo proposito purtroppo non avendo la psvita non ho potuto giocare a Liberation, anche se mi sono documentata sulla storia, quindi la Aveline che trovate qui è una mia visione del personaggio, spero non sia troppo OC)
Se voleste farmi sapere che ne pensate lo gradirei molto, anche perché saprei se è il caso di continuare la storia o no XD




Assassin's Heart



1. The Journal

Chiuse il diario con lentezza. Le ultime parole scrittevi all'interno, su pagine ormai ingiallite, rimbombavano nella sua mente. Sul tavolo dove il diario era riposto piccolo gocce aumentavano di numero. Non gli fu difficile capire che altro non erano che lacrime che gli scendevano da occhi che pensava non fossero più in grado di piangere. Non dopo aver visto morire sua madre in un incendio che non avrebbe mai potuto dimenticare.

Eppure ora quelle lacrime non scendevano per sua madre, ma per qualcuno per il quale mai avrebbe pensato di poter anche solo credere di piangere. Connor Kenway stava piangendo per suo padre.

Lo aveva perso, anzi lo aveva ucciso lui stesso, poco più di un mese fa. Le sue mani potevano dirsi ancora bagnate del suo sangue, anche se non solo del suo, perché insieme a quello di Haytham Kenway, dalla lama celata che teneva al braccio, colava anche il sangue, ben più odiato, di Charles Lee. E se non provava nessun pentimento per quell'ultimo omicidio, lo stesso non poteva dirsi del macigno che sentiva nel cuore per l'uccisione del padre. Soprattutto ora che, dopo la lettura del suo diario, era riuscito, forse, a capirlo anche se ancora non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarlo.

Si asciugò gli occhi, leggermente incredulo di come questi continuassero a lacrimare e si voltò di scatto, verso la porta della stanza, quando sentì un leggero bussare dall'altra parte del robusto legno.

Viveva da solo in quella grande magione che era stata la villa di Achilles Davenport e per questo motivo sapeva bene che una sola persona poteva trovarsi al di là della porta, la stessa persona che quella mattina si era presentata nella sua tenuta con il diario tra le mani.

"Entra pure" disse, notando come la sua voce fosse uscita roca e sofferente. Decisamente non era da lui. Cosa che pensò anche la ragazza che, entrando in silenzio, lo guardò a lungo prima di aprir bocca.

"Tutto bene?" chiese a mezza voce.

"Si, Aveline. Ti ringrazio." rispose alzandosi dalla sedia e andando a guardare il buio fuori dalla finestra. Aveva passato tutta la giornata a leggere il diario di suo padre e solo ora si rendeva conto che si era fatta notte.

"L'hai letto tutto?" domandò nuovamente la donna, rimanendo sulla soglia, con la porta aperta.

Un cenno del capo fu tutto quello che l'assassina di New Orleans ottenne, e sembrò bastarle. Connor però, dopo alcuni istanti, cercò di essere più esaustivo.

"Aveline" chiamò, sentendo la porta che stava per rinchiudersi. "Ti ringrazio per avermi portato il diario"

La ragazza stette in silenzio per alcuni secondi e poi rispose "Mi domando se ho davvero fatto bene a portatelo"

Il ragazzo si volse verso di lei, un mezzo sorriso sulle labbra.

"Me lo sono domandato anch'io - confessò - mentre lo leggevo, e ora, che l'ho finito, posso dirti che, si, hai fatto bene."

La ragazza sorrise, ma prima che potesse parlare, Connor tornò a voltarsi verso la finestra riprendendo la parola.

"Domani dovrò ricordarmi di ringraziare anche Achilles per averti chiamata e averti chiesto di tenermi d'occhio"

"Perché non facessi sciocchezze, mi aveva detto" concluse Aveline.

Connor sorrise. "Se fosse ancora vivo mi avrebbe sicuramente punito e ammonito per la mia imprudenza..."

"Più che imprudenza la chiamerei follia...Entrare nel quartier generale del nemico mentre viene bombardato dai propri alleati. Sei stato fortunato ad uscirne vivo."

"Hai ragione. Ma più che uscirne vivo dalle cannonate, ancor oggi mi domando come ho fatto ad uscir vivo dalla scontro con mio padre..."

Aveline rimase in silenzio.

"Ora mi domando se lui stesse davvero facendo sul serio..."

"Dunque anche tu te ne sei reso conto...." controbbattè la ragazza, testando il terreno.

Connor si volse verso di lei, sul suo volto un evidente segno di curiosità. Aveline tentò di spiegarsi meglio.

"Ho visto il vostro combattimento, vi ho raggiunto poco dopo aver trovato per caso il diario di tuo padre, quando una cannonata ha distrutto quello che probabilmente era il suo studio. Pensavo fosse una mia sola impressione, ma anch'io ho pensato che tuo padre non stesse facendo sul serio e non volesse ucciderti."

Connor la guardò sempre più pensieroso.

"Avrebbe potuto chiamare delle guardie, ma soprattutto mentre tentava di soffocarti, lo stavo guardando bene, pronta ad intervenire, avrebbe potuto usare la lama celata per tagliarti la gola, anzi, ero sicura che lo avrebbe fatto... Avrebbe potuto ucciderti facilmente, e invece..."

Calò un silenzio ancora più pesante, Connor si voltò nuovamente verso la finestra, una mano sulla lastra di vetro come per reggere il suo stesso peso contro di essa. Che fosse vero? si domandava. Che suo padre avesse intenzione di morire per mano sua dunque? O semplicemente non volesse davvero ucciderlo nonostante le sue ultime parole?

Connor era preso da mille dubbi e quasi sussultò quando Aveline chiamò il suo nome. Si voltò verso di lei aspettando che parlasse, la mano ancora sulla finestra.

"Mi rendo conto che tu abbia bisogno di tempo per digerire la faccenda, ma avrei bisogno che mi accompagnassi a New York domani. C'è qualcosa che faresti bene a vedere..."

Il ragazzo annuì e l'Assassina lo imitò di rimando "Bene, ci vediamo domani mattina allora" disse poi, prima di uscire nuovamente e chiudersi la porta alle spalle.

All'interno Connor sentì il portone chiudersi con un rumore sordo, mentre il suo sguardo si ripose nuovamente sul diario del padre. C'erano ancora delle pagine vuote, sul tavolo un calamaio e una penna sembravano aspettare solo di essere sollevati e usati. Connor si avvicinò al tavolo, si sedette e intinse la punta della penna nell'inchiostro. Forse gli avrebbe fatto bene ripercorre quei momenti sulla carta. Forse così, pensò, gli sarebbe sembrato di parlare con suo padre ancora una volta.
Sulle scale fuori dalla stanza Aveline nel frattempo si era volta verso la porta chiusa domandandosi se ciò che aveva pianificato di fare sarebbe stata una buona cosa o se avrebbe peggiorato la situazione ancora di più. L'indomani l'avrebbe scoperto...
  
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